La conciliazione nel procedimento di ATP

08 Gennaio 2019

Il procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c., che l'art. 128 del Codice della proprietà industriale ha espressamente previsto anche per la materia della proprietà industriale, risponde alla ratio di anticipare, rispetto alla causa di merito, una parte se non l'intera istruzione probatoria, per consentire alle parti della possibile controversia giudiziale una prognosi sull'esito di essa, così da favorire la conciliazione o, nei casi cui la consulenza non giunga a conclusioni nette, da indurre la parte che vanti una pretesa a rinunciare ad azionarla in giudizio.
Il CTU dominus del tentativo di conciliazione

Come è noto il procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c., che l'art. 128 del Codice della proprietà industriale, come modificato dall'art. 55 d.lgs. n. 131/2010, ha espressamente previsto anche per la materia della proprietà industriale, risponde alla ratio di anticipare, rispetto alla causa di merito, una parte se non l'intera istruzione probatoria, per consentire alle parti della possibile controversia giudiziale una prognosi sull'esito di essa, così da favorire la conciliazione o, nei casi cui la consulenza non giunga a conclusioni nette, da indurre la parte che vanti una pretesa a rinunciare ad azionarla in giudizio.

Nell'ambito di tale giudizio sommario ha quindi un particolare rilievo il tentativo di conciliazione ad opera del CTU, che l'art. 696-bis, comma 1, ultimo periodo, c.p.c. prevede sia esperito “ove possibile”.

La previsione si differenzia da quella contenuta nell'art. 199 c.p.c. in materia di CTU contabile perché, in quest'ultimo caso, come anche in qualsiasi altra CTU, l'incarico al consulente di conciliare la lite deve essere conferito espressamente dal giudice, mentre nel caso in esame deriva direttamente dalla legge cosicchè non deve costituire oggetto del mandato al professionista da officiare.

É opportuno peraltro evidenziare che, qualora il CTU esperisse il tentativo di conciliazione senza aver ricevuto specifico incarico, la sua iniziativa non avrebbe nessuna incidenza negativa sulla sua attività, tanto meno se questa conducesse ad una conciliazione. L'unica conseguenza potrebbe essere quella che non potrebbe essergli liquidato un compenso per essa.

Al contempo può escludersi che l'omissione del tentativo di conciliazione di cui l'ausiliario sia stato incaricato determini la nullità della consulenza o che possa essere fonte di responsabilità del consulente sul piano risarcitorio.

Il significato della nozione di “possibilità” di esperimento del tentativo di conciliazione è oggetto di interpretazione diverse.

Secondo una tesi dottrinale essa si riferisce alle controversie su diritti indisponibili, nelle quali il consulente sarebbe esonerato dall'incombente ma ad essa può obiettarsi che il carattere indisponibile del diritto costituisce motivo di inammissibilità della stessa consulenza preventiva, salvo che non vi sia urgenza, poiché in questo caso il ricorso avrebbe anche una funzione di istruzione preventiva.

Ed allora l‘impossibilità alla quale allude la norma non può essere che quella dovuta alla mancata costituzione del soggetto resistente ed anche quella derivante dalla sussistenza di un contrasto non rimediabile tra le parti costituite (un rifiuto espresso di conciliare).

Tempi e modalità di effettuazione del tentativo di conciliazione

L'art. 696-bis c.p.c. colloca l'incombente prima del deposito della relazione, lasciando così intendere che debba seguire il completamento delle operazioni peritali ma precedere la comunicazione alle parti del loro esito.

É stato però giustamente osservato che la norma non vieta una diversa modalità operativa.

La soluzione che appare più ragionevole, anche perchè valorizza al massimo le possibilità conciliative dell'istituto, è allora quella di rimettere al consulente la facoltà di individuare il momento più opportuno per interloquire con le parti al fine di sondare le possibilità di una conciliazione.

In alcuni casi infatti può essere opportuno tentare la conciliazione prima di avviare le indagini tecniche; in altri invece può essere utile procedere subito alla verifica tecnica e provare la conciliazione sulla base dei risultati parziali e provvisori che possono offrire a CTU e parti gli elementi necessari ad ipotizzare una soluzione conciliativa; in altri casi ancora potrà risultare più indicato esperire il tentativo di conciliazione dopo la redazione e comunicazione alle parti di una bozza della relazione.

Quest'ultima modalità non è più controindicata delle altre poichè le conclusioni espresse nella bozza della relazione non sono definitive. Esse infatti potrebbero essere modificate in tutto o in parte a seguito delle osservazioni dei CTP (se si ritiene applicabile nella consulenza preventiva l'art. 195, comma 3, c.p.c.) e quindi le parti potrebbero assumerle quale materia di confronto e di reciproche concessioni.

Infine sono opportune alcune considerazioni sulle altre condizioni che possono favorire la conciliazione.

Il tentativo poi avrà maggiori possibilità di successo se il CTU avrà l'accortezza di convocare le parti o i loro difensori e CT davanti a sé. La stessa giurisprudenza ha dimostrato di considerare tale modalità proficua (cfr. Trib. Arezzo, 9 marzo 2010, che ha espressamente imposto al consulente la fissazione di un'apposita sessione conciliativa in un procedimento di ATP).

É dubbio se il CTU, nell'ambito del tentativo di conciliazione, possa tenere sessioni separate con ciascuna parte al fine di assumere informazioni che esse potrebbero non voler rivelare davanti alla controparte.

La risposta in prima battuta parrebbe negativa, se si considera che la legge nulla dispone al riguardo, mentre una simile modalità è espressamente prevista in relazione al procedimento di mediazione dall'art. 9 del d.lgs. n. 28/2010, che stabilisce che il mediatore debba tenere riservate le dichiarazioni rese da ciascuna parte, nel corso di tali sessioni.

Peraltro, qualora il CTU si facesse autorizzare preventivamente dalle parti, già al momento del conferimento dell'incarico, a ricorrere a tale incidente se lo ritenesse opportuno per raggiungere la conciliazione, non si ravvisano ostacoli al suo impiego. Le parti non potrebbero infatti lamentare una lesione del diritto al contraddittorio proprio in considerazione della specifica finalità della separata interlocuzione con esse.

Ci si è anche chiesti se il CTU possa formulare proposte conciliative ai sensi dell'art. 91 c.p.c.

Secondo alcuni autori proposte di conciliazione possono derivare anche dalle operazioni del CTU, sia in sede di tentativo di conciliazione tipico (previsto dagli artt. 198, 199 e 200 c.p.c.), sia in sede di consulenza tecnica preventiva ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c., sia in sede di trattative atipiche di conciliazione svoltesi con l'impulso del CTU.

Altri reputano problematica l'opzione di attribuire direttamente al CTU la facoltà di formulare la proposta conciliativa rilevante ai sensi dell'art. 91, comma 1, c.p.c., perlomeno nel giudizio ordinario, poiché l'esercizio di essa sembra presupporre la conoscenza di tutti gli aspetti rilevanti della controversia, che il CTU, a causa dei limiti intrinseci del suo intervento, non ha.

Non pare però potersi negare tale facoltà nell'ambito del procedimento ex art. 696-bis c.p.c., vista la prevalente funzione conciliativa dell'ausiliario del giudice.

Anzi, si è sostenuto che il consulente tecnico può prospettare un'ipotesi transattiva anche in una procedura contumaciale, poichè tale base conciliativa può comunque essere fruttuosamente utilizzata dalle parti anche in un momento successivo, sebbene non sia chiaro come, in tale ipotesi, la proposta conciliativa possa essere comunicata alla parte rimasta contumace.

È evidente poi che, a fronte di una proposta conciliativa anticipata già alla fase preventiva, sarà maggiore l'effetto persuasivo che la legge riconnette all'eventualità del suo rifiuto, perché maggiore sarà l'entità della condanna alle spese alla quale si espone la parte che oppone un rifiuto ingiustificato.

Gli attuali ostacoli al successo dell'istituto

Molti commentatori concordano sull'indispensabilità, per assicurare il successo della consulenza preventiva, di una specifica preparazione al compito conciliativo dei professionisti che svolgono l'incarico di CTU, mediante l'organizzazione di adeguati percorsi di formazione, di cui spiace però constatare tuttora la assenza o la scarsissima diffusione.

Il legislatore si è reso conto di tale mancanza nel momento in cui ha previsto una disciplina ad hoc per le CTU mediche nella l.n. 24/2017 (cd. legge Gelli-Bianco) di cui si dirà nel prossimo paragrafo.

Infine anche una adeguata commisurazione del compenso per il CTU al particolare tipo di attività che è chiamato a svolgere sarebbe confacente all'obiettivo.

Deve però evidenziarsi come il d.P.R. n. 115/2002 non preveda nessuno criterio specifico per la determinazione del compenso da riconoscersi al CTU per l'attività conciliativa svolta su incarico del giudice, cosicchè, qualora essa non conduca ad un esito positivo (se la causa si conclude invece con un accordo transattivo in esso sarà anche concordata l'entità del compenso del CTU), non resta che utilizzare il criterio residuale delle vacazioni, che consente di tener conto del tempo impiegato per espletare il tentativo di conciliazione.

Esso però, non è remunerativo, anche se si riconoscesse la maggiorazione per l'eccezionale importanza, difficoltà e complessità della prestazione (art. 52, comma 1. d.P.R.) cosicchè la sua applicazione può disincentivare il CTU dall'impegnarsi in quel tipo di attività se non intraveda in breve tempo delle concrete prospettive conciliative.

Solo qualora il procedimento fosse caratterizzato dall'urgenza poi potrà riconoscersi la maggiorazione prevista dall'art. 51 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 per i casi di urgenza.

Il tentativo di conciliazione (obbligatorio) nelle cause di responsabilità sanitaria

La legge 8 marzo 2017, n. 24, entrata in vigore il primo aprile dello stesso anno, ha introdotto nel nostro sistema processuale una consulenza tecnica preventiva con funzione conciliativa quale condizione di procedibilità della domanda risarcitoria da responsabilità sanitaria.

Il nuovo istituto presenta alcune peculiarità, che lo distinguono dal procedimento ex art. 696-bis c.p.c., prima tra tutte quella che l'accertamento medico va espletato in forma collegiale da un medico specializzato in medicina legale e da uno o più specialisti (così l'art. 15 della legge Gelli-Bianco), requisito che peraltro, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza di merito (Trib. Verona, 17 maggio 2018), in difetto di una specifica previsione, non può ritenersi richiesto a pena di nullità.

La norma succitata stabilisce anche una serie di requisiti che i professionisti devono avere per poter rivestire l'incarico, tra i quali, l'essere in possesso di adeguate e comprovate competenze nell'ambito della conciliazione, acquisite anche mediante specifici, ma non meglio individuati, “percorsi formativi”.

L'art. 8 della l. n. 24/2017 stabilisce altresì l'obbligo di formulare nel corso del procedimento una offerta di risarcimento del danno ovvero di comunicare i motivi per cui non si intende avanzarla (la formulazione ricalca quella dell'art. 148, commi 1 e 2 del Codice delle Assicurazioni).

Essa viene interpretata dalla maggior parte degli autori come impositiva di un onere per le sole imprese di assicurazione. A rigore, però, per come è formulata (il pronome “che”, essendo preceduto da una virgola, si riferisce alle parti), riguarda tutti i soggetti resistenti nel procedimento, ovvero quelli che sono in grado di assumere una simile iniziativa, ma non anche il ricorrente, rispetto al quale si sarebbe dovuto parlare di proposta conciliativa.

Si tratterebbe quindi di una disciplina derogatoria rispetto a quella dell'art. 91, comma 1, secondo periodo, c.p.c., che invece riconosce alle parti del giudizio la facoltà di formulare una proposta conciliativa.

Se però si considera che, come subito si dirà, solo per le compagnie di assicurazione è prevista una sanzione in caso di mancata formulazione della offerta, si può concludere che l'adempimento riguarda solo loro.

Peraltro non è previsto un termine entro il quale la proposta transattiva va avanzata cosicchè deve ritenersi che essa possa essere indirizzata, ai CTU o direttamente alla controparte, e depositata nel fascicolo telematico, dopo che i CTU abbiano espresso la loro valutazione, purchè prima del deposito tempestivo della relazione, che costituisce la naturale conclusione del procedimento di ATP.

É evidente infatti che solo l'esito della CTU può offrire ai convenuti gli elementi utili a valutare se assumere o meno una simile iniziativa.

Peraltro, qualora l'offerta dovesse essere formulata dopo il deposito della relazione dei CTU, il danneggiato avrà comunque modo di valutarla nel termine (90 giorni) stabilito per proporre il giudizio di merito e anche di evitare l'instaurazione dello stesso, se dovesse aderirvi.

L'offerta transattiva, così come la sua eventuale accettazione, per essere valide dovranno provenire dalla parte o da un suo procuratore speciale.

L'impresa di assicurazione che non abbia formulato una proposta transattiva, o che non abbia esplicitato le ragioni per non farlo (la norma non menziona anche tale ipotesi ma la si desume in via interpretativa), è soggetta alla segnalazione, da parte del giudice, all'Istituto di vigilanza sulle assicurazioni ma solo nel in cui il successivo giudizio di meritodovesse concludersi con una decisione favorevole al danneggiato (stando al tenore letterale della legge potrà trattarsi anche di una ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. e non solo di una sentenza).

A fronte di tale disciplina si pone la questione di stabilire cosa debba intendersi per pronuncia favorevole. Ad avviso di chi scrive si tratta della decisione di merito che abbia almeno riconosciuto un risarcimento danno in favore dell'attore atteso che, qualora esso fosse stato escluso, verrebbe meno, sia pure a posteriori, il presupposto giustificante la necessità di una proposta conciliativa risarcitoria.

Non potranno invece esimere dalla segnalazione all'Ivass le ragioni della decisione di merito.

Non è invece previsto che siano valutate le ragioni addotte a sostegno della mancata formulazione della proposta e un simile sindacato non può essere introdotto in via interpretativa poiché la medesima formula si rinviene anche nei commi 1 e 2 dell'art. 148 del Codice delle Assicurazioni. Qualsiasi motivazione sarà quindi sufficiente a giustificare una simile scelta, compresa la non condivisione delle conclusioni della CTU o la mancata conclusione di essa e la conseguente impossibilità di conoscere la valutazione del danno.

La formulazione di una proposta conciliativa potrà essere comunque opportuna per i danneggianti (ad esempio anche per le strutture sanitarie che operino in regime di auto-assicurazione fino a quando non entrerà in vigore il nuovo regime assicurativo) perché consentirà loro di riversare il carico delle spese, sia dell'ATP che del successivo giudizio, sul danneggiato che la dovesse rifiutare senza giustificato motivo, grazie al meccanismo di cui all'art. 91, comma 1, secondo periodo, c.p.c..

Occorre peraltro interrogarsi su come l'obbligo, per almeno alcune delle parti del procedimento, di formulare una offerta risarcitoria si concili con la funzione conciliativa della quale il c.t.u. medico legale e gli specialisti sono sicuramente investiti, come si è detto nel primo paragrafo, con il conferimento dell'incarico ma che restano liberi di valutare se e quando esercitare effettivamente, anche nel procedimento ex art. 8 l. n. 24/2017, nonostante il tenore letterale del terzo comma dell'art. 8 presupponga che il tentativo di conciliazione sia sempre esperito e si collochi prima del deposito della relazione di CTU (lo si desume dal fatto che il termine per proporre il giudizio sommario può decorrere dal deposito della relazione, «ove la conciliazione non riesca»).

É evidente, infatti, che, qualunque fosse l'atteggiamento delle assicurazioni rispetto alla prospettiva conciliativa, facilmente esso rischierebbe di vanificare le possibilità di un intervento del CTU, a meno di non pensare che questi non anticipi le determinazioni di quelle, o di altre parti, formulando lui una proposta conciliativa, magari nell'ambito del tentativo di conciliazione condotto alla presenza delle parti.

Qualora ciò accada non è chiaro se l'eventuale adesione della compagnia di assicurazione alla proposta conciliativa del CTU assolva all'obbligo di offerta risarcitoria.

Proprio per consentire l'applicazione del peculiare regime che si è illustrato il c.t.u. dovrà dar conto nella propria relazione delle eventuali proposte conciliative, da chiunque provengano, che fossero avanzate nel corso del tentativo di conciliazione da lui esperito.

Nel caso la conciliazione non riesca la relazione potrà essere acquisita agli atti del successivo giudizio dal giudice alle condizioni delineate dalla giurisprudenza a proposito della analoga questione postasi rispetto alla relazione prodotta nel procedimento ex art. 696 c.p.c. (cfr. Cass. civ., 28 novembre 2017, n. 28376).

Quanto riferito dal CTU sull'esito del tentativo di conciliazione potrà anche fornire lo spunto al giudice per valutare se sussistano le condizioni per rinnovarlo.

Alcune criticità del nuovo istituto

É evidente come la previsione dell'art. 15 che richiede che i consulenti tecnici abbiano seguito dei percorsi di formazione sulla conciliazione miri ad ovviare a quella mancanza di una specifica competenza nella conciliazione che, come si è detto nel terzo paragrafo, costituisce uno dei maggiori ostacoli al successo dell'ATP conciliativo.

Essa però non pare idonea a realizzare l'obiettivo che si prefiggeva.

Infatti da un lato è destinata a rimanere inattuata per diverso tempo, proprio perchè prima della novella, ai CTU non era richiesta tale competenza e del resto, non si dispone nemmeno di dati sulla base dei quali valutarla (es. elenco delle cause definite in via conciliativa grazie all'opera degli esperti da nominare). Al contempo i corsi succitati non sono stati ancora istituiti. É evidente peraltro che, una volta che saranno avviati, la partecipazione ad essi costituirà requisito sufficiente per essere scelti come consulenti tecnici nelle cause in esame.

L'art. 15 della l. n. 24/2017 fissa anche i criteri per la liquidazione del compenso ai CTU, che deve essere globale ma senza la possibilità di applicare l'aumento, di cui all'art. 53 d.P.R. n. 115/2002, del quaranta per cento per ciascuno dei componenti del collegio.

Emerge qui evidente la volontà del legislatore di imporre la specializzazione senza un aumento dei costi, non risultando persuasiva l'opzione interpretativa secondo cui la norma andrebbe intesa nel senso che ad entrambi i consulenti spetterebbe l'intero.

La soluzione non appare però per nulla ragionevole poiché la necessaria collegialità dell'incarico, e le peculiarità del procedimento in cui viene svolto, giustificherebbero appieno il riconoscimento di quell'aumento, tanto più che il criterio di determinazione del compenso per l'attività conciliativa, risulta piuttosto inadeguato, essendo fondato sulle vacazioni.

A ben vedere, se si fosse voluto davvero incentivare la funzione conciliativa dell'istituto, sarebbe stato più opportuno prevedere la maggiorazione ordinaria del compenso dovuta alla collegialità ed una ulteriore nel caso di esito transattivo, sulla falsariga dell'art.4, comma 6, d.m. n. 55/2014 sui parametri forensi, per l'ipotesi in cui le parti avessero trovato una intesa sul punto in sede di conciliazione.

Guida all'approfondimento
  • Tedoldi, La consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2010, 806 ss.;
  • Vaccari, L'accertamento tecnico preventivo (probatorio, conciliativo, previdenziale, sanitario), Giuffrè, 2018;
  • Vaccari, Le differenti tipologie di conciliazione nel nostro ordinamento, in www.ilProcessoCivile.it.

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