La controversa revisione del regolamento di condominio e l’inutile previsione della sua impugnazione

11 Gennaio 2019

La Riforma della normativa condominiale - entrata in vigore il 18 giugno 2013 - ha lasciato inalterati i commi 2 e 3 dell'art. 1138 c.c., i cui disposti, tuttavia, hanno trovato scarsa e controversa applicazione. In particolare, la prima norma prevede che ciascun condomino possa prendere l'iniziativa - oltre che per la formazione del regolamento - anche per la “revisione” del regolamento esistente...
Il quadro normativo

Il comma 2 dell'art. 1138 c.c. (sul punto inalterato, anche a seguito della l. n. 220/2012) prevede che ciascun condomino possa prendere l'iniziativa - oltre che per la formazione del regolamento sempre nell'edificio il cui numero dei condomini sia superiore a dieci - anche per la “revisione” del regolamento esistente.

L'àmbito di operatività della predetta revisione risulta circoscritto alle disposizioni elencate nel comma 1 di tale disposto normativo, e cioè a quelle c.d. meramente regolamentari, in quanto dirette a disciplinare l'uso e l'amministrazione delle cose comuni, mentre restano estranee alla previsione de qua le modificazioni inerenti alla determinazione dei valori millesimali - relativamente alle quali deve farsi riferimento alla diversa disciplina di cui all'art. 69 disp. att. c.c. - nonché quelle che investano i criteri di ripartizione delle spese o altre clausole del regolamento che riflettano diritti ed obblighi dei condomini derivanti dai singoli atti di acquisto delle proprietà individuali (così, ad esempio, non potrebbe essere oggetto di revisione la clausola che implichi limitazioni alle modalità di godimento delle proprietà esclusive).

Il comma 3 dell'art. 1138 c.c. contempla, poi, la possibilità di “impugnare” il regolamento di condominio, davanti al giudice del luogo dove si trova l'edificio in condominio, “a norma dell'art. 1107” c.c. - norma, quest'ultima, contemplata nella disciplina della comunione - la quale prevede che ciascuno dei partecipanti dissenzienti possa impugnare davanti all'autorità giudiziaria il regolamento della comunione entro trenta giorni dalla deliberazione che lo ha approvato, laddove, per gli assenti, il termine decorre dal giorno in cui è stata loro comunicata la deliberazione; si stabilisce, altresì, che il magistrato decide con unica sentenza sulle opposizioni proposte, precisando che, decorso il suddetto termine senza che il regolamento sia stato impugnato, “questo ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dei singoli partecipanti”.

La revisione del regolamento

Delimitato in tal modo l'àmbito di applicazione della revisione prevista dall'art. 1138, comma 2, c.c., è apparsa in realtà dubbia la stessa configurabilità di un ricorso al giudice per la revisione del regolamento (peraltro, se azionata in sede di impugnazione della deliberazione di rigetto dell'iniziativa del condomino, non sembra ipotizzabile una contrarietà di detta statuizione alla legge ex art. 1137 c.c.).

Secondo un orientamento dottrinario (Crescenzi), potrebbe ricondursi nella sfera della volontaria giurisdizione la domanda tesa alla revisione dello stesso, perché il relativo procedimento è caratterizzato dall'assenza di contenuti contenziosi per la difficoltà di ravvisare la titolarità di posizioni giuridiche soggettive, e dalla finalità di supplire alla mancanza di una valida deliberazione assembleare, anche se difficilmente inquadrabile negli schemi dell'art. 1105 c.c., stante che la modifica del regolamento esistente non riveste, di regola, carattere di “provvedimento necessario per l'amministrazione della cosa comune”, salva l'ipotesi che l'esigenza di revisione non sia determinata dalla totale inadeguatezza di quello vigente che, anche rispetto ai singoli aspetti dello stesso, si configuri di fatto ostativa ad una corretta gestione della cosa comune.

L'impugnazione del regolamento. Il dissenso dei singoli

Dunque, il singolo può impugnare il regolamento entro trenta giorni, decorrenti dalla deliberazione che lo ha approvato per i dissenzienti - ed ora anche per gli astenuti, analogamente alla modifica apportata al comma 2 dell'art. 1137 c.c. dalla l. n. 220/2012, anche se l'art. 1107 c.c. mantiene sul punto la formulazione originaria, non essendo ragionevole un diverso regime - nonché dalla relativa comunicazione per gli assenti alla riunione, e non dalla data in cui il regolamento è stato formato o è stato oggetto di allegazione nel registro tenuto dall'amministratore, stante che quest'ultima dovrebbe avvenire eventualmente dopo che lo stesso è diventato efficace appunto per difetto di impugnazione (secondo App. Roma 21 luglio 1954, il termine fissato dall'art. 1107 c.c. non è perentorio, sicché ogni condomino ha diritto di ottenere giudizialmente la revisione della valutazione delle singole quote di proprietà, anche se egli non abbia impugnato nei trenta giorni la deliberazione con cui sia stato deciso di non procedere a tale revisione). A prescindere dalla posizione dei presenti (dissenzienti o/e astenuti), stante che il termine per l'impugnazione per gli assenti decorre, per ciascuno di essi, dal giorno in cui è stata comunicata la deliberazione di approvazione del regolamento, qualora quest'ultimo incombente sia realizzato in tempi differenti (specie laddove gli assenti siano in numero rilevante), si ritiene che il regolamento divenga definitivo solo dopo l'inutile decorso del termine di trenta giorni dall'ultima comunicazione, non potendo lo stesso essere valido solo per una parte dei condomini e non per altri.

La sospensione dell'atto

È, altresì, stabilito che il giudice decide con unica sentenza sulle opposizioni proposte, e che, decorso inutilmente tale termine, il regolamento approvato è efficace rispetto a tutti i condomini; se è fatta opposizione, il regolamento medesimo acquista efficacia con il passaggio in giudicato della sentenza che disattende l'opposizione (l'impugnazione, in realtà, non sospende l'efficacia già esistente, ma la ritarda soltanto); una volta entrato in vigore, il regolamento ha efficacia, oltre che per tutti i condomini (compresi i dissenzienti, gli astenuti e gli assenti), anche per gli eredi e gli aventi causa dai singoli partecipanti.

Peraltro, stando alla lettera del combinato disposto degli artt. 1107, comma 2, e 1138, comma 3, c.c., sembrerebbe che il solo fatto dell'impugnativa di un condomino sospenda, senz'altro, l'efficacia dell'intero regolamento, qualunque sia il titolo dell'impugnativa, e cioè anche quando ne sia impugnata una sola clausola (al contrario, dal disposto dell'art. 1137, comma 3, c.c. emerge che l'iniziativa giudiziale non sospende l'esecuzione della deliberazione impugnata).

La dottrina (Branca; Peretti Griva; Visco) ritiene, invece, che qualora sia impugnata (anche per motivi di nullità) solo una qualche norma del regolamento (e non già la deliberazione approvativa di esso) non connessa con le rimanenti disposizioni, il regolamento può avere ugualmente effetto, con l'esclusione delle clausole sub iudice, anche se, di fatto, non appare agevole individuare quali clausole siano o meno indissolubilmente legate alle altre; in altri termini, non sembra che, nelle more dell'impugnazione, si debba consentire agli organi del condominio di indagare quale sia il rapporto tra la clausola impugnata e tutte le altre, ossia se il regolamento sarebbe stato approvato senza quella clausola argomentando ex art. 1419 c.c., stante la difficoltà di comprendere la volontà di una maggioranza attraverso valutazioni unilaterali, che non possono tenere conto di tutti gli interessi in gioco, «potendosi correre il rischio di scindere la volontà complessiva, con l'effetto di provocare nuove contese» (così Fragali).

La norma in esame, purtroppo, non contiene alcuna indicazione sul come riprenda efficacia il regolamento, nel caso in cui il giudice rigetti l'impugnativa, o, accogliendola, ne faccia salva una parte; ciò, comunque, non sembra rispondere allo spirito della legge che, invece, mira ad accelerare il più possibile l'entrata in vigore del regolamento, imponendo un così breve termine di impugnativa.

I vizi della deliberazione

Va, preliminarmente, circoscritto l'àmbito di operatività della norma in oggetto, in quanto l'art. 1107 c.c. - al pari del successivo art. 1137 c.c. in ordine alle deliberazioni assembleari del condominio - si limita a specificare la legittimazione (dissenzienti, astenuti ed assenti) ed il termine (trenta giorni), ma nulla dice sulle ragioni sostanziali dell'impugnazione.

Da un lato, è indubitabile che la deliberazione di approvazione del regolamento sia soggetta, al pari di ogni altra deliberazione assembleare, all'impugnativa di cui all'art. 1137 c.c., per tutti quei vizi che si risolvano in una situazione di contrarietà alla legge (ad esempio, irregolarità nella convocazione o difetto di quorum deliberativo), dall'altro, non ha senso correlare alla mancata impugnazione nel predetto termine l'efficacia del regolamento rispetto a quelle disposizioni che non possono essere approvate a maggioranza (ad esempio, modifiche ai criteri legali di riparto delle spese o clausole limitative dei diritti di proprietà esclusiva dei singoli).

Altrimenti, l'impugnazione dovrebbe riguardare soltanto i vizi del regolamento in quanto tale, e non quelli della deliberazione che lo ha approvato o che ne ha eventualmente rifiutato l'approvazione, i quali potrebbero essere fatti valere con l'impugnazione prevista dall'art. 1137 c.c., mentre dovrebbero sfuggire alla sfera di applicazione dell'art. 1107 c.c. ed alla relativa decadenza le impugnative avverso quelle clausole regolamentari che violino i diritti di qualche condomino sulla sua proprietà esclusiva, o che pregiudichino i suoi diritti sulle cose o servizi comuni quali risultino degli atti di acquisto o dalle convenzioni, oppure che contengano disposizioni in contrasto con norme imperative o inderogabili di legge, in quanto l'inefficacia del regolamento potrà essere fatta valere senza limiti di tempo, ed anche mediante accertamento incidentale, in quanto discendente da clausole affette da nullità (Triola).

In quest'ottica, non appare corretto (ad avviso di Corona) distinguere tra l'impugnazione della deliberazione che approva il regolamento e l'impugnazione avente ad oggetto il medesimo regolamento - anche se così si esprimono gli artt. 1107, commi 1 e 2, e 1138, comma 3, ultima parte, c.c. - o le singole disposizioni regolamentari; è vero che potrebbe esserci una deliberazione invalida, ossia affetta dai vizi riguardanti il procedimento di formazione - ad esempio, per il mancato rispetto del termine previsto per l'avviso di convocazione, ma stesso discorso vale per le successive fasi della costituzione, votazione, verbalizzazione, ecc. - che ha approvato norme regolamentari valide sotto il profilo contenutistico, per cui, se non impugnata, in quanto invalida, nel prescritto termine di decadenza, tali norme spiegherebbero tranquillamente la loro efficacia, come potrebbe esserci una deliberazione formalmente inattaccabile che contenga disposizioni regolamentari invalide - ad esempio, vietando una data destinazione all'appartamento - perché aventi ad oggetto materie esulanti dalle competenze assembleari o incidenti nelle posizioni soggettive dei singoli.

È noto, infatti, che l'impugnazione delle deliberazioni di approvazione del regolamento è regolata dalle regole enunciate nell'art. 1137, comma 2, c.c., che pone a fondamento i vizi consistenti nella contrarietà alla legge o al regolamento, che comportano l'annullabilità della relativa deliberazione, mentre è generalmente riconosciuta, anche se non prevista, la figura della nullità consistente nell'illiceità e nell'impossibilità dell'oggetto (v., per tutte, Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806), ma non per questo, anche per ciò che concerne l'impugnazione delle norme regolamentari, vanno distinte le cause di annullabilità e quelle di nullità.

Invero, l'annullabilità attiene agli atti, ossia alle deliberazioni di approvazione del regolamento, e non alle regole contenute nello stesso (riguarda la forma e non la sostanza); in altri termini, il vizio attiene al procedimento formativo della decisione assembleare - convocazione, costituzione, quorum, ecc. - e non al contenuto precettivo della stessa, sicché le norme regolamentari, purché concernenti le materie predeterminate dal comma 1 dell'art. 1138 c.c., possono essere invalidate - non direttamente, ma in via mediata - mediante un annullamento della relativa deliberazione di approvazione, assunta senza il rispetto delle regole procedimentali stabilite per la loro formazione.

Laddove, invece, la norma regolamentare abbia un contenuto che esula dalla competenza assembleare, o leda le posizioni soggettive dei singoli, oppure deroghi alle prescrizioni di legge imperative - ad esempio, la clausola, rispettivamente, che autorizzi il collegio a realizzare un ascensore che renda parte dello stabile inservibile all'uso di un condominio, o che interferisca nella destinazione di un appartamento vietandone l'adibizione a studio dentistico, oppure che precluda ai dissenzienti di separare la propria responsabilità in caso di liti - è sempre la deliberazione che ha approvato il regolamento ad essere viziata, questa volta di nullità, in quanto il suo oggetto, cioè il precetto in essa contenuto, è caratterizzato dall'impossibilità o dall'illiceità; la predetta deliberazione, proprio perché affetta da nullità, potrà essere impugnata (da chiunque abbia interesse) in parte de qua - che non travolge la restante parte della deliberazione concernente le altre regole non legate alle prime da nessi di connessione - anche se decorsi i termini ex art. 1107 c.c., non potendo un vizio così grave essere sanato con il mero decorrere del tempo.

La peculiarità del regolamento contrattuale

Qualche precisazione merita il regolamento contrattuale, in quanto con il procedimento di “impugnazione” - terminologia impropria ai sensi e per gli effetti del combinato disposto di cui agli artt. 1107 e 1138 c.c. - si fanno, in realtà, valere i vizi del negozio, ossia i vizi della convenzione che approva il regolamento, o della fattispecie negoziale composta dalla clausola di adesione e dal testo regolamentare predisposto dal proprietario-venditore.

In quest'ultima ipotesi, l'impugnazione del regolamento contrattuale è disciplinata dalle regole ordinarie in tema di invalidità dei contratti, nelle tradizionali figure della nullità e dell'annullabilità, con i differenti regimi - mutuabili da quelli relativi alle deliberazioni assembleari - in punto a legittimazione a proporre la domanda, limiti temporali per farla valere, prescrittibilità, rilevabilità d'ufficio, retroattività della sentenza, riflessi rispetto ai terzi, efficacia costitutiva o dichiarativa, e quant'altro.

La prima figura - nullità - ricorre quando sussiste la contrarietà a norme imperative, la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'art. 1325 c.c. (l'accordo delle parti, la causa, l'oggetto e la forma prescritta a pena di nullità), l'illiceità della causa ex art. 1343 c.c. o dei motivi quando le parti si sono determinate a concludere l'atto per un motivo illecito comune ad entrambe ai sensi dell'art. 1345 c.c., oppure la mancanza nell'oggetto dei requisiti richiesti dall'art. 1346 c.c. (possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità).

Si è riconosciuto (Corona) che le discussioni e le trattative prolungate che precedono, rispettivamente, le suddette convenzione ed adesione, rendono consapevoli le parti del tenore degli accordi, i quali vengono stipulati in piena consapevolezza e libertà, tanto che raramente il regolamento contrattuale possa essere inficiato dalla dichiarazione non seria, dalla violenza fisica e dall'incapacità di intendere e di volere; altrettanto rari, attese le modalità concrete con cui si perfeziona il suddetto regolamento, sono la mancanza di causa, oggetto e forma prescritta; più probabile, invece, che le parti stipulino accordi in cui si riscontri la contrarietà della causa, dei motivi e dell'oggetto alle norme imperative (ad esempio, quelle inderogabili ex art. 1138, comma 4, c.c.), all'ordine pubblico ed al buon costume (si pensi alle clausole che autorizzino la destinazione dei locali all'esercizio della prostituzione o alla ripresa di film pornografici).

La seconda figura - annullabilità - ricorre allorquando sussistano le ipotesi previste dagli artt. 1425-1440 c.c. relative alla convenzione con cui tutti i condomini stipulano il regolamento, o alla clausola di adesione con cui ciascun acquirente aderisce allo stesso regolamento predisposto dal costruttore-venditore.

In quest'ottica, si può richiamare, ad esempio, l'incapacità di agire, l'incapacità di intendere e di volere, sempre che si provi il pregiudizio per l'incapace - ad esempio, l'imputazione, in misura assolutamente sproporzionata, di spese per la pulizia e l'illuminazione dipendenti dall'adibizione di un appartamento a studio professionale - nonché la mala fede degli altri contraenti, i quali conoscevano lo stato di incapacità naturale ed il pregiudizio per l'incapace, o avrebbero potuto conoscerli con l'ordinaria diligenza (tuttavia, lo stesso Corona dà atto che, quando il regolamento è allegato alla compravendita, si può ipotizzare l'adesione dell'incapace di intendere e di volere, il suo pregiudizio, la malafede del costruttore-venditore, ecc., ma è più difficile ipotizzare gli stessi vizi nella convenzione stipulata da tutti i condomini, essendo inverosimile che tutti intendano approfittare dell'incapacità di uno dei partecipanti al gruppo).

Si possono richiamare, altresì, i vizi del consenso, ossia qualora la volontà dei contraenti o dell'acquirente sia dichiarata per errore, nei casi di errore di fatto (come falsa rappresentazione della realtà), e errore di diritto (si pensi al caso dell'ignoranza delle norme di regolamento predisposto dal venditore, che riservino a quest'ultimo la proprietà della facciata dello stabile vietandone l'uso ai condomini, laddove l'acquirente si era indotto a comprare il negozio sito sul fronte strada con l'intenzione di utilizzare la stessa facciata apponendo un'insegna luminosa per pubblicizzare l'attività commerciale svolta in tale locale).

Si possono rammentare, infine, l'errore ostativo (che cade nella dichiarazione esterna), o qualora il consenso sia stato estorto con la minaccia (che, se non fosse stato prestato, sarebbe stato inferto un male alla persona o ai beni dei condomini, acquirenti, e loro familiari), oppure qualora i condomini stipulanti o l'acquirente siano stati indotti in errore da raggiri usati da alcuni condomini, dal venditore o da terzi (purché l'inganno sia tale che, senza lo stesso, le parti non avrebbero concluso il contratto).

I poteri sostitutori del giudice

Chiarito l'àmbito e ravvisata forse la sostanziale inutilità, al riguardo, della reiterazione dello strumento processuale già previsto nell'art. 1137 c.c., va riconosciuto sicuramente il carattere contenzioso dell'azione per l'impugnazione del regolamento condominiale, per tutti quei vizi che si risolvano in una situazione di contrarietà alla legge; tenuto conto, poi, che il regolamento obbligatorio deve, in base all'art. 1138, comma 1, c.c., avere un determinato contenuto, è da ritenere che l'impugnazione è ammessa anche per far valere la sua incompletezza (perché, ad esempio, non contiene norme circa l'uso delle cose comuni).

Tale affermazione è desumibile dal raffronto con la generale disciplina delle impugnazioni delle deliberazioni assembleari di cui all'art. 1137 c.c. - significativo che l'art. 1138 citato rinvia al precedente art. 1107 c.c., che fa riferimento alla “sentenza” come provvedimento dell'autorità giudiziaria che decide sulla predetta impugnazione - escludendo, quindi, la possibilità di configurare l'intervento giudiziale come finalizzato ad un controllo della regolamentazione del condominio, in funzione dei generali interessi della collettività, secondo i criteri propri della volontaria giurisdizione (Crescenzi).

Accertata la natura contenziosa del giudizio e, quindi, l'assoggettamento dello stesso alle regole del processo ordinario, per completezza, va puntualizzato che, riferendosi genericamente gli artt. 1107 e 1138 c.c. allo strumento della “impugnazione”, la forma dell'atto introduttivo è quella ordinaria della citazione - segnatamente, a seguito della modifica dell'art. 1137 c.c. da parte della Riforma del 2013 - mentre competente risulta il Tribunale (trattandosi di causa di valore indeterminabile) del luogo dove si trova l'edificio in condominio (essendo “causa fra condomini” rispetto alla quale l'art. 23 c.p.c. applica il criterio del locus rei, esteso dalla l. n. 220/2012 anche alle “cause tra condomini e condominio”).

Sempre sotto il profilo processuale, dal punto di vista attivo, sono legittimati i condomini assenti, i dissenzienti e gli astenuti; atteso che destinatari delle norme regolamentari sono tutti i partecipanti, per il solo fatto di essere vincolati all'osservanza di esse, si è sostenuto che non si presuppone un interesse concreto all'eliminazione della norma regolamentare viziata, nel senso che non occorre che la predetta norma leda un interesse specifico di chi impugna e questi si trovi nella situazione prevista dalla norma di cui si chiede l'eliminazione dal contesto regolamentare (Trib. Firenze 14 marzo 1963).

Dal punto di vista passivo, stante che il regolamento, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione (esterna o interna), si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto convenzionale del condominio, di cui ne disciplina la vita e l'attività come ente di gestione, come atto volto ad incidere su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico con un complesso di regole giuridicamente rilevanti per tutti, l'azione proposta da uno o più condomini per ottenere la declaratoria di nullità del regolamento, deve avere come contraddittori necessari tutti gli altri condomini, non potendo l'eventuale sentenza di accoglimento ritenersi utiliter data (Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1995, n. 12342; Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1992, n. 11626; Cass. civ., sez. II, 30 marzo 1990, n. 2590; Trib. Milano 11 giugno 1952; contra, per la legittimazione passiva dell'amministratore perché l'impugnazione del regolamento è una controversia relativa alle parti comuni ex art. 1131, comma 2, c.c., v. Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1978, n. 5769, e App. Bari 3 febbraio 1954; per l'esclusione di tale legittimazione solo allorché si faccia valere l'invalidità di disposizioni regolamentari aventi natura contrattuale, v. Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1972, n. 2605).

In conclusione

Risultano, tuttavia, controversi, nel caso dell'impugnativa del regolamento di condominio, i limiti del potere di intervento giudiziale e le modalità di esercizio di tale intervento qualora la domanda sia accolta.

Secondo alcuni (Andreoli), il giudice adìto non può formulare direttamente la norma lesiva, ma solo porla nel nulla, trattandosi di materia suscettibile di autodisciplina da parte dell'assemblea, per cui non potrebbe sostituirsi a quest'ultima per imporre un proprio criterio ed una propria valutazione in luogo della disposizione regolamentare ritenuta illegittima o dannosa; una volta che il magistrato, investito dell'impugnativa, ha dichiarato nulla la norma lesiva, avrà assolto il suo compito, rimettendo così all'assemblea - sola competente ex lege a formare il regolamento ex art. 1138 c.c. - il compito ulteriore di sostituire alla disposizione annullata un'altra ritenuta più adeguata, riconsiderando opportunamente tutti gli interessi della collettività.

Secondo altri, il giudice, annullando la disposizione illegittima e rinviando all'assemblea, dovrebbe precisare anche il modo in cui la modifica stessa dovrebbe essere effettuata, le esigenze di cui dovrebbe tener conto la nuova disposizione, ecc., in pratica, tutti gli elementi che ritiene utile indicare al fine di soddisfare le giuste esigenze del condomino opponente (secondo Salis, il giudice non ha il potere di fare un regolamento quando l'assemblea si rifiuti di formarlo, ma ha il potere di ordinarne la modifica, precisando il modo in cui qualche disposizione debba essere formulata per evitare la lesione di un diritto che taluno dei partecipanti lamenti, o per evitare la violazione di qualche norma di legge che alla maggioranza dei condomini non è concesso derogare); oppure, lo stesso giudice, qualora riformuli una norma approvata in assemblea, o disponga che sia inserita nel regolamento una norma che l'assemblea ha respinto, dovrebbe decidere su un testo già predisposto e valutare le ragioni che si oppongono all'adozione di quel testo o di altri più attendibili, senza sostituirsi all'autonomia dell'assemblea, emettendo una sentenza che accerti l'obbligo dei partecipanti di sottostare ad un dato comportamento (Fragali).

Secondo altriancora (Triola), posto che l'impugnazione è diretta soltanto contro le norme circa l'uso delle cose comuni, la tutela del decoro, l'amministrazione, ed ha necessariamente ad oggetto il controllo sul corretto esercizio dell'autonomia spettante all'assemblea in relazione soprattutto alle caratteristiche dell'edificio, il giudice, qualora accolga l'impugnazione, non deve pronunciare l'annullamento delle disposizioni contestate, non ricorrendo alcuna ipotesi di violazione di legge, ma sostituisce la propria valutazione discrezionale, sulla base delle predette caratteristiche ed avendo presente l'equo contemperamento delle esigenze di tutti gli interessati, a quella ritenuta non corretta dell'assemblea.

Guida all'approfondimento

Corona, I regolamenti di condominio, Torino,2004, 87;

Triola, Condominio e contenzioso, Milano, 1995, 131;

Crescenzi, Le controversie condominiali, Padova, 1991, 224;

Branca, Comunione. Condominio negli edifici, Bologna-Roma, 1982, 220;

Fragali, La comunione, Milano, 1973, 510;

Visco, Le case in condominio, Milano, 1967, 437;

Salis, Il condominio negli edifici,Torino, 1964, 414;

Andreoli, I regolamenti di condominio, Torino, 1961, 153;

Peretti Griva, Il condominio di case divise in parti, Torino, 1960, 443.

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