Rimessione in termini: necessaria la prova del fatto non imputabile

Cesare Trapuzzano
02 Gennaio 2019

L'aspetto affrontato dalla pronuncia di legittimità in commento riguarda il tema dei limiti alla rimessione in termini, con specifico riferimento alla produzione tardiva di un atto di transazione.
Massima

La rimessione in termini, sia nella norma dettata dall'art. 184-bis c.p.c. che in quella di più ampia portata contenuta nell'art. 153, comma 2, c.p.c., come novellato dalla l. n. 69/2009, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà, e ciò anche con riguardo alla produzione di una scrittura privata contenente atto di transazione.

Il caso

Nel primo grado di giudizio la società attrice chiedeva che fosse pronunciata la risoluzione del contratto di somministrazione di caffè, stipulato con la società convenuta, per inadempimento grave, imputabile a colpa di quest'ultima, con condanna al pagamento delle somme dovute a titolo di corrispettivo, in ragione delle fatture rimaste insolute, e al risarcimento dei danni. La convenuta produceva in data 2 aprile 2002, oltre il termine perentorio concesso per la deduzione di nuovi mezzi di prova (termine che era scaduto il 30 marzo 2002), una scrittura privata contenente atto di transazione del 22 gennaio 2001, asseritamente raggiunto tra le parti in ordine alla vicenda contenziosa pendente. Il giudice di prime cure non teneva conto di tale documento, in quanto la relativa produzione era avvenuta tardivamente, ed accoglieva nel merito le domande spiegate dall'attrice.

Proposta impugnazione da parte della società convenuta, il giudice d'appello disponeva la rimessione in termini dell'appellante in ordine alla produzione documentale volta a comprovare l'invocata transazione e, in accoglimento del gravame interposto, in totale riforma della sentenza impugnata, rigettava le domande proposte dalla società attrice, condannandola alla refusione, in favore della controparte, delle spese del doppio grado di giudizio. Al riguardo, la Corte territoriale riteneva ragionevole l'assunto prospettato dall'appellante, secondo cui il termine per il deposito delle deduzioni istruttorie scadeva il 30 marzo 2002 e che quel giorno il difensore si era recato negli uffici di cancelleria, ma li aveva trovati chiusi per le festività pasquali; di conseguenza, il deposito della memoria e dei documenti allegati era stato effettuato il primo giorno utile successivo, ossia il 2 aprile 2002, giorno seguente al lunedì dell'Angelo. All'uopo, il giudice del gravame teneva conto della circostanza che il 30 marzo 2002 era la vigilia di Pasqua, cioè un giorno semifestivo, in cui – a suo dire – notoriamente i servizi di cancelleria sono assicurati da personale di turno e non per l'intera mattinata.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorreva la società appellata, la quale formulava un unico, articolato motivo e proponeva, in via subordinata, istanza di sospensione del giudizio, in attesa che fosse definito il giudizio pendente per querela di falso in via principale, avente ad oggetto il documento transattivo ex adverso prodotto e posto a base della decisione impugnata.

La questione

La ricorrente in Cassazione ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 115, comma 2, 184 previgente, 184-bis previgente e 294 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nonché la nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.. Sul punto, ha sostenuto che la Corte territoriale avrebbe erroneamente rimesso in termini l'appellante, ritenendo verosimili le generiche allegazioni fornite circa l'impedimento addotto, in assenza di prova in ordine alle circostanze idonee a dimostrare la non imputabilità della decadenza maturata, la quale, in ogni caso, non sarebbe stata neppure riconducibile ad una causa non imputabile alla parte, in quanto estranea alla sua volontà. Ha evidenziato che la sentenza impugnata avrebbe falsamente applicato la nozione di fatti notori, quale desumibile dall'art. 115, comma 2, c.p.c., nella parte in cui aveva affermato che il sabato di Pasqua sarebbe «un giorno semifestivo, in cui notoriamente i servizi di cancelleria sono assicurati da personale di turno e non per l'intera mattinata». Ha dedotto, infine, la violazione degli artt. 184-bis e 294, commi 2 e 3, c.p.c., per avere il giudice d'appello statuito sulla rimessione in termini senza disporre sulle prove e con sentenza definitiva, precludendo in tal modo alla parte appellata di svolgere le proprie difese e controdeduzioni in merito, con conseguente violazione del principio del contraddittorio e dando luogo ad una nullità rilevante ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c..

Sicché l'aspetto affrontato dalla pronuncia di legittimità in commento riguarda il tema dei limiti alla rimessione in termini, con specifico riferimento alla produzione tardiva di un atto di transazione.

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza camerale n. 17729 del 6 luglio 2018, la Corte di cassazione ha annullato, senza rinvio, la pronuncia impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato il gravame. Infatti, ha ritenuto che la statuizione del giudice d'appello fosse stata assunta in assenza di prove sui fatti allegati e senza alcuna valutazione circa l'imputabilità o meno alla parte della decadenza verificatasi. E ciò alla stregua del principio secondo cui la rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall'art. 184-bis c.p.c. (applicabile ratione temporis), quanto in quella di più ampia portata contenuta nell'art. 153, comma 2, c.p.c., esige la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché dettata da un fattore estraneo alla sua volontà, del quale è necessario fornire la prova ai sensi dell'art. 294 c.p.c. (Cass. civ., sez. lav., n. 7003/2011; Cass. civ., sez. lav., n. 19836/2011; Cass. civ., sez. I, n. 20746/2015; Cass. civ., sez. III, n. 21794/2015).

La Corte di legittimità ha specificato che nella fattispecie il giudice del gravame aveva falsamente applicato le norme citate, in primo luogo sotto il profilo dell'onere probatorio gravante sull'istante, atteso che la ritenuta ragionevole possibilità che gli uffici di cancelleria fossero stati trovati chiusi nella giornata del sabato antecedente la Pasqua non costituiva comunque prova che quel giorno la parte si fosse effettivamente recata presso i detti uffici, né che gli stessi fossero stati trovati chiusi, né che tale chiusura sarebbe stata “subita” in orario non prevedibile in relazione alla giornata prefestiva, circostanza peraltro particolarmente rilevante per valutare l'imputabilità della causa di decadenza. Ha aggiunto che la resistente, avendo discrezionalmente scelto di depositare nel giorno di sabato 30 marzo 2002, coincidente con la vigilia di Pasqua ed ultimo giorno utile, un documento di cui era peraltro in possesso da oltre un anno, risalendo la transazione al 22 gennaio 2001, era perfettamente a conoscenza anche della possibilità che quel giorno gli uffici di cancelleria potessero operare con orario ridotto e con personale di turno. Una tale situazione avrebbe imposto di informarsi preventivamente sugli orari di apertura al pubblico di detti uffici o, quantomeno, di recarvisi in orario adeguato (e non, ad esempio, nell'imminenza dell'orario di chiusura dei giorni ordinari). Infatti, l'orario di apertura delle cancellerie e segreterie al pubblico è disciplinato dall'art. 162 l. n. 1196/1960 (che prevede l'apertura per cinque ore al giorno nei giorni feriali), quale norma d'organizzazione volta a disciplinare l'azione della P.A., che - pertanto - non attribuisce alcun diritto soggettivo agli interessati, con la conseguenza che, in caso di provvedimento del presidente della corte d'appello atto a disporre un orario di apertura inferiore a quello legale, i soggetti interessati devono comunque depositare gli atti entro l'orario d'apertura, incorrendo altrimenti nelle decadenze previste dalle norme processuali, senza che possa in contrario invocarsi il contrasto tra la determinazione adottata e la disposizione di legge sopra richiamata (Cass. civ.,sez. lav., n. 9069/2005).

Il rimedio restitutorio è, infatti, subordinato alla circostanza che la decadenza sia dipesa da una causa non imputabile alla parte, perché dettata da un fattore estraneo alla sua volontà, ipotesi certamente non configurabile nel caso di un deposito tentato alla vigilia di Pasqua, quale ultimo giorno utile, in orario non precisato (e neppure allegato).

La Cassazione, infine, ha precisato che non avrebbe trovato applicazione nel giudizio (instaurato con citazione notificata nel marzo del 2001) il comma 5 dell'art. 155 c.p.c., introdotto dall'art. 2 della l. n. 263/2005 (a mente del quale, se il giorno della scadenza per il compimento di atti processuali coincide con il sabato, si applica la proroga di diritto al primo giorno non festivo prevista dal comma 4), atteso che tale disciplina si applicava ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006, data della sua entrata in vigore ex art. 39-quaterdel d.l. n. 273/2005, convertito dalla l. n. 51/2006. Neppure avrebbe avuto rilevanza la successiva modifica introdotta dal comma 3 dell'art.58 della l. n. 69/2009, che ha esteso anche ai giudizi pendenti alla data dell'1 marzo 2006 la previsione del nuovo comma 5 dell'art. 155 c.p.c.: invero, in virtù del principio tempus regit actum, tale estensione avrebbe potuto trovare applicazione nel giudizio (in quanto pendente alla data del 17 marzo 2006), ma solo per gli atti ad esso relativi compiuti nella vigenza di tale disciplina (e quindi successivamente all'entrata in vigore della l.n. 69/2009) e non, retroattivamente, per gli atti posti in essere nel vigore delle precedenti disposizioni, quale è quello in discussione (relativo ad un atto depositato nell'anno 2002).

Osservazioni

La pronuncia in commento ribadisce il principio consolidato secondo cui l'istituto della rimessione in termini può consentire l'acquisizione in giudizio di un documento prodotto tardivamente alla sola condizione che l'intervenuta decadenza non sia imputabile alla parte che ne abbia interesse, ossia che sia dipendente da fattori estranei alla sua volontà. Di tali fatti la parte che invoca la rimessione deve fornire allegazione e prova. In mancanza, l'istanza di rimessione in termini deve essere disattesa e il documento non è utilizzabile per la decisione. Per l'effetto, può essere prodotto oltre la maturazione delle barriere preclusive il documento che si sia formato successivamente alla scadenza dei termini perentori concessi per la delimitazione del thema probandum. In tal caso la sopravvenienza oggettiva del documento impedisce in radice che esso potesse essere prodotto prima che la decadenza istruttoria maturasse. A rigore, in tale evenienza neanche può parlarsi di rimessione in termini, essendo il documento venuto ad esistenza in epoca successiva alla cristallizzazione delle preclusioni istruttorie. Piuttosto, vi sarà uno specifico onere dell'avente interesse a produrre siffatti documenti nella prima udienza utile successiva alla relativa formazione. Ma può realizzarsi anche una fattispecie di sopravvenienza subiettiva, che ugualmente consente la produzione fuori termine. Detta ipotesi si realizza ove il documento di cui si intende effettuare la produzione in giudizio, sebbene formatosi oggettivamente prima della scadenza dei termini perentori all'uopo concessi, sia venuto a conoscenza della parte interessata ad avvalersene in causa in un momento successivo al decorso di tali termini, senza sua colpa. In tali casi dovrà essere ugualmente permessa la produzione in giudizio entro la prima udienza utile successiva all'acquisizione di tale conoscenza, alla condizione che l'istante deduca e dimostri di avere avuto contezza del documento in un dato momento, senza che possa essere addebitata a sua colpa la circostanza di non averne avuto cognizione in un momento antecedente.

Attualmente l'istituto della rimessione in termini è disciplinato, in termini generali, dall'art. 153, comma 2, c.p.c., che richiama l'art. 294, commi 2 e 3, c.p.c.. La prima norma dispone che la rimessione in termini richiesta dalla parte può essere accordata dal giudice, ove la stessa parte dimostri di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile. La previsione riguarda qualsiasi decadenza processuale e non solo le decadenze istruttorie (così come era previsto, invece, dal combinato disposto dei previgenti artt. 184 e 184-bis c.p.c., applicabili ratione temporis). Per converso, l'art. 294 c.p.c. prevede che il giudice, qualora ritenga verosimili i fatti allegati, ammette, quando occorre, la prova dell'impedimento e, quindi, provvede sulla rimessione in termini con ordinanza. Sicché è comunque necessario che la decadenza sia maturata per causa non imputabile alla parte e che di ciò la parte dia dimostrazione. Nel rispetto del principio del contraddittorio, la parte che ne abbia interesse deve formulare la richiesta, debitamente supportata dai fatti rilevanti, e - ove sia necessario - dalle relative prove. Deve, quindi, realizzarsi il contraddittorio anche su tale istanza, garantendo alla controparte le opportune controdeduzioni. All'esito, il giudice, qualora ritenga i fatti addotti come verosimili, può ammettere la prova dell'impedimento, se ritenuta necessaria, provvedendo all'esito sulla rimessione. Ne consegue che l'evocato tentativo di produzione in giudizio nell'ultimo giorno utile e l'addotto impedimento, in tesi rappresentato dalla chiusura degli uffici giudiziari in orario ordinariamente lavorativo, trattandosi della vigilia della festività di Pasqua, non integrano, sul piano deduttivo, alcuna dimostrazione in sé della maturazione di una decadenza non imputabile, ove sia carente qualsiasi elemento da cui si possa desumere che tale tentativo di produzione sia stato effettivamente esperito e che, all'esito, gli uffici giudiziari siano stati effettivamente rinvenuti chiusi. Di tali circostanze l'istante deve dare prova. In aggiunta, quand'anche dette circostanze siano per ipotesi dimostrate, la rimessione in termini è comunque esclusa qualora l'istante sia a conoscenza della possibilità che quel giorno gli uffici di cancelleria possano operare con orario ridotto e con personale di turno. In questa evenienza l'avente interesse corre i rischi della produzione avviata nell'ultimo giorno utile. Nella vicenda esaminata la rimessione in termini accordata sulla “ragionevole” possibilità che gli uffici di cancelleria fossero stati trovati chiusi nel sabato antecedente la Pasqua non è risultata provata; inoltre, la scelta discrezionale di depositare l'atto nell'ultimo giorno utile avrebbe imposto di informarsi sugli orari e di regolarsi di conseguenza.

In ragione della pronuncia in commento, il quadro innanzi delineato sulla rimessione in termini opera anche qualora il documento di cui si intende effettuare la produzione sia costituito da una scrittura privata contenente atto di transazione. Sicché qualora, nel corso del giudizio di primo grado, sia intervenuta una transazione della lite tra le parti, pur non essendo necessario che tale evento sia dedotto nella prima difesa utile e, quindi, nel corso del grado stesso, è comunque necessario che vi sia la tempestiva produzione del documento; in mancanza, la cessazione della materia del contendere per avvenuta transazione, pur non integrando un'eccezione in senso stretto, non può essere presa in considerazione dal giudice, in quanto il documento che la incorpora non è stato tempestivamente prodotto dalla parte nel rispetto dei termini processuali fissati dalla legge (Cass. civ., sez. I, n. 18195/2012; contra Cass. civ., sez. III, n. 17896/2012, che esprime una tesi oramai recessiva, secondo cui sarebbe indispensabile anche la tempestività della deduzione). Benché in tale ipotesi la produzione dell'atto transattivo extraprocessuale, che investa l'oggetto della domanda contenziosa, sia finalizzata a rendere edotto il giudice della sopravvenuta carenza di interesse a coltivare la domanda (ossia a proseguire il giudizio), e alla conseguente declaratoria di cessazione della materia del contendere, quale pronuncia processuale idonea a formare giudicato solo processuale (Cass. civ., sez. lav., n. 7185/2010; Cass. civ., sez. III, n. 3598/2015), sarà in ogni caso necessario che la produzione avvenga nei termini perentori concessi ai fini della formulazione delle richieste istruttorie, salvo che il documento si sia formato successivamente alla scadenza. Qualora la transazione sia stata stipulata prima della maturazione delle preclusioni istruttorie, la produzione fuori termine, ai fini della pronuncia della cessata materia del contendere, potrà avvenire solo su accordo tra le parti, a corredo di una dichiarazione congiunta di cessata materia del contendere per intervenuta transazione, e ciò in deroga al principio che riconduce la fissazione dei termini perentori a interessi generali di ordine pubblico processuale, come tali non derogabili neanche su istanza concorde delle parti. Ma ove tale istanza congiunta non vi sia, la produzione a cura della sola parte che ne abbia interesse deve avvenire entro le barriere preclusive all'uopo fissate, a pena di decadenza e di conseguente inutilizzabilità per la decisione del documento prodotto tardivamente. Questa conclusione può essere desunta anche dagli arresti nomofilattici secondo cui il principio per il quale, dopo la notifica del ricorso per cassazione, è consentita, a norma dell'art. 372 c.p.c., la produzione di un documento dal quale risulti la sopraggiunta carenza d'interesse all'impugnazione (nella specie, l'avvenuta transazione della lite) non può trovare applicazione allorquando l'atto poteva e doveva essere prodotto nella fase di merito, perché anteriore alla conclusione della stessa (Cass. civ., sez. II, n. 12607/2002; Cass. civ., sez. lav., n. 29439/2017).

Pertanto, anche l'atto transattivo, in quanto documento probatorio volto ad incidere sull'esito della lite, sebbene con una mera declaratoria di cessazione della materia del contendere, soggiace all'osservanza dei termini perentori fissati per la produzione documentale e per la formulazione delle richieste istruttorie. Nel caso di ingiustificata produzione tardiva, a cura della parte che ne abbia interesse, il documento non è utilizzabile per la decisione. Distinto profilo è quello che concerne la rilevabilità d'ufficio della cessazione della materia del contendere, in ragione della raggiunta transazione della lite, indipendentemente dall'eccezione di parte, purché però i fatti risultino documentati ex actis e ritualmente (Cass. civ., sez. VI-III, n. 8903/2016; Cass. civ., sez. II, n. 10728/2017). La circostanza che un'eccezione possa essere rilevata anche d'ufficio non consente certo, a chi intenda giovarsene, di articolare mezzi istruttori quando siano spirati i termini processuali fissati a tale scopo. Ne discende che la rilevabilità d'ufficio della cessazione della materia del contendere è ammessa a condizione che il fondamento di essa emerga dalle risultanze processuali ritualmente acquisite, e dunque solo da documenti che siano stati tempestivamente prodotti. Infatti, sebbene il rilievo d'ufficio delle eccezioni in senso lato non sia subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte e sia ammissibile anche in appello, è comunque necessario – e sufficiente – che i fatti risultino documentati ex actis (Cass. civ., Sez. Un., n. 10531/2013).

Guida all'approfondimento
  • C.E. Balbi, Rimessione in termini (dir. proc. civ.), in Enc. giur., XXVII, Roma, 1991, 2;
  • R. Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 385;
  • R. Caponi, La causa non imputabile alla parte nella disciplina della rimessione in termini nel processo civile, in Foro it., 1998, I, 2658;
  • F. De Santis, La rimessione in termini nel processo civile, Torino, 1997, 127;
  • M.P. Gasperini, Profili costituzionali e procedimentali della rimessione in termini di cui all'art. 184 bis c.p.c., in Giur mer., 1995, 615;
  • M.P. Gasperini, Rimessione in termini e poteri esterni allo svolgimento del processo: le Sezioni Unite riconoscono la rilevanza dell'errore scusabile, in Corr. giur., 2006, 5, 680.
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