La responsabilità dei sindaci per omesso controllo sull’attività gestoria

Cristina Cengia
14 Gennaio 2019

In tema di prescrizione dell'azione di responsabilità promossa dai creditori sociali, ai sensi dell'art. 2394 c.c. il bilancio costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della società non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere, onde un bilancio in attivo o in pareggio è idoneo ad offrire un'informazione rassicurante ed affidabile.
Massima

In tema di prescrizione dell'azione di responsabilità promossa dai creditori sociali, ai sensi dell'art. 2394 c.c. il bilancio costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della società non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere, onde un bilancio in attivo o in pareggio è idoneo ad offrire un'informazione rassicurante ed affidabile.

Allorché, poi, nonostante la relazione dei sindaci al bilancio, in cui si evidenzi l'inadeguatezza della valutazione di alcune voci, l'assemblea deliberi comunque la distribuzione degli utili ai soci ai sensi dell'art. 2433 c.c. senza obiezioni, in quella sede, da parte degli organi sociali di gestione e di controllo, l'idoneità, o no, di detta relazione sindacale ad integrare di per sé l'elemento della oggettiva percepibilità per i creditori circa la falsità dei risultati attestati dal bilancio sociale rimane oggetto di un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito.

Il caso

La vicenda oggetto della sentenza n. 21662 del 5 settembre 2018 della Corte di Cassazione riguarda fatti di mala gestio commessi dagli amministratori di una società cooperativa a responsabilità limitata e l'omesso controllo sulla condotta gestoria da parte dei sindaci della stessa.

La condotta degli amministratori è consistita nella redazione di alcuni bilanci senza rispettare i principi contabili, valutando erroneamente gli ammortamenti e le immobilizzazioni in bilancio.

I sindaci, da parte loro, avevano evidenziato nelle relazioni al bilancio lo squilibrio patrimoniale, la sottocapitalizzazione, l'indebitamento e l'inadeguatezza dei fondi di ammortamento senza, tuttavia, attivarsi per assicurare che l'organo gestorio effettuasse correttamente le valutazioni a norma dell'art. 2426 c.c.

Ne erano derivati bilanci in pareggio o in utile, pertanto in apparenza idonei a fondare l'affidamento dei creditori in ordine alla solidità patrimoniale della società e alla garanzia patrimoniale generica espletata dal patrimonio della stessa, sebbene nei fatti recassero utili di esercizio fittizi.

Alla luce dei fatti descritti il curatore della società - nel frattempo fallita - aveva esercitato l'azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori e sindaci ai sensi dell'art. 146 l. fall.

Il Tribunale e la Corte d'appello hanno ritenuto fondata l'azione di responsabilità, seppur condannando al risarcimento del danno soggetti diversi.

La sentenza di secondo grado veniva impugnata dinnanzi alla Corte di Cassazione mediante la proposizione di due distinti ricorsi.

Il primo ricorso, proposto dagli ex amministratori e da uno dei sindaci, si fonda su motivi concernenti la fondatezza dell'eccezione di prescrizione; il secondo ricorso, invece, proposto da ex sindaci, fa perno sull'analisi dei poteri-doveri dei sindaci e sulla responsabilità degli stessi.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, rigetta entrambi i ricorsi in forza delle argomentazioni che vengono di seguito illustrate.

Le questioni e le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione si è espressa, in particolare, in ordine a un duplice profilo relativo all'azione di responsabilità ai sensi dell'art. 2394 c.c. – cui si rinvia implicitamente nell'art. 146, comma 2, lett. a), l.fall. - interessandosi, da un lato, della prescrizione dell'azione e, dall'altro, dei presupposti al ricorrere dei quali sorge la responsabilità in capo, specificamente, ai sindaci.

Al fine di meglio comprendere l'oggetto di trattazione, si premette che in forza dell'art. 2407, comma 2, c.c. - articolo dal quale deriva la responsabilità solidale degli amministratori e dei sindaci - di frequente le responsabilità di tali soggetti sono concorrenti, poiché il danno subito dai creditori sociali deriva da condotte dolose o colpose degli amministratori che i sindaci avrebbero potuto o dovuto prevenire o impedire assolvendo agli obblighi di vigilanza di cui sono destinatari.

Con riguardo alla prima tematica trattata, quella cioè relativa alla prescrizione dell'azione, si pone la questione di individuare il momento a partire dal quale decorre il termine quinquennale di prescrizione dell'azione ex art. 2394 c.c., stabilito dall'art. 2949, comma 2, c.c.

A tale fine, dopo una breve ricostruzione della decisione adottata dal giudice di secondo grado, la Suprema Corte si sofferma nell'analizzare il quadro normativo di riferimento.

La prima norma rilevante viene individuata nell'art. 2394, comma 2,c.c., che disciplina l'azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori la quale, come noto, si applica anche nei confronti dei sindaci in forza del richiamo operato dall'art. 2407, comma 3, c.c..

Tale azione può essere esperita al ricorrere dei seguenti presupposti:

  • l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio da parte degli amministratori;
  • l'insufficienza del patrimonio sociale rispetto al soddisfacimento dei crediti.

Per quel che qui interessa, è di rilievo cogliere l'esatto spazio temporale a partire dal quale l'azione può essere esperita e, nello specifico, si tratta di interrogarsi su che cosa abbia inteso il Legislatore riferendosi al momento in cui “il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei crediti”.

Tale situazione si verifica allorché dalla condotta degli amministratori discenda una diminuzione patrimoniale tale da compromettere la funzione di garanzia generica svolta dal patrimonio della società ai sensi dell'art. 2740 c.c..

Nello specifico, l'insufficienza patrimoniale si verifica quando la società si trovi in una situazione in cui l'attivo sociale è insufficiente a soddisfare i debiti della società, in altri termini le passività eccedono le attività. Si tratta, pertanto, di un mero fatto contabile (Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204, in Foro it., 2018).

La seconda norma menzionata è l'art. 2935 c.c. che, in termini generali, stabilisce che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

È pacifico che il termine di prescrizione inizi a decorrere dal momento in cui il danno sia oggettivamente percepibile e che, con riferimento all'azione di cui all'art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell'art. 146 l.fall., decorra dal momento in cui l'attivo si sia palesato in modo oggettivamente percepibile da parte dei creditori come inidoneo a soddisfarli.

Si tratta non diun soggettivismo psicologico, ma della valutazione astratta di conoscibilità: non già mero fatto soggettivo di conoscenza del danno da parte del titolare dell'azione, bensì rilievo del dato oggettivo della sua conoscibilità da parte dei terzi creditori, posti così nella condizione di esercitare il proprio diritto” (Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204, cit.). Si esclude, dunque, che il dies a quo della prescrizione coincida con il momento dell'effettiva conoscenza dell'insufficienza patrimoniale. A questo proposito la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria ritengono che il termine quinquennale decorre dal momento in cui la commissione dei fatti che integrano la responsabilità risulti oggettivamente conoscibile da parte dei creditori con l'ordinaria diligenza (Cass. 14 dicembre 2015, n. 25178, in Giust. Civ. Massimario, 2015; Cass. 21 giugno 2012, n. 10378, in Giust. civ. Massimario, 2012, 6, 828; Cass., S.U., 6 ottobre 1981, n. 5241, in Giust. Civ. Massimario, 1981, 10; Cass. 22 aprile 2009, n. 9619, in Giust. civ. Massimario, 2009, 4, 666; F. BONELLI, Gli amministratori di società per azioni, Milano, Giuffrè, 1985, p. 311; C. CONFORTI, La responsabilità civile degli amministratori di società per azioni, Milano, Giuffrè, 2012, pp. 1021-1022).

Quanto all'individuazione di tale dies a quo, la giurisprudenza ha più volte affermato che l'insufficienza patrimoniale non corrisponde necessariamente allo stato di insolvenza ex art. 5 l.fall., ma che si può manifestare in un momento precedente. A tale proposito la giurisprudenza ha indicato una serie di fatti sintomatici di assoluta evidenza che consentono di individuare il momento di esteriorizzazione dell'insufficienza patrimoniale, come la chiusura della sede, i bilanci fortemente passivi, l'assenza di cespiti suscettibili di espropriazione forzata (Cass. 8 aprile 2009, n. 8516, in Giust. civ. Mass. 2009, 4, 603).

Con riguardo all'onere della prova, vi è una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo della prescrizione e la dichiarazione di fallimento gravando sull'amministratore o sul sindaco che eccepisce la prescrizione dare prova che l'insufficienza patrimoniale si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento (Cass. 29 dicembre 2017, n. 31204, cit.; Cass. 4 dicembre 2015 n. 24715, in Giust. Civ. Massimario, 2015; Cass. 12 giugno 2014, n. 13378, in Guida al diritto 2014, 45, 54).

Facendo applicazione delle norme e dei principi richiamati, la Corte di Cassazione ha preso posizione in ordine alla tesi sostenuta dai ricorrenti ritenendola infondata.

Infatti i ricorrenti sostenevano che l'insufficienza patrimoniale si fosse verificata ben prima dell'approvazione del bilancio relativo all'esercizio chiuso al 31 agosto 1993, in quanto sin dalle relazioni dei sindaci relative al bilancio dell'esercizio 1990 emergeva uno squilibrio patrimoniale. Pertanto l'insufficienza del patrimonio sociale rispetto al soddisfacimento dei crediti sarebbe risalita al 1990 e l'azione di responsabilità proposta nei loro confronti sarebbe risultata prescritta.

La Corte, invece, sosteneva che la prescrizione decorresse dall'anno 1993, data in cui dal bilancio sociale emergeva per la prima volta un'ingente perdita patrimoniale. Infatti, secondo i giudici di legittimità, il bilancio rappresenterebbe l'unico strumento idoneo a porre i soci, i creditori e in generale i terzi nelle condizioni oggettive di comprendere lo stato in cui si trova la società, costituendo il documento indicativo della capacità della società stessa di assolvere alle proprie obbligazioni. Pertanto, sebbene già le precedenti relazioni ai bilanci contenessero dei chiari segnali in ordine alla non corretta valutazione di alcune voci del bilancio, solo quest'ultimo era in grado di fornire informazioni affidabili ai creditori.

La seconda questione trattata dalla Corte di Cassazione è quella relativa ai doveri e alla responsabilità dei sindaci, cui è dedicata la maggior parte dei motivi del ricorso proposto dagli ex sindaci.

Seguendo l'approccio della Corte di Cassazione nell'affrontare il tema suesposto, giova illustrare quali siano i doveri che spettano all'organo di controllo, disciplinati dall'art. 2403 ss. c.c. (nonché da altre norme specifiche), premettendo che i fatti oggetto del giudizio risalgono a un periodo antecedente la riforma societaria del 2003.

L'excursus in punto di diritto effettuato dalla Suprema Corte prende l'avvio proprio da tale precisazione: nonostante l'attuale formulazione dell'art. 2403 c.c. sia l'esito della riforma del diritto societario operata con il d.lgs. 6/2003, già in precedenza i doveri gravanti sui sindaci erano descritti in modo ampio non recando il previgente articolo una tipizzazione dei doveri.

Ai sensi della previsione contenuta nell'art. 2403 c.c. il compito dei sindaci consiste nel controllo sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.

Peraltro,i doveri di controllo imposti ai sindaci perseguono una funzione di tutela non solo dell'interesse dei soci, ma anche di quello – concorrente – dei creditori sociali. Ne deriva una responsabilità in capo ai sindaci nei confronti di detti creditori sociali nel caso in cui risulti compromessa l'integrità del patrimonio sociale e si verifichi l'insufficienza del medesimo a soddisfarli.

Al fine dell'attribuzione della responsabilità dei sindaci occorre che gli stessi tengano una condotta (quantomeno) colpevole, rilevando la colpa sotto due profili: colpa nella conoscenza, allorché il sindaco non rilevi colposamente la condotta inadempiente dell'organo gestorio, e colpa nell'attivazione, se, pur essendo a conoscenza dei fatti, il sindaco ometta di esercitare prontamente ed efficacemente i suoi poteri impeditivi. Pertanto, al fine del corretto adempimento dell'incarico loro conferito, i sindaci non possono limitarsi ad espletare le attività specificamente indicate dalla legge, configurandosi in capo ad essi l'ulteriore obbligo di adottare ogni altro atto necessario al diligente svolgimento dell'incarico.

Più specificamente, secondo la Corte e in continuità con la giurisprudenza consolidata (Cass. 22 gennaio 2018, n. 1529, in questo portale, con nota di Franchi, I doveri di vigilanza del collegio sindacale di società di diritto comune e di società bancarie; Cass. 10 aprile 2018, n. 8805; Cass. 3 luglio 2017, n. 16314, in Dirittobancario.it; Cass. 11 novembre 2010, n. 22911, Giust. civ. Mass. 2010, 11, 1437; Cass. 24 marzo 1999, n. 2772, in Giust. civ. Mass. 1999, 657; Cass. 28 maggio 1998, n. 5287, in Giust. civ. Mass. 1998, 1154; Cass.17 settembre 1997, n. 9252, in Giust. civ. Mass. 1997, 1735), il dovere di controllo imposto ai sindaci non può limitarsi al mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione degli amministratori, dovendosi invece concretizzarsi nel potere-dovere di chiedere notizie sull'andamento generale e su specifiche operazioni, intervenendo attivamente e con tempestività per mutare condotte reputate non conformi alla legge.

Nel caso di specie la Corte non ha ritenuto sufficiente la denuncia da parte dei sindaci nella relazione al bilancio dello squilibrio della struttura patrimoniale e finanziaria, accompagnata dalla segnalazione dell'esigenza di un risanamento. Secondo i Giudici, i sindaci avrebbero dovuto altresì sollecitare i soci in assemblea o, come consentito dalla legge all'epoca dei fatti, il pubblico ministero ai fini della denuncia ex art. 2409 c.c., posto che ante riforma non era prevista la legittimazione attiva della denuncia al tribunale per l'organo di controllo.

La ratio di questi ulteriori controlli trova il proprio fondamento nel dovere dei sindaci, ex art. 2407 c.c., di orientare il proprio comportamento secondo la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico, al fine della massima garanzia sull'osservanza delle regole di corretta amministrazione e della maggiore tutela dei creditori sociali (Cass. 15 febbraio 2005, n. 3032, in Giust. civ. 2006, 4-5, I, 967; Cass. 8 febbraio 2005, n. 2538, in Giust. civ. Mass. 2005, 2). Ne consegue l'obbligo in capo al sindaco di adottare ogni atto – pur non tipizzato – necessario al diligente assolvimento dell'incarico (Cass. 3 luglio 2017, n. 16314, cit.).

Avendo omesso di porre in essere gli atti necessari per far fronte alle iniziative illecite dell'organo amministrativo, i sindaci concorrono dunque nell'illecito civile commesso dagli amministratori (consistente nella redazione dei bilanci senza il rispetto dei principi contabili) per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti dalla legge e non aver proficuamente reagito alle modalità escogitate dall'organo gestorio, “non essendo sufficiente”, secondo la Corte, “limitarsi ad una blanda, inefficace critica”.

Ciò vale a fortiori con specifico riferimento a talune forme societarie (nel caso di specie si trattava di una società cooperativa a responsabilità limitata) soggette a influenze esterne anche pregiudizievoli per la società stessa, ove tali controlli devono essere più intensi.

Osservazioni

La sentenza della Cassazione interviene a far luce sulla disciplina dell'organo di controllo delle società, delineando la responsabilità dei sindaci che non operano fattivamente per evitare la commissione, da parte degli amministratori, di atti volti a integrare un illecito gestorio. In tal senso la pronuncia della Suprema Corte si pone in continuità con il filone giurisprudenziale secondo cui i doveri posti in capo ai componenti del Collegio Sindacale non possono essere adempiuti in maniera passiva, cioè basandosi sui soli flussi informativi di cui i sindaci sono destinatari, ma devono essere attuati in maniera attiva, gravando quindi sui sindaci l'obbligo precipuo di richiedere ulteriori approfondimenti e informazioni agli organi interni alla società nonché al revisore esterno qualora nutrano dubbi sulle rappresentazioni delle poste di bilancio (Cass. 22 gennaio 2018, n. 1529, in questo portale).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.