La responsabilità solidale del committente per le retribuzioni non pagate

La Redazione
23 Gennaio 2019

Il d.lgs. n. 276 del 2003, art. 29, non prevedeva, sino alle novelle legislative del 2012, un regime di sussidiarietà, delineando dunque una obbligazione solidale in senso stretto, con conseguente irrilevanza di un litisconsorzio necessario tra debitore principale (datore di lavoro-appaltatore) e condebitore (committente).

Il caso. Il tribunale di Firenze aveva accolto il ricorso di un lavoratore nei confronti della società appaltante per il pagamento di somme retributive.

La corte d'appello aveva poi confermato la pronuncia di primo grado ritenendo sussistente, nei confronti del committente, un'obbligazione solidale in senso stretto (e non una mera garanzia sussisidiaria come dedotto dalla società committente) con conseguente irrilevanza di preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore.

La responsabilità solidale del committente per le retribuzioni non pagate. La Corte di cassazione ha anzitutto precisato come la fattispecie in esame fosse soggetta alla disciplina dell'art. 29, d.lgs. n. 276 del 2003, nella formulazione precedente le modifiche apportate nel '92, a seguito della riforma del mercato del lavoro (la l. n. 92 del 2012 che ha previsto il litisconsorzio necessario tra committente, appaltatore ed eventuali subappaltatori nonché modificato il complesso meccanismo per eccepire il beneficio di escussione già introdotto dalla l. n. 35 del 2012).

I giudici di legittimità hanno quindi affermato come, in tema di responsabilità tra appaltatore e committente in relazione ai trattamenti retributivi e contributivi dei lavoratori impiegati in un appalto, l'obbligazione del committente prevista dal d.lgs. n. 276 del 2003, art. 29, pur avendo carattere accessorio, è solidale con quella del debitore principale e pertanto - in mancanza di previsione legale o negoziale del "beneficium excussionis" - non può essere considerata né sussidiaria né eventuale.

Secondo unanime dottrina – continua la Cassazione - in caso di solidarietà passiva, il creditore può rivolgersi indifferentemente a uno o all'altro debitore con la conseguenza che non costituisce ipotesi di solidarietà in senso stretto l'obbligazione sussidiaria là dove il debitore sussidiario è tenuto al pagamento solo in quanto il debitore principale non abbia adempiuto o, a seguito di esperimento dell'azione esecutiva, il suo patrimonio sia risultato incapiente. Il diritto di escussione, opposto dal debitore solidale, può dunque essere pattuito tra le parti (come nel caso della fideiussione, ex art. 1944, c.c., comma 2) o essere previsto dalla legge (come per la responsabilità dei soci nella società semplice, ex art. 2268, c.c., o in nome collettivo, ex art. 2304, c.c.), vigendo - in assenza di specifica previsione di una sussidiarietà - il regime della solidarietà.

Il d.lgs. n. 276 del 2003, art. 29, non prevedeva, sino alle novelle legislative del 2012, un regime di sussidiarietà, delineando dunque una obbligazione solidale in senso stretto, con conseguente irrilevanza di un litisconsorzio necessario tra debitore principale (datore di lavoro-appaltatore) e condebitore (committente).

La previsione, soprattutto se sorretta da un'interpretazione rigorosa dell'area dei debiti garantiti, può ritenersi - per la Corte di legittimità- compatibile con i principi costituzionali del diritto di difesa e di parità delle parti considerato che il committente (come dimostrano gli stralci del contratto di appalto contenuti nel ricorso), in sede di selezione della società appaltatrice, può imporre l'applicazione di condizioni normative e retributive da applicare ai lavoratori dell'appaltatore, generalmente con riferimento ai parametri dettati dalla contrattazione collettiva nazionale e territoriale.

Il tenore letterale del d.lgs. n. 276 del 2003, art. 29 (nella versione precedente le novelle del 2012) nonché la ratio perseguita dal legislatore (consistente nell'affidare al committente il controllo sulla corretta esecuzione del contratto di appalto da parte dell'appaltatore) consentono di ritenere la responsabilità solidale (in senso stretto) del committente alla prestazione resa dal lavoratore seppur nell'ambito dello specifico appalto stipulato da appaltante e appaltatore.

La Suprema Corte cassa pertanto la sentenza impugnata.

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