Il raddoppio del contributo unificato in materia tributaria
16 Gennaio 2019
La disposizione censurata
Il giudice dell'impugnazione è tenuto a dichiarare l'obbligo della parte soccombente al versamento del contributo unificato pari a quello dovuto in caso di impugnazione integralmente respinta. Così ha disposto il legislatore che, sulla base dell'art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 secondo il quale: «Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso». Alla luce dell'interpretazione letterale del testo normativo sembra esclusa la discrezionalità del giudice in sede di dichiarazione dell'obbligo di versare il contributo unificato: «l'assenza di discrezionalità è infatti predicata dall'indicativo il giudice dà atto» (Martinelli, 38). L'irrilevanza dell'elemento soggettivo di fattispecie sembra escludere l'introduzione di una disposizione attributiva di un nuovo potere sanzionatorio del giudice. L'impiego del verbo indicativo, pertanto, rappresenterebbe una traccia della natura contributiva dell'onere di raddoppio del contributo unificato, applicabile indipendentemente dal grado di colpa dell'appellante e direttamente conseguente al fatto, oggettivo, dell'integrale rigetto dell'impugnazione. La norma parametro e le ragioni di censura
Con le ordinanze di remissione alla Corte costituzionale n. 49 e n. 53 del 2016 della Commissione tributaria di Catanzaro il giudice a quo ha sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame, sulla base della pretesa violazione dell'art. 111 Cost.. Nel dettaglio, la disposizione non sarebbe in linea con il generale principio di parità delle armi considerato che la condanna al raddoppio del contributo unificato può essere emessa soltanto nei confronti della parte privata attesa l'operatività, per le Amministrazioni dello Stato, del meccanismo della prenotazione a debito. La censura è stata parametrata all'archetipo processuale del giusto processo ed agli scopi ad esso sottesi, fra i quali emerge «quello di assicurare alle parti la parità delle armi e quindi la parità (anche) dei risultati astrattamente conseguibili nei processi di ogni tipo (…) Parità che parte dall'azionabilità della pretesa e giunge allo svolgimento di un processo «leale», cioè poggiante su di un costante contraddittorio fra le parti viste in condizioni di parità, pubbliche o private che siano» (Barile,287). Del resto, la Corte costituzionale aveva già fornito un'esegesi delle norme del processo tributario compatibile con il principio di parità delle armi, ammettendo che «la rilevanza pubblicistica dell'obbligazione tributaria» giustifica i penetranti poteri d'indagine dell'Amministrazione finanziaria ma «non implica affatto né consente che tale posizione si perpetui nella successiva fase processuale» (Bignami). In altre parole, il processo di generale uniformazione al modello del giusto processo ha favorito un'esegesi delle norme tributarie che considera tanto le peculiarità della parte pubblica tanto la posizione processuale del contribuente. E così, valorizzando il diritto costituzionale all'azione, il modello del processo tributario si è avvicinato maggiormente al sistema costituzionale «forte» (Gallo, Quale modello processuale per il giudizio tributario?, in Rass. Trib., n. 1/2012, 11-21). In tale contesto si è animata la questione sul c.d. raddoppio, le cui peculiarità, tuttavia, hanno imposto di considerare le specificità della materia tributaria, fra le quali emerge l'operatività dell'art. 14 delle preleggi. Il tema impone di chiedersi in quale modo la disposizione censurata possa di fatto scalfire i diritti e le garanzie del giusto processo, che, in materia tributaria, sono poste a tutela del contribuente che eserciti il proprio diritto all'azione nel processo tributario. In tale contesto, ci si chiede quali diritti e quali garanzie del contribuente possano essere concretamente lesi dalla presenza nell'ordinamento del c.d. raddoppio del contributo unificato. Pertanto, se – in astratto – la parte pubblica è esonerata dall'operatività del raddoppio del contributo unificato, - in concreto - non pare che risulti scalfito il generale diritto all'azione del contribuente nel processo tributario. Del resto, la condotta delineata dalla norma in esame potrebbe rientrare nelle manifestazioni di capacità contributiva ed è già stato chiarito che «è principio generale dell'assetto tributario che lo Stato e le altre Amministrazioni parificate non sono tenute a versare imposte e tasse che gravano sul processo per la evidente ragione che lo Stato verrebbe ad essere al tempo stesso debitore e creditore di se stesso con la conseguenza che l'obbligo non sorge» (Cass.civ., Sez. Un., 8 maggio 2014, n.9938). Affermato che l'iniziativa processuale pretestuosa e dilatoria è contraria alle ragioni dell'economia processuale, è stata esaminata la preminente questione della natura del raddoppio del contributo unificato. Sul punto la Corte costituzionale, in un contesto che ha favorito il generale processo di armonizzazione dei modelli processuali all'archetipo del giusto processo, ha ritenuto preminente l'applicabilità dell'art. 14 delle preleggi che, come noto, riconducendo le norme tributarie nell'ambito dell'eccezione, esclude il ricorso al ragionamento analogico in materia tributaria. La questione, a monte, della natura del raddoppio ha pertanto determinato, a valle, l'esclusione dell'applicabilità della misura in esame al processo tributario e la dichiarazione di inammissibilità delle questioni così prospettate. Sebbene la questione non sia stata analizzata nella prospettiva sovranazionale, il caso in esame – attesa la funzione di norma parametro dell'art. 111 della Costituzione – permette una riflessione intorno all'aderenza del processo tributario italiano al modello europeo. Il tema si è animata con minore incisività in ragione di una limitazione che la stessa Corte di Strasburgo aveva posto con la nota sentenza Ferrazzini. In tale sede la Corte aveva evidenziato che l'elaborazione dei tratti che caratterizzano il giusto processo non riguarda la giustizia tributaria poichè la materia fiscale rappresenta l'espressione di prerogative sovrane, impermeabili ad ingerenze esogene. Alla base della limitazione in esame vi erano poi questioni di natura dogmatica concretizzate nella difficoltà di collocare, attraverso argomentazioni teoriche certe, il processo tributario nell'ambito di applicazione dell'art. 6 CEDU, rappresentato dai «diritti e le obbligazioni di carattere civile» e «le accuse in materia penale». È stato notato in Dottrina che il processo tributario abbia perciò a lungo rappresentato una deroga all'art. 6 CEDU, la cui collocazione nel sistema delle fonti appariva degradata. Il campo di applicazione dell'art. 6 CEDU nel processo tributario, invero, è stato progressivamente ampliato atteso che i principi del giusto processo sono invocabili, oltre che in materia di sanzioni, alle controversie in materia di agevolazioni tributarie, alle controversie in tema di diritti di prelazione del fisco, ai rimborsi tributari, alle verifiche fiscali (Del Federico, 81).
In conclusione
Al di là dell'operatività del meccanismo della prenotazione a debito, che pure ha carattere dirimente, l'Amministrazione pubblica non può essere onerata dal raddoppio del contributo unificato considerato che è generalmente negata l'«applicazione estensiva o analogica al processo tributario del raddoppio del contributo unificato – misura eccezionale e lato sensu sanzionatoria –» e considerato il «tenore testuale della disposizione impugnata, che circoscrive la sua operatività attraverso lo specifico rinvio al processo civile». Alla sentenza in esame, pertanto, è sottesa una riflessione di carattere generale, che dà corpo al quel «futuro delle preleggi» delineato nelle pagine di Alessandro Giuliani, dedicate anche all'educazione del giurista che dovrebbe «insomma offrire gli strumenti di una razionalità idonea a ristabilire il dialogo corretto tra legislatore nazionale e sovranazionale e il giudice» (Rescigno, 27).
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