Lavoratrice assente dal lavoro: licenziata per ritorsione?

La Redazione
21 Gennaio 2019

Il licenziamento - per essere considerato ritorsivo - deve costituire l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore e proprio quest'ultimo ha l'onere di indicare e provare i profili specifici da cui desumere l'intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso.

Il caso. La Corte di appello di Napoli rigettava il reclamo proposto avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato da una s.n.c. nei confronti di una sua dipendente per assenza ingiustificata dal lavoro.

Nel dettaglio, la corte territoriale non riteneva che il recesso fosse giustificato da una finalità ritorsiva e, anzi, sosteneva che il rifiuto della donna a prestare attività lavorativa nella sede assegnata a seguito del subentro nell'appalto a cui la stessa era preposta non era giustificato.

Il giudice d'appello premetteva, infatti, che nelle more di altro precedente giudizio che aveva riguardato il licenziamento della donna e che si era concluso con provvedimento di reintegrazione della stessa da parte del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, si era determinata la cessazione dell'appalto cui era addetta la lavoratrice: la società, già a conoscenza dell'ordine di reintegrazione, aveva consapevolmente ritardato la esecuzione dello stesso, così impedendo il passaggio della dipendente alla società subentrante.

La lavoratrice ricorreva per cassazione.

Licenziamento ritorsivo. La donna rileva che dolosamente la società ha ritardato l'esecuzione dell'ordine reintegratorio al fine di non farla rientrare tra i lavoratori passati alla nuova società subentrante nell'appalto.

In altre parole, il licenziamento intimatole ha carattere ritorsivo.


Secondo i principi spesso enunciati dalla Suprema Corte, il licenziamento - per essere considerato ritorsivo - deve costituire l'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore e proprio quest'ultimo ha l'onere di indicare e provare i profili specifici da cui desumere l'intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso.

Nel caso di specie, l'assenza della dipendente per circa sei mesi non può qualificarsi comportamento legittimo, in quanto sussisteva un provvedimento giurisdizionale di rigetto della domanda volta a far valere l'illegittimità del trasferimento.

Provvedimento – questo – che non era stato impugnato e che, quindi, rende definito l'accertamento.

Di conseguenza, il fatto che il rifiuto di prestare servizio non sia legittimo rende sostanziale ed effettiva la ragione del recesso datoriale (assenza ingiustificata) ed esclude la ritorsività del licenziamento.


Alla luce di tali circostanze, il ricorso deve essere considerato inammissibile.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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