Il diritto del ricorrente a comparire personalmente di fronte al tribunale del riesame
25 Gennaio 2019
Massima
Nel procedimento di riesame avverso provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, incardinato ai sensi dell'art. 309 c.p.p., il soggetto sottoposto a una misura privativa o limitativa della libertà e che intenda esercitare il diritto a comparire in sede di udienza camerale è tenuto a farne richiesta, personalmente ovvero tramite il proprio difensore, in sede di istanza introduttiva. Il caso
A seguito di ordinanza applicativa di misura cautelare personale (di tipo custodiale), disposta da parte del Gip presso il tribunale di Taranto, l'indagato ha presentato ricorso di fronte al competente giudice del riesame che (con ordinanza del 5 luglio 2018) ha confermato la misura medesima. Avverso tale ordinanza è stato proposto ricorso per cassazione, deducendosi quale unico motivo la violazione di legge processuale derivante dalla omessa traduzione del detenuto di fronte al tribunale del riesame pur essendo stata formulata richiesta in tal senso da parte dello stesso, attraverso le modalità previste dall'art. 123 c.p.p., immediatamente dopo la notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza camerale. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, conformandosi sul punto alla giurisprudenza maggioritaria già intervenuta sulla medesima questione (ed espressamente contestata da parte dell'istante), in base alla quale, a seguito delle modifiche – conseguenti alla riforma contenuta nella l. 16 aprile 2015, n. 47 – apportate all'art. 309 c.p.p., mediante il nuovo testo del comma 6 e l'introduzione del comma 8-bis, il soggetto sottoposto a misura coercitiva e che intenda partecipare personalmente al procedimento di riesame è tenuto a farne richiesta in sede di ricorso introduttivo del procedimento medesimo (personalmente, ovvero tramite il proprio difensore). La questione
La questione esaminata dalla Suprema Corte è conseguente a una delle novità introdotte nell'ambito della struttura del procedimento di riesame per effetto della riforma contenuta nella l. 16 aprile 2015, n.47 e specificamente attinente alle modalità di esercizio del diritto, da parte del soggetto sottoposto a una misura limitativa della libertà personale, di prendere parte alla relativa udienza camerale. Difatti, mentre il precedente testo dell'art. 309 c.p.p. faceva integrale rinvio (per quanto non espressamente regolato nell'ambito dello stesso articolo), alle forme previste dall'art.127 c.p.p. in materia di procedimenti in camera di consiglio, la riforma del 2015 ha introdotto nell'ambito dello stesso articolo il comma 8-bis, ai sensi del quale «l'imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente». Si è posta quindi la questione se il riferimento al comma 6, in base al quale in sede di richiesta di riesame l'imputato «può chiedere di comparire personalmente» determini la successiva preclusione, in capo al soggetto sottoposto alla misura, della facoltà di formulare la relativa richiesta; ciò anche in considerazione di quanto previsto dall'art. 101, comma 2, disp.att., c.p.p. (non modificato dalla riforma) il quale prevede che i termini perentori per la decisione previsti, in sede di procedimento di riesame, dall'art. 309, comma 10, c.p.p., decorrono «quando l'imputato è detenuto o internato in luogo posto fuori dal circondario del tribunale competente [...] dal momento in cui pervengono al tribunale gli atti assunti dal magistrato di sorveglianza a norma dell'art. 127, comma 3 del codice». La rilevanza della questione si connette evidentemente in modo diretto alle conseguenti ricadute in punto di nullità dell'intero incidente procedimentale, in riferimento al disposto generale contenuto nell'art.178, lett.c), c.p.p. Le soluzioni giuridiche
La questione relativa alle modalità di esercizio del diritto del soggetto, sottoposto a misure cautelari privative della libertà personale, a partecipare al procedimento di riesame aveva formato oggetto (sotto il precedente testo dell'art.309 c.p.p.) di una tematica interpretativa imposta dal rinvio, contenuto nel comma 8, alle forme previste dall'art.127 c.p.p., recante le disposizioni generali in tema di procedimento in camera di consiglio; complesso di disposizioni che – nello stabilire la non necessità della partecipazione delle parti – prevede (ai commi dell'udienza in caso di legittimo impedimento) salvo che sia detenuto «in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice» e con la prevista facoltà, in tale caso, di «essere sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo»(disposizione cui deve essere strettamente connessa quella contenuta nel già citato art. 101, comma 2, disp.att., c.p.p., specificamente relativa al procedimento di riesame). La problematica era stata già esaminata in una ormai risalente pronuncia della Corte costituzionale che, nella sentenza 31 gennaio 1991, n.45 (più volte citata dalla Suprema Corte negli arresti successivi) aveva ritenuto, nel quadro di una pronuncia interpretativa di rigetto, che il combinato delle predette disposizioni non fosse tale da escludere il diritto alla comparizione personale del ricorrente in sede di riesame che ne avesse fatto richiesta e anche qualora lo stesso fosse detenuto al di fuori della circoscrizione del tribunale; pronuncia sulla scia della quale le Sezioni Unite avevano affermato la sussistenza di un diritto assoluto e indefettibile alla comparizione personale dell'imputato che ne avesse fatto richiesta e indipendentemente dal luogo di esecuzione della misura, derivandone – in mancanza – la nullità assoluta del procedimento e dell'ordinanza definitoria (Cass. pen., Sez.unite, 22 novembre 1995, n.40, Carlutti). Nella giurisprudenza successiva, si era quindi determinata una stratificazione interpretativa presupponente la necessaria distinzione della posizione dell'indagato/imputato in relazione alla collocazione del luogo di detenzione nell'ambito, ovvero all'esterno, del territorio di competenza del Tribunale del riesame e coincidente, sulla base dell'art.309, c.7, c.p.p., con l'intero distretto di Corte d'appello. Nello specifico, era quindi stato ritenuto (con orientamento da ritenersi consolidato) che il coordinamento tra l'art.127, comma 4, c.p.p. e l'art.309, commi 7 e 8, c.p.p. imponesse la traduzione dell'imputato detenuto all'interno del distretto di competenza del tribunale del riesame e che ne avesse fatto richiesta (Cass. pen., Sez. I, 11 gennaio 1996, n. 117). Maggiori problemi interpretativi si erano invece presentati in riferimento alla posizione del detenuto al di fuori del distretto di competenza del tribunale, tema su cui si erano formati alcuni indirizzi ermeneutici non reciprocamente consonanti; in base al più rigoroso dei quali – in coerenza con il citato arresto delle Sezioni unite - doveva configurarsi un vero e proprio diritto, in caso di specifica richiesta del ricorrente, a presenziare in udienza e senza possibilità di valutazione discrezionale da parte del Giudice, conseguendone la nullità assoluta e insanabile degli atti del procedimento, compreso il provvedimento definitorio del procedimento di riesame, in caso di mancata traduzione (Cass. pen.,Sez.feriale, 30 agosto 2005, n.36630; Cass. pen., Sez.II, 4 dicembre 2006, n.1099; indirizzo da ritenere recepito anche da Cass. pen., Sez.unite, 24 giugno 2010, n.35399, F., pur se in un passaggio espressivo di un obiter dictum, vertendosi in fattispecie concreta relativa ad appello avverso sentenza emessa all'esito di rito abbreviato). Tale interpretazione aveva peraltro formato oggetto di alcune precisazioni in altre pronunce della Suprema Corte, in cui si era invece riconosciuto al tribunale uno spazio di valutazione discrezionale legato al tenore della richiesta del ricorrente (qualora questi avesse ivi rappresentato la volontà espressa di contestare questioni di fatto concernenti la sua condotta; Cass. pen., Sez.VI, 3 dicembre 2008, n. 8), ovvero la facoltà di disattendere la richiesta medesima qualora ritenuta defatigatoria e incompatibile, dato il momento della presentazione, con la tempistica del procedimento (e fatto però salvo il diritto del detenuto, ai sensi dell'art.127, comma 3, c.p.p. di essere comunque ascoltato dal magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione, Cass. pen., Sez.IV. 12 luglio 2007, n.39834). In un panorama giurisprudenziale sostanzialmente ancora fluido, le modifiche apportate dal nuovo testo del comma 6 e dall'introduzione del comma 8-bis nell'ambito dell'art.309 c.p.p. hanno quindi determinato l'inserimento nel sistema processuale di disposizioni aventi carattere speciale rispetto a quelle applicabili alla generalità dei procedimenti in camera di consiglio (disposizioni comunque ancora integralmente richiamate dal, non modificato, testo del comma 8) in ordine al tema della partecipazione personale del ricorrente; prevedendo, come detto, il novellato comma 6 che l'imputato possa «chiedere di comparire personalmente» in sede di istanza di riesame e il comma 8-bis che il diritto di comparire vada riconosciuto all'imputato «che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6». Il coordinamento tra le specifiche disposizioni richiamate ha quindi indotto a ritenere, secondo una lettura che (allo stato) può ritenersi costante, che il detenuto abbia il diritto di comparire personalmente di fronte al tribunale solo qualora ne abbia fatto espressa richiesta, anche ed eventualmente tramite il proprio difensore, in sede di istanza di riesame; ne consegue che – per effetto dell'entrata in vigore di tale disciplina, da ritenere a tutti gli effetti di carattere speciale – devono intendersi non più applicabili al procedimento di riesame, non solo le disposizioni contenute nell'art.127, commi 3 e 4, c.p.p. ma anche quella dettata dall'art.101, disp.att., c.p.p., che – come detto – faceva decorrere i termini perentori previsti dall'art. 309, comma 10, c.p.p. per la decisione, dal momento in cui fossero giunti gli atti assunti dal magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione del ricorrente, qualora posto al di fuori del distretto di competenza del tribunale (disposizione la cui permanenza era stata sottolineata sin dai primi commenti alla riforma e che, sulla base del suddetto percorso argomentativo, dovrebbe quindi intendersi tacitamente abrogata, attesa l'espressa applicabilità delle medesima al solo procedimento di riesame) Su tale linea interpretativa, inaugurata da Cass. pen., Sez.I, 6 ottobre 2015, n.49882 (prima pronuncia massimata relativa a procedimento di riesame regolato dalla nuova disciplina) si è poi collocata anche la successiva e largamente maggioritaria giurisprudenza di legittimità, tra cui Cass. pen., Sez.IV, 23 febbraio 2016, n.12998; Cass. pen.,Sez.II, 11 marzo 2016, n.13707; Cass. pen., Sez.II, 15 gennaio 2018, n.12854. Peraltro, va necessariamente segnalata anche la presenza di alcune decisioni recanti motivazioni distoniche rispetto al predetto indirizzo. In particolare, nella parte motiva di Cass. pen., Sez.V, 18 febbraio 2016, n.32156 (peraltro relativa a fattispecie in cui non era stata accolta una richiesta di traduzione formulata in sede di istanza di riesame e, quindi, in termini comunque tempestivi alla luce del nuovo quadro normativo) sembra ammettersi la persistente facoltà, in capo al detenuto, di chiedere di presenziare al procedimento anche in un momento successivo al deposito del ricorso, purché il suo esercizio sia comunque compatibile con i tempi del procedimento; principio, quest'ultimo, poi espressamente recepito (ed enunciato anche nella massima ufficiale) da Cass., Sez.II, 3 aprile 2017, n.36160, in cui è stata annullata con rinvio una decisione del Tribunale del riesame che aveva precedentemente rigettato la richiesta di partecipare all'udienza, ritenendola tardiva perché non formulata con il ricorso, ma al momento della notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza (decisione motivata dalla Corte sulla base della necessità, peraltro non oggetto di effettive e puntuali specificazioni, di un'interpretazione “costituzionalmente orientata” delle disposizioni di riferimento). La decisione adottata dalla II Sezione con la pronuncia in commento, con modalità sintetiche ma efficaci, si pone in linea di continuità con l'orientamento maggioritario; rilevando come la predetta interpretazione sia idonea ad assicurare una tutela “omogenea” del diritto alla partecipazione in capo al detenuto e a garantire un bilanciamento adeguato tra lo stesso e le strette scansioni temporali, previste a pena di inefficacia del provvedimento applicativo, tipiche dell'incidente de libertate (esigenza di bilanciamento già più volte richiamata da arresti precedenti alla riforma del 2015 ed oggetto di attenzione in quello espresso dalla citata Cass. pen., Sez.I, 6 ottobre 2015, n.49882, che ha inaugurato tale linea interpretativa). D'altra parte, a corollario di tale percorso argomentativo, appare di indubbia utilità la sottolineatura in base alla quale un'interpretazione di segno contrario farebbe dipendere, in concreto, la tutela del diritto alla partecipazione anche da mere questioni di carattere amministrativo (ovvero dalla capacità, necessariamente disomogenea sul territorio nazionale, di organizzare la tempestiva traduzione dei detenuti). Osservazioni
La riforma introdotta dalla l. 16 aprile 2015, n.47 ha avuto, tra gli altri, anche l'obiettivo di connotare in modo più specifico alcune caratteristiche del procedimento di riesame, secondo un'ottica volta a rimodulare (sulla base dei presupposti prima riassunti) il necessario bilanciamento tra il diritto di difesa e la stretta tempistica procedimentale dell'incidente de libertate. L'intervento modificativo, peraltro, non si è particolarmente distinto in positivo per la tecnica di scrittura, dando origine a una serie di problematiche applicative, alcune delle quali già fatte oggetto di interventi da parte delle Sezioni Unite (in particolare, in quelli espressi da Cass. pen., Sez.unite, 31 marzo 2016, n.18954, Capasso, relativa all'effettivo ambito di estensione delle disposizioni contenute nell'art. 309 c.p.p. ai procedimenti di riesame di carattere reale; nonché da Cass. pen., Sez. unite, 20 luglio 2017, n.47970, in tema di termini per il deposito della motivazione in caso di precedente annullamento con rinvio pronunciato ai sensi dell'art. 311 c.p.p.). In tale quadro, anche l'intervento su un tema di particolare delicatezza quale quello del diritto alla partecipazione personale dell'indagato/imputato al procedimento di riesame è stato operato con modalità senz'altro discutibili; in particolare, attraverso la tautologica menzione della relativa tematica in due distinte disposizioni (i citati commi 6 e 8-bis dell'art. 309 c.p.p.), senza operare alcun intervento sul comma 8 (contenente un permanente rinvio integrale alle disposizioni contenute nell'art.127 c.p.p.) e senza tenere conto della disposizione contenuta nell'art. 101, comma 2, disp.att., c.p.p., di evidente e problematico coordinamento con la nuova disciplina, tanto da doverne ritenere (come nella citata Cass. pen., 49882/2015) la tacita abrogazione. Rilevando altresì, incidentalmente, che la riforma ha del tutto omesso di modificare il regime relativo alla materia dell'appello personale cautelare (in riferimento al quale, data la mancanza di termini perentori per la decisione, anche la predetta esigenza di bilanciamento si pone ovviamente in termini diversi), in ordine a cui non sono state previste modifiche sul tema della partecipazione personale del ricorrente ed è rimasto intatto il richiamo integrale alle disposizioni contenute nell'art.127 c.p.p., con la conseguente sussistenza dei medesimi problemi interpretativi già prima riassunti. L'interpretazione adottata dalla Suprema Corte sin dalle prime pronunce intervenute sul tema appare, allo stato, adeguatamente consolidata e né può leggersi, nelle citate sentenze espressive di un orientamento non conforme, l'esplicitazione di una lettura di consapevole segno contrario (apparendo le medesime, sulla base dell'esame delle motivazioni, come dei retaggi di interpretazioni consolidate sotto la vigenza della previgente disciplina e necessitanti di revisione sulla base del testo riformato). Tale lettura, peraltro, appare la più adeguata e coerente tanto con la ratio legis quanto con l'esigenza di tutelare in modo adeguato ma uniforme il diritto di difesa in rapporto alla tempistica del procedimento. In particolare, l'interpretazione comporta l'irrilevanza della distinzione della posizione processuale del detenuto sulla base del luogo di restrizione (distinzione che era stata sostanzialmente alla base dei vari contrasti interpretativi maturati sotto la precedente disciplina); inoltre, tale lettura risponde compiutamente anche all'esigenza di non condizionare il livello della garanzia del diritto al contraddittorio a valutazioni discrezionali da parte del giudice procedente, eventualmente conseguenti (come ritenuto in arresti espressi sotto il precedente testo dell'art.309 c.p.p.) al contenuto dell'istanza di riesame e alla concreta tempistica dell'istanza di partecipazione nonché, come sottolineato nella pronuncia in commento, all'effettiva capacità da parte delle strutture penitenziarie di assicurare l'effettiva e tempestiva traduzione del detenuto. ILLUMINATI, Verso il ripristino della cultura delle garanzie in tema di libertà personale dell'imputato, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015, 3, 1130; LUDOVICI, Sub art. 309, in Lattanzi - Lupo (a cura di), Codice di procedura penale – rassegna di giurisprudenza e dottrina (aggiornamento), Giuffrè, 2017, 817; SPANGHER, La recente riforma delle misure cautelari, ne Il libro dell'anno del diritto 2016, Treccani, 2016, 626. |