Impugnazione della delibera (legittimazione attiva e passiva)

20 Dicembre 2018

In generale, le condizioni dell'azione sono i requisiti indispensabili perché un'azione possa considerarsi esistente e sorga per il giudice la necessità di provvedere sulla domanda (accogliendola o rigettandola); tali condizioni, che costituiscono i presupposti di ammissibilità della domanda e vanno accertati preliminarmente all'esame del merito della stessa, sono - oltre l'interesse ad agire - la legittimazione ad agire, che si può definire come la titolarità (attiva e passiva) dell'azione, che indica...
Inquadramento

Per quanto concerne la legittimazione ad agire nell'azione di impugnazione della delibera condominiale, l'art. 1137, comma 2, c.c. ribadisce che la stessa faccia capo ad “ogni condomino”.

In ordine all'attribuzione della qualità di condomino - indispensabile anche per aver diritto a partecipare alle assemblee ed aver tempestivo avviso della relativa convocazione - si è ritenuto che la stessa ha, come indefettibile presupposto, la proprietà di un piano o di una porzione di piano in cui l'edificio condominiale risulti diviso, precisando che, ai fini dell'assunzione della qualità di condomino, non rileva tanto l'esistenza di un atto pubblico di trasferimento della proprietà frazionata di una parte dell'edificio stesso - requisito che può riguardare, semmai, il problema dell'opponibilità della qualità di condomino rispetto ai terzi - quanto l'esistenza di un negozio effettivamente traslativo di tale diritto, anche se concluso per mezzo di semplice scrittura privata.

Comunque, la legittimazione all'impugnazione - salvo quanto si dirà appresso a proposito del conduttore - è, di regola, inscindibilmente connessa alla titolarità di un diritto reale su una porzione dello stabile condominiale, sicché la stessa non può fare capo al possessore di uno degli appartamenti dello stabile condominiale.

Nel caso di morte del condomino successivamente all'assemblea, deve ritenersi che ogni erede sia singolarmente legittimato all'impugnazione, fermo restando l'onere probatorio di dimostrare il fatto da cui discende la propria legittimazione, in caso di contestazione da parte del condominio convenuto; poiché, peraltro, una delibera non può essere efficace per alcuni comproprietari ed inefficace per altri, dovrebbe essere necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei coeredi non impugnanti.

L'astenuto

L'art. 1137, commi 2 e 3, c.c. (vecchio testo) prevedeva espressamente la legittimazione all'impugnazione delle delibere - contrarie alla legge o al regolamento condominiale - soltanto in capo a “ogni condomino dissenziente” (oltre che all'assente).

A questo punto, era sorto il problema se fosse legittimato anche quel condomino che era presente alla riunione ed aveva partecipato alla discussione, ma si era astenuto dalla votazione finale (considerandosi, invece, irrilevanti i motivi che avevano determinato tale comportamento).

A stretto rigore, deve considerarsi astenuto chi non ha espresso alcuna volontà, né in senso positivo, né in senso negativo, per cui non potrebbe impugnare: in parole povere, egli non è assente perché è intervenuto all'assemblea, né è dissenziente perché non ha votato.

In un primo momento, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1971, n. 2217; Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1969, n. 3060; Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1967, n. 240; Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1959, n. 1135) si era orientata nel ritenere che il condomino presente, che ha partecipato alla discussione e alla votazione, non possa impugnare la delibera se non è dissenziente rispetto al capo della statuizione che impugna.

Si è ritenuto, infatti, che il condomino che interviene all'assemblea è libero di votare o non votare, ma a garanzia degli altri partecipanti - affinché essi siano messi in grado di valutare le concrete possibilità di impugnativa di una delibera che vogliono adottare - egli deve esternare con il voto la sua intenzione se intende approvare o dissentire dalla stessa delibera, per conservare la legittimazione ad impugnarla; pertanto, l'art. 1137 c.c., riconoscendo tale legittimazione solo ai condomini assenti o dissenzienti, sanziona in questo modo, per le anzidette ragioni di tutela, il comportamento omissivo di chi, avendo partecipato all'assemblea, non si è opposto al formarsi di una determinata volontà collettiva, punendo così l'inerzia in virtù dei principi di autoresponsabilità e di affidamento a tutela dei terzi (Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1978, n. 3725).

Successivamente, è apparso, però, preferibile ammettere la possibilità anche per l'astenuto di opporsi alla delibera condominiale.

In altri termini, tutti i condomini che non hanno votato in maniera conforme alla delibera assembleare sono legittimati ad impugnarla, siano stati presenti alla seduta o assenti - l'unica differenza consistendo nel dies a quo per proporre l'opposizione, che decorre dalla data della delibera per i primi e dalla data della comunicazione per gli altri - ivi compresi gli astenuti, i quali sostanzialmente non hanno approvato la delibera, a nulla rilevando che questi ultimi, al momento del voto, abbiano formulato riserva da sciogliere dopo la seduta (Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1988, n. 6671).

È vero che il citato art. 1137 (vecchio testo) faceva riferimento solo ai condomini dissenzienti - oltre che assenti - sicché a fondamento della tesi restrittiva militava la lettera della legge, che espressamente riconosceva il potere di impugnazione soltanto ai primi, mentre, a sostegno dei limiti della legittimazione, si potevano dedurre anche le esigenze di certezza delle delibere che, in generale, restringevano i termini di impugnazione.

Tuttavia, nel condominio negli edifici, occorre distinguere tra le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell'assemblea e le maggioranze stabilite per la validità delle delibere: alla regolare costituzione del collegio concorrono tutti i condomini presenti e, quindi, anche coloro i quali, nelle votazioni, si asterranno, mentre, all'approvazione delle decisioni, non concorrono, invece, tutti i presenti.

Ora, perché le delibere si assumono con la maggioranza (semplice o qualificata) dei partecipanti all'assemblea regolarmente costituita, non facendo parte della maggioranza all'approvazione della delibera, gli astenuti non concorrono: ai fini della formazione della maggioranza necessaria per l'approvazione, i voti dei condomini astenuti sono equiparati a quelli dei condomini dissenzienti o assenti.

L'approvazione della delibera e, quindi, la sua validità ed efficacia dipendono dall'esistenza del quorum prescritto; la delibera si ascrive all'intero collegio, in quanto vincola anche i dissenzienti e gli assenti, ma come atto giuridico valido viene ad esistenza se risulta approvata da un determinato numero di condomini: si perfeziona, cioè, in virtù del formarsi della maggioranza stabilita.

Sotto il profilo decisivo della formazione della delibera, vale dire della volontà sottostante al decisum, in quanto non concorrono alla formazione della maggioranza, i partecipanti astenuti - secondo i giudici di legittimità - vengono equiparati ai dissenzienti: la ragione per cui non è consentito proporre impugnazione è l'aver concorso all'approvazione della delibera, facendo parte della maggioranza che si è espressa in senso favorevole alla proposta messa ai voti.

Ciò posto, non si vede perché i condomini astenuti, i quali come i condomini dissenzienti e assenti, non hanno concorso all'approvazione, non debbano equipararsi ai condomini dissenzienti ed assenti anche per quanto attiene alla legittimazione all'impugnazione.

In difetto di una norma specifica, che alla dichiarazione di astensione attribuisca un contenuto ed un'efficacia precisi, poiché il potere di impugnazione è riconosciuto a coloro i quali non hanno concorso all'approvazione, dal sistema si ricava che legittimati ad impugnare la delibera sono anche i condomini astenuti, in quanto si trovano nella stessa posizione dei dissenzienti e assenti, non avendo neppure essi contribuito all'approvazione (Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 2007, n. 21298; Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 1999, n. 129).

In questa prospettiva, risulta pienamente condivisibile l'aggiunta inserita dalla Riforma del 2013 - del resto, in linea a quanto stabilito nelle società di capitali - che ammette espressamente la possibilità anche per l'astenuto di opporsi alla delibera condominiale, facendo propri i rilievi esposti dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la legittimazione spetta a tutti i condomini che non hanno votato in senso conforme alla delibera, specificando, ovviamente, che il termine decadenziale (sempre di 30 giorni) decorre dal momento della riunione, e non dalla comunicazione del relativo verbale.

Il conduttore

L'art. 10 della l. 27 luglio 1978, n. 392 (c.d. sull'equo canone) prevede tuttora, al comma 1, che il conduttore ha diritto di voto, in luogo del proprietario dell'appartamento locatogli, nelle delibere dell'assemblea relative alle spese ed alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, e, al comma 2, che lo stesso conduttore ha diritto di intervenire, ma senza diritto di voto, nelle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni.

In relazione alla possibilità del conduttore di partecipare all'assemblea condominiale, si è notato che la particolare considerazione per la gestione del servizio di riscaldamento rispetto agli altri servizi - che pure gravano interamente sul conduttore - si spiega con il preminente interesse di questi, non soltanto al controllo della spesa, ma anche e soprattutto alle modalità di erogazione del servizio, cui il locatore, invece, non ha alcun interesse, mentre la possibilità di partecipare all'assemblea senza diritto di voto nelle delibere concernenti le modificazioni degli altri servizi è correlata all'obbligo di pagamento che grava (totalmente o in parte) sul conduttore, cosicché, nonostante l'ultima parola al riguardo spetti al locatore, l'inquilino, intervenendo, può illustrare il proprio punto di vista, cercando in tal modo di far coagulare intorno ad esso la volontà degli altri partecipanti.

Orbene, in ordine al riconoscimento, in capo all'inquilino, della legittimazione ad impugnare la delibera condominiale, si suggerisce di distinguere le azioni di nullità e di annullamento.

Riguardo alle prime, sempre che ricorra l'ulteriore requisito dell'interesse ad agire, non può negarsi la legittimazione del conduttore a far valere l'asserita nullità di una delibera; né appare corretto limitare tale interesse alle sole statuizioni concernenti le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento, in quanto non può escludersi un interesse dell'inquilino a dedurre la nullità di una delibera che, nel regolamentare l'uso della cosa comune o nell'imporre illegittime restrizioni all'uso del bene di proprietà esclusiva, possa avere pregiudicato indirettamente il diritto di godimento derivante dal contratto di locazione (nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Monza-Desio 8 febbraio 2001).

Riguardo alle seconde, atteso che il Legislatore ha concesso il diritto di voto al conduttore in certe materie e, quindi, il diritto di partecipare, al posto del locatore-condomino, alla formazione della volontà condominiale, deve essere riconosciuto in capo al primo un autonomo diritto a far valere in sede giudiziaria le eventuali irregolarità di tale manifestazione di volontà (Cass. civ., sez.II, 23 gennaio 2012, n. 869).

In altri termini, la titolarità del diritto di voto ex art. 10 della l. n. 392/1978 comporta, come ineludibile conseguenza, anche la titolarità dell'azione di cui all'art. 1137 c.c., non apparendo coerente conferire la predetta legittimazione al proprietario che, in determinati argomenti, per essere considerato estraneo ai riflessi pratici della delibera, è stato legislativamente escluso dal diritto di partecipare alla formazione della decisione assembleare sul punto.

Comunque, per una corretta impostazione della fattispecie, è preliminare la risoluzione della questione in ordine alla natura del diritto di partecipazione del conduttore, per affrontare poi le problematiche connesse alla sua convocazione, agli effetti dell'omesso avviso e, quindi, all'impugnabilità delle relative delibere.

Le opinioni divergevano tra chi reputava sussistere l'obbligo di convocazione da parte dell'amministratore che fosse stato tempestivamente edotto della locazione e chi, invece, poneva a carico del locatore l'obbligo della rituale convocazione dell'inquilino.

Seguendo la prima tesi, stante la completa equiparazione del conduttore al condomino operata dall'art. 10 della l. n. 392/1978 - salvo sempre l'onere del locatore di effettuare all'amministratore le necessarie segnalazioni in ordine all'esistenza del rapporto di locazione - doveva concludersi che l'omesso avviso al conduttore viziava la delibera, al pari dell'omessa convocazione di un condomino, e rendeva la delibera stessa impugnabile ex art. 1137 c.c.

Seguendo la seconda tesi, la mancata convocazione avrebbe prodotto, invece, i suoi effetti esclusivamente nel rapporto interno tra proprietario e conduttore, e, in tal senso, era orientata la prevalente giurisprudenza (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1992, n. 4802), secondo cui l'art. 10 della l. n. 392/1978 non aveva comportato modificazioni al disposto dell'art. 66, comma 3, disp. att. c.c. (vecchio testo), che disciplinava la comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea ai soli “condomini”, sicché tale avviso doveva essere comunicato al proprietario e non al conduttore dell'appartamento, restando solo il primo a farsi parte diligente per informare il secondo dell'avviso di convocazione ricevuto dall'amministratore onde consentirgli di partecipare alle delibere previste dal citato articolo, senza che le conseguenze della mancata convocazione del conduttore potessero farsi ricadere sul condominio, che rimaneva “estraneo al rapporto di locazione”.

In altre parole, nell'àmbito del condominio, l'amministratore agiva in forza di un mandato con rappresentanza ricevuto dai singoli condomini, mentre, nell'àmbito del contratto di locazione, il locatore ed il conduttore contraevano reciproci diritti e obblighi, nel contesto di un rapporto che aveva effetto solo inter partes, senza alcun riflesso rispetto ai terzi estranei a tale rapporto, quali il condominio e gli altri condomini.

Comunque, non sembrava che potesse operarsi una sostanziale differenza, per quanto attiene alla predetta partecipazione del conduttore ed agli effetti della mancata convocazione, tra delibere concernenti il riscaldamento e quelle relative alle modificazioni degli altri servizi comuni: se era pur vero che, per queste ultime, il conduttore non aveva diritto di voto, non per questo doveva ritenersi ininfluente la sua partecipazione, giacché egli risultava legittimato ad intervenire, fare le proprie osservazioni che potevano essere recepite dagli altri condomini, e comunque partecipare alla discussione incidendo sulla formazione di una diversa volontà assembleare, per cui anche le statuizioni concernenti “la modificazione degli altri servizi comuni” potevano essere impugnate dal conduttore che - dall'amministratore o dal proprietario - non era stato invitato a intervenire; tuttavia, una volta convocato, il conduttore non appariva legittimato ad impugnare tali delibere assunte in materie nelle quali aveva soltanto il diritto di intervenire, senza sostituire il locatore-condomino (d'altronde, potendo partecipare alla discussione di cui sopra ma non avendo il diritto di voto, non avrebbe potuto considerarsi tecnicamente “dissenziente”).

In ogni caso, si era concordi nel ritenere che si trattava di un'eccezionale interferenza del rapporto di locazione nella sfera condominiale, nel senso che quella sopra delineata non doveva costituire lo spunto per una più generale legittimazione del conduttore all'impugnazione di una delibera.

Sul punto, il Supremo Collegio (Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1993, n. 8755) aveva puntualizzato che l'art. 10 della l. n. 392/1978, con il rinvio alle disposizioni del codice civile concernenti l'assemblea dei condomini, riconosceva implicitamente il diritto dell'inquilino di impugnare le delibere viziate, sempre che avessero per oggetto le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria, tuttavia, al di fuori delle situazioni richiamate, la norma in esame non attribuiva al conduttore il potere generale di sostituirsi al proprietario nella gestione dei servizi condominiali, sicché doveva escludersi la legittimazione del primo ad impugnare la delibera di nomina dell'amministratore nonché di approvazione del regolamento di condominio e del bilancio preventivo (tra le sentenze di merito, si segnala Trib. Cagliari, 14 aprile 1992, in ordine alle spese di portierato).

In conclusione, anche se l'amministratore sapeva chi fosse il conduttore, oppure gli era stata comunicata l'esistenza di un contratto di locazione, doveva “fingere” di non conoscere l'inquilino e rivolgersi soltanto al proprietario, unico suo legittimo destinatario: infatti, era a lui che doveva indirizzare gli avvisi di convocazione per l'assemblea.

Tuttavia, i risultati ermeneutici raggiunti fin qui dalla magistratura di vertice non possono ritenersi inalterati a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 220/2012.

Invero, la Riforma del 2013 sembra aver cambiato tale prospettiva, atteso che il comma 7 dell'art. 1136 c.c., attualmente, prevede che “l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati”, laddove la versione precedente era nel senso che “l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini sono stati convocati alla riunione”.

In evidenza

In buona sostanza, si è volutamente sostituito il termine “condomini” con quello di “aventi diritto”, quasi a significare che vi sono altri soggetti, diversi dai condomini, come appunto i conduttori, i quali hanno diritto ad essere convocati all'assemblea direttamente, cioè by-passando il locatore, da parte dell'amministratore (che, pertanto, diventa obbligato in tal senso).

Che non si tratti di una mera disattenzione del patrio legislatore lo si ricava anche da altre significative modifiche dell'art. 66 disp. att. c.c., il cui comma 3 - dopo aver stabilito che l'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno 5 giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, con determinate modalità, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione - precisa che, in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli “aventi diritto”, la delibera assembleare è annullabile ai sensi dell'art. 1137 c.c. su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati.

In quest'ottica, va, altresì, letta la novità contenuta nel comma 5 dello stesso art. 66, che contempla ora la possibilità, in capo all'amministratore, di fissare più riunioni consecutive in modo da assicurare lo svolgimento dell'assemblea in termini brevi, convocando gli “aventi diritto” con un unico avviso nel quale sono indicate le ulteriori date ed ore di eventuale prosecuzione dell'assemblea validamente costituitasi.

Chiude il cerchio il novellato disposto dell'art. 1130 c.c. che, tra le attribuzioni dell'amministratore, annovera ora, al n. 6), la cura della tenuta del registro dell'anagrafe condominiale, contenente la generalità dei singoli proprietari nonché dei titolari di diritti reali e di “diritti personali di godimento” (comprensive di codice fiscale, residenza o domicilio), e tale registro, aggiornato anche ai nomi dei conduttori, ha un senso solo se si configura un obbligo dell'amministratore di convocare questi ultimi, ovviamente laddove la legge contempli il loro potere di voto e di intervento in assemblea.

L'amministratore

Ai sensi del comma 2 dell'art. 1131 c.c. - il cui testo risulta invariato anche a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 220/2012 - l'amministratore di condominio può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente “le parti comuni dell'edificio”.

A differenza della legittimazione attiva, che è - di regola, salvo ampliamenti da parte dell'assemblea - limitata alle questioni connesse alle sue funzioni istituzionali ex art. 1130 c.c. (sia pure notevolmente implementate dalla Riforma del 2013), quella passiva riveste una portata generale; quindi, nel caso in cui il condominio assuma le vesti di convenuto, rispetto ad azioni promosse da terzi o da alcuno dei condomini che investano interessi comuni, l'amministratore è passivamente legittimato a stare in giudizio, senza bisogno di alcuna autorizzazione da parte dell'assemblea (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1982, n. 2091; Cass. civ., sez. II, 23 maggio 1981, n. 3403).

Tale disciplina trova essenzialmente la sua ratio nella realizzazione di un'evidente esigenza di semplificazione nei rapporti tra il condominio ed eventuali terzi o alcuno degli stessi partecipanti al condominio, che intendano far valere, in sede giudiziale, pretese che attengano a beni o a interessi comuni: la norma consente, infatti, di ovviare alla necessità di citare indistintamente una moltitudine di soggetti diversi in situazioni che, attese le sempre più estese dimensioni che va assumendo nella pratica la realtà condominiale (o supercondominiale), finirebbero con il risultare di fatto ostative alla proposizione della causa, senza considerare le difficoltà pratiche di preservare nel corso del relativo giudizio il litisconsorzio passivo nei confronti di tutti i condomini.

Inizialmente, si era sostenuto che, essendo l'amministratore passivamente legittimato solo in ordine alle azioni concernenti le parti comuni dell'edificio e nei limiti delle attribuzioni conferitegli dall'art. 1130 c.c., non poteva essere proposta nei suoi confronti l'azione tendente ad invalidare una delibera assembleare.

Tuttavia, dopo qualche remota pronuncia (Cass. civ., sez. II, 17 aprile 1969, n. 1220; Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1958, n. 1375), con la quale tutti i condomini sono stati considerati litisconsorzi necessari, la Suprema Corte ha, poi, ripetutamente affermato che l'amministratore è legittimato passivo in ordine all'impugnazione delle delibere condominiali, perché riguarda l'interesse comune dei condomini, ancorché in opposizione all'interesse particolare di uno di essi, e tende a soddisfare le esigenze della gestione collettiva (v., tra le tante, Cass. civ., sez. II, 17 luglio 2006, n. 16228; Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1999, n. 14037; Cass. civ., sez. II, 19 novembre 1992, n. 12379; Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1990, n. 8198).

Quindi, ai fini dell'esatta individuazione della legittimazione passiva dell'amministratore, occorre soltanto stabilire se la controversia coinvolga interessi concernenti beni/impianti/servizi comuni dell'edificio condominiale, poiché, se la lite attenga, invece, a interessi individuali o afferisca alle singole proprietà, verrebbe meno la rappresentanza processuale dell'amministratore, e la domanda de qua dovrebbe essere proposta nei confronti del singolo partecipante al condominio.

In quest'ottica, l'amministratore del condominio è sicuramente legittimato passivamente nelle cause originate dall'impugnazione di un condomino di una delibera assembleare, trattandosi appunto di controversie riguardanti beni comuni, senza la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i partecipanti (Cass. civ., sez. II, 27 agosto 2002, n. 12564; Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1998, n. 4900; Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1996, n. 7359).

Si è, in particolare, rilevato che, nel compito di eseguire le delibere dell'assemblea dei condomini affidato all'amministratore dall'art. 1130, n. 1), c.c. e per il cui espletamento nel successivo art. 1131 gli è riconosciuta la rappresentanza in giudizio del condominio, deve ritenersi implicitamente ricompreso quello di difendere la validità delle delibere.

L'amministratore è, altresì, legittimato passivamente a rappresentare il condominio nelle controversie in cui sia impugnata la stessa delibera assembleare con la quale sia stato nominato, sempre che di tale delibera non sia stata disposta la sospensione ex art. 1137, comma 3, c.c., quando sia stato fatto valere un vizio che non determina la nullità, ma solo l'eventuale annullabilità della medesima delibera (Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1985, n. 2309, secondo cui la contestazione della nomina dell'amministratore ai sensi dell'art. 1129 c.c. ha, però, come legittimi contraddittori i pretesi condomini che si assume essere meri comproprietari delle cose comuni e non già l'amministratore di cui implicitamente si contesta lo stesso potere di gestione e di rappresentanza; Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1974, n. 237: nella specie trattavasi di delibera viziata per irregolarità della convocazione per essere avvenuta ad iniziativa di un amministratore sospeso dal suo ufficio).

In tale contesto, l'amministratore, essendo legittimato in via esclusiva a resistere nei giudizi aventi a oggetto l'impugnazione delle delibere assembleari, è anche legittimato a impugnare la relativa decisione, in caso di soccombenza del condominio, senza necessità di alcuna autorizzazione da parte dell'assemblea, e comunque ha la facoltà di proporre tutti i gravami che successivamente si rendano necessari in conseguenza della vocatio in ius (Cass. civ., sez. II, 4 maggio 2005, n. 9213; Cass. civ., sez. II, 20 aprile 2005, n. 8286; Cass. civ., sez. II, 26 novembre 2004, n. 22294; Cass. civ., sez. II, 29 luglio 2004, n. 14384; Cass. civ., sez. II, 15 marzo 2001, n. 3773; Cass. civ., sez. II, 2 dicembre 1997, n. 12204, in una fattispecie concernente l'impugnazione di delibera avente a oggetto la ricostruzione di un edificio ai sensi della l. n. 219/1981).

Casistica

CASISTICA

Dissenso alle liti

L'amministratore di condominio, tenuto conto delle attribuzioni demandategli dall'art. 1131 c.c., può resistere all'impugnazione della delibera assembleare ed impugnare la relativa decisione giudiziale senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, atteso che, in dette ipotesi, non è consentito al singolo condomino dissenziente separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in ordine alle conseguenze della lite, ai sensi dell'art. 1132 c.c., ma solo ricorrere all'assemblea avverso i provvedimenti dell'amministratore ex art. 1133 c.c., oppure al giudice contro il successivo deliberato dell'assemblea stessa (Cass. civ., sez. II, 20 marzo 2017, n. 8095).

Gestione di un servizio comune

Nel giudizio di impugnazione della delibera dell'assemblea di condominio, il singolo condomino è legittimato ad impugnare la sentenza emessa nei confronti dell'amministratore e da questi non impugnata, anche qualora la delibera controversa persegua finalità di gestione di un servizio comune ed incida sull'interesse esclusivo del condomino soltanto in via mediata (Cass. civ., sez. II, 6 agosto 2015, n. 16562).

Vizio inerente l'altrui sfera giuridica

In tema di condominio negli edifici, il condomino assente in assemblea, ma regolarmente convocato, non può impugnare la delibera per difetto di convocazione di altro condomino, trattandosi di vizio che inerisce all'altrui sfera giuridica, come conferma l'interpretazione evolutiva fondata sull'art. 66 disp. att. c.c., modificato dall'art. 20 della l. 11 dicembre 2012, n. 220 (Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2014, n. 9082).

Tabelle millesimali

L'impugnazione della delibera dell'assemblea condominiale di approvazione di nuove tabelle millesimali, fondata non già sull'errore iniziale delle tabelle originarie o sulla sopravvenuta sproporzione dei valori del prospetto, ma su vizi dell'atto assembleare, va proposta nei confronti dell'amministratore del condominio e non nei confronti dei singoli condòmini (Cass. civ., sez. II, 11 luglio 2012, n. 11757).

Guida all'approfondimento

Salciarini, Carenza di legittimazione a impugnare per l'astenuto, in Immob. & diritto, 2010, fasc. 8, 19;

De Tilla, Sulla legittimazione ad agire per l'annullamento della delibera condominiale, in Arch. loc. e cond., 2005, 48;

Maglia, Impugnabilità delle delibere assembleari da parte dei condomini astenuti, in Arch. loc. e cond., 1996, 837;

Alvino, Azione di nullità concessa anche al condomino che abbia espresso voto favorevole alla deliberazione, in Giust. civ., 1982, I, 2661;

Annesanti, Ancora sul rebus dei conduttori nelle assemblee di condominio, in Nuovo dir., 1977, 615.

Sommario