Un recentissimo emendamento parlamentare al disegno di legge n. 989 (recte: al testo del disegno di legge) ha proposto di sostituire il comma 2 dell'art. 4 con la disposizione che per comodità qui si riporta:
2. «L'art. 560 c.p.c. è sostituito dal seguente:
Art. 560 – Il giudice dell'esecuzione, con ordinanza resa ai sensi dell'art. 569, dispone la nomina di un custode diverso dal debitore.
Il custode ha il dovere di vigilare, affinché il debitore ed il nucleo familiare conservino il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengano e tutelino la sua integrità.
Il debitore ed i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell'immobile e delle sue pertinenze sino al decreto di trasferimento.
Il debitore deve consentire, in accordo con il custode, che l'immobile sia visitato da potenziali acquirenti.
Le modalità del diritto di visita sono contemplate e stabilite nell'ordinanza di cui all'art. 569.
Il giudice ordina, sentito il custode ed il debitore, la liberazione dell'immobile pignorato per lui ed il suo nucleo familiare, qualora sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti ovvero l'immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione per colpa o dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare.
Al debitore è fatto divieto di dare in locazione l'immobile pignorato se non è autorizzato dal giudice dell'esecuzione.
Il giudice non può mai disporre la liberazione dell'immobile pignorato prima dei 90 giorni successivi all'emanazione del decreto di trasferimento ai sensi dell'articolo 586 c.p.c.».
Per motivi di brevità si omette qualsiasi considerazione sulla fattura del testo e ci si limita qui a considerare che il penultimo comma della innovativa versione dell'art. 560 (laddove vieta al debitore la locazione dell'immobile pignorato senza la autorizzazione del g.e.) trascura completamente che: 1) il debitore dopo il pignoramento non può più disporre del bene e, quindi, men che mai concederlo in locazione; 2) e che il primo comma prevede la nomina necessaria di un custode diverso dal debitore ogni volta che viene adottato il provvedimento di autorizzazione a vendita ex art. 569 c.p.c..
A ben guardare ci sembra che il legislatore abbia inteso attuare una forma particolare di amministrazione giudiziaria che già esiste nel nostro ordinamento processuale (cfr. art. 591 c.p.c.) e fallimentare (artt. 104 e 104-bis l.fall.) e che giammai può essere conclusa dall'esecutato o dal fallito, essendo invece rimessa agli organi delle procedure (autorità giudiziaria, curatore fallimentare) proprio perché il debitore (esecutato o fallito) non ha – come già anticipato – il potere di disporre dei beni pignorati o acquisiti nella massa attiva del fallimento nemmeno se munito dell'autorizzazione del giudice.
Maggiore preoccupazione desta l'ultimo comma della versione “innovativa” dell'art. 560 c.p.c. che rinvia la liberazione dell'immobile del fallito a novanta giorni dopo la pronuncia del decreto di trasferimento.
Purtroppo tale proposta non è soltanto inutile come quella di cui si è appena detto, quanto nociva per tutti i soggetti coinvolti nell'espropriazione forzata.
Nuoce senz'altro, in prima battuta, al ceto creditorio perché disincentiva i possibili interessati a formulare delle offerte d'acquisto. Ed infatti non è chiaro perché un terzo soggetto debba raggiungere la determinazione di acquistare un immobile in sede di vendita forzata ed impegnare ingenti somme se nella migliore delle ipotesi ne acquisirà la disponibilità dopo tre mesi dalla pronuncia del decreto di trasferimento.
È appena il caso di sottolineare – per i non addetti ai lavori – che il versamento integrale del prezzo avviene solitamente mesi prima rispetto alla pronuncia del decreto di trasferimento. Sicché ai tre mesi cui fa riferimento l'ultimo comma della proposta suddetta occorre aggiungere il lasso di tempo (mediamente 6 mesi) che intercorre tra il versamento del saldo prezzo e la pronuncia del decreto di trasferimento oltre ai costi ed ai tempi necessari al terzo acquirente per intraprendere l'esecuzione per rilascio laddove il debitore – decorsi i novanta giorni dalla pronuncia del decreto di trasferimento – non liberi spontaneamente l'immobile.
Da queste minime considerazioni è evidente che la proposta di modifica di cui si è detto nuoce, inoltre, alla ragionevole durata dei processi. Non sembra superfluo ripetere che se il debitore continua ad abitare nell'immobile pignorato, sarà assai arduo trovare soggetti interessati ad acquistare oggi un bene di cui potranno disporre solo a medio e lungo termine, se non dopo diversi tentativi di vendita ed a prezzo vile. Se si muove dal presupposto che l'esecuzione efficace necessita soprattutto dell'impegno economico del terzo acquirente; e che l'attuazione di tali modifiche è destinata a dilatare ulteriormente la durata dei processi di espropriazione (v. ad es., la violazione dei parametri fissati dalla cd. Legge Pinto (l. n. 89/2001) e dall'art. 6 Cedu con conseguente responsabilità dello Stato per l'irragionevole prolungamento della procedura), sono evidenti le ricadute negative sulla credibilità del sistema economico nazionale e sulla (in)capacità di quest'ultimo di attrarre investitori.
Né va trascurato che siffatta riforma avrebbe un impatto negativo sul regolare andamento del sistema dei finanziamenti e sul costo del denaro. La previsione di recuperare il credito in misura insufficiente o in tempi eccessivamente lunghi determinerebbe un accesso al credito più problematico e più oneroso, in un momento storico già caratterizzato da una pesante crisi economica.
La suddetta riforma dell'art. 560 c.p.c. paradossalmente finirebbe, inoltre, per nuocere allo stesso debitore che usufruirebbe di una esdebitazione sicuramente inferiore a quella che caratterizza la vendita dell'immobile pignorato come libero (le maggiori spese del processo gravano sull'esecutato; il minor valore del bene liquidato consente di soddisfare i creditori in misura inferiore, lasciando i debiti e la possibilità di aggredire altri cespiti; il debito aumenta durante il processo perché gli interessi moratori continuano a decorrere).
Da ultimo, si aggiunga che se il legislatore volesse perseguire dei tentativi di riforma effettivamente utili a tutti i soggetti del processo esecutivo, meno populisti e concretamente diretti a migliorare l'efficienza dell'espropriazione forzata dovrebbe – a parere di chi scrive – spostare la messa a fuoco sulle problematiche determinate dalle vendite a prezzo vile o al potenziamento dell'amministrazione giudiziaria.