Associazione non riconosciuta e debiti tributari: quando ne risponde (solidalmente) il legale rappresentante

31 Dicembre 2018

La responsabilità personale e solidale del legale rappresentante per i debiti tributari di un'associazione non riconosciuta si ricollega non solo all'effettività dell'ingerenza esercitata nell'attività gestoria dell'ente, ma anche al corretto adempimento degli obblighi tributari sul medesimo incombenti, dovendosi in concreto accertare se il rappresentante, pur non essendosi ingerito nell'attività negoziale del sodalizio, abbia adempiuto agli obblighi tributari, solo in tal caso potendo andare immune da corresponsabilità.
Massima

La responsabilità personale e solidale del legale rappresentante per i debiti tributari di un'associazione non riconosciuta si ricollega non solo all'effettività dell'ingerenza esercitata nell'attività gestoria dell'ente, ma anche al corretto adempimento degli obblighi tributari sul medesimo incombenti, dovendosi in concreto accertare se il rappresentante, pur non essendosi ingerito nell'attività negoziale del sodalizio, abbia adempiuto agli obblighi tributari, solo in tal caso potendo andare immune da corresponsabilità (Fattispecie relativa ad avviso di accertamento notificato ai sensi dell'art. 38 c.c. al legale rappresentante di un'associazione sportiva dilettantistica per omesso versamento d'IVA).

Il caso

Il legale rappresentante di una A.S.D. impugnava, in proprio e nella predetta qualità, l'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti ai sensi dell'art. 38 c.c. per omesso versamento di IVA dovuta dall'associazione nell'anno di imposta 2009.

Sia in primo grado che in appello i giudizi si concludevano in senso favorevole al contribuente: in particolare la Commissione Regionale respingeva l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate nell'assunto che, esclusa l'applicabilità dell'art. 38 c.c., dovesse essere l'Ufficio a dimostrare la concreta attività gestoria svolta dal rappresentante in nome e nell'interesse dell'associazione, non bastando la prova della carica rivestita per l'annualità in contestazione;

L'Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 2697 c.c.: sosteneva la sufficienza della mera titolarità formale della carica rappresentativa dell'associazione a determinare l'obbligazione tributaria di chi la riveste in via solidale con il soggetto giuridico rappresentato, essendo semmai «onere del contribuente provare la sua estraneità alla gestione dell'attività dell'associazione, di cui è rappresentante».

La Suprema Corte, sezione Tributaria, ha accolto il ricorso agenziale e cassato senza rinvio l'impugnata sentenza di annullamento dell'avviso di accertamento, enunciando il principio di diritto sintetizzato in massima, secondo il quale rileva il corretto adempimento degli obblighi fiscali incombenti sul legale rappresentante dell'associazione il quale, anche quando non si sia ingerito nell'attività negoziale, è immune da (cor)responsabilità solo se abbia correttamente adempiuto agli obblighi tributari. E poiché – nella specie – era pacifico che il legale rappresentante non avesse versato l'IVA dovuta dall'ASD, gli “Ermellini” di Piazza Cavour, non reputando necessari ulteriori accertamenti, hanno potuto decidere la controversia nel merito ed hanno rigettato definitivamente l'originario ricorso del contribuente, proprio perché egli deve essere chiamato a risponder[n]e solidalmente con l'associazione».

La questione

La controversia risolta dall'odierna decisione non riguarda il regime fiscale delle associazioni non riconosciute né i requisiti di commercialità delle attività espletate dalle stesse, spesso oggetto di contestazioni. La questio iuris attiene, precipuamente, alla (cor)responsabilità del legale rappresentante di un'associazione non riconosciuta per i debiti tributari dell'ente: in che limiti egli ne risponda, in via solidale, in forza del rivestito ruolo di direzione della gestione associativa nel periodo d'imposta in contestazione.

La tematica prende le mosse dal disposto di cui all'art. 38 c.c., secondo il quale per «le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione».

Le soluzioni giuridiche

In generale, è principio consolidato nella giurisprudenza civile di legittimità in tema di associazioni non riconosciute che la responsabilità personale e solidale, prevista dall'art. 38 c.c., di colui che agisce in nome e per conto dell'ente, non vada ricollegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, bensì all'attività concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l'ente e i terzi che hanno confidato sulla solvibilità e sul patrimonio di chi ha agito (Cass. civ., Sez. VI-V, 23 aprile 2015, n. 12473; Cass. civ., Sez. trib., 9 aprile 2013, n. 20485; Id., 10 settembre 2009, n. 19486; Cass. civ., Sez.III, 24 ottobre 2008, n. 25748).

Il che spiega il passaggio conclusivo della sentenza n. 22861/2018, laddove per l'appunto ribadisce la rilevanza (non solo) «dell'ingerenza del legale rappresentante dell'associazione nell'attività dell'ente che rappresenta».

Come pure ricorda l'odierno dictum, la ratio della previsione sulla responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, è ricondotta all'assenza di un sistema di pubblicità legale analogo a quello previsto per le associazioni riconosciute riguardante il patrimonio dell'ente, dovendosi contemperare le esigenze di tutela dei creditori che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone (Cass. civ.,Sez. VI-T, n. 12473/2015, cit.; Cass. civ., sez. trib., 12 marzo 2007, n. 5746), senza che, peraltro, l'avvicendamento nelle cariche sociali del sodalizio comporti alcun fenomeno di successione nel debito in capo all'eventuale soggetto subentrante, con esclusione di quello che aveva in origine contratto l'obbligazione (Cass. civ., Sez. III, 29 dicembre 2011, n. 29733).

Sicché, a fronte di tale carenza di informazione, dell'obbligazione a carico dell'associazione non riconosciuta deve rispondere anche chi, per l'ente, si rivelasse al terzo, così palesando la propria consistenza patrimoniale, a prescindere dalla posizione formale astrattamente assunta dal soggetto nell'ambito della compagine associativa - del resto scarsamente rilevante anche nell'ambito delle società di persone e di capitali - ricollegandosi piuttosto detta (illimitata) responsabilità alla concreta ingerenza dell'agente nell'attività dell'ente avuto riguardo alle obbligazioni ed ai rapporti assunti da soggetti che, anche di fatto, spendono la ragione sociale e comunque incidono sull'oggetto sociale (da ultimo v. Cass. civ., Sez. trib., 20 giugno 2018, n. 16221; Cass. civ., Sez. VI-T, n. 12473/2015, cit.; Cass. civ., sez. trib., n. 20485/2013, cit.; Id. 17 giugno 2008, n. 16344; Id. n. 5746/2007, cit.).

La natura accessoria della responsabilità

Tale responsabilità - ha reiteratamente precisato la Suprema corte - non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione stessa, con la conseguenza che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione (cfr. ex plurimis Cass. civ., Sez. VI-V, n. 12473/2015, cit.; Cass. civ., Sez. III, n. 29733/2011, cit.; Cass. civ., Sez. V, n. 25748/2008, cit.). Si assume l'insorgenza di una responsabilità per debito (principale) altrui, con conseguente applicazione degli artt. 1957 e 1944, comma 1, c.c. in punto di non necessità della preventiva escussione del debitore principale (Cass. civ., Sez. III, 6 agosto 2002, n. 11759 del 2002).

Le ricadute sull'onere della prova

Da tali premesse ne consegue, processualmente, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione (Cass. civ., Sez. lav., 21 maggio 1998, n. 5089; Id., 11 maggio 2004, n. 8919), non essendo sufficiente la sola prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente (Cass. civ., sez. VI-T, n. 12473/2015, cit.; Cass. civ., Sez. III, 2 ottobre 2008, n. 25748; Id., 14 dicembre 2007, n. 26290; Id., n. 11759 del 2002, cit.; Cass. civ., sez. lav., 4 marzo 2000, n. 2471).

Osservazioni

Venendo ora alla subiecta materia, detti principi sulla responsabilità solidale connessa alla concreta attività negoziale riferibile all'associazione, sono stati estesi dalla V sezione della Cassazione anche ai debiti di natura tributaria (da ultimo, oltre alla sentenza in commento, v. Cass. civ., sez. trib., n. 16221/2018, cit.; Cass. civ., sez. VI-T, n. 12473/2015, cit.; Id., n. 19486/2009, cit.).

Detta estensione giurisprudenziale non trascura, tuttavia, di valorizzare la caratteristica fondamentale che connota le obbligazioni tributarie: i debiti di imposta non sorgono su base negoziale ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto. Pertanto deve esserne chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo (di diritto) formalmente rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo di imposta considerato (Cass. civ., sez. trib., 6 settembre 2013, n. 24850).

Le conclusioni rassegnate dalla sentenza in commento sono allora senz'altro condivisibili: nella misura in cui la rappresentanza fiscale dell'ente spetta, per definizione, al legale rappresentante ex art. 36 c.c., è costui che assume in via principale la qualità di soggetto passivo di imposta perché su di lui gravano gli obblighi tributari. Laddove non si sia ingerito nell'attività dell'ente (sebbene civilisticamente non risponde delle obbligazioni assunte da altri) verso il Fisco egli resta (con)debitore, a meno che non dimostri di aver adempiuto agli adempimenti di legge.

Dal generale indirizzo civilistico sopra ricordato non deve insomma trarsi – strumentalmente – la possibilità che il rappresentante legale di un'associazione possa andare esente, a fini fiscali, da responsabilità solidale con l'associazione semplicemente adducendo la mancata ingerenza nella concreta gestione dell'ente. I Supremi giudici – valorizzando il principio di autonomia del diritto tributario rispetto a quello civile e la fonte legale dell'obbligazione tributaria – stigmatizzano i possibili effetti elusivi che una simile tesi determinerebbe, la quale trascura di considerare «i poteri attribuiti dalle disposizioni in materia tributaria in capo al rappresentate fiscale, che non solo è obbligato a redigere e presentare una dichiarazione reddituale fedele, ovvero indicando esattamente i ricavi conseguiti e le spese sopportate dall'associazione che rappresenta, non andando esente da eventuali responsabilità sanzionatorie, ma anche ad operare, se del caso, le necessarie rettifiche provvedendo, dopo la presentazione, all'emenda delle dichiarazioni fiscali presentate con dati inesatti e ad effettuare i relativi adempimenti, ivi compreso il pagamento delle imposte».

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