Contestazione della paternità e principio del favor veritatisFonte: Cod. Civ. Articolo 248
27 Dicembre 2018
Il quadro normativo: le azioni di stato dopo la riforma
La legge 10 dicembre 2012, n. 219, e i decreti legislativi correlati, in particolare il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, hanno introdotto la riforma dello stato di figlio, la quale ha modificato radicalmente l'impianto normativo relativo alla condizione giuridica dei figli disciplinato nel Codice civile. Con tale riforma il legislatore ha voluto assicurare il pieno rispetto degli artt. 2, 3 e 30 Cost. e delle convenzioni internazionali, soprattutto la Carta di Nizza, il cui art. 21 vieta qualsiasi discriminazione, incluse quelle fondate sulla nascita. Il principio cardine della riforma è quello dell'unicità dello stato di figlio, contenuto proprio nell'art. 315 c.c., per cui «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico». Con il richiamo al concetto di status il legislatore ha inteso affermare l'unicità del rapporto che lega il figlio al gruppo familiare in cui si colloca, indipendentemente dal fatto che sia stato concepito in costanza di matrimonio o meno. Tale impostazione segna una netta distinzione rispetto alla precedente regolamentazione, la quale manteneva la distinzione tra figlio legittimo e naturale. In virtù della riforma, dunque, il matrimonio non si configura più come elemento di differenziazione del rapporto giuridico che intercorre fra genitore e figlio, la cui regolamentazione resta unica. Tuttavia il legislatore ha mantenuto differenziate le modalità di acquisizione dello status di figlio a seconda della sussistenza o meno del legame matrimoniale tra i genitori. Infatti il matrimonio determina l'attribuzione automatica dello stato di figli dei coniugi, mentre, qualora i genitori non siano coniugati, l'accertamento della filiazione avviene o tramite riconoscimento, ex art. 250 c.c., o attraverso l'accertamento giudiziale, ex art. 269 c.c. Pertanto, in relazione a questo profilo, permane la distinzione tra figli nati in costanza di matrimonio o meno. Per quanto concerne le azioni di stato, l'obiettivo della riforma era quello di realizzare una maggiore omogeneità tra le azioni c.d. legittime e quelle riferibili alla filiazione naturale, al fine di garantire il più possibile il contemperamento tra i valori del favor veritatis, correlato all'accertamento dello stato biologico, e della stabilità della condizione giuridica acquisita dal figlio, componente essenziale del favor minoris. La disciplina trova un'unitaria collocazione nel Capo III, del Titolo VII, del Libro I, del Codice civile, dove per prima si colloca l'azione di disconoscimento, che mira a dimostrare la insussistenza della paternità nei confronti del figlio nato in costanza di matrimonio. Di seguito è regolata l'azione di contestazione di stato, strumentale alla dichiarazione dell'inesistenza dello stato di figlio come risultante dall'atto di nascita, che presuppone sia stato formato un titolo difforme da quello corrispondente alla realtà biologica. Infine, l'azione di reclamo dello stato di figlio è finalizzata a consentire al figlio di ottenere l'accertamento del suo status, non risultante dagli atti dello stato civile. L'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, invece, mantiene un'autonoma sede e si trova tra le regole attinenti al riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio. Pertanto occorre rilevare che, sebbene sia venuta meno ogni espressa qualificazione delle singole azioni in base ai presupposti della filiazione, anche in materia di azioni di stato sembra perdurare la dicotomia tra la filiazione c.d. legittima e la genesi da genitori non uniti in matrimonio. Il favor veritatis rappresenta il criterio ispiratore della disciplina delle azioni di stato nell'ambito della riforma del 2012. Occorre però esaminare come tale principio si sia evoluto negli anni e cosa rappresenti oggi all'interno dell'ordinamento giuridico. La legge 19 maggio 1975, n. 151, prima importante riforma del diritto di famiglia nel periodo repubblicano, improntata a promuovere l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi e l'equiparazione fra filiazione “legittima” e filiazione “naturale”, ha portato alla progressiva affermazione della prevalenza della verità biologica sulla certezza formale del rapporto di filiazione. Ciò coincide con il passaggio dall'interpretazione dell'art. 30 Cost. in senso oggettivistico e istituzionale, a una visione che ne privilegia la dimensione soggettivisticae individuale: oggetto di tutela non è più tanto la famiglia fondata sul matrimonio come istituzione “monolitica” astrattamente considerata, ma sono piuttosto i singoli membri della famiglia stessa, ciascuno dei quali può vantare interessi anche concretamentediversi, se non addirittura opposti, rispetto a quelli degli altri. La ratio ispiratrice della legislazione del 1975 era appunto quella per cui ogni falsa apparenza di stato deve cadere. Fin dal 1989, anno di approvazione della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, lo status del minore si è però arricchito ed egli ha assunto, man mano, una soggettività giuridica per certi versi paragonabile a quella dell'adulto, essendo stato riconosciuto titolare di diritti fondamentali. Si è quindi fatta strada l'esigenza di considerare anche l'interesse del minore stesso: c.d. favor minoris o anche best interest of child.Successivamente, un processo di lenta trasformazione nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha portato la stessa ad affermare che componente indefettibile del favor minoris è il riconoscimento del diritto alla continuità degli affetti. La Corte EDU, in assenza di una espressa base testuale, riconduce la garanzia del best interest of child agli artt. 8 e 14 CEDU, sancendone la funzione di principale criterio decisionale per le questioni che lo riguardano. In Italia, a seguito della riforma del diritto di famiglia avvenuta con la legge 10 dicembre 2012, n. 219 e il d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, oltre alla promozione dell'unificazione dello stato di figlio, si è affermata la soggettività giuridica del minore nei rapporti familiari, offrendo un contemperamento di tutti gli interessi sottesi alla disciplina relativa al riconoscimento dei figli, e ponendo quale criterio orientativo primario quello dell'interesse del minore nel caso concreto. Recentemente anche la Corte costituzionale, con sentenza 18 dicembre 2017, n. 272, si è pronunciata sul giudizio valutativo tra il favor minoris e il favor veritatis nelle azioni di stato. La Consulta ha affermato che l'interesse del figlio, nella sua complessità, va bilanciato con altre istanze che entrano in gioco, quale l'interesse pubblico alla certezza degli status. La giurisprudenza costituzionale, in questa decisione, sottolinea il particolare valore della verità biologica della procreazione che costituisce una “componente essenziale” dell'identità personale del minore, senza che essa sia, però, la sola. Infatti, la Corte afferma che essa «concorre, insieme ad altre componenti, a definirne il contenuto». Tali favores, quindi, rappresentano ad oggi il punto di riferimento degli interpreti in ogni questione riguardante i rapporti di filiazione. Ricostruita la collocazione sistematica delle azioni di stato e approfondito il rilievo del favor veritatis e del favor minoris, occorre analizzare l'azione di contestazione dello stato di figlio, disciplinata nel Capo III, del Titolo VII, del Libro I, del Codice civile. La sua collocazione, che segue quella dell'azione di disconoscimento di paternità, ha reso spesso dubbio il suo campo di applicazione: si è, infatti, dibattuto se l'azione ex art. 248 c.c. possa essere esperita anche dal preteso padre, come la norma parrebbe prevedere, ed eventualmente in quali casi. Su tale questione ha statuito la Corte di cassazione con la recente ordinanza 21 febbraio 2018, n. 4194, ma prima di passare alla disamina di tale decisione sembra opportuno analizzare la norma stessa e le relative interpretazioni date negli anni dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Innanzitutto, di l'azione di contestazione dello stato figlio mira a rimuovere tale stato nei confronti di chi risulta, all'atto di nascita, come figlio di determinati genitori i quali, però, non sono i genitori biologici; da osservare, inoltre, che il comma 2 prevede l'imprescrittibilità dell'azione. Legittimati ad esercitare l'azione di contestazione sono sia coloro che risultino all'atto di nascita genitori sia chiunque vi abbia interesse. Pur se non menzionato dalla disposizione, è indubbio che legittimato ad agire sia pure lo stesso figlio, il quale ha tutto l'interesse a veder accertata la verità biologica del rapporto di filiazione (Cass. civ., sez. I, sent., 12 maggio 1973, n. 1279). Non risulta invece legittimato, ad opinione della prevalente giurisprudenza (ex multis, Cass. civ., sez. I, sent., 16 marzo 1994, n. 2515; Cass. civ., sez. I, sent., 23 ottobre 1971, n. 283), il PM. Per quanto concerne la non corrispondenza a verità dell'atto di nascita, parte degli interpreti ha sostenuto che ricorrerebbe nelle sole ipotesi di supposizione di parto e sostituzione di neonato, in continuità con l'originaria formulazione dell'articolo, che prevedeva un'elencazione, tra l'altro esemplificativa e non tassativa, di casi in cui l'azione era esperibile. Tuttavia la formulazione dell'art. 248 c.c. successiva alla riforma del 1975, ha eliminato tale casistica, confermando che è compito dell'interprete l'individuazione delle cause di contestazione della legittimità. Altro aspetto da osservare è che l'azione di contestazione, per orientamento prevalente, ha carattere residuale, in quanto non può considerarsi concorrente con l'azione di disconoscimento della paternità. Ne consegue che ove siano decorsi i termini per l'esercizio dell'azione di disconoscimento, non può superarsi il problema proponendo l'azione di contestazione. Si osservi, pure, che nel caso in cui il matrimonio sia dichiarato nullo per impotenza del marito, l‘azione esperibile dal preteso padre non sarà quella ex art. 248 c.c., bensì quella di disconoscimento della paternità (Cass. civ., sez. I, sent., 8 settembre 1995, n. 9463). Risulta invece dibattuta l'esperibilità dell'azione ove la contestazione della legittimità si fondi sulla circostanza che la nascita sia avvenuta dopo che siano decorsi trecento giorni dalla separazione dei coniugi, ex art 232 c.c.. Giurisprudenza della Corte di cassazione, invero risalente, indicava come azione esperibile in tale fattispecie quella di disconoscimento della paternità (Cass. civ., sez. I, sent., 18 settembre 1986, n. 5661; Cass. civ., sez. I, sent., 26 gennaio 1988, n. 658), mentre, secondo altra tesi, l'azione da esperire sarebbe quella di contestazione dello stato di figlio ex art. 248 c.c. (G. Biscontini, Filiaz. legittima, in Tr. Bonilini-Cattaneo, 85; C. Cattaneo, Filiaz. legittima, in Tr. Bonilini-Cattaneo, 215 ss.). Come analizzeremo nel seguente paragrafo, l'ordinanza Cass. n. 4194/2018, ha aderito alla teoria dell'esperibilità dell'azione ex art. 248 c.c., attraverso un'originale motivazione. La fattispecie da cui prende le mosse la decisione della Suprema Corte è quella della contestazione della paternità di un figlio nato due anni dopo la separazione dei coniugi, ed impropriamente registrato all'anagrafe come figlio legittimo. Invero l'art. 232, comma 2, c.c., dispone che la presunzione di concepimento non operi decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale. Si pone, quindi, il problema di comprendere quale sia l'azione da intraprendere qualora sia stato impropriamente attribuito nei registri dell'anagrafe lo status di figlio legittimo. Tale erronea attribuzione comporta la non esperibilità dell'azione di disconoscimento della paternità ex art. 244 c.c., in quanto si è in presenza di una fattispecie in cui il figlio non sarebbe da considerare legittimo ma “naturale”. Il Supremo Consesso ha chiarito che, qualora non operi la presunzione di paternità, e non sia nemmeno intervenuto il riconoscimento del figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, l'unica azione a disposizione del padre anagrafico è proprio quella di cui all'art. 248 c.c., rappresentando un problema diverso, e indipendente, quello relativo all'accertamento dell'eventuale paternità naturale del ricorrente. È necessario sottolineare come le argomentazioni poste a fondamento dell'ordinanza in esame presentino oggettivi elementi di novità: si può sostenere che essa funga da leading case. A seguito della riforma, introdotta dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, l'attuale testo dell'art. 248 c.c. non contiene più un'elencazione di ipotesi nelle quali l'azione sarebbe esperibile, demandando all'interprete l'individuazione delle cause di contestazione dello stato di figlio. La giurisprudenza, però, aveva sostenuto che l'azione di contestazione della legittimità si dovesse basare sull'impugnazione di un elemento diverso dalla presunzione di paternità, in relazione alla quale l'azione da esperire resterebbe quella di disconoscimento (tra tutte, Cass. civ., sez. I, sent., 24 marzo 2000, n. 3529). Tale lettura, di origine risalente, risulta superata dall'odierna statuizione della Suprema Corte. Occorre sottolineare come risulti di primaria importanza nel lavoro dell'interprete, in materia di filiazione, il rispetto del principio del favor veritatis. La verità biologica costituisce una componente essenziale del diritto all'identità personale, garantita dall'art. 2 Cost. e riconducibile anche alla previsione di cui all'art. 8 CEDU. Il c.d. diritto al rispetto della vita privata e familiare è stato sempre interpretato in senso estensivo e inclusivo, soprattutto con riguardo al diritto alla conoscenza delle proprie origini e dell'identità dei genitori, risultando un elemento essenziale nella formazione e nello sviluppo della personalità (Corte EDU Genovese c. Malta, sent. 11 ottobre 2011, n. 53124/09). La Corte costituzionale, del resto, ha chiarito che la crescente considerazione del favor veritatis non si pone in conflitto con il favor minoris, poiché la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell'interesse del medesimo minore, traducibile nell'esigenza di garantirgli il diritto alla propria identità e all'affermazione di un rapporto di filiazione veridico (ex multis, Corte cost., sent. 25 novembre 2011, n. 322; Corte cost., sent., 22 aprile 1997, n. 112; Corte cost., sent.,3 luglio 1997, n. 216). Il favor veritatis viene garantito anche dalla previsione dell'imprescrittibilità dell'azione di contestazione dello stato di figlio di cui all'art. 248 c.c., in linea con quanto affermato anche dalla Corte EDU, la quale da anni sostiene che la fissazione di rigide limitazioni temporali, o di altri ostacoli, alla proposizione di azioni di contestazione della paternità, applicabili indipendentemente dalla consapevolezza del presunto padre di circostanze che mettano in dubbio la sua paternità, vìola l'art. 8 CEDU (ex multis, Corte EDU Tavli c. Turchia, sent. 9 novembre 2006, n. 11449/02; Corte EDU, Ostace c. Romania, sent. 25 febbraio 2014, n. 12547/06). Quello che sembra doversi considerare il “perno” dell'impianto decisorio, adottato da Cass. n. 4194/2018, è l'esatta interpretazione del comma 2 dell'art. 232 c.c.. La disposizione prevede che la presunzione di concepimento dei figli durante il matrimonio non sia più operante «decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale». Il figlio nato oltre detto termine, pertanto, non potrà qualificarsi quale figlio legittimo del marito separato, e di conseguenza potrà acquisire, se del caso, soltanto lo status di figlio nato da genitori non uniti in matrimonio. Tale interpretazione comporta, nel caso in esame, la non contestabilità dello status di figlio mediante l'azione di disconoscimento della paternità, esperibile soltanto per contestare la paternità nei confronti di un figlio qualificato correttamente come legittimo. Solo qualora un riconoscimento di paternità al di fuori del matrimonio sia intervenuto, poi, si potrà proporre l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, ex art. 263 c.c.. L'azione di cui all'art. 248 c.c.rappresenta, al fine, un tertium genus ed è utilizzabile ove si sia in presenza di un'impropria attribuzione dello status di figlio legittimo. La Corte di cassazione, quindi, si discosta nettamente dal precedente orientamento secondo il quale si era ritenuto che in caso di contestazione di paternità del figlio nato oltre i trecento giorni «dall'omologazione della separazione consensuale», l'azione esperibile sarebbe stata quella di disconoscimento della paternità e non quella dell'art. 248 c.c., comportando solamente conseguenze sul regime probatorio (ovvero, sul marito graverebbe esclusivamente l'onere di provare la separazione, mentre alla moglie spetterebbe la dimostrazione della paternità del marito, Cass. civ., sez. I, sent., 20 febbraio 1992, n. 2098). Al contrario, la decisione in esame ripropone l'orientamento giurisprudenziale secondo cui la norma dell'art. 248 c.c. non sarebbe concorrente con quella in tema di disconoscimento della paternità, configurando invece un'azione a contenuto residuale «esperibile nelle sole ipotesi in cui non ricorrano altre disposizioni che regolino in modo autonomo azioni di contestazione della legittimità» (Cass. civ., sez. I, sent., 28 novembre 1992, n. 12733). Nella fattispecie appena analizzata, non operando la presunzione di paternità e non essendo intervenuto il riconoscimento del figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, l'unica azione a disposizione del padre è proprio quella prevista dall'art. 248 c.c.. In conclusione
Si può in definitiva affermare, in considerazione dell'evoluzione della disciplina normativa della filiazione, e di riflesso di quella sulle azioni di stato, che lungo questo percorso ben si colloca l'ordinanza Cass. 21 febbraio 2018, n. 4194, la quale consegue il risultato di ribadire l'importanza del favor veritatis nelle azioni di stato e, ad un tempo, assicura anche un opportuno contributo di chiarezza. Pertanto, l'azione riconosciuta per contestare la paternità del figlio, nato oltre trecento giorni dopo la separazione personale dei coniugi, e impropriamente registrato presso l'anagrafe come legittimo, non è quella di disconoscimento di paternità, come sostenuto in precedenza dalla giurisprudenza della stessa Corte di legittimità, bensì, nel rispetto del principio del favor veritatis, l'azione residuale prevista dall'art. 248 c.c., esperibile nelle ipotesi in cui non possano proporsi altre azioni di contestazione della paternità.
*Fonte: www.ilFamiliarista.it |