Subprocedimento ex art. 549 c.p.c.: sommario, ma dal quale non sono esclusi i principi generali
15 Gennaio 2019
Massima
Il subprocedimento di cui all'art. 549 c.p.c. rappresenta un accertamento esecutivo di natura sommaria, ma dal quale non sono esclusi i principi generali in materia di ripartizione dell'onere della prova, sicché incombe sul creditore l'onere di fornire la prova dell'esistenza del credito vantato dal debitore nei confronti del terzo pignorato, mentre quest'ultimo dovrà dimostrare di aver estinto la sua obbligazione prima del pignoramento. Il caso
Nel corso di un procedimento di espropriazione presso terzi, il terzo debitore fa pervenire la c.d. dichiarazione di quantità, con la quale afferma la non sussistenza di crediti in favore del debitore esecutato, in quanto il terzo è a sua volta creditore nei confronti di questi. Il creditore contesta tale dichiarazione formulando ex art. 549 c.p.c. istanza di accertamento dell'obbligo del terzo. A sostegno delle proprie ragioni il creditore allega copia di tre decreti ingiuntivi ottenuti dal debitore in danno del terzo. Il giudice osserva che dei tre provvedimenti monitori in questione due sono stati emessi in data anteriore alla notifica del pignoramento, mentre con riferimento all'altro è pendente un giudizio di opposizione, con la conseguenza che tale credito risulta allo stato litigioso. La questione
La controversia sorta in merito all'accertamento – ai fini esecutivi – della sussistenza di un debito in capo al terzo in favore dell'esecutato consente al giudicante di affermare alcuni importanti principi di diritto in tema di espropriazione presso terzi, prendendo posizione su di alcune rilevanti questioni inerenti il nuovo modello procedurale conseguente alle riforme degli anni 2012, 2014 e 2015. Le soluzioni giuridiche
In primo luogo il giudice prende posizione in merito alla natura del subprocedimento accertativo di cui all'art. 549 c.p.c, come noto conseguente al caso in cui siano sorte contestazioni in merito alla c.d. dichiarazione di valore operata dal terzo. Il Tribunale opera argomenta sulla base di una similitudine tra il tenore letterale dell'articolo citato, il quale dispone che il giudice dell'esecuzione risolve le contestazioni in merito alla dichiarazione del terzo «compiuti i necessari accertamenti» e la lettera di altre disposizioni di legge, quali l'art. 512 c.p.c. in tema di controversie in merito alla distribuzione del ricavato, l'art. 702-bis c.p.c., a norma del quale nel procedimento sommario di cognizione il giudice procede nel modo ritenuto più opportuno «agli atti di istruzione rilevanti», nonché l'art. 669-sexies c.p.c., secondo il quale nel processo cautelare uniforme si procede agli «atti di istruzione indispensabili». Tale disamina consente di evidenziare come la deformalizzazione del procedimento di cui all'art. 549 c.p.c. implichi il suo carattere sommario non solo con riferimento all'iter procedimentale, ma anche avuto riguardo agli accertamenti probatori da svolgere. Ciò, tuttavia, non implica anche una deroga ai principi fondamentali dettati in merito ad ogni tipologia di procedimento, quali il principio dispositivo e le regole in tema di riparto dell'onere della prova. Proprio con riferimento a tale ultimo fondamento il giudice reputa pacificamente applicabile al procedimento de quo il disposto dell'art. 2697 c.c., facendo proprie le conclusioni alle quali è pervenuta anche la Corte di cassazione (cfr. in particolare Cass. civ., sez. III, sent., 19 aprile 2018, n. 9624, nonché Cass. civ., sez. VI, sent., 21 marzo 2014, n. 6760) sicché deve concludersi nel senso che incombe sul creditore l'onere di fornire la prova della sussistenza del credito nei confronti del debitor debitoris (ovvero l'appartenenza a quest'ultimo della cosa pignorata), mentre l'onere di dimostrare l'avvenuta estinzione dell'obbligazione prima del pignoramento grava sul terzo pignorato. Partendo da tale constatazione il Tribunale partenopeo riconosce l'esistenza di tale prova con riferimento al caso di specie, rinvenendola nella sussistenza di un decreto ingiuntivo ottenuto dal debitore nei confronti del terzo, sebbene la somma ivi contenuta sia da considerarsi come un credito c.d. litigioso, stante la opposizione spiegata dal debitor debitoris e l'eccezione di compensazione mossa in quella diversa Sede. La mancata costituzione nel subprocedimento ex art. 549 c.p.c., tuttavia, non consente al terzo di far valere detta eccezione. Nel percorso argomentativo dell'ordinanza in nota, inoltre, la natura di parentesi cognitiva endoesecutiva costituita dal procedimento in parola implica altresì la non necessità di dichiarare ex art. 295 c.p.c. la sospensione necessaria del processo esecutivo, posto che alla luce delle riforme a partire dal 2012 non è necessario incardinare un autonomo processo di cognizione teso all'accertamento della sussistenza o meno di un debito in capo al terzo. In conclusione il Tribunale dichiara la sussistenza di un credito in favore del debitore esecutato e nei confronti del terzo pignorato.
Osservazioni
La pronuncia in nota risulta di notevole interesse poiché ricostruisce alcuni elementi fondamentali del procedimento di espropriazione presso terzi. Come noto tale forma di esecuzione forzata rinviene la propria disciplina all'interno del Capo III del Titolo II del Libro III del codice di rito, agli artt. 543 ss.; queste norme sono state interessate da diversi interventi di riforma, che hanno rimodellato il volto dell'espropriazione presso terzi, specie con riferimento alle modalità di dichiarazione del terzo e di relativa contestazione. Ci si riferisce, in particolare, alla l. n. 228/2012, al d.l. n. 132/2014 conv. in l. n. 162/2014 nonché al d.l. n. 83/2015 conv. in l. n. 132/2015. In particolare, come noto, a norma dell'art. 543 c.p.c. il pignoramento deve contenere, tra gli altri elementi, la citazione del debitore a comparire davanti al giudice competente, con l'invito al terzo di comunicare la dichiarazione prevista dall'art. 547 c.p.c. entro dieci giorni a mezzo di raccomandata o di posta elettronica certificata; la mancata dichiarazione in tali termini implica il dover rendere la medesima dichiarazione in un'apposita udienza fissata ad hoc dal giudice dell'esecuzione. Mediante la dichiarazione in parola il terzo deve indicare di quali somme sia debitore nei confronti dell'esecutato (ovvero di quali cose di proprietà di questi egli sia possessore). A norma del citato art. 543 qualora il terzo non compaia all'udienza ovvero, pur comparendo, non presti la dichiarazione, le somme dovute si considerano, in virtù di un meccanismo di ficta confessio, come non contestate da parte del terzo, nei termini indicati dal creditore ed ai (soli) fini del procedimento in corso. Qualora, invece, sorgano contestazioni in merito alla dichiarazione (oppure, a fronte del silenzio del terzo, non sia possibile operare una esatta identificazione del credito o dei beni) si apre un subprocedimento endoesecutivo regolato dall'art. 549 c.p.c. che costituisce un novum rispetto all'impianto originario del codice di rito. Nello specifico, prima della riforma del 2012 era onere del creditore quello di instaurare un apposito – e autonomo – giudizio di cognizione, volto alla definizione dei rapporti tra debitore e terzo. Al fine di ridurre la durata della procedura il legislatore ha operato una rilevante modifica della materia che ci interessa, disponendo che le eventuali contestazioni in merito alla dichiarazione del terzo debbano oggi essere risolte dallo stesso giudice dell'esecuzione: questi, su istanza di parte, provvede mediante ordinanza dopo aver compiuto gli accertamenti necessari, da svolgersi nel contraddittorio tra le parti e con il terzo. La pronuncia produce i propri effetti esclusivamente ai fini del processo in corso ed è impugnabile ex art. 617 c.p.c. mediante opposizione agli atti esecutivi. Come autorevolmente osservato in dottrina i necessari accertamenti svolti dal giudice dell'esecuzione «non sono effettuati con il fine di decidere una volta per tutte la questione relativa all'esistenza del credito pignorato», ma, piuttosto, «al solo fine di emettere un'ordinanza di assegnazione che non ha efficacia preclusiva» con tutto quello che ne può conseguire in termini di contrasto con eventuali altre decisioni (così Luiso, 87); la stessa giurisprudenza ha inoltre sottolineato che «la esigibilità del credito non è a condizione della sua pignorabilità, poiché oggetto dell'espropriazione forzata non è tanto un bene suscettibile di esecuzione immediata quanto una posizione giuridica attiva dell'esecutato, sicché l'espropriazione presso terzi può configurarsi anche con riguardo a crediti illiquidi o condizionati, ma suscettibili di una capacità satisfattiva futura» (così Cass. civ., sez. III, sent., 15 marzo 2004, n. 5235, in Giust. civ. Mass., 2004, 3). Ne consegue, dunque, che anche la sussistenza di un credito c.d. litigioso, ossia ancora sub iudice, sia idoneo a fondare la statuizione positiva ai sensi dell'art. 549 c.p.c. da parte del giudice dell'esecuzione, posto che in tale momento processuale pare potersi affermare un certo favor rispetto alla procedura esecutiva rispetto alla certezza dell'accertamento. Ulteriore conseguenza dell'impianto procedimentale così come riformato negli ultimi anni è la non necessità della sospensione ex art. 295 c.p.c., considerato che, come sopra ricordato, l'accertamento sommario endoesecutivo è oggi svolto dallo stesso giudice dell'esecuzione e non dal giudice della cognizione.
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