Gravidanza a rischio: se il ginecologo non monitora in prima persona il travaglio, la sua responsabilità è grave

Redazione Scientifica
25 Gennaio 2019

Di fronte ad una gravidanza a rischio, il medico non può limitarsi a garantire la propria reperibilità durante il parto, ma deve vigilare sulle condizioni di salute sia della partoriente che del nascituro.

IL CASO Un bambino nasce in seguito a parto naturale riportando lesioni cerebrali irreversibili, dovute a sofferenza fetale, i cui segni erano stati trascurati dal personale sanitario. In particolare un primo tracciato cardiotocografico, pur in apparenza normale, era da considerarsi non rassicurante per la rilevazione di decelerazioni variabili e ricorrenti; il secondo, effettuato circa un'ora dopo, viene qualificato come “francamente anormale, cioè fortemente patologico”. La CTU dimostra come in occasione del primo tracciato si stesse verificando un parziale distacco della placenta, divenuto poi totale come dimostra la seconda rilevazione, e che questo fosse la causa delle lesioni alla base dell'encefalo riportate dal neonato. Il tribunale di Cagliari ritiene che comportamento diligente del medico sarebbe stato effettuare un tempestivo taglio cesareo e non un parto naturale con esecuzione della manovra di Kristeller come era avvenuto nel caso concreto, tanto più che i dati del tracciato non erano stati minimamente considerati dai due imputati. Precisa la Corte d'appello di Cagliari che in caso di gravidanza oltre il termine indotta con ossitocici, il ginecologo di guardia non avrebbe dovuto affidare il monitoraggio del travaglio alla sola ostetrica ma avrebbe dovuto occuparsene in prima persona, e che l'inosservanza dei protocolli configura un grado di colpa grave in capo al sanitario. Il medico ricorre per la cassazione della sentenza, affidando il ricorso a tre motivi.

IL MEDICO DEVE VIGILARE SULLE CONDIZIONI DI SALUTE DI PARTORIENTE E NASCITURO La Cassazione conferma però quanto disposto dalla corte di merito: fermo restando che l'ostetrica può essere chiamata a rispondere del danno cagionato al neonato, di fronte ad una gravidanza a rischio il medico non può limitarsi a garantire la propria reperibilità durante il parto ma deve vigilare sulle condizioni di salute sia della partoriente che del nascituro. Il suo comportamento integra dunque i profili della responsabilità penale, e la colpa deve intendersi come grave.

CRITERI PER DISTINGUERE COLPA GRAVE DA COLPA LIEVE La Suprema Corte ribadisce i criteri per distinguere la colpa grave dalla colpa lieve in tema di responsabilità per attività medico chirurgica:

  • «la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi;
  • la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizione dell'agente;
  • la motivazione della condotta
  • la consapevolezza di tenere una condotta pericolosa (Cass. civ. n. 22405/2015)».

RESPONSABILITÀ PENALE DEL MEDICO La Cassazione ritiene ben vagliati dal giudice di merito tali criteri e che nel caso di specie il comportamento del medico si sia discostato in modo tale da non rendere possibile la qualificazione della sua colpa come non grave. Qualora fosse stata disposta la sala operatoria per il parto cesareo ai primi segni di sofferenza fetale, il neonato, che sarebbe stato dunque estratto un'ora prima, non sarebbe stato presumibilmente esposto al rischio che l'ipossia cagionasse poi il fenomeno di acidosi metabolica che gli aveva comportato gravissime lesioni cerebrali.

La Suprema Corte rigetta dunque il ricorso.

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