Tabelle millesimali (criteri di redazione)

Alberto Celeste
02 Gennaio 2019

Se le tabelle millesimali rappresentano un rapporto di valore tra le porzioni di piano esclusive, la loro caratteristica struttura va necessariamente identificata in quella di un vero e proprio elaborato peritale, a volte notevolmente analitico, che rappresenti tali valori in reciproco rapporto tra loro; per giungere alla loro formazione occorre che le unità immobiliari che compongono il condominio vengano valutate nella loro consistenza e qualità; ciò comporta che...
Inquadramento

Il codice civile, o meglio le sue disposizioni di attuazione, si occupano delle tabelle millesimali, in primo luogo, al comma 1 dell'art. 68, il quale, nonostante l'intervento di maquillage realizzato dalla Riforma, ha mantenuto sostanzialmente intatto il suo contenuto precettivo e, soprattutto, non sembra aver comportato una diversa funzionalità di tale strumento: «ove non precisato dal titolo ai sensi dell'articolo 1118, per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare è espresso in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio».

Il testo precedente risultava sdoppiato nel senso che, al comma 1, si prevedeva che “per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini”, mentre, al comma 2, si precisava che “i valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello dell'intero edificio, devono essere espressi in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio”.

In buona sostanza, oltre il richiamo all'art. 1118 c.c. (che disciplina il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni) e la versione più aggiornata dell'oggetto (abbandonando l'arcaico concetto del piano/porzione di piano), viene confermata la prescrizione che una “apposita tabella”, allegata al regolamento, esprima in millesimi il valore di ciascuna unità immobiliare.

Resta, invece, invariato il disposto del comma 2 (ex 3), secondo il quale, nell'accertamento dei valori di cui sopra, «non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare».

La finalità della norma

Orbene, il riferimento al testo della norma - sia pure con le lievi modifiche sopra evidenziate - è essenziale per poter comprendere esattamente quali siano l'impostazione e le finalità di tali tabelle millesimali.

Invero, la norma afferma quattro concetti ben distinti: 1) nel condominio, è necessario che, in una tabella (allegata al regolamento), sia precisato il valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare, ragguagliato a quello dell'intero edificio; 2) tale valore (rectius, tale rapporto di valore) deve essere espresso in millesimi; 3) le suddette tabelle sono finalizzate a coadiuvare la gestione del fabbricato, in quanto esse devono essere formate, da un lato, al fine della ripartizione delle spese (“ … per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126... ”), e, dall'altro, affinché il procedimento assembleare possa concretamente svolgersi (“ … per gli effetti indicati dagli articoli... 1136 del codice”); 4)viene indicato (vincolativamente e in negativo) anche il criterio di individuazione di tale valore delle suddette unità immobiliari (l'irrilevanza della rendita del bene e degli eventi successivi alla sua costruzione).

Questa è, dunque, l'esatta cornice normativa che il sistema codicistico pone come necessario riferimento, e che occorre considerare al fine di individuare le caratteristiche, giuridiche e tecniche, di quel peculiare strumento costituito dalle “tabelle millesimali”.

Prima facie, potrebbe sostenersi che il legislatore abbia previsto un meccanismo piuttosto semplice e funzionale, basato su di un mero accertamento dei valori della proprietà privata posti in rapporto tra di loro, tuttavia, la realtà ci consegna un documento ben più “cervellotico” da decifrare, perché, in concreto, le tabelle sono composte da una notevole messe di numeri e calcoli che, solo con una certa difficoltà, si riesce a collegare a quell'agevole ed immediato rapporto di valore contemplato dall'art. 68 disp. att. c.c.

Ad ogni buon conto, i principi giuridici previsti dal codice civile e l'attuazione pratica di essi - per quanta complicazione possa essere (a volte inutilmente) scaturita nella prassi - sono sostanzialmente corrispondenti, sicché, anche nella più apparentemente

La rappresentazione del rapporto di valore

Con saldo riferimento all'art. 68 disp. att. c.c., le tabelle millesimali possono essere definite come la “rappresentazione di un rapporto di valore”, dove per “rapporto” si intende la comparazione tra due elementi e “valore” la valutazione economica di una res: tale rappresentazione grafica è realizzata a mezzo di segni (cioè, parole e numeri) ed è contenuta in un documento cartaceo che tali segni mostra e conserva.

Per quanto riguarda il predetto rapporto di valore, esso consiste nella quantificazione della relazione (sempre di valore) che intercorre tra ciascuna proprietà esclusiva e la somma di tutte le singole proprietà esclusive (somma che la precedente versione della norma individuava opportunamente con la locuzione “intero edificio”, da ritenersi implicita anche nella nuova laddove si fa riferimento al valore “proporzionale”).

In altri termini, può dirsi che le tabelle non sono altro che la raccolta e l'elencazione di un certo numero di frazioni aritmetiche - tante quante sono le unità immobiliari che compongono lo stabile in condominio - nelle quali il numeratore è rappresentato dal valore della proprietà esclusiva ed il denominatore è rappresentato dal valore dell'intero edificio.

L'intera frazione - sia il numeratore sia il denominatore - deve essere, poi, come stabilito dall'art. 68, comma 1, disp. att. c.c., rapportata a millesimi (cioè, a mille), in modo che, dal punto di vista aritmetico, i valori (rectius, i rapporti di valore) espressi siano tra loro omogenei, ossia tra loro comparabili e, quindi, utilizzabili contemporaneamente, e nel loro complesso, per effettuare le operazioni ed i calcoli di gestione.

Da quanto sopra, è evidente che le tabelle millesimali non possono essere formate se non si conosce il valore di ciascuna unità immobiliare, che rappresenta l'unico dato necessario per la rappresentazione di tutti i rapporti di valore (proprietà esclusiva/intero edificio) elencati nelle tabelle stesse: invero, solo disponendo dei valori di ciascuna proprietà esclusiva, è possibile non solo individuare i numeratori del rapporto, ma anche, mediante la loro somma, il denominatore.

Ci si potrebbe interrogare sul motivo per il quale il legislatore codicistico abbia optato per il concetto di caratura “millesimale”, atteso che fa frazione (concreta) così ottenuta, viene, infatti, ex art. 68 disp. att. c.c., trasformata in una frazione (astratta) con numeratore e denominatore rapportati a 1000; in proposito, il fatto che il legislatore abbia scelto la cifra (rectius, la quantità) di 1000 costituisce una pura convenzione e, quindi, astrattamente sostituibile da diversa, ed altrettanto funzionale, quantità; ma una ragione potrebbe rinvenirsi in quanto si è forse ritenuto che indicare una specifica (e vincolante) cifra per il denominatore della frazione, rappresentante il rapporto di valore tra le unità immobiliari, potesse consentire di esprimere il suddetto rapporto con maggiore precisione, soprattutto con riferimento all'estrema eterogeneità architettonica ed urbanistica (e, quindi, di valore) degli edifici.

La funzione pratica

L'art. 68, comma 1, disp. att. c.c. la individua con la locuzione “per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 …”: si tratta, quindi, di due insiemi di norme che attengono, da un lato, alla ripartizione delle spese (artt. 1123, 1124 e 1126 c.c.), e, dall'altro, al funzionamento dell'assemblea (art. 1136 c.c.); sotto il primo profilo, non va dimenticato che il valore espresso in millesimi nelle tabelle può essere utile per il riparto - non solo degli esborsi, ma anche - delle “entrate”, correlate ad eventuali utili derivanti dalla stessa amministrazione condominiale (si pensi ai canoni di locazione dei locali comuni, agli indennizzi assicurativi, ai rimborsi fiscali, alle sovvenzioni, ecc.).

In buona sostanza, la funzione delle tabelle millesimali è quella di sovraintendere e consentire il complesso di atti, sia direttamente con l'attuazione delle deliberazioni (strumentali alla gestione del condominio), sia indirettamente (nel senso che la ripartizione delle spese approvata dall'assemblea risulta prodromica alla riscossione delle quote condominiali da parte dell'amministratore).

Come si evince chiaramente dalla tipologia delle norme coinvolte, le tabelle millesimali si pongono come “centro” della vita del condominio: in altri termini, la loro redazione costituisce uno strumento irrinunciabile per una corretta ed efficace gestione dell'immobile.

Attesa l'utilità dello strumento-tabelle, sorge il problema se le stesse siano anche indispensabili, ossia se tutti gli atti amministrativi sarebbero ugualmente possibili e validi anche in assenza di tali tabelle.

La risposta è stata nel senso che le tabelle millesimali “agevolano ma non condizionano” la gestione dell'immobile, e la spiegazione del fenomeno risiede, ancora una volta, nella constatazione che il rapporto di valore espresso dalle tabelle esiste, e preesiste, di fatto; anche la giurisprudenza ha osservato che le tabelle rappresentano, pur sempre, una “fotografia” della situazione di fatto, ossia della consistenza e delle caratteristiche dell'edificio, e tale situazione esiste nel concreto prima ed a prescindere dalla redazione delle tabelle, che si limitano a rappresentarla graficamente e non a crearla ex novo, e, per converso, sono sempre verificabili a posteriori i criteri provvisori utilizzati prima della redazione delle tabelle (nel senso che la loro redazione non si pone in termini di assoluta necessità, v., tra le altre, Cass. civ., sez. II,19 luglio 2012, n. 12471; Cass.civ., sez. II, 27 gennaio 2012, n. 1225; Cass.civ., sez. II, 9 agosto 2011, n. 17115; Cass.civ., sez. II, 17 febbraio 2005, n. 3264; Cass.civ., sez. II, 23 giugno 1998, n. 6202).

Pertanto, dal punto di vista prettamente operativo, nel caso di assenza di tabelle millesimali, sarà necessario individuare ed applicare un criterio provvisorio di individuazione delle quote di valore - v., di recente, Cass.civ., sez. II, 23 gennaio 2014, n. 1439, che opta, se del caso, per la mera annullabilità e giammai nullità - con le quali procedere sia alle delibere (art. 1136 c.c.) sia alla ripartizione delle spese (artt. 1123 ss. c.c.).

In applicazione di tale principio, è stata, per esempio, ritenuta valida la deliberazione assembleare che, in assenza delle tabelle, sia stata presa con una maggioranza calcolata in base al numero di vani degli appartamenti in proprietà esclusiva, a condizione, naturalmente, che tale diverso criterio desse luogo ad un risultato corrispondente alla situazione reale dell'edificio (in termini, v. Cass., 5 ottobre 1983, n. 5794, precisando che la legittimità della deliberazione che, in difetto di tabella millesimale, sia stata resa con una maggioranza riferita al numero delle camere degli appartamenti di proprietà individuale, o abbia deciso sulla ripartizione delle spese alla stregua del medesimo parametro, non può essere contestata dal singolo condomino per il solo fatto della mancanza di detta tabella, ove non risulti che il citato criterio, in concreto adottato, diverga da quello del rapporto fra gli indicati valori).

Dunque, riguardo alle tabelle millesimali, il termine “obbligatorietà” va recepito in maniera del tutto peculiare e caratteristica e, in realtà, va coordinato con tutto l'impianto normativo previsto per la fattispecie condominiale.

Infatti, l'obbligatorietà delle stesse non va intesa nel senso di imposizione ex lege della loro redazione, nel caso in cui non si sia provveduto spontaneamente, ma nel diverso significato di attribuzione a ciascun singolo condomino del diritto di chiederne (giudizialmente) la formazione, qualora perduri sul punto un atteggiamento di indifferenza ed ostruzione da parte della compagine condominiale.

A ben vedere, si tratta di una facoltà che la legge assegna al singolo allo scopo di consentire una gestione dello stabile - e, quindi, una ripartizione delle spese ed un funzionamento dell'assemblea - corrispondente alla reale situazione di fatto degli immobili.

Ciò non toglie che l'amministrazione dei beni sia comunque possibile anche in assenza della formazione delle tabelle, sulla scorta della considerazione - più volte ribadita - che il rapporto di valore tra le proprietà esclusive, il quale costituisce sia la base sia il risultato dell'elaborato tabellare, preesiste alla sua relativa redazione.

I metodi più usati nella prassi

In evidenza

In realtà, non esistono, nella disciplina legale, regole vincolanti per la redazione delle tabelle millesimali, in quanto si ritiene che la perizia di valore posta a base delle tabelle millesimali non debba essere redatta a seguito di un unico e cogente metodo di valutazione, bensì possano venire adottati sistemi anche differenti, a condizione, però, che i criteri adottati siano idonei all'individuazione degli effettivi valori dello stabile in considerazione.

Tuttavia, tale mancanza di prescrizioni di legge sul metodo utilizzabile per realizzare la stima dei beni non deve ingannare sulla coerenza ed efficacia della normativa applicabile alla fattispecie: invero, se si tiene conto che le tabelle millesimali rappresentano un rapporto di valore (e non, semplicemente, un mero elenco di valori), si rileva che l'utilizzazione di metodi di valutazione diversi non comporti alcuna differente conseguenza pratica purché dia ugualmente luogo agli stessi risultati, a patto che, all'interno della stessa perizia, il metodo di valutazione delle diverse unità immobiliari sia uniforme, costante ed omogeneo.

Se ciò avviene, il risultato di un particolare metodo di valutazione dovrebbe essere identico a quello di un metodo differente in ragione del fatto che gli eventuali diversi valori così ottenuti non vengono valutati isolatamente, ma sono messi in rapporto tra di loro, all'interno dei risultati derivanti dall'applicazione dello stesso metodo.

I metodi usati più frequentemente nella prassi, per la valutazione delle unità immobiliari facenti parte di un condominio, si restringono principalmente a due:

a) l'utilizzazione dei valori inseriti nel piano di commercializzazione di vendita degli immobili, nel caso si tratti di un edificio condominiale realizzato da un'impresa costruttrice, la quale si occupi anche della predisposizione delle tabelle; la formazione delle tabelle costituisce un procedimento quasi automatico, consistendo nella mera trasposizione (proporzionamento a 1000) dei valori monetari che l'impresa costruttrice ha assegnato alle singole proprietà esclusive quali corrispettivi di vendita;

b) la redazione di una vera e propria perizia realizzata secondo ben precisi parametri (in base alle istruzioni contenute nelle, sia pur datate, circolari del Ministero dei Lavori Pubblici n. 12480 del 26 marzo 1966 e n. 2945 del 26 luglio 1993, quest'ultima a precisazione della prima, sia pure riguardo alle “cooperative edilizie a contributo statale”).

Senza addentrarci troppo - in quanto trattasi di materia eminentemente tecnica attinente alla disciplina della valutazione degli immobili - può essere sufficiente delineare, in questa sede, i momenti successivi del procedimento di formazione delle tabelle come segue:

a) di ciascuna proprietà esclusiva viene rilevata, secondo gli usuali metodi, la superficie reale, i c.d. metri quadrati calpestabili, che costituisce la base oggettiva dell'intero calcolo (v. Cass.civ., sez. II, 27 luglio 2007, n. 16644, nel senso di considerare anche le eventuali pertinenze delle proprietà esclusive, tra le quali possono essere considerati i giardini in proprietà esclusiva dei singoli condomini; in senso conforme, Cass. civ., sez. II,1 luglio 2004, n. 12018; contra, Trib. Bologna 3 maggio 2005);

b) a questo valore vengono applicati diversi parametri (pari, inferiori o superiori a 1), detti coefficienti, i quali - valutando in positivo o in negativo vari aspetti dell'immobile, sia intrinseci (estensione, ampiezza, numero dei vani) sia estrinseci (v., appresso, destinazione, piano, orientamento, prospetto, luminosità, funzionalità generale) - ne determinano una variazione trasformando detto valore nel risultato della perizia dei singoli immobili espresso non in termini di valore monetario ma in base ad un numero astratto, ottenendo, in tal modo, tutti i numeratori della frazione/rapporto;

c) i valori così ricavati (c.d. superficie virtuale) sono sommati, realizzando come risultato il denominatore di ciascuna frazione/rapporto;

d) entrambi i numeri (numeratore e denominatore) di ciascuna frazione/rapporto vengono rapportati a 1000, ottenendosi il valore millesimale finale.

I coefficienti di valutazione

Nello specifico, riguardo ai sei coefficienti di cui sopra, si osserva:

1) la “destinazione” valuta ciascun vano dell'unità immobiliare, alla luce delle dimensioni planimetriche dei vari ambienti e valorizzandone l'utilizzo; in quest'ottica, si “premia” il soggiorno, le camere da letto e gli studi, e si dà via via minor valore ai locali adibiti a servizi (cucina, bagni, ripostigli, corridoi) ed alle superfici accessorie (balconi, terrazzi);

2) il “piano” tiene conto dell'altezza dell'unità immobiliare all'interno dello stabile, avvantaggiando, negli edifici con ascensori, quelli medi, con un piccolo calo per l'ultimo (che, essendo sottostante ad un tetto o ad un lastrico solare, subisce perdite di calore) e uno più consistente per il terreno o il rialzato (tale criterio cambia se l'ascensore non c'è, verificandosi un calo di valore proporzionale dal secondo piano in su);

3) l'“orientamento” riflette i punti cardinali calcolati per quadranti, avvantaggiando l'esposizione tra sud-est e sud-ovest;

4) il “prospetto” concerne la veduta verso l'esterno, distinguendo tra vedute su giardini o strade principali, a sua volta differenziate tra arterie trafficate e vie tranquille (favorite), oppure su cortili, cavedi o chiostrine (penalizzate), calcolando anche la distanza rispetto alla facciata dello stabile prospiciente;

5) la “luminosità” riflette il rapporto tra la superficie illuminante (finestre, luci, balconi, ecc.) e la superficie illuminata (i vani), verificando se nell'edificio le finestre hanno ampiezze molto diverse, appartamento per appartamento, e quando hanno una dimensione standard;

6) la “funzionalità generale”, tenendo conto della distribuzione della superficie utile, costituisce un correttivo che prende in adeguata considerazione situazioni molto particolari (ad esempio, nell'ipotesi di altezze dei locali superiori o inferiori alla media).

Da quanto sopra esposto, risulta che, costituendo la superficie delle proprietà esclusive solo la base di partenza del calcolo - la quale viene, poi, modificata dall'applicazione dei coefficienti - è ben possibile che, ad unità immobiliari di identica metratura, corrispondano quote millesimali diverse a causa della (necessaria) applicazione differenziata dei suddetti coefficienti.

La destinazione dell'unità immobiliare

Inoltre, l'art. 68, comma 2, disp. att. c.c. detta un criterio generale al quale l'attività valutativa degli immobili deve necessariamente attenersi; segnatamente, «nell'accertamento dei valori di cui al primo comma non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascuna unità immobiliare».

La ratio della norma va rinvenuta nel senso di richiedere che la valutazione sia fatta riferendosi allo stato ed alla consistenza che l'edificio possiede (o possedeva) al termine dei lavori di costruzione, impedendo così che eventuali successive attività unilaterali da parte dei condomini - come miglioramenti ma anche deterioramenti - possano influire sul valore delle porzioni immobiliari.

In applicazione di tale principio, la giurisprudenza ha affermato, per esempio, che, ai fini della valutazione, non deve tenersi conto della destinazione d'uso impressa dai condomini alle unità immobiliari (per l'ininfluenza sui valori tabellari della destinazione dei locali al piano terra ad attività commerciale, v. Trib. Cagliari, 31 marzo 1978; in proposito, va segnalato che la mera “modificazione della destinazione d'uso” in concreto della singola unità immobiliare, con conseguente valorizzazione della stessa ai fini della revisione delle tabelle, era stata inserita nel testo redatto dal Senato, ma è scomparsa in quello licenziato dalla Camera, e non ha trovato seguito nell'approvazione della versione definitiva della l. n. 220/2012).

Comunque, considerando - v. supra - che la legge non prevede espressamente specifici ed obbligatori metodi per la redazione delle tabelle (cioè, per l'effettuazione della perizia valutativa), si ritiene siano legittime anche altre e diverse modalità di formazione delle tabelle; in quest'ottica, la giurisprudenza, sia pure non recente, aveva riconosciuto valide anche le tabelle formate con riferimento al numero dei vani di ciascun appartamento (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1979, n. 2922), oppure prendendo a base del calcolo gli imponibili catastali (Cass. civ., sez. II, 12 novembre 1975, n. 3808).

Di solito, nel condominio, coesistono la tabella A, c.d. di proprietà, che indica la quota di comproprietà dei singoli condomini riguardo alle cose comuni (art. 1118 c.c.), cui si fa riferimento per tutte le spese “generali”, di conservazione, manutenzione e amministrazione delle parti comuni, e le tabelle B, C, D, ecc., c.d. di gestione, che riguardano altre tipologie di spesa - ad esempio, riscaldamento, portierato, ascensore, scale, scarico acque, illuminazione, e quant'altro - con cui si cerca di “calibrare” gli oneri contributivi ai vantaggi in concreto goduti (art. 1123 c.c.); tale distinzione sembra richiamata dal novellato art. 69 disp. att. c.c. che, dopo aver dettato le regole per la rettifica/modifica/revisione delle tabelle di cui agli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., si premura di precisare che le stesse valgono anche per quelle relative alla mera “ripartizione delle spese”.

In proposito, si è giustamente osservato che tanto più si prevedono in apposite tabelle le possibili eventualità, tanto minori saranno le difficoltà di interpretazione al fine di individuare “chi e in che misura” debba partecipare alle deliberazioni e alle conseguenti spese sottoposte al vaglio assembleare, debellando, o almeno riducendo drasticamente, le dispute tra i condomini all'interno del condominio e, di riflesso, nelle aule di giustizia.

Il supercondominio

A questo punto, è legittimo chiedersi se le considerazioni di cui sopra in ordine alle tabelle millesimali valgano anche per quell'ipotesi edilizia che prende il nome di supercondominio.

In effetti, nel caso di c.d. supercondominio - ora disciplinato espressamente dall'art. 1117-bis c.c. e, per quanto concerne il funzionamento dell'assemblea, dall'art. 67, commi 3 e 4, disp. att. c.c. - cioè di un complesso immobiliare formato da più edifici aventi tra loro in comune uno specifico insieme di beni e/o impianti, le tabelle millesimali devono essere formate tenendo presente la suddetta peculiarità.

In pratica, per tali tabelle millesimali, che rappresentano la quota di spettanza del singolo sulle cose comuni a più edifici, si dovrà calcolare, prima, la misura proporzionale da riconoscersi ad ogni singolo edificio in rapporto al suo valore nei confronti degli altri fabbricati dell'intero complesso, e, poi, suddividere questo dato tra i partecipanti al condominio di ogni singolo edificio (Trib. Milano 24 marzo 2003, il quale ha precisato che la ripartizione delle spese comuni deve essere effettuata mediante la determinazione del valore di ogni edificio all'interno del supercondominio, e la formazione di tabelle millesimali che ripartiscano la quota dell'edificio tra i singoli proprietari in proporzione del valore delle singole unità immobiliari).

In altri termini, nel supercondominio, il consueto rapporto tra le unità immobiliari ed il fabbricato che le comprende, si integra con il valore proporzionale di ciascun edificio rispetto all'intero gruppo degli immobili, di modo che, per individuare la quota, che riproduce il diritto di ciascun condomino sulle cose comuni, il calcolo deve essere duplice, dovendosi tener conto sia del valore reciproco delle unità immobiliari nell'àmbito della singola costruzione sia di quello dell'edificio rispetto al tutto.

Occorre, dunque, che venga redatta una tabella ad hoc, che, però, non si realizzi trasferendo, sic et simpliciter, le quote millesimali indicate all'interno di ciascun singolo edificio (che, ovviamente, sarà dotato di una sua apposita tabella), bensì rapportando tra loro i valori dei singoli edifici; ciò si rende necessario in considerazione del fatto che i millesimi dei singoli edifici, in realtà, non sono raffrontabili tra di loro, avendo, i suddetti edifici, un valore complessivo tra loro certamente non identico (se non per puro caso).

Casistica

CASISTICA

Inclusione dei giardini

Ai fini della redazione delle tabelle millesimali di un condominio, per determinare il valore di ogni piano o porzione di piano occorre prendere in considerazione sia gli elementi intrinseci dei singoli immobili oggetto di proprietà esclusiva (quali l'estensione, ampiezza, numero dei vani) che gli elementi estrinseci (quali l'ubicazione, l'esposizione, l'altezza), nonché le eventuali pertinenze delle proprietà esclusive, tra le quali possono essere considerati i giardini in proprietà esclusiva di singoli condomini, in quanto consentono un miglior godimento dei singoli appartamenti al cui servizio e ornamento sono destinati in modo durevole, determinando un accrescimento del valore patrimoniale dell'immobile (Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2007, n. 11644).

Riferimento ai vani

Nel regolamento di condominio, i valori delle singole unità immobiliari possono essere determinati con riferimento al numero dei vani di ciascun appartamento, in quanto l'art 72 disp. att. c.c. non include l'art 68 di queste ultime - il quale prevede la espressione in millesimi dei valori dei piani o delle porzioni di piano - tra gli articoli delle norme di attuazione non derogabili dai regolamenti condominiali (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1979, n. 2922).

Contrasto con il regolamento

Qualora fra l'intitolazione delle tabelle millesimali ed una o più norme del regolamento condominiale vi sia un contrasto (nella specie, in ordine all'imposizione dell'obbligo di pagamento delle spese di pulizia e manutenzione anche ai proprietari dei negozi situati nello stabile, oltre che ai condomini residenti), la prima va considerata prevalente sulle seconde laddove l'opzione ermeneutica del regolamento condominiale fondata sul mero dato letterale palesemente non collimi con la reale intenzione delle parti (Cass. civ., sez. II, 28 dicembre 2009, n. 27392).

Guida all'approfondimento

Salciarini, Il regolamento e le tabelle millesimali, in La riforma del condominio, Milano, 2013;

Saraz, Le tabelle millesimali, in Amministrare immobili, 2013, fasc. 173, 225;

Bellante, L'approvazione delle tabelle millesimali, in Giust. civ., 2011, I, 1799;

Bottoni, Le tabelle millesimali. Natura ricognitiva e approvazione assembleare, in Giust. civ., 2011, I, 409;

Del Prato, Adozione di tabelle millesimali, criteri, usi, deliberazione, in Giur. it., 2010, 2266;

Terzago - Sangiorgi, Le tabelle millesimali nel condominio, Milano, 1993;

Favino, La formazione delle tabelle millesimali nell'assemblea del condominio, in Nuovo dir., 1970, 132;

Florino, Sulla formazione delle tabelle dei millesimi nel condominio degli edifici per piani, in Foro it., 1965, I, 682.

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