I creditori ipotecari nel concordato

04 Gennaio 2019

Trattando il tema dei creditori ipotecari in ambito concordatario, la prima osservazione è quella secondo cui si ha qui una platea degli stessi non coincidente con quanto avviene in ambito fallimentare.
I confini oggettivi

Trattando il tema dei creditori ipotecari in ambito concordatario, la prima osservazione è quella secondo cui si ha qui una platea degli stessi non coincidente con quanto avviene in ambito fallimentare.

Va in proposito premesso che l'art. 96, comma 2, l.fall. (identico testo all'art. 204, comma 2, n.3) del progetto di codice della crisi, (d'ora innanzi pcdc), stabilisce che sono ammessi al passivo del fallimentare i crediti accertati con sentenza ancorché non passata in giudicato ma pronunciata anteriormente alla declaratoria di fallimento, salvo che il curatore non decida di impugnarla, nel qual caso l'ammissione avviene con riserva (la dizione della norma è infelice, poiché sarebbe stato più lineare fosse direttamente riferita all'impugnazione, visto che disciplina l'ammissione con riserva). Pertanto ove l'ipoteca giudiziale si riferisca a sentenza di primo grado non definitiva ma anteriore alla declaratoria di fallimento, la citata disposizione presuppone l'ammissione del credito in base all'accertamento in essa contenuto, e conferendo alla sentenza stessa la sua efficacia dovrà essere riconosciuto il privilegio connesso alla relativa ipoteca giudiziale.

E anche se il curatore decide d'impugnare è logico che l'ipoteca mantenga la sua efficacia.

D'altronde è significativo il fatto che il curatore non è data l'alternativa di accettare l'esito della lite o chiedere l'accertamento al giudice delegato, ma se ritiene appunto di contestare la sentenza deve proporre appello, col ché la prima sentenza non può che mantenere la propria efficacia e idoneità a sorreggere l'ipoteca accesa in conseguenza della sua emanazione, salvo il fatto che l'intervenuto fallimento non ne permette l'iscrizione ad esso successiva o nei termini di cui all'art. 67 l.fall.

La giurisprudenza però, proprio partendo dalle caratteristiche della sentenza non passata in giudicato (emessa in contraddittorio, suscettibile di giudicato), ha sempre escluso l'opponibilità del decreto ingiuntivo, e quindi solo le ipoteche giudiziali che assistono crediti oggetto di ingiunzione divenuta inoppugnabile anteriormente alla declaratoria di fallimento sono opponibili nell'ambito della procedura concorsuale (cfr, Cass. 1.4.2005, n. 6918; da ultimo Cass. 10.10.2017, n. 23679).

In ambito concordatario però tali disposizioni non sono richiamate, e quindi vale un diverso regime.

In particolare tutte le ipoteche giudiziali iscritte anteriormente al deposito del ricorso presso il registro delle imprese, purché almeno nel termine di novanta giorni anteriori preveduto dall'art. 168, comma 3, l.fall. (ora art. 46, comma 3, pcdc), saranno opponibili.

Ciò significa in particolare che ove siffatta ipoteca sia iscritta a garanzia di un credito portato in un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, ma opposto, sarà opponibile.

Invero come noto, poiché in sede concordataria non v'è la verifica del passivo, i crediti vanno accertati al di fuori della procedura, ed in particolare nell'ambito delle controversie ordinarie instaurate dai relativi creditori, per cui il giudizio d'opposizione ad ingiunzione può benissimo essere proseguito (peraltro l'art. 96 pcdc richiamando il 3° co. dell'art. 143 cdc, prevede l'interruzione del giudizio al momento dell'apertura della procedura concordataria, obbligando quindi il creditore a riassumere il processo, ma ci auguriamo che in sede di varo definitivo tale disposizione venga eliminata) o appunto addirittura iniziato dopo la domanda di concordato.

Pertanto tutte le problematiche sopra vedute non si pongono in materia concordataria, in quanto tutte le volte che vi sia, in base a idoneo titolo giudiziale, un'iscrizione ipotecaria effettuata anteriormente ai novanta giorni dal deposito della domanda, essa come s'è detto (e salvo l'esito dell'eventuale giudizio impugnatorio o d'opposizione ex art. 648 cpc) sarà senz'altro opponibile.

Altra ipotesi in cui si verifica una significativa modifica della platea dei crediti ipotecari realizzati in sede concordataria rispetto a quella fallimentare, discende dal fatto che nel primo caso sarà tutta interna alla procedura concorsuale anche la liquidazione di quei beni soggetti ad ipoteca posti a garanzia di crediti di natura fondiaria ai sensi dell'art. 1 TUB. Tale ultima disposizione accorda ai creditori fondiari un privilegio processuale consistente nella possibilità, pur a fronte della pronuncia di fallimento in capo al debitore, di iniziare o proseguire l'esecuzione individuale sul bene oggetto della prelazione. Ma si tratta di una disposizione di carattere eccezionale, non suscettibile di estensione analogica, per cui dal momento in cui il debitore avrà depositato il ricorso per l'ammissione al concordato, l'azione individuale ancorché promossa dal creditore fondiario sarà temporalmente improcedibile ai sensi dell'art. 168 l.fall. (in tal senso Cass. 7.11.1991, n. 11879), e tanto meno potrà essere iniziato.

A tal proposito basterà raffrontare la disposizione di cui al citato art. 168 l.fall. con l'incipit di quella analoga dettata in materia fallimentare all'art. 51 stessa legge (art.150 cdc), che fa salve le diverse disposizioni di legge, con evidente riferimento all'art. 41 TUB il quale a sua volta al co. 2° fa espresso riferimento al fallimento (ed ora, in base all'art. 349 pcdc, alla liquidazione giudiziale).

Se poi il concordato venisse anche omologato, essa diverrà definitivamente improcedibile e il bene verrà venduto senz'altro in sede concordataria, a meno che il liquidatore, come previsto dal rinvio all'art. 107 l.fall. (art. 216, 10° co., pcdc) da parte dell'art. 182, 5° co. stessa legge (art. 114, 4° co., pcdc), non scelga di subentrare nella procedura esecutiva individuale. Ma anche in tal caso, a differenza da quanto accadrebbe in ipotesi di prosecuzione da parte del fondiario in caso di fallimento, il ricavato verrà incondizionatamente assegnato dal giudice dell'esecuzione al liquidatore, e non certo (seppur in via meramente provvisoria) al creditore fondiario.

La liquidazione dei beni soggetti a prelazione. Destino del ricavato in caso di mancata omologa

I beni oggetto di prelazione ipotecaria si liquidano in ambiente concordatario esattamente come gli altri beni immobili.

Pertanto si applica a tale liquidazione la disposizione di cui all'art. 182, 5° co., l.fall., e quindi il richiamo in particolare all'art.107 l.fall. che prevede il modulo competitivo nella declinazione sia del primo comma della disposizione richiamata (vendite poste in essere sotto la direzione del liquidatore ma con le specifiche modalità che saranno dettagliate nella proposta e nel piano concordatario), che del secondo comma, secondo il codice di rito. Mette conto qui rilevare che l'art. 216 del pcdc, la cui disciplina è richiamata per il concordato dall'art. 114, conferisce la scelta delle modalità di vendita del codice di rito non più al curatore, ma al giudice delegato. E' da dubitare che tale norma sia pianamente applicabile in caso di piano concordatario che preveda la gestione della vendita con modalità differenti, perché ciò si scontrerebbe con la natura stessa del concordato, e il richiamo da parte dell'art. 114 è pur sempre assoggettato alla clausola di compatibilità. Tuttavia come già in base all'attuale disciplina, le modalità di vendita dovranno obbligatoriamente rispettare il principio di competitività, ormai immanente e confermato per il concordato dall'art. 163-bis l.fall. ( art.91 pcdc), ed alla ben più stringente disciplina di cui all'art.216 pcdc rispetto all'attuale art.107 l.f..

E' evidente il radicale mutamento di prospettiva che rappresenta la nuova disciplina, introdotta con la L. 132/2015, e ulteriormente rafforzata nel pcdc, rispetto al precedente testo della disposizione dell'art.182 l.f., che lasciava al debitore l'esecuzione del concordato senza altri vincoli che non fossero quelli del decreto di omologazione.

Le vendite richiederanno more solito l'autorizzazione del tribunale nella fase di riserva, e invece quella del giudice delegato ex art. 167 l.fall. (art. 46, 3° co., pcdc) nella fase successiva all'ammissione ma anteriore all'omologa.

La liquidazione stessa avviene di norma all'esito del decreto di omologa, ma può essere prevista anche in precedenza ove adeguatamente motivata, ed allora dovrà applicarsi, ancora una volta, il modulo competitivo.

Nella fase del concordato cd “in bianco” o “con riserva” (art. 161, 6° co., l.fall.), a parte la competenza collegiale all'autorizzazione, v'è di particolare che non esiste ancora una proposta ed un piano, quindi manca la possibilità di conformare ad essi la forma della liquidazione (l'art. 46, 2° co. pcdc ha stabilito che, ove nella fase anteriore all'ammissione si richieda un'autorizzazione, es. a vendere, il presentatore dovrà fornire “ idonee informazioni sul contenuto del piano o sulle trattative in corso” assumere ulteriori informazioni anche da terzi e acquisire il parere del commissario). Anzitutto essa potrà essere autorizzata solo ove possa venire pregiudizio dal ritardo, dovendosi applicare un criterio indicato in materia fallimentare per l'analogo caso della vendita anteriore all'approvazione del programma di liquidazione, da una norma (art. 104 ter, 7° co., l.f., implicitamente prevista anche dall'art. 213 del pcdc) pur non rientrante fra quelle espressamente richiamate dall'art. 182, 5° co., l.fall.

Sarà poi proprio l'autorizzazione, il cui controllo sarà di carattere più penetrante per la fase in cui la vendita interviene, che stabilirà se le forme di competitività proposte saranno sufficientemente adeguate, senza peraltro che la fase anticipata implichi necessariamente le forme di cui al codice di rito.

Tornando ora al più volte citato art. 182, 5° co., l.fall., la clausola di compatibilità ivi contenuta consentirà in ogni caso di adattare alcune rigidità della disciplina fallimentare alla vendita in ambito concordatario, per cui ad esempio se d'uopo si potrà prevedere un termine inferiore di pubblicità rispetto a quello di trenta giorni.

Interessante a questo punto verificare il destino del ricavato dei beni ipotecati alienati anteriormente all'omologa, e pertanto in ipotesi di inammissibilità della domanda, ove non accompagnata da contestuale declaratoria di fallimento.

Infatti mentre in tale ultimo caso gli importi passeranno al curatore fallimentare (mentre in precedenza erano sotto il controllo del commissario), nell'altra ipotesi verrebbe meno ogni controllo da parte del commissario e frattanto non si incardinerà alcun nuovo organo.

La soluzione del problema non è certo agevole, e le opinioni della dottrina (GENOVESE, Il trasferimento dell'ipoteca, vicende del rapporto ipotecario, Bologna, 2017, 37 segg.), che sono state studiate in realtà con riferimento al generale problema del trasferimento o del perimento del bene oggetto di prelazione, non sono quasi mai soddisfacenti per il nostro caso.

Quelle che fanno riferimento alle ipotesi di perimento non mi paiono pertinenti in quanto il bene qui non perisce, è trasferito; quelle che si riferiscono all'espropriazione per pubblica utilità riguardano una realtà ben differente. Sembrerebbe più vicina al nostro caso l'ipotesi contemplata dall'art. 2825 c.c., inerente al bene indiviso, la cui quota venga ipotecata, prevista per l'ipotesi di assegnazione al debitore di conguagli in denaro, per la quale ivi si stabilisce il diritto del creditore ipotecario a far valere le sue ragioni sulla somma stessa, con la prelazione determinata dalla data di iscrizione. Tuttavia in via pratica la norma appare di scarsa utilità per noi, prevedendo al terzo comma che i debitori delle somme (quindi nel nostro caso gli aggiudicatari) sono liberati quando le abbiano pagate al condividente dopo trenta giorni da che la divisione (per noi l'aggiudicazione) è stata notificata ai creditori ipotecari, senza che da costoro sia stata fatta opposizione. Non diverse considerazioni possono svolgersi nei riguardi della peraltro particolarissima ipotesi di cui all'art. 853 c.c. ( espropriazione forzata su quota in caso di fondi soggetti a trasferimenti coattivi da parte di consorzi a scopo di ricomposizione fondiaria).

L'unico modo per valorizzare ai nostri fini la regola evincibile dall'art. 2825 c.c. potrebbe essere rappresentato da ciò, che sostituito l'aggiudicatario con l'organo della procedura, pertanto il commissario, questi avrebbe l'onere di comunicare al creditore non tanto l'aggiudicazione, o il pagamento del saldo, che verosimilmente interverranno a procedura pendente, ma l'avvenuto provvedimento di inammissibilità, potendo così liberamente restituire le somme stesse al debitore solo decorsi trenta giorni da tale comunicazione in assenza di opposizione.

Altra tematica interessante è quella della sorte dei creditori ipotecari nel concordato in continuità in ipotesi in cui il bene su cui si esercita la loro prelazione sia fra quelli strategici.

Or deve osservarsi che nel concordato in continuità, affinché la proposta sia ammissibile e fattibile, occorre che i beni descritti come strategici non vengano liquidati, ma che anzi la liquidazione riguardi esclusivamente i beni non strategici, e quindi non indispensabili per la prosecuzione dell'attività imprenditoriale, in via diretta od indiretta, in base all'attestazione strumentale al miglior soddisfacimento dei creditori.

Occorrerà allora non solo che, ove i beni strategici siano gravati da ipoteca, essi non siano alienati, ma anche che se ne preveda grazie all'esecuzione del concordato la liberazione dall'ipoteca e dunque il pagamento del creditore privilegiato. Ciò in quanto mantenere il debito e quindi la prelazione significherebbe non tanto una deroga al principio di universalità della procedura concorsuale, ormai ampiamente superato sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo (art. 2 del reg. UE n. 848 del 2015, in virtù del quale la natura concorsuale anche la procedura che comprenda una “parte significativa” dei crediti), ma piuttosto che il creditore ipotecario potrebbe aggredire il bene in qualsiasi momento e quindi porre nel nulla l'accordo concordatario.

Il soddisfacimento dell'ipotecario dunque dovrà essere previsto, e dovrà essere conforme alla prelazione spettante, sebbene non si proceda alla liquidazione del relativo bene per le ragioni appena indicate.

Allo stesso andrà allora riconosciuto il soddisfacimento integrale conformemente alle regole del privilegio speciale, e pertanto fino alla concorrenza della capienza del bene. Ove quindi la proposta non prevedrà il soddisfacimento integrale tout court poiché il bene non viene liquidato, alla verifica della capienza sopperirà la relazione giurata di cui all'art.160, 2° co., l.f., che sarà così una percentuale promessa e vincolante: né il creditore ipotecario potrà pretendere di più; né il debitore potrà in qualsiasi guisa dimostrare un minor valore e corrispondere quindi di meno.

Significativamente infatti in tal caso di non alienazione dei beni l'art. 186-bis, 2° co., l.fall., prevede la possibilità di una moratoria di un anno dalla data dell'omologazione nel pagamento dei creditori prelatizi; dall'altro la stessa norma accorda il diritto di voto in capo agli stessi (l'art. 86 pcdc invece, che tra l'altro estende la moratoria a due anni, condivisibilmente e coerentemente con l'orientamento del SC, cfr. Cass. 10112/14, limita il voto alla effettiva perdita economica conseguente al ritardo) che invece, significativamente, non viene accordato ove la prelazione si eserciti su beni liquidabili, per i quali valgono infatti le regole abituali, ma ovviamente si esclude la possibilità di moratoria. Tale sistema risulta tutto sommato coerente, se si considera che il creditore ipotecario il cui bene per quanto detto non viene liquidato potrà – se ritiene non conveniente il concordato (ed in particolare la percentuale che gli viene assicurata ai sensi dell'art. 160, 2° co., l.fall.) - opporsi all'omologa a mente dell'art. 180, 4° co., l.fall. (quindi con i rilevanti limiti ivi previsti), ricordato comunque che nel concordato in continuità il tribunale estende in ogni caso la sua verifica al criterio del miglior soddisfacimento.

Interessante notare che la moratoria si applicherà altresì al caso di continuità indiretta, che può prevedere l'alienazione del bene oggetto di prelazione unitamente all'azienda, ed in proposito l'art. 186-bis, 3° co.,l.fall. (art. 95, 2° co., pcdc), prevede una specifica ipotesi di potere di purgazione contestuale all'atto di trasferimento.

Quanto ai creditori ipotecari di beni non strategici, al solito essi dovranno subire il ritardo insito nei tempi tecnici della liquidazione.

Prededuzione e creditori ipotecari

La disciplina del concordato non contiene una disposizione dedicata in generale, anche solo per richiamo di quella fallimentare, alla prededuzione ma, ad onta del rubrica legis, la disposizione che se ne occupa, art. 182-quater l.fall., detta soltanto le regole per determinati crediti prededucibili, tipici e propri del concordato (in particolare la fìnanza erogata in funzione della domanda o in esecuzione della proposta). Così pure avviene nel successivo art. 182-quinquies stessa legge.

Fermo restando ciò, quantomeno le richiamate norme confermano l'estensione della nozione di prededuzione anche nella procedura concordataria.

Più esplicita la riforma, che detta le regole essenziali della prededuzione anche per il concordato, seppure in una norma molto scarna (art. 98 pcdc), dalla quale si ricava comunque che il diritto al tempestivo soddisfacimento dei creditori ipotecari sopravanza quello dei prededucibili, ma ovviamente senza che tale regola possa sovrapporsi a quello che subito vedremo in proposito.

Orbene, pur in assenza di uno specifico richiamo (esattamente come del resto accade in base al pcdc), sono dell'opinione che l'unico modo per gestire concretamente la prededuzione in materia concordataria sia quello di ritenere ivi applicabili i fondamentali artt. 111-bis e 111-ter della l.fall. (cui corrispondono nel pcdc rispettivamente gli artt. 221, 222, 223) in quanto applicabili (ad es. è senz'altro inapplicabile l'art. 111-bis, 1° co., l.fall., in quanto riferito all'accertamento del passivo).

Escluso quindi ogni riferimento alle modalità di accertamento tipiche dell'ambiente fallimentare, una prima regola di nostro interesse è quella contenuta nell'art. 111-bis, 2° co., l.fall., in base alla quale dall'attivo mobiliare ed immobiliare su cui si deve anteriormente soddisfare la prededuzione, vanno esclusi i beni soggetti a prelazione reale.

Tale disposizione dev'essere però certamente integrata con il disposto del successivo art. 111-ter, 3° co., l.fall., in base al quale il curatore deve tenere un conto autonomo delle vendite dei beni oggetto di privilegio speciale ed ipoteca, con analitica indicazione delle entrate e delle uscite di carattere specifico e della quota di quelle di carattere generale imputabili a ciascun bene secondo un criterio di proporzionalità.

Da tale disposizione, che non ha certo natura meramente contabile, ma anzi ha valore sistematico e sostanziale (cfr. Trib. Milano, 21.5.2015, in questo portale con nota di Gratteri), si deduce che sul ricavato dei beni ipotecati deve pur gravare una parte della prededuzione, ed in particolare quella generata dai costi specificamente attribuibili ai beni stessi (per la loro amministrazione e poi per la loro liquidazione), oltre che una quota proporzionale delle spese generali.

Di tale principio si ha ampio riscontro giurisprudenziale (cfr. Cass. 11.1.1995, n. 251, in Fall., 1995).

Ora sulle spese specificamente riferibili all'amministrazione ed alla liquidazione non v'è molto da dire: anzitutto in ambiente concordatario si sconterà il fatto che non si ha se non uno spossessamento attenuato, caratterizzato dal fatto che il bene rimane nella fisica disponibilità del debitore fino alla sua liquidazione, pur con i limiti derivanti dai poteri gestori del commissario (fino all'omologa) e successivamente del liquidatore, i quali non possono esercitare un potere dispositivo che esorbiti le previsioni del piano concordatario (LUCARELLI, Concordato preventivo: i poteri degli organi della procedura dopo l'omologazione, in Altalex, pubbl. 29/09/2016) . Questo però non comporterà che le spese di gestione (es. imposte locali, custodia, spese condominiali) saranno estranee perché comunque la gestione stessa verrà effettuata sì dall'imprenditore nei limiti suddetti, ma nell'ottica liquidatoria. Senza meno poi graveranno sul ricavato le spese strettamente connesse alla liquidazione (quindi il compenso per il delegato, spese di pubblicità e di trasferimento in quanto gravanti sulla procedura). Per la specifica ipotesi del concordato, a quelle suddette si aggiungeranno i costi di stima e quelli per la relazione di cui all'art.160, 2° co., l.f., quest'ultima indispensabile al fine della valutazione dell'entità di credito da soddisfarsi al privilegio.

Molto più complesso sarà definire la percentuale proporzionale delle spese generali.

Intanto una dottrina (RUGGIERO, sub art. 111 ter, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, II, Bologna, 2007, 1852) ha ritenuto che la dizione espressa dell'art. 111 ter, 3° co., l.fall., significhi che automaticamente, senza alcuna verifica nel caso concreto, si debba far gravare sul bene ipotecato una percentuale delle spese generali corrispondente all'incidenza dello stesso sul totale dell'attivo, determinando il tutto sulla base del ricavato complessivo (al lordo delle spese).

In effetti la norma in parola fa esplicito riferimento al criterio di “proporzionalità”, ma a mio avviso ciò non nega l'attuale riferibilità a elementi ritraibili dalla concreta fattispecie, come ha sempre ritenuto la giurisprudenza, sebbene anteriormente all'entrata in vigore della norma (sul punto già Cass. 29.10.1968, n. 3609; ma il riferimento alla necessità di far capo a specifiche utilità per il creditore ipotecario risale addirittura a Cass. Roma 20.2.1939, n. 575; da ultimo Cass. 11500/2010; l'art.111 ter l.f. è stato introdotto dall'art.100 del dlgs 9.1.2006, n.5, ed è quindi applicabile alle procedure aperte successivamente al 16 luglio 2006).

La richiamata giurisprudenza ha sempre dettato come criterio per la determinazione quello della percentuale di incidenza del ricavo dal bene ipotecato sull'intero attivo solo in mancanza di specifici elementi, che però vengono individuati nella verifica dell'utilità delle spese generali per il creditore garantito. Ora nel caso del fallimento è logico che sarà determinante l'attività svolta dal curatore per il bene in parola, con particolare riguardo all'attività di sua gestione e liquidazione (nondimeno anche in caso di fallimento dovrà tenersi conto del fatto, ad esempio, che il bene ipotecato sia stato liquidato anziché in sede concorsuale, in sede di esecuzione individuale ai sensi dell'art. 41 TUB o dell'art. 107, 6° co., l.f.) cui lo stesso abbia atteso in comparazione con le altre componenti dell'attivo, oltre che dell'attività di verifica del credito indispensabile ai fini dell'ammissione dello stesso. Nel caso del concordato le cose sono sicuramente più complesse perché, se il criterio proporzionale suddetto potrebbe essere agevolmente applicato al compenso del liquidatore, per quanto si riferisce il commissario ( tra le spese generali fa riferimento agli onorari degli organi concorsuali Cass. 6.6.1997, n. 5104) occorrerà piuttosto tener conto dell'attività di vigilanza dallo stesso svolta sul bene (e addirittura quella di gestione e liquidazione posta in essere eventualmente dallo stesso nella fase ante omologa). Ma ben difficilmente potranno essere poste a carico proporzionale dell'ipotecario le spese di attestazione del piano, quelle di assistenza legale del proponente, nonché la prededuzione disciplinata dagli artt. 182 quater e 182 quinquies l.f. (la finanza prededucibile), strumentale com'è ad altro che non sia la realizzazione della garanzia del creditore ipotecario. Così pure vale per la prededuzione formatasi ai sensi dell'art.161, 7° co., l.f. (crediti di terzi sorti per effetto degli atti legalmente posti in essere durante la fase della prosecuzione dell'attività in pendenza della domanda). In fondo, come afferma il SC ( Cass. 251/1995 cit), va ricordato che le utilità per il creditore ipotecario non possono essere individuate nell'esistenza stessa della procedura concorsuale; la quale è, anzi, per molti aspetti, subita dagli stessi, in quanto la garanzia che assiste il loro credito assicurerebbe, comunque, il soddisfacimento delle loro ragioni, anche mediante l'esecuzione individuale.

Un ultimo dubbio si pone poi con riferimento al gravare delle spese prededucibili sul c.d. attivo riservato. In effetti l'art.111 bis l.f. fa riferimento, operando la salvezza dalla prededuzione dei crediti ipotecari, al ricavato dalla liquidazione del “patrimonio immobiliare e mobiliare”. Viceversa, il successivo art.111 ter stessa legge, nel descrivere la massa attiva, fa riferimento con riguardo agli immobili ai beni, nonché ai loro frutti e pertinenze. Da ciò una dottrina (BALESTRA, Brevi note sui crediti prededucibili e crediti ipotecari e pignoratizi, in Fall., 2017, 5) ne ha ricavato che il maggior rigore introdotto dall'art.111 bis non si riferirebbe a tali ultimi beni accessori (appunto i frutti e le pertinenze), rispetto ai quali si applicherebbe la regola generale per cui tutta la prededuzione va anteposta ai creditori concorsuali (art. 111 l.f.), sebbene poi, dedotta la stessa, il ricavato residuo andrà a soddisfare prioritariamente i creditori ipotecari in applicazione del principio di cui all'art. 2912 c.c.

E' vero che la dizione delle due norme è differente come sopra riportato, tuttavia non vedo ragioni logiche per sostenere una simile conclusione. Mi pare piuttosto che, una volta formata la massa liquida di cui al primo comma dell'art.111 ter l.f., si debba procedere a dedurre dalla stessa, come insegna il successivo terzo comma, le uscite di carattere specifico e poi la quota delle spese generali determinate in base ai criteri che si è tentato di descrivere, lasciando il residuo al creditore ipotecario, su cui quindi non graverà la prededuzione non riferibile ai beni su cui si esercita la loro prelazione.

Forme di tutela dei creditori ipotecari in ambito concordatario

Premesso tutto quanto precede, va ora affrontato il tema della tutela del creditore ipotecario in ambito concordatario.

Qui occorre partire dal dato presupposto per cui in ambito concordatario non si fa luogo ad alcuna verifica dei crediti, ed anche ove essi siano delibati dal giudice al fine del voto, tale attività in nulla vincola poi il liquidatore nella distribuzione del ricavato fra i creditori, così come lo stesso non è neppure vincolato dall'elenco dei creditori allegato dal debitore alla proposta concordataria (cfr. Trib. Monza, 3.6.2015, in Fall. , 2016).

La tutela del credito, così come quella della prelazione, è dunque affidata alle vie ordinarie, nel senso che il creditore che riterrà di aver diritto a concorrere all'attivo concordatario, se si vedrà rifiutato lo stesso dai relativi organi, dovrà agire in sede di cognizione ordinaria.

Una tutela interna – per così dire “cautelare” - peraltro la si può individuare in quanto dispone l'art.180, 6° co., l.fall. (analogamente art.112, 2° co., pcdc) in base al quale il decreto di omologa deve stabilire le modalità con cui vanno depositate le somme spettanti ai creditori contestati (e certamente la contestazione del privilegio rientra in tale nozione). Ritengo in proposito che anche se contestazioni non siano presenti al momento dell'omologa, purtuttavia in caso di controversia giudiziaria sia compito degli organi concorsuali, e in particolare obbligo di verifica da parte del commissario, che analoghe provvidenze vengano assunte.

Interessante però è anche domandarsi quale tutela possano avere i creditori in esame ove il ricavato dell'attivo loro riservato venga gravato da soverchie spese prededucibili.

Non risulta praticabile, se non forse in ambito di concordato in continuità, il reclamo ex art.36 l.f. Infatti l'art. 182 2° co., nell'indicare le norme applicabili al liquidatore, non richiamata la suddetta disposizione. Si potrebbe forse pensare a utilizzare tale strumento ove si ritenesse che, nel concordato in continuità, il riparto debba essere curato dal commissario in assenza del liquidatore, ma sembrerebbe ammissibile che in tale evenienza lo stesso andrebbe curato dall'imprenditore, pur sotto la vigilanza del commissario. Or se è vero che per il commissario, grazie al richiamo di cui all'art. 185 l.fall., l'art. 36 è applicabile, tuttavia va detto che tale applicabilità va esclusa in relazione all'attività di semplice vigilanza. La giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Padova 29.6.2016 , in Il caso) ha ritenuto che al mancato richiamo dell'art. 36 l.f da parte dell'art.182 stessa legge a proposito del liquidatore, conseguente ad una scelta del legislatore (ribadita nel pcdc, cfr. art.114, 2°co.), trovasse adeguato rimedio la possibilità per il creditore di promuovere il procedimento nell'art.38 l.f. ma sia pure che il riferimento fosse al precedente art. 37 (revoca), in ogni caso non solo si tratterebbe di un rimedio piuttosto farraginoso, soprattutto esso non sarebbe a disposizione del singolo creditore, ma dipenderebbe da altri organi (il Tribunale o il comitato dei creditori).

Piuttosto una errata distribuzione della prededuzione sull'attivo riservato può essere letta sia come una lesione del credito e in ultima analisi del privilegio dell'ipotecario, il quale potrebbe quindi agire in sede di cognizione ordinaria; oppure potrebbe anche essere letta come una violazione della percentuale promessa in riferimento a quanto stabilito ai sensi della relazione ex art. 160, 2° co., l.f., e allora si tratterebbe di un inadempimento di non scarsa importanza (almeno se la differenza avrà un significato economicamente apprezzabile) e quindi potrebbe giustificare una richiesta di risoluzione del concordato. Il fatto che l'erronea distribuzione dipenda non tanto dall'attività dell'imprenditore quanto da quella del liquidatore, non sarà determinante posto che il SC (per ampi riferimenti ed approfondimenti VITIELLO, sub art. 186, in Codice Commentato del Fallimento, diretto da Lo Cascio, 2008, 1666) ha abbondantemente spiegato come il presupposto della risoluzione di cui all'art. 186 l.f. prescinde dall'elemento soggettivo.

A non diverse conclusioni si giungerà anche ove la liquidazione fosse stata curata, com'è proprio della fase anteriore all'omologa, dal commissario giudiziale, o che sia stata disposta dal piano concordatario ai sensi dell'art. 107, 2° co., l.f.,, posto che anche in tali casi la fase del riparto sarà curata dal liquidatore.

La cancellazione delle ipoteche

In altro scritto cui rinvio (CRIVELLI, Cancellazione delle formalità ex art. 108 e “atti negoziali del curatore, in corso di pubblicazione su Fall) per ogni miglior approfondimento, ho già concluso nel senso che, a seguito di un lungo percorso, la giurisprudenza di legittimità, ormai assecondata da quella prevalente di merito, ritiene che tutte le vendite effettuate in ambito concorsuale siano caratterizzate dalla procedimentalizzazione, siano esse forzate o contrattuali. Conseguentemente il Giudice della Legittimità (cfr. Cass. 8.2.2017, n. 3310) è giunto alla conclusione che il potere di purgazione in capo al giudice delegato, di cui all'art. 182 l.f. (oggi art. 114, 4° co., pcdc), è esercitabile anche per le vendite effettuate attraverso strumenti negoziali od attuativi degli stessi, come nel caso dei contratti definitivi stipulati in esecuzione di un preliminare, specie con riferimento a quelli di cui all'art. 72, 8° co., l.f. (art. 173 pcdc), in quanto nella nostra materia richiamata dall'art. 169 bis, 4° co., stessa legge (art. 97, 13° co., pcdc). Qui in particolare deve ribadirsi che l'art.182 cit. (deve osservarsi che analoga regola in ordine alla potestà di cancellazione non viene richiamata dall'art. 163-bis l.f. in tema di offerte concorrenti, ma da un lato è evidente la procedimentalizzazione anche in tale ipotesi; dall'altro va sottolineato che a rigore la norma richiamata non disciplina una forma di alienazione, ma solo serve a eventualmente sostituire l'offerente circa l'acquisto di un bene con un altro, sottraendo l'alienazione stessa a scelte predeterminate dall'imprenditore e sottoponendola al principio di competitività), a differenza di quanto previsto dall'art. 108 cit., prevede una deroga a siffatto potere, per il caso che sia diversamente disposto dal concordato. Tale facoltà di deroga trova ragione nel fatto che la vendita in ambito concordatario è pur sempre attuativa di un accordo intervenuto fra debitore e massa dei creditori. Ma ciò non toglie nulla alla natura coattiva di tale vendita. Nel fondamentale precedente in argomento del SC infatti (cfr. Cass., SS.UU., 16 luglio 2008, n. 19506, in questa Rivista, 2008, 1394, con nota di G. Lo Cascio, secondo la quale “la vendita dei beni formanti oggetto della cessione, ove pure vi provveda direttamente l'imprenditore non spossessato (...) si realizza in un contesto proceduralizzato dai dettami del concordato omologato, attraverso atti che il medesimo debitore non sarebbe più ormai libero di non compiere, per finalità satisfattorie dei creditori del tutto analoghe a quelle della procedura esecutiva fallimentare ed in un ambito di controlli pubblici del pari destinati a garantire il raggiungimento di tale finalità”. E ciò, precisa la corte, senza pregiudicare la questione circa la natura negoziale della proposta), viene sottolineato come tutte le vendite in ambito concordatario siano caratterizzate appunto da un contesto proceduralizzato dal quale lo stesso debitore non può recedere, stabilito per finalità satisfattive dei creditori (si è già accennato allo speciale potere di cancellazione attribuito dal gd dall'art. 173, 4° co., l.f., per l'ipotesi di preliminare in cui il curatore intenda o debba subentrare).

In effetti anche qui gli atti caratterizzanti il procedimento di liquidazione sono comunque formalizzati e soggetti a controllo, e da ciò deriva l'equiparazione delle vendite concordatarie a quelle fallimentari e dunque la natura coattiva di entrambe (nella sent. Cass. n. 19506/2008, cit., la caratteristica saliente delle vendite concorsuali, tale da far definire le stesse come coattive, sta appunto nell'essere esse “disciplinate da rigorose disposizioni sul cui rispetto gli organi della procedura sono chiamati a vigilare”), sebbene i vincoli ed i limiti potranno anche essere meno stringenti in materia concordataria rispetto a quella fallimentare per le già dette ragioni.

Chiaramente l'omologazione tra le vendite fallimentari e quelle in ambito concordatario è massima ove queste ultime vengano effettuate anteriormente all'omologa (ed a maggior ragione eccezionalmente nella fase c.d. con riserva) o in base al disposto dell'art. 107, co. 2, l.fall., per le quali l'eccezione prevista non opera; ma essa si conferma anche nelle altre ipotesi.

La soluzione comporta ovviamente conseguenze deleterie per i creditori ipotecari, dal momento che eseguire il contratto e disporre conseguentemente la cancellazione delle iscrizioni significa che non occorre a tal fine il consenso del titolare dell'ipoteca, che allorché veniva ritenuto indispensabile era condizionato al versamento dell'intero prezzo, e quindi come sovente accade il soddisfacimento sarà limitato all'importo del saldo prezzo, escluso quindi l'acconto già precedentemente versato. La decisione del SC ha in proposito ritenuto che il credito relativo all'acconto debba essere ammesso sempre in privilegio, ma la soluzione non appare di immediata comprensione ove non siano presenti nell'attivo del concordato proprio i corrispettivi versati per l'acconto in parola.

Il pcdc all'art. 173, 4° co., cdc prevede ora una soluzione diversa, consistente nel confermare il potere di cancellazione indipendentemente dal consenso del creditore ipotecario, ma riconoscendo come opponibile alla massa solo la metà dell'acconto che si dimostri essere stato precedentemente versato dal promissario acquirente.

La procedura esecutiva individuale in pendenza della procedura volta all'omologa del concordato

Sono frequenti le interferenze fra la procedura concorsuale e quella individuale. Ormai da tempo è stata individuato il rapporto come determinante la temporanea improcedibilità della procedura individuale, tra l'altro immancabile ove il rapporto riguardi una procedura concordataria ove non è applicabile il privilegio processuale di cui all'art.41 TUB.

Tale situazione di stallo deriva dal disposto di cui all'art. 168 l.fall. (artt. 54, 2° co e 55, 3° co., pcdc), in base al quale dal momento della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione diventa definitivo, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore.

Qualificando tale situazione come di sospensione ex lege del processo esecutivo, equiparabile a quella che si produce ai sensi dell'art. 623 cpc, se ne devono trarre alcune conseguenze in tema di applicabilità della relativa disciplina.

Ma in realtà, a ben vedere, analoghe conclusioni si traggono ove si ritenga versarsi in ipotesi di temporanea improcedibilità, poiché a mio parere ritenere che il processo esecutivo temporaneamente non può proseguire, val quanto dire che esso è sospeso.

Si pone l'interrogativo se in simili situazioni sia applicabile il disposto di cui all'art.626 cpc, in virtù del quale in costanza di sospensione del processo esecutivo non possono essere posti in essere atti esecutivi salvo diversa disposizione del giudice. Diversa disposizione che dipende in realtà, come noto, dalla natura conservativa dell'atto ovvero della sua piena compatibilità con la quiescenza del processo.

E allora pare evidente che almeno gli atti esecutivi conservativi in senso stretto siano ammissibili anche nell'ipotesi di pendenza di procedura concordataria.

Atti conservativi sono ad esempio quelli attinenti la nomina del custode, che dunque ben potrà essere nominato.

Nel caso della sospensione determinata da pendenza di domanda di concordato la nomina in sé del custode può rendersi necessaria ad esempio per la riscossione dei canoni, così come lo stesso custode rimarrà in carica ove già precedentemente nominato.

Ciò dipende dal fatto che il pignoramento viene meno solo con l'omologa, tanto è vero che in caso di inammissibilità od improcedibilità della domanda, e financo in caso di revoca del concordato, ove a tali pronunce non si accompagni il fallimento (che determina come noto il pignoramento generale dei beni del debitore, e come tale sostituisce quello speciale) potrà riprendere il processo esecutivo (essendo venuta meno la causa di temporanea improcedibilità o di sospensione) sorretto dal pignoramento che pertanto è rimasto pienamente efficace, e addirittura verrà cancellato solo dopo la vendita come dispone l'art. 182 l.fall.

Finché quindi il concordato non sia omologato il bene soggiace al pignoramento ed alle relative regole, tra cui quella dell‘estensione dello stesso ai frutti, come disciplinata dall'art. 2912 c.c.

Dopo l'omologa le attività gestorie anche dei beni precedentemente pignorati passano invece al liquidatore, e ad esso saranno devoluti anche i conti delle procedure esecutive individuali, fermi restando il privilegi ipotecario che sui frutti si eserciterà.

Ipoteche su beni di terzi e per i terzi

Ben può accadere che in una vicenda concordataria siano coinvolti beni di terzi. Poco qui interessa l'ipotesi in cui terzi concedano ipoteca su loro beni al fine di garantire l'adempimento del concordato, dal momento che ove si verifichino i presupposti per escutere siffatta garanzia gli organi concordatari altro non faranno che promuovere un'esecuzione individuale sul bene a mente degli artt. 602 segg. cpc.

Ad esito della distribuzione effettuata ai sensi dell'art. 596 cpc verrà attribuito alla procedura il ricavato spettante, che poi entrerà a far parte dell'attivo e verrà ivi ripartito come d'ordinario fra i creditori.

Trattandosi peraltro di un ricavato volto all'adempimento del concordato, esso dovrà contribuire a soddisfare i creditori in base alla proposta, e dunque salvo diversa disposizione (es. allorché l'ipoteca non sia posta a garanzia del versamento della finanza esterna, nel qual caso infatti il ricavato andrà imputato a quest'ultima), esso potrà verosimilmente essere attribuito ai creditori ipotecari in quanto tali solo in ipotesi di concordato in continuità, al fine di ottemperare alla percentuale assicurata agli stessi ai sensi di quanto ricavabile dalla relazione ex art. 160, 2° co., l.fall. (posto che in caso di concordato liquidatorio agli ipotecari andrà il ricavato della vendita dei beni su cui esercitano la loro prelazione, in disparte il soddisfacimento della porzione degradata al chirografo).

Più interessante il caso di beni di terzi che vengono a formare la dote concordataria, i quali però siano oggetto di ipoteca (verosimilmente in presenza di un differenziale positivo fra il loro valore e il credito garantito) a favore di terzi.

Tali beni verranno ovviamente liquidati in ambito concordatario, ma si pone allora la necessità di tutelare il creditore ipotecario estraneo.

Allo stesso anzitutto andrà indirizzato l'avviso previsto dall'art. 107, 3° co., l.fall. Aldilà di ciò egli rimane un creditore estraneo, pertanto non vota e si trova in una condizione rispetto alla procedura non dissimile da quella del creditore del comproprietario nel processo esecutivo che abbia ad oggetto una quota, come delineata quindi dall'art. 1113 c.c.

Peraltro va sottolineato che l'esecuzione su tale bene non trova ostacolo nel disposto di cui all'art. 168 l.fall., trattandosi di un bene che non fa parte del patrimonio del debitore. Pertanto il creditore ipotecario, ove frattanto la liquidazione non sia stata promossa dal liquidatore del concordato, ben potrà agire in esecuzione individuale sul bene, e in tale ipotesi il liquidatore potrà solo intervenire nella stessa per esigere in sede distributiva la porzione di ricavato che sopravanzerà al soddisfacimento del creditore prelatizio estraneo.

Infine può verificarsi l'ipotesi in cui siano i beni del proponente ad essere oggetto di ipoteca a garanzia di terzi.

In tale ipotesi si può senz'altro mutuare l'orientamento del SC (cfr. Cass. 28.9.2017, n. 27504), in virtù del quale tali soggetti non vengono trattati come creditori concorsuali, non essendo creditori diretti del presentatore, e quindi per realizzare le loro pretese dovranno avvalersi delle norme di cui agli artt. 602 segg. cpc.

Naturalmente ove il bene venga a formare oggetto di liquidazione in sede concordataria essi dovranno essere soddisfatti seguendo i criteri che si sono già illustrati.

Di fatto le più rilevanti conseguenze di tale orientamento si hanno in materia fallimentare, in cui i suddetti terzi non potranno far verificare il proprio credito, mentre in materia concordataria siffatto accertamento come noto non è previsto.

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