Fiscalità internazionaleFonte: DPR 22 dicembre 1986 n. 917
18 Dicembre 2018
Inquadramento
La globalizzazione e la formazione di un mercato unico mondiale hanno reso sempre più pressante l'esigenza di stipulare convenzioni internazionali e accordi bilaterali mediante i quali le aziende che hanno sedi in Paesi differenti non vengono assoggettate ad imposte per i medesimi redditi conseguiti. Come criterio generale si considera quello dove tutti i redditi prodotti all'interno di uno Stato sono soggetti ad imposizione secondo le regole di detto paese. Ecco allora che diventa importantissimo introdurre il concetto di “stabile organizzazione” secondo la definizione della legge italiana che ricalca quella elaborata dall'OCSE. Essenziale per la nascita e lo sviluppo delle Convenzioni contro le doppie imposizioni è stata l'attività svolta dalla Lega delle Nazioni che elaborò un modello già nel 1923 per poi giungere tra il 1926 e 1927 all'elaborazione di quattro modelli di Convenzioni in materia di doppie imposizioni per imposte sui redditi, sulla successione, sull'assistenza giudiziaria. Nel 1961 l'OECE (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica) prese il nome di OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che dopo lunghi studi portò nell'anno 1977 al Modello di Convenzione sulla doppia imposizione sul reddito e sul patrimonio. Tale modello è utilizzato dalla maggior parte dei Paesi facenti parte dell'OCSE come base per la negoziazione di accordi internazionali sulle doppie imposizioni. L'ultima versione del modello OCSE e del relativo commentario, tra l'altro utilizzato anche dall'ONU per regolamentare gli scambi tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, è dell'anno 2010. Stando al pensiero della più autorevole dottrina, sia il Modello OCSE che il relativo Commentario si possono ritenere soft law, dove con tale termine vengono indicati, secondo il diritto internazionale, gli atti o fatti, i principi che hanno ad oggetto relazioni internazionali e che non sono considerati come fonti del diritto secondo lo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia. Sia il Modello OCSE che il Commentario non rappresentano strumenti giuridici vincolanti diversamente dalle Convenzioni bilaterali, ma delle Raccomandazioni agli Stati aderenti che in questo modo, a meno che non abbiano espresso riserve rispetto al Modello o Commentario non potrebbero rinnegarne il contenuto adottando un comportamento difforme dalla disposizione convenzionale.
La doppia imposizione Nell'era moderna dove non esistono frontiere e si tende ad avere un unico mercato mondiale è evidente che le relazioni economiche si sviluppano, assumendo rilevanza impositiva, su più Stati. L'incrociarsi di queste molteplici potestà impositive ha un suo sfogo naturale in un potenziale “conflitto impositivo di tassazione” sfociando così nel fenomeno della doppia imposizione internazionale. Il termine sopraccitato viene utilizzato quando i presupposti d'imposta di due o più Stati vengono a sovrapporsi facendo sì che, le diverse leggi nazionali, assoggettino due o più volte ad imposta la stessa ricchezza. Più volte la dottrina internazionale ha cercato una definizione di doppia imposizione internazionale che, in senso giuridico si avrebbe a seguito della:
Principali caratteristiche Il concetto che preme sottolineare è che la doppia imposizione internazionale sussiste, stando alla definizione generale, allorquando l'imposizione di due Stati comporta un ulteriore aggravio, ovvero quando l'ammontare complessivo delle imposte pagate dal contribuente risulta superiore a quello che si sarebbe pagato nel caso in cui il prelievo fosse esercitato da un solo Stato. L'eliminazione della doppia imposizione, attraverso il metodo del credito per le imposte assolte all'estero e l'imposta dovuta dal contribuente nel proprio Stato di residenza supera quella dello Stato in cui il reddito è stato prodotto. Così il soggetto continuerebbe ad essere tassato sul medesimo presupposto impositivo in due Stati diversi, ma la doppia imposizione si considererà eliminata in quanto l'aggravio complessivo non eccede l'importo che il soggetto avrebbe dovuto assolvere se fosse stato sottoposto ad imposizione unicamente nel suo Stato di residenza. A titolo esemplificativo potremmo ricadere nell'ambito della doppia imposizione internazionale nel caso in cui le imposte sugli scambi per la cessione di beni oltre frontiera, la spedizione della merce venga considerata operazione imponibile nello Stato dell'esportatore, mentre nello Stato dell'importatore è la consegna della merce a rilevare fiscalmente. Gli accordi contro le doppie imposizioni internazionali possono riferirsi alle imposte indirette e dirette sia sui redditi che sul patrimonio. Come già accennato, anche per le imposte sui redditi la doppia imposizione è causata dal fatto che i criteri di collegamento in vigore in due o più ordinamenti giuridici riguardanti la tassabilità di una determinata fattispecie si sovrappongono in modo tale che la medesima risulta fiscalmente collegata a più ordinamenti giuridici. Per quel che concerne l'imposizione sui redditi i criteri di collegamento adottati dai diversi Stati sono sostanzialmente due:
La gran parte degli ordinamenti prevede per i oggetti residenti in uno Stato l'applicazione delle relative imposte sui redditi ovunque prodotti, mentre per i soggetti non residenti le imposte vengono determinate elusivamente sui redditi derivanti da fonti localizzate nel territorio dello Stato. Esistono dei casi in cui il fenomeno della doppia imposizione non viene ricondotto ad un contrasto riscontrabile oggettivamente tra le previsioni normative di due ordinamenti giuridici, ma unicamente alla diversa interpretazione che le Autorità amministrative o giudiziarie dei due Stati attribuiscono al medesimo concetto giuridico che rappresenta il punto di collegamento tra i due ordinamenti. Tale situazione è nota, nel diritto internazionale privato, come conflitto di qualificazione. Per cercare di capire se gli accordi internazionali sono idonei ad impedire il fenomeno della doppia imposizione internazionale, occorre domandarsi se esistano e quali siano i limiti derivanti dal diritto internazionale nell'ambito dei presupposti che possono essere oggetto della potestà tributaria di uno Stato sovrano. In aggiunta, si riporta il testo dell'art. 163 TUIR, il quale dispone che “La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi”. Stabile Organizzazione Passando a trattare di come una società avente residenza in un certo Stato possa esercitare attività economica in uno Stato straniero si introduce il concetto di Stabile Organizzazione. La Cassazione, con la sentenza 9 aprile 2010 n. 8488, definisce la stabile organizzazione come soggetto che compie atti essenziali per la conclusione di contratti, vincolanti per l'impresa medesima, senza autonomia. La definizione di stabile organizzazione è contenuta in quasi tutti i trattati. Il concetto di stabile organizzazione stabilisce che a uno Stato contraente (ovvero lo Stato della fonte) spetta il diritto impositivo relativamente a una impresa estera se tale impresa ha una stabile organizzazione in tale Stato; diversamente, lo stato della fonte non può applicare alcuna imposizione.
Ai sensi dell'art. 162 TUIR, l'espressione "stabile organizzazione" designa una sede fissa di affari (c.d. stabile organizzazione materiale) per mezzo della quale l'impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato; la sede fissa di affari può essere costituita, alternativamente, da:
In sintesi, perché si configuri in Italia una stabile organizzazione materiale della società estera devono verificarsi 3 condizioni:
Nonostante le disposizioni precedenti, costituisce una stabile organizzazione dell'impresa anche il soggetto, residente o non residente, che nel territorio dello Stato abitualmente conclude in nome dell'impresa stessa contratti diversi da quelli di acquisto di beni (c.d. stabile organizzazione personale). La legge di Bilancio 2018 (Legge 205/2017) ha modificato l'articolo 162 del Tuir, riformulando le ipotesi in cui non si configura una stabile organizzazione. Per un approfondimento di rimanda alla bussola “Stabile organizzazione”. Dal periodo d'imposta 2016 (o in corso all'8 ottobre 2015, se non coincidente con l'anno solare), per quanto concerne la determinazione del reddito, non essendoci alcun dualismo tra impresa non residente e stabile organizzazione in Italia, quest'ultima deve determinare separatamente il proprio reddito, redigendo un autonomo bilancio, determinato in base agli utili e alle perdite che risultano da un apposito rendiconto economico e patrimoniale, da redigere secondo i principi contabili previsti. I componenti di reddito che sono attribuibili alla stabile organizzazione relativamente alle transazioni e operazioni tra essa e la società cui appartiene sono determinate secondo le disposizioni dell'art. 110, co. 7 del Tuir, mentre le stesse operazioni non sono rilevanti ai fini Iva (Ris. AE 81/E/2006). Le stabili organizzazioni possono fruire del credito d'imposta pagato all'estero e della deduzione Ace.
L'art. 7-quarter co. 2-4 del D.L 193/2016, intervenendo sull'art. 110, co. 2 del Tuir modifica i criteri per la conversione in euro, sotto il profilo fiscale, dei bilanci delle stabili organizzazioni all'estero delle imprese italiane, prevedendo che la conversione in euro avvenga secondo il cambio utilizzato in bilancio in base ai corretti principi contabili a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016.
Secondo quanto disposto dall'art. 165 TUIR, se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all'estero, le imposte effettivamente pagate su tali redditi sono ammesse in detrazione dall'imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d'imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all'estero ed il reddito complessivo (al netto delle perdite di precedenti periodi d'imposta ammesse in diminuzione).
La detrazione deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta cui appartiene il reddito prodotto all'estero al quale si riferisce l'imposta, a condizione che il pagamento a titolo definitivo avvenga prima della sua presentazione. Nel caso in cui il pagamento a titolo definitivo avvenga successivamente, e cioè se l'imposta dovuta in Italia per il periodo d'imposta nel quale il reddito estero ha concorso a formare l'imponibile è stata già liquidata, si procede a nuova liquidazione tenendo conto anche dell'eventuale maggior reddito estero, e la detrazione si opera dall'imposta dovuta per il periodo d'imposta cui si riferisce la dichiarazione nella quale è stata richiesta. Se è già decorso il termine per l'accertamento, la detrazione è limitata alla quota dell'imposta estera proporzionale all'ammontare del reddito prodotto all'estero acquisito a tassazione in Italia. La detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all'estero nella dichiarazione presentata. Ruling internazionale Il ruling internazionale è un istituto volto a garantire trasparenza e certezza nei rapporti tra Fisco e contribuente in caso di operazioni transnazionali, riducendo il rischio di doppia imposizione internazionale e di soccombenza in contenzioso su controversie non chiaramente disciplinate.
Per le imprese con attività internazionale, tenuti presenti i criteri previsti dall'articolo 162 del TUIR nonché dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia, con principale riferimento:
L'art. 8 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito, con modificazioni, nella Legge 24 novembre 2003, n. 326 ha previsto la possibilità di utilizzare la procedura di ruling internazionale. Con l'approvazione del D.Lgs. 147/2015, noto anche come “Decreto Internazionalizzazione” tale istituto ha subito una profonda modifica: il vecchio articolo di riferimento della procedura (art. 8 D.L. n. 269/2003) è stato infatti abrogato dall'art. 1 c. 1 del recente decreto.
Il nuovo testo di riferimento, oltre a fornire le nuove linee guida, potenzia gli accordi preventivi tra Fisco e imprese, che potranno riguardare vari ambiti, dalla disciplina dei prezzi di trasferimento infragruppo all'individuazione di nuove norme sull'erogazione o la percezione di dividendi.
La procedura di ruling viene avviata tramite presentazione volontaria di un'istanza all'Agenzia delle Entrate che, verificati i presupposti di ammissibilità, fornirà il suo parere sulla soluzione proposta dal contribuente; terminata tale fase, si procederà alla sottoscrizione di un accordo regolatore di quanto prospettato dalla parte nell'istanza introduttiva. Il contribuente, nella consapevolezza di poter incorrere in eventuali sanzioni in caso di accertamento, può scegliere di uniformarsi o meno a tale parere. Il nuovo articolo di riferimento (art. 1 D. Lgs. 147/2015), che agisce sul D.P.R. n. 600/1973, inserendo il nuovo articolo 31-ter, dispone che le imprese con attività internazionale possono accedere ad una procedura finalizzata alla stipula di accordi preventivi relativi ai seguenti ambiti:
L'Istituto dell'exit tax è previsto dall'art. 166 TUIR e colpisce, con imposizione immediata, le imprese che intendano trasferire la residenza fiscale in un altro Stato della Comunità Europea e non facciano confluire i componenti dell'azienda o del complesso aziendale in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, ma siano anch'essi trasferiti in altro Stato comunitario. Il comma 1 del sopra citato articolo dispone infatti che “Il trasferimento all'estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all'estero. Per le imprese individuali e le societa' di persone si applica l'articolo 17, comma 1, lettere g) e l)”.
In sostanza, conseguentemente a tale trasferimento, il differenziale positivo (plusvalenza) tra il costo fiscale dei beni costituenti l'azienda ovvero il complesso aziendale e il loro valore normale, sarà tassato in Italia con la exit tax; per questo motivo essa viene conosciuta anche come tassa sui plusvalori latenti. Pertanto, i contribuenti che intendono trasferirsi in altro Stato UE sono assoggettati ad imposizione qualora non facciano confluire i componenti dell'azienda o del complesso aziendale in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, ma siano anch'essi trasferiti in altro Stato. Il valore normale dovrà essere determinato ai sensi dell'art. 9, commi 3 e 4 del D.P.R. 917/1986; la differenza tra il valore normale dei beni costituenti l'azienda trasferita e il loro costo fiscalmente riconosciuto concorre alla formazione del reddito di tale soggetto.
L'ipotesi di realizzo al valore normale non si applica infatti per i beni confluiti in una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, poiché il presupposto principale perché tale disposizione possa trovare applicazione consiste nell'abbandono definitivo della residenza italiana. Tuttavia, qualora successivamente i beni vengano distolti dalla stabile organizzazione, le plusvalenze latenti dovranno essere assoggettate ad imposizione (ad esempio l'art. 166 non si applica nel caso in cui l'impresa sposti all'estero la propria sede legale, ma mantenga in Italia una S.O. mediante la quale svolge attività, mentre si applica se, successivamente, i componenti confluiti nella S.O. vengono distolti per confluire alla casa madre estera). Anche la Corte di Giustizia si è espressa in tema di mobilità societaria ed exit tax, sostenendo che:
La disciplina dell'exit tax è stata modificata dal Decreto legislativo emanato in attuazione della Direttiva Atad 2. Ciò premesso, le principali novità riguardano:
Scambio di informazioni e procedura amichevole Lo scambio di informazioni
L'art. 26 del Modello OCSE contiene le regole secondo cui è possibile effettuare uno scambio di informazioni tra competenti Autorità perseguendo la primaria finalità di prevenire l'evasione fiscale. Lo scambio di informazioni può includere anche dati relativi ai soggetti non residenti (ampliano l'ambito applicativo di cui all'art. 1). In base alle modifiche apportate al Modello nel 2000, l'art. 26, par. 1, è divenuto applicabile anche allo scambio di informazione per ogni tipo di imposta applicata dagli Stati contraenti, non soltanto a quelle domestiche coperte dal trattato.
L'art. 26, paragrafo 2, del Modello OCSE chiarisce che uno Stato non è obbligato a superare i limiti posti dalla propria norma interna e dalle procedure amministrative nel mettere a disposizione le informazioni all'altro Stato; tuttavia, devono essere predisposte apposite procedure al fine di far fronte alle richieste dello Stato.
La procedura amichevole
L'art. 25 del Modello OCSE istituisce una procedura amichevole volta alla risoluzione delle problematiche derivanti dall'applicazione dei trattati, come ad esempio:
Al fine di attivare la procedura il contribuente deve verificare che le azioni intraprese da uno o da entrambi gli Stati contraenti comportino una forma di tassazione che contravviene al trattato e che tale tassazione comporti un rischio un rischio che non sia solo possibile ma anche probabile. La procedura si articola in due fasi:
Disposizioni in materia di imprese estere controllate e collegate Imprese estere controllate
L'art. 167 TUIR stabilisce, al comma 1, che se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori a fiscalità privilegiata, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute.
Ai fini della determinazione del limite del controllo, si applica l'art. 2359 del codice civile.
Per un approfondimento si rimanda alla bussola “Controlled Foreign Companies”. Si precisa, però, che anche la disciplina Cfc è stata oggetto di modifiche da parte del decreto legislativo che recepisce le disposizioni della Direttiva Atad 2.
Le persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia possono beneficiare di una imposta sostitutiva sui redditi prodotti all'estero a condizione che siano state residenti all'estero per almeno 9 dei 10 periodi precedenti l'inizio del regime agevolativo. L'opzione, introdotta con la Legge di bilancio 2017 (Legge 232/2016), prevede il pagamento di un'imposta forfettaria di 100.000 euro per ciascun periodo d'imposta per cui viene esercitata, qualunque sia l'importo dei redditi percepiti, con la sola esclusione delle plusvalenze da cessione di partecipazioni qualificate.
L'adesione al regime avviene al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi, riferita al periodo d'imposta in cui è stata trasferita la residenza fiscale in Italia o in quello immediatamente successivo. È consentito, inoltre, presentare una specifica istanza preventiva di interpello alla Direzione Centrale Accertamento dell'Agenzia delle Entrate.
L'opzione, infatti, potrà essere esercitata solo dopo aver ottenuto risposta favorevole specifica istanza di interpello probatorio in base all'art. 11, co. 1, lett. b), dello Statuto dei contribuenti (L. 212/2000).
La richiesta può essere consegnata a mano, tramite raccomandata con avviso di ricevimento oppure telematicamente, utilizzando la posta elettronica certificata. Nell'istanza il contribuente dovrà indicare:
È necessario indicare la sussistenza degli elementi necessari per l'accesso al regime, compilando l'apposita check list e presentando, eventualmente, la relativa documentazione a supporto.
Il regime forfettario può essere esteso anche ad uno o più familiari in possesso dei requisiti, attraverso una specifica indicazione nella dichiarazione dei redditi riferita al periodo d'imposta in cui il familiare trasferisce la residenza fiscale in Italia o in quella successiva. In questo caso, l'imposta sostitutiva è pari a 25.000 euro per ciascuno dei familiari ai quali sono estesi gli effetti della stessa opzione.
L'opzione si intende tacitamente rinnovata di anno in anno, mentre gli effetti cessano, in ogni caso, in ipotesi di omesso o parziale versamento, in tutto o in parte, dell'imposta sostitutiva misura e nei termini previsti dalle vigenti disposizioni di legge. Sono fatti salvi gli effetti prodotti nei periodi d'imposta precedenti. La revoca o la decadenza dal regime precludono l'esercizio di una nuova opzione.
Il versamento dell'imposta sostitutiva, nella misura di 100.000 euro, deve essere effettuato in un'unica soluzione, per ciascun periodo di imposta di efficacia del regime, entro la data prevista per il versamento del saldo delle imposte sui redditi.
Il nuovo regime si applica ai redditi relativi all'anno di d'imposta 2017, quindi, a partire dalle dichiarazioni dei redditi da eseguirsi l'anno successivo. Attrazione degli investimenti esteri
La Legge di Bilancio 2017 introduce una disciplina particolare con l'obiettivo di favorire l'ingresso in Italia dei cittadini extra comunitari con elevate risorse finanziarie, che possono diventare eventuali investitori.
Al fine di attrarre investimenti dall'estero si consente l'ingresso e il soggiorno per periodi superiori a tre mesi, al di fuori delle quote di cui all'art. 3, co. 4 D. Lgs. n. 286/1998, agli stranieri che intendono effettuare:
Gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nel co. 1 dell'art. 4 del D.L. 167/1990 non sussistono per le attività finanziarie e patrimoniali affidate in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento, qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti da tali attività e contratti siano stati assoggettati a ritenuta o imposta sostitutiva dagli intermediari stessi.
Gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nel comma 1 del predetto articolo non sussistono altresì per i depositi e conti correnti bancari costituiti all'estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d'imposta non sia superiore a 15.000 euro.
Gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nel comma 1 del predetto articolo non sussistono altresì per gli immobili situati all'estero per i quali non siano intervenute variazioni nel corso del periodo d'imposta, fatti salvi i versamenti relativi all'imposta sul valore degli immobili situati all'estero, di cui al D.L. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214. Interpello su nuovi investimenti L'art. 2 del D. Lgs. n. 147/2015 introduce una nuova tipologia di interpello (interpello sui nuovi investimenti) attraverso cui il soggetto che intenda effettuare in Italia rilevanti investimenti può rivolgersi all'Agenzia delle entrate allo scopo di conoscere preventivamente il parere in merito al corretto trattamento fiscale del piano di investimenti e delle operazioni straordinarie pianificate per la conseguente esecuzione dello stesso.
Sono ammessi alla presentazione dell'istanza:
Il progetto di investimento deve necessariamente presentare le caratteristiche di seguito indicate:
L'istanza d'interpello è redatta in carta libera ed è presentata all'Agenzia delle entrate – Direzione Centrale Normativa, Ufficio Interpelli Nuovi Investimenti mediante una delle seguenti modalità:
l'istanza di interpello deve contenere:
L'Agenzia delle Entarte deve fornire risposta entro 120 giorni al ricevimento dell'istanza prorogabili di altri 90 giorni decorrenti dalla data di acquisizione delle informazioni. Se è chiesta l'integrazione delle informazioni mancanti da sanare entro 30 giorni, il termine per la risposta iniziano a decorrere dai giorni in cui la regolazione è avvenuta. Il contenuto della risposta vincola L'Agenzia delle Entrate e resta valida finché restano invariate le circostanze di fatto e di diritto sulla base delle quali la stessa è stata resa. Accordi internazionali Bisogna infine tener presente che, secondo quanto disposto dall'art. 169 TUIR, le disposizioni del TUIR stesso si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione. Eliminazione della doppia imposizione A titolo meramente esemplificativo si riporta l'articolo 23 della Convenzione contro le doppie imposizioni vigente tra Italia e Cina [Legge 31 ottobre 1989, n. 376, (in Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., 23 novembre, n. 274). - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica popolare cinese per evitare le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, con protocollo, firmato a Pechino il 31 ottobre 1986].
1. Si conviene che la doppia imposizione sarà evitata conformemente ai seguenti paragrafi del presente articolo. 2. Se un residente dell'Italia possiede elementi di reddito che sono imponibili in Cina, l'Italia, nel calcolare le proprie imposte sul reddito, specificate all'articolo 2 del presente Accordo, può includere nella base imponibile di tali imposte detti elementi di reddito, a meno che espresse disposizioni del presente Accordo non stabiliscano diversamente. In tal caso, l'Italia deve dedurre dalle imposte così calcolate l'imposta sui redditi pagata in Cina, ma l'ammontare della deduzione non può eccedere la quota della predetta imposta italiana attribuibile ai detti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo. Tuttavia, nessuna deduzione sarà accordata ove l'elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo di imposta su richiesta del beneficiario di detto reddito in base alla legislazione italiana. 3. Nel caso di un residente della Cina: - quando un residente della Repubblica Popolare Cinese percepisce un reddito dall'Italia, l'ammontare dell'imposta dovuta in Italia su tale reddito ai sensi delle disposizioni del presente Accordo è concesso un credito sull'imposta cinese applicata a tale residente; l'ammontare del credito, tuttavia, non deve eccedere l'ammontare dell'imposta cinese calcolata su tale reddito conformemente alla legislazione ed alla normativa fiscale della Repubblica Popolare Cinese; quando il reddito proveniente dall'Italia è un dividendo pagato da una società residente dell'Italia ad una società residente della Repubblica Popolare Cinese che possiede non meno del 10 per cento delle azioni della società che paga i dividendi, il credito terrà conto dell'imposta dovuta in Italia dalla società che paga i dividendi in relazione al proprio reddito. 4. Ai fini dei paragrafi 2 e 3 del presente articolo, quando l'imposta sugli utili di impresa, sui dividendi, interessi o canoni provenienti da uno Stato contraente non è prelevata o è ridotta per un periodo di tempo limitato ai sensi delle leggi e dei regolamenti di detto Stato, tale imposta non prelevata o ridotta si considera pagata per un ammontare complessivo nel caso degli utili di impresa e per un ammontare non superiore: a) al 10 per cento dell'ammontare lordo dei dividendi e degli interessi di cui agli articoli 10 e 11; b) al 15 per cento dell'ammontare lordo dei canoni di cui all'articolo 12. Riferimenti Normativi
Giurisprudenza
Prassi
Riferimenti normativiRiferimenti giurisprudenziali |