Fiscalità internazionale

18 Dicembre 2018

La globalizzazione e la formazione di un mercato unico mondiale hanno reso sempre più pressante l'esigenza di stipulare convenzioni internazionali e accordi bilaterali mediante i quali le aziende che hanno sedi in Paesi differenti non vengono assoggettate ad imposte per i medesimi redditi conseguiti.
Inquadramento

La globalizzazione e la formazione di un mercato unico mondiale hanno reso sempre più pressante l'esigenza di stipulare convenzioni internazionali e accordi bilaterali mediante i quali le aziende che hanno sedi in Paesi differenti non vengono assoggettate ad imposte per i medesimi redditi conseguiti.

Come criterio generale si considera quello dove tutti i redditi prodotti all'interno di uno Stato sono soggetti ad imposizione secondo le regole di detto paese. Ecco allora che diventa importantissimo introdurre il concetto di “stabile organizzazione” secondo la definizione della legge italiana che ricalca quella elaborata dall'OCSE.

Essenziale per la nascita e lo sviluppo delle Convenzioni contro le doppie imposizioni è stata l'attività svolta dalla Lega delle Nazioni che elaborò un modello già nel 1923 per poi giungere tra il 1926 e 1927 all'elaborazione di quattro modelli di Convenzioni in materia di doppie imposizioni per imposte sui redditi, sulla successione, sull'assistenza giudiziaria. Nel 1961 l'OECE (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica) prese il nome di OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che dopo lunghi studi portò nell'anno 1977 al Modello di Convenzione sulla doppia imposizione sul reddito e sul patrimonio. Tale modello è utilizzato dalla maggior parte dei Paesi facenti parte dell'OCSE come base per la negoziazione di accordi internazionali sulle doppie imposizioni.

L'ultima versione del modello OCSE e del relativo commentario, tra l'altro utilizzato anche dall'ONU per regolamentare gli scambi tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, è dell'anno 2010. Stando al pensiero della più autorevole dottrina, sia il Modello OCSE che il relativo Commentario si possono ritenere soft law, dove con tale termine vengono indicati, secondo il diritto internazionale, gli atti o fatti, i principi che hanno ad oggetto relazioni internazionali e che non sono considerati come fonti del diritto secondo lo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia.

Sia il Modello OCSE che il Commentario non rappresentano strumenti giuridici vincolanti diversamente dalle Convenzioni bilaterali, ma delle Raccomandazioni agli Stati aderenti che in questo modo, a meno che non abbiano espresso riserve rispetto al Modello o Commentario non potrebbero rinnegarne il contenuto adottando un comportamento difforme dalla disposizione convenzionale.

La doppia imposizione

Nell'era moderna dove non esistono frontiere e si tende ad avere un unico mercato mondiale è evidente che le relazioni economiche si sviluppano, assumendo rilevanza impositiva, su più Stati.

L'incrociarsi di queste molteplici potestà impositive ha un suo sfogo naturale in un potenziale “conflitto impositivo di tassazione” sfociando così nel fenomeno della doppia imposizione internazionale.

Il termine sopraccitato viene utilizzato quando i presupposti d'imposta di due o più Stati vengono a sovrapporsi facendo sì che, le diverse leggi nazionali, assoggettino due o più volte ad imposta la stessa ricchezza.

Più volte la dottrina internazionale ha cercato una definizione di doppia imposizione internazionale che, in senso giuridico si avrebbe a seguito della:

  • applicazione di imposte comparabili;
  • da parte di due o più Stati;
  • per lo stesso presupposto di fatto;
  • per lo stesso periodo d'imposta;
  • a carico del medesimo contribuente.

Principali caratteristiche

Il concetto che preme sottolineare è che la doppia imposizione internazionale sussiste, stando alla definizione generale, allorquando l'imposizione di due Stati comporta un ulteriore aggravio, ovvero quando l'ammontare complessivo delle imposte pagate dal contribuente risulta superiore a quello che si sarebbe pagato nel caso in cui il prelievo fosse esercitato da un solo Stato.

L'eliminazione della doppia imposizione, attraverso il metodo del credito per le imposte assolte all'estero e l'imposta dovuta dal contribuente nel proprio Stato di residenza supera quella dello Stato in cui il reddito è stato prodotto. Così il soggetto continuerebbe ad essere tassato sul medesimo presupposto impositivo in due Stati diversi, ma la doppia imposizione si considererà eliminata in quanto l'aggravio complessivo non eccede l'importo che il soggetto avrebbe dovuto assolvere se fosse stato sottoposto ad imposizione unicamente nel suo Stato di residenza.

A titolo esemplificativo potremmo ricadere nell'ambito della doppia imposizione internazionale nel caso in cui le imposte sugli scambi per la cessione di beni oltre frontiera, la spedizione della merce venga considerata operazione imponibile nello Stato dell'esportatore, mentre nello Stato dell'importatore è la consegna della merce a rilevare fiscalmente.

Gli accordi contro le doppie imposizioni internazionali possono riferirsi alle imposte indirette e dirette sia sui redditi che sul patrimonio.

Come già accennato, anche per le imposte sui redditi la doppia imposizione è causata dal fatto che i criteri di collegamento in vigore in due o più ordinamenti giuridici riguardanti la tassabilità di una determinata fattispecie si sovrappongono in modo tale che la medesima risulta fiscalmente collegata a più ordinamenti giuridici.

Per quel che concerne l'imposizione sui redditi i criteri di collegamento adottati dai diversi Stati sono sostanzialmente due:

  • quello adottato dagli ordinamenti che prevedono una imposizione personale evoluta che colpisce tutti i redditi ovunque prodotti o realizzati;
  • quello adottato dagli Stati che adottano un sistema di imposizione a carattere reale o cedolare, avente natura oggettiva identificandosi con il luogo di produzione del reddito.

La gran parte degli ordinamenti prevede per i oggetti residenti in uno Stato l'applicazione delle relative imposte sui redditi ovunque prodotti, mentre per i soggetti non residenti le imposte vengono determinate elusivamente sui redditi derivanti da fonti localizzate nel territorio dello Stato.

Esistono dei casi in cui il fenomeno della doppia imposizione non viene ricondotto ad un contrasto riscontrabile oggettivamente tra le previsioni normative di due ordinamenti giuridici, ma unicamente alla diversa interpretazione che le Autorità amministrative o giudiziarie dei due Stati attribuiscono al medesimo concetto giuridico che rappresenta il punto di collegamento tra i due ordinamenti. Tale situazione è nota, nel diritto internazionale privato, come conflitto di qualificazione.

Per cercare di capire se gli accordi internazionali sono idonei ad impedire il fenomeno della doppia imposizione internazionale, occorre domandarsi se esistano e quali siano i limiti derivanti dal diritto internazionale nell'ambito dei presupposti che possono essere oggetto della potestà tributaria di uno Stato sovrano.

In aggiunta, si riporta il testo dell'art. 163 TUIR, il quale dispone che “La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi”.

Stabile Organizzazione

Passando a trattare di come una società avente residenza in un certo Stato possa esercitare attività economica in uno Stato straniero si introduce il concetto di Stabile Organizzazione.

La Cassazione, con la sentenza 9 aprile 2010 n. 8488, definisce la stabile organizzazione come soggetto che compie atti essenziali per la conclusione di contratti, vincolanti per l'impresa medesima, senza autonomia.

La definizione di stabile organizzazione è contenuta in quasi tutti i trattati. Il concetto di stabile organizzazione stabilisce che a uno Stato contraente (ovvero lo Stato della fonte) spetta il diritto impositivo relativamente a una impresa estera se tale impresa ha una stabile organizzazione in tale Stato; diversamente, lo stato della fonte non può applicare alcuna imposizione.
Il concetto di stabile organizzazione (o permanent establishment) occupa un posto di primaria importanza tanto in ambito interno, quanto in ambito internazionale:

  • nella sfera dell'ordinamento interno, in quanto criterio per la localizzazione dei redditi prodotti dalle imprese (e, dunque, per l'attribuzione della soggettività tributaria passiva), nonché per l'individuazione delle correlate norme di determinazione del quantum imponibile;
  • nella sfera del diritto internazionale convenzionale, in quanto criterio di attribuzione della potestà impositiva ai fini dell'eliminazione della doppia imposizione.

Ai sensi dell'art. 162 TUIR, l'espressione "stabile organizzazione" designa una sede fissa di affari (c.d. stabile organizzazione materiale) per mezzo della quale l'impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato; la sede fissa di affari può essere costituita, alternativamente, da:

  • una sede di direzione;
  • una succursale;
  • un ufficio;
  • un'officina;
  • un laboratorio;
  • una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso;
  • altri casi specifici indicati nel sopra citato articolo

In sintesi, perché si configuri in Italia una stabile organizzazione materiale della società estera devono verificarsi 3 condizioni:

  • requisito oggettivo (place of business test): esistenza in Italia di una base fissa d'affari, individuabile in un luogo circoscritto, in cui viene svolta l'attività della società estera;
  • requisito soggettivo (right of use test): disponibilità della base fissa da parte della società estera;
  • requisito funzionale (business connection test): relazione funzionale tra l'attività svolta dalla società estera e la base fissa situata in Italia.

Nonostante le disposizioni precedenti, costituisce una stabile organizzazione dell'impresa anche il soggetto, residente o non residente, che nel territorio dello Stato abitualmente conclude in nome dell'impresa stessa contratti diversi da quelli di acquisto di beni (c.d. stabile organizzazione personale).
In sostanza la clausola in materia di stabile organizzazione personale è disposta al fine di evitare che un soggetto estero indebitamente si ponga al di fuori delle clausole in materia di stabile organizzazione materiale, pur disponendo operativamente di un'installazione fissa qualificabile come stabile organizzazione per il fatto di avvalersi di strutture e personale messe a disposizione da parte di soggetti terzi.

La legge di Bilancio 2018 (Legge 205/2017) ha modificato l'articolo 162 del Tuir, riformulando le ipotesi in cui non si configura una stabile organizzazione. Per un approfondimento di rimanda alla bussola “Stabile organizzazione”.

Dal periodo d'imposta 2016 (o in corso all'8 ottobre 2015, se non coincidente con l'anno solare), per quanto concerne la determinazione del reddito, non essendoci alcun dualismo tra impresa non residente e stabile organizzazione in Italia, quest'ultima deve determinare separatamente il proprio reddito, redigendo un autonomo bilancio, determinato in base agli utili e alle perdite che risultano da un apposito rendiconto economico e patrimoniale, da redigere secondo i principi contabili previsti.

I componenti di reddito che sono attribuibili alla stabile organizzazione relativamente alle transazioni e operazioni tra essa e la società cui appartiene sono determinate secondo le disposizioni dell'art. 110, co. 7 del Tuir, mentre le stesse operazioni non sono rilevanti ai fini Iva (Ris. AE 81/E/2006).

Le stabili organizzazioni possono fruire del credito d'imposta pagato all'estero e della deduzione Ace.


Per i soggetti non residenti che hanno una stabile organizzazione in Italia, il reddito complessivo è determinato secondo le disposizioni del reddito d'impresa. Si ha quindi “attrazione” alla stabile organizzazione e classificazione come reddito d'impresa, di ogni altro tipo di reddito prodotto in Italia dalla Società non residente.
Dal punto di vista degli adempimenti contabili, per la determinazione di tale reddito, è fatto obbligo all'ente o società non residente di redigere un apposito conto economico, come già anticipato, relativo alla gestione della stabile organizzazione e alle altre attività produttive di redditi imponibili in Italia. In altri termini, la tassazione avviene come se la stabile organizzazione fosse un'entità autonoma, distinta dalla più vasta organizzazione di cui è parte.

L'art. 7-quarter co. 2-4 del D.L 193/2016, intervenendo sull'art. 110, co. 2 del Tuir modifica i criteri per la conversione in euro, sotto il profilo fiscale, dei bilanci delle stabili organizzazioni all'estero delle imprese italiane, prevedendo che la conversione in euro avvenga secondo il cambio utilizzato in bilancio in base ai corretti principi contabili a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016.


In quanto soggetto autonomamente determinato ai fini tributari, la stabile organizzazione è tenuta agli obblighi dichiarativi previsti per i soggetti residenti, in base alle singole imposte considerate.
La ripartizione dei costi (spese generali e di amministrazione, di ricerca, quote di interessi passivi da finanziamento riferibili all'attività svolta dalla stabile organizzazione, ...) deve essere effettuata analiticamente (imputazione specifica delle spese alla stabile organizzazione). Qualora non sia possibile, potrà essere adottato un criterio di ripartizione proporzionale (ad esempio, in base al fatturato prodotto nello Stato estero ovvero agli utili prodotti).
Con riferimento alla deducibilità delle spese di direzione e generali di amministrazione (c.d. "spese di regia" o management fees) sostenute dalla casa madre non residente e imputate alle stabili organizzazioni italiane, occorre verificare la sussistenza di tre condizioni essenziali (C.M. 21 ottobre 1997 n. 271/E):

  • certezza e oggettiva determinabilità: tale requisito si riferisce essenzialmente alla "riferibilità" diretta delle spese sostenute dalla casa madre all'attività della stabile organizzazione;
  • inerenza: l'inerenza delle spese di regia può essere dimostrata indicando le spese che la casa madre ha sostenuto nell'interesse della branch italiana e le modalità con cui le prestazioni sono state rese (C.T. I° Milano, 13 febbraio 1991 sezione 43 e C.T. Prov. Milano 29 luglio 2005 n. 158). In particolare, la C.M. 21.10.1997 n. 271/E ha precisato che è opportuno far ricorso alle procedure di accertamento in collaborazione con le autorità fiscali estere; in caso di rapporti con Paesi con cui non è previsto lo scambio di informazioni, si può ricorrere ad una apposita certificazione delle società di revisione (cfr. Cass. 17 maggio 2000 n. 10062);
  • congruità: la C.M. 21.10.1997 n. 271/E ha ritenuto ammissibili criteri di ripartizione forfetari solo nel caso in cui sia impossibile provvedere a determinazioni di carattere analitico, basate su "parametri che tengano conto della peculiarità dell'attività svolta o di elementi contabili significativi in relazione al tipo di azienda".

In evidenza: determinazione del reddito dei soggetti non residenti
Il reddito complessivo di società ed enti non residenti è formato, secondo quanto disposto dagli articoli 151 e 153 del D.P.R. n. 917/1986, dai soli redditi prodotti nel territorio dello Stato.
Credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero

Secondo quanto disposto dall'art. 165 TUIR, se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all'estero, le imposte effettivamente pagate su tali redditi sono ammesse in detrazione dall'imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d'imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all'estero ed il reddito complessivo (al netto delle perdite di precedenti periodi d'imposta ammesse in diminuzione).
I redditi si considerano prodotti all'estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall'art. 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato, quindi, ad esempio (si veda il testo del citato articolo per le altre casistiche), rientrano in tale categoria:

  • i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato estero;
  • i redditi d'impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato estero mediante stabili organizzazioni.

In evidenza: redditi prodotti in più stati esteri
Se concorrono redditi prodotti in più Stati esteri, la detrazione si applica separatamente per ciascuno Stato.

La detrazione deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta cui appartiene il reddito prodotto all'estero al quale si riferisce l'imposta, a condizione che il pagamento a titolo definitivo avvenga prima della sua presentazione.

Nel caso in cui il pagamento a titolo definitivo avvenga successivamente, e cioè se l'imposta dovuta in Italia per il periodo d'imposta nel quale il reddito estero ha concorso a formare l'imponibile è stata già liquidata, si procede a nuova liquidazione tenendo conto anche dell'eventuale maggior reddito estero, e la detrazione si opera dall'imposta dovuta per il periodo d'imposta cui si riferisce la dichiarazione nella quale è stata richiesta. Se è già decorso il termine per l'accertamento, la detrazione è limitata alla quota dell'imposta estera proporzionale all'ammontare del reddito prodotto all'estero acquisito a tassazione in Italia. La detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all'estero nella dichiarazione presentata.

Ruling internazionale

Il ruling internazionale è un istituto volto a garantire trasparenza e certezza nei rapporti tra Fisco e contribuente in caso di operazioni transnazionali, riducendo il rischio di doppia imposizione internazionale e di soccombenza in contenzioso su controversie non chiaramente disciplinate.

Per le imprese con attività internazionale, tenuti presenti i criteri previsti dall'articolo 162 del TUIR nonché dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia, con principale riferimento:

  • al regime dei prezzi di trasferimento;
  • agli interessi;
  • ai dividendi;
  • alle royalties;
  • alla valutazione preventiva della sussistenza o meno dei requisiti che configurano una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato;

L'art. 8 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito, con modificazioni, nella Legge 24 novembre 2003, n. 326 ha previsto la possibilità di utilizzare la procedura di ruling internazionale.

Con l'approvazione del D.Lgs. 147/2015, noto anche come “Decreto Internazionalizzazione” tale istituto ha subito una profonda modifica: il vecchio articolo di riferimento della procedura (art. 8 D.L. n. 269/2003) è stato infatti abrogato dall'art. 1 c. 1 del recente decreto.

Il nuovo testo di riferimento, oltre a fornire le nuove linee guida, potenzia gli accordi preventivi tra Fisco e imprese, che potranno riguardare vari ambiti, dalla disciplina dei prezzi di trasferimento infragruppo all'individuazione di nuove norme sull'erogazione o la percezione di dividendi.

La procedura di ruling viene avviata tramite presentazione volontaria di un'istanza all'Agenzia delle Entrate che, verificati i presupposti di ammissibilità, fornirà il suo parere sulla soluzione proposta dal contribuente; terminata tale fase, si procederà alla sottoscrizione di un accordo regolatore di quanto prospettato dalla parte nell'istanza introduttiva.

Il contribuente, nella consapevolezza di poter incorrere in eventuali sanzioni in caso di accertamento, può scegliere di uniformarsi o meno a tale parere.

Il nuovo articolo di riferimento (art. 1 D. Lgs. 147/2015), che agisce sul D.P.R. n. 600/1973, inserendo il nuovo articolo 31-ter, dispone che le imprese con attività internazionale possono accedere ad una procedura finalizzata alla stipula di accordi preventivi relativi ai seguenti ambiti:

  • preventiva definizione in contraddittorio dei metodi di calcolo del valore normale delle operazioni con società non residenti e dei valori di uscita o di ingresso in caso di trasferimento della residenza;
  • applicazione ad un caso concreto di norme, anche di origine convenzionale, concernenti l'attribuzione di utili e perdite alla stabile organizzazione in un altro Stato di un'impresa o un ente residente ovvero alla stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente;
  • valutazione preventiva della sussistenza o meno dei requisiti che configurano una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato;
  • applicazione ad un caso concreto di norme, anche di origine convenzionale, concernenti l'erogazione o la percezione di dividendi, interessi e royalties e altri componenti reddituali a o da soggetti non residenti.

Trasferimento all'estero della residenza fiscale: l'exit tax

L'Istituto dell'exit tax è previsto dall'art. 166 TUIR e colpisce, con imposizione immediata, le imprese che intendano trasferire la residenza fiscale in un altro Stato della Comunità Europea e non facciano confluire i componenti dell'azienda o del complesso aziendale in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, ma siano anch'essi trasferiti in altro Stato comunitario.

Il comma 1 del sopra citato articolo dispone infatti che “Il trasferimento all'estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all'estero. Per le imprese individuali e le societa' di persone si applica l'articolo 17, comma 1, lettere g) e l)”.

IN EVIDENZA: trasferimento di società di capitali
Secondo il comma 2-ter dell'art. 166 TUIR, il trasferimento della residenza fiscale all'estero da parte di una società di capitali non dà luogo di per sé all'imposizione dei soci della società trasferita.

In sostanza, conseguentemente a tale trasferimento, il differenziale positivo (plusvalenza) tra il costo fiscale dei beni costituenti l'azienda ovvero il complesso aziendale e il loro valore normale, sarà tassato in Italia con la exit tax; per questo motivo essa viene conosciuta anche come tassa sui plusvalori latenti.
Per quanto riguarda il presupposto soggettivo, la norma si applica a tutti i soggetti residenti che esercitano attività d'impresa e che detengono aziende o complessi aziendali, mentre il presupposto oggettivo per la tassazione dei plusvalori latenti è rappresentato dal trasferimento all'estero della residenza correlato alla perdita ai fini fiscali della residenza in Italia del soggetto trasferito.

Pertanto, i contribuenti che intendono trasferirsi in altro Stato UE sono assoggettati ad imposizione qualora non facciano confluire i componenti dell'azienda o del complesso aziendale in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, ma siano anch'essi trasferiti in altro Stato.

Il valore normale dovrà essere determinato ai sensi dell'art. 9, commi 3 e 4 del D.P.R. 917/1986; la differenza tra il valore normale dei beni costituenti l'azienda trasferita e il loro costo fiscalmente riconosciuto concorre alla formazione del reddito di tale soggetto.

IN EVIDENZA: approfondimento sulla tassazione
La norma prevede inoltre che, per gli imprenditori individuali e per le società di persone, tali plusvalenze latenti possano essere assoggettate a tassazione separata, in alternativa al regime ordinario di tassazione, ai sensi dell'art. 17, comma 1 lett. g) e l) del D.P.R. 917/1986.
Diversamente, per i soci delle società di capitali italiane che trasferiscono la sede all'estero, ai sensi del comma 2-ter del citato articolo, non è previsto l'assoggettamento a tassazione in relazione alle plusvalenze latenti nelle partecipazioni detenute.

L'ipotesi di realizzo al valore normale non si applica infatti per i beni confluiti in una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, poiché il presupposto principale perché tale disposizione possa trovare applicazione consiste nell'abbandono definitivo della residenza italiana. Tuttavia, qualora successivamente i beni vengano distolti dalla stabile organizzazione, le plusvalenze latenti dovranno essere assoggettate ad imposizione (ad esempio l'art. 166 non si applica nel caso in cui l'impresa sposti all'estero la propria sede legale, ma mantenga in Italia una S.O. mediante la quale svolge attività, mentre si applica se, successivamente, i componenti confluiti nella S.O. vengono distolti per confluire alla casa madre estera).

Anche la Corte di Giustizia si è espressa in tema di mobilità societaria ed exit tax, sostenendo che:

  • in virtù del c.d. principio di territorialità uno stato può legittimante individuare come presupposto d'imposta una fattispecie che presenta un ragionevole collegamento con il suo territorio (sentenza 15 maggio 1997, causa C – 250/97);
  • la tassazione delle plusvalenze maturate al momento della perdita della residenza fiscale anziché al momento del realizzo determina la violazione del principio di libertà di stabilimento ex art. 43 del Trattato Cee. (l'exit tax applicata alle persone fisiche - sentenza dell'11 marzo 2004, causa C-9/02);
  • non costituisce ostacolo alla libertà di trasferimento l'applicazione da parte dello stato di uscita di un'exit tax sulle plusvalenze latenti degli attivi trasferiti. Tuttavia la riscossione immediata dell'exit tax viola il principio di proporzionalità e, pertanto, deve essere differita al momento del realizzo (tax deferral).

In evidenza: ampliamento disciplina tax deferral
L'art. 11, co. 1, lettera b) del decreto legislativo sulla crescita e l'internazionalizzazione (D.Lgs. 147/2015) ha recentemente modificato l'art. 179 comma 6 Tuir al fine di ricomprendere le fusioni, le scissioni e i conferimenti tra le operazioni che comportano trasferimenti di sede meritevoli di fruire della “sospensione“ della riscossione delle imposte sui redditi sulle plusvalenze.
In base al nuovo provvedimento, il regime di tax deferral (vale a dite quella tendenza, posta in essere da società residenti in Paesi a fiscalità ordinaria, mirata alla sospensione della tassazione anche attraverso il mancato rimpatrio dei dividendi per mezzo della loro distribuzione alla società estera controllata residente nel Paese a bassa fiscalità) è previsto anche in caso di trasferimenti a seguito di operazioni straordinarie intracomunitarie effettuate a decorrere dal periodo di imposta 2015 (o See) di fusione, scissione e conferimento.

La disciplina dell'exit tax è stata modificata dal Decreto legislativo emanato in attuazione della Direttiva Atad 2. Ciò premesso, le principali novità riguardano:

  • l'introduzione del concetto di valore di mercato, in sostituzione del valore normale, per la determinazione della plusvalenza in uscita;
  • la riduzione da 6 a 5 del numero delle rate in caso di rateizzazione delle imposte;
  • l'eliminazione della possibilità di fruire della sospensione del versamento delle imposte.

Scambio di informazioni e procedura amichevole

Lo scambio di informazioni

L'art. 26 del Modello OCSE contiene le regole secondo cui è possibile effettuare uno scambio di informazioni tra competenti Autorità perseguendo la primaria finalità di prevenire l'evasione fiscale. Lo scambio di informazioni può includere anche dati relativi ai soggetti non residenti (ampliano l'ambito applicativo di cui all'art. 1). In base alle modifiche apportate al Modello nel 2000, l'art. 26, par. 1, è divenuto applicabile anche allo scambio di informazione per ogni tipo di imposta applicata dagli Stati contraenti, non soltanto a quelle domestiche coperte dal trattato.
Secondo il commentario sul Modello OCSE, lo scambio di informazioni può verificarsi attraverso tre diverse metodologie:

  • automaticamente: le informazioni circa una o più categorie di reddito che hanno fonte in un certo Stato e percepite nell'altro Stato vengono sistematicamente trasmesse all'altro Stato;
  • su richiesta: le fonti di informazioni disponibili secondo le procedure di accertamento interno dovrebbero essere messe a disposizione su richiesta di informazioni da parte dell'altro Stato;
  • spontaneamente: uno Stato che ha acquisito informazioni tramite proprie investigazioni può trasmetterle all'altro Stato qualora reputi che siano di interesse.

L'art. 26, paragrafo 2, del Modello OCSE chiarisce che uno Stato non è obbligato a superare i limiti posti dalla propria norma interna e dalle procedure amministrative nel mettere a disposizione le informazioni all'altro Stato; tuttavia, devono essere predisposte apposite procedure al fine di far fronte alle richieste dello Stato.

La procedura amichevole

L'art. 25 del Modello OCSE istituisce una procedura amichevole volta alla risoluzione delle problematiche derivanti dall'applicazione dei trattati, come ad esempio:

  • problemi relativi all'attribuzione ad una stabile organizzazione di una parte delle spese generali amministrative di direzione sostenute dall'impresa (art. 7, par. 3, del Modello);
  • tassazione nello Stato del soggetto erogante della parte in eccesso di interessi e royalties (artt. 9 e 11 del Modello);
  • casi di mancanza di adeguata informazione relativamente all'effettiva situazione di un contribuente con conseguente errata applicazione del trattato.

Al fine di attivare la procedura il contribuente deve verificare che le azioni intraprese da uno o da entrambi gli Stati contraenti comportino una forma di tassazione che contravviene al trattato e che tale tassazione comporti un rischio un rischio che non sia solo possibile ma anche probabile. La procedura si articola in due fasi:

  • una prima fase in cui il contribuente, entro tre anni, presenta ricorso alle competenti Autorità dello Stato di residenza che, se la materia del contendere risulta giustificata, assumono i dovuti provvedimenti;
  • una seconda fase in cui le Autorità fiscali dello Stato di residenza del contribuente contattano le Autorità fiscali dell'altro Stato e la procedura viene gestita tra le due.
Disposizioni in materia di imprese estere controllate e collegate

Imprese estere controllate

L'art. 167 TUIR stabilisce, al comma 1, che se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori a fiscalità privilegiata, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute.

In evidenza: applicazione alle stabili organizzazioni
Tali disposizioni si applicano anche per le partecipazioni in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni situate in Stati o territori diversi da quelli di cui al citato decreto.

Ai fini della determinazione del limite del controllo, si applica l'art. 2359 del codice civile.
Le sopra citate disposizioni non si applicano se il soggetto residente dimostra, alternativamente, che:

  • la società o altro ente non residente svolga un'effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest'ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento;
  • dalle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a fiscalità privilegiata.

Per un approfondimento si rimanda alla bussola “Controlled Foreign Companies”. Si precisa, però, che anche la disciplina Cfc è stata oggetto di modifiche da parte del decreto legislativo che recepisce le disposizioni della Direttiva Atad 2.

Imposta sostitutiva sui redditi prodotti all'estero da neo-domiciliati

Le persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia possono beneficiare di una imposta sostitutiva sui redditi prodotti all'estero a condizione che siano state residenti all'estero per almeno 9 dei 10 periodi precedenti l'inizio del regime agevolativo. L'opzione, introdotta con la Legge di bilancio 2017 (Legge 232/2016), prevede il pagamento di un'imposta forfettaria di 100.000 euro per ciascun periodo d'imposta per cui viene esercitata, qualunque sia l'importo dei redditi percepiti, con la sola esclusione delle plusvalenze da cessione di partecipazioni qualificate.

L'adesione al regime avviene al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi, riferita al periodo d'imposta in cui è stata trasferita la residenza fiscale in Italia o in quello immediatamente successivo. È consentito, inoltre, presentare una specifica istanza preventiva di interpello alla Direzione Centrale Accertamento dell'Agenzia delle Entrate.

L'opzione, infatti, potrà essere esercitata solo dopo aver ottenuto risposta favorevole specifica istanza di interpello probatorio in base all'art. 11, co. 1, lett. b), dello Statuto dei contribuenti (L. 212/2000).

La richiesta può essere consegnata a mano, tramite raccomandata con avviso di ricevimento oppure telematicamente, utilizzando la posta elettronica certificata. Nell'istanza il contribuente dovrà indicare:

  • i dati anagrafici e, se già attribuito, il codice fiscale, oltre al relativo indirizzo di residenza in Italia, se già residente;
  • lo status di non residente in Italia per un tempo almeno pari a nove periodi di imposta nel corso dei dieci precedenti l'inizio di validità dell'opzione;
  • la giurisdizione o le giurisdizioni in cui ha avuto l'ultima residenza fiscale prima dell'esercizio di validità dell'opzione;
  • gli Stati o territori esteri per i quali intende esercitare la facoltà di non avvalersi dell'applicazione dell'imposta sostitutiva.

È necessario indicare la sussistenza degli elementi necessari per l'accesso al regime, compilando l'apposita check list e presentando, eventualmente, la relativa documentazione a supporto.

Il regime forfettario può essere esteso anche ad uno o più familiari in possesso dei requisiti, attraverso una specifica indicazione nella dichiarazione dei redditi riferita al periodo d'imposta in cui il familiare trasferisce la residenza fiscale in Italia o in quella successiva. In questo caso, l'imposta sostitutiva è pari a 25.000 euro per ciascuno dei familiari ai quali sono estesi gli effetti della stessa opzione.

L'opzione si intende tacitamente rinnovata di anno in anno, mentre gli effetti cessano, in ogni caso, in ipotesi di omesso o parziale versamento, in tutto o in parte, dell'imposta sostitutiva misura e nei termini previsti dalle vigenti disposizioni di legge. Sono fatti salvi gli effetti prodotti nei periodi d'imposta precedenti. La revoca o la decadenza dal regime precludono l'esercizio di una nuova opzione.

Il versamento dell'imposta sostitutiva, nella misura di 100.000 euro, deve essere effettuato in un'unica soluzione, per ciascun periodo di imposta di efficacia del regime, entro la data prevista per il versamento del saldo delle imposte sui redditi.

Il nuovo regime si applica ai redditi relativi all'anno di d'imposta 2017, quindi, a partire dalle dichiarazioni dei redditi da eseguirsi l'anno successivo.

Attrazione degli investimenti esteri

La Legge di Bilancio 2017 introduce una disciplina particolare con l'obiettivo di favorire l'ingresso in Italia dei cittadini extra comunitari con elevate risorse finanziarie, che possono diventare eventuali investitori.

Al fine di attrarre investimenti dall'estero si consente l'ingresso e il soggiorno per periodi superiori a tre mesi, al di fuori delle quote di cui all'art. 3, co. 4 D. Lgs. n. 286/1998, agli stranieri che intendono effettuare:

  • un investimento di almeno euro 2.000.000 in titoli emessi dal Governo italiano e che vengano mantenuti per almeno due anni;
  • un investimento di almeno euro 1.000.000 in strumenti rappresentativi del capitale di una società costituita e operante in Italia mantenuto per almeno due anni ovvero di almeno euro 500.000 nel caso tale società sia una start-up innovativa iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all'art. 25, co. 8, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221;
  • una donazione a carattere filantropico di almeno euro 1.000.000 a sostegno di un progetto di pubblico interesse, nei settori della cultura, istruzione, gestione dell'immigrazione, ricerca scientifica, recupero di beni culturali e paesaggistici e che:
  1. dimostrano di essere titolari e beneficiari effettivi di un importo almeno pari a euro 2.000.000, nel caso di cui alla lettera a), o euro 1.000.000, nei casi di cui alla lettera b) e alla presente lettera, importo che deve essere in ciascun caso disponibile e trasferibile in Italia;
  2. presentano una dichiarazione scritta in cui si impegnano a utilizzare i fondi di cui al numero 1) per effettuare un investimento o una donazione filantropica che rispettino i criteri di cui alle lettere a) e b) e alla presente lettera, entro tre mesi dalla data di ingresso in Italia;
  3. dimostrano di avere risorse sufficienti, in aggiunta rispetto ai fondi di cui al numero 1) e in misura almeno superiore al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, per il proprio mantenimento durante il soggiorno in Italia.
Dichiarazione annuale per gli investimenti e le attività

Gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nel co. 1 dell'art. 4 del D.L. 167/1990 non sussistono per le attività finanziarie e patrimoniali affidate in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento, qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti da tali attività e contratti siano stati assoggettati a ritenuta o imposta sostitutiva dagli intermediari stessi.

Gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nel comma 1 del predetto articolo non sussistono altresì per i depositi e conti correnti bancari costituiti all'estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d'imposta non sia superiore a 15.000 euro.

Gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi previsti nel comma 1 del predetto articolo non sussistono altresì per gli immobili situati all'estero per i quali non siano intervenute variazioni nel corso del periodo d'imposta, fatti salvi i versamenti relativi all'imposta sul valore degli immobili situati all'estero, di cui al D.L. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214.

Interpello su nuovi investimenti

L'art. 2 del D. Lgs. n. 147/2015 introduce una nuova tipologia di interpello (interpello sui nuovi investimenti) attraverso cui il soggetto che intenda effettuare in Italia rilevanti investimenti può rivolgersi all'Agenzia delle entrate allo scopo di conoscere preventivamente il parere in merito al corretto trattamento fiscale del piano di investimenti e delle operazioni straordinarie pianificate per la conseguente esecuzione dello stesso.

Sono ammessi alla presentazione dell'istanza:

  • gli imprenditori individuali;
  • le società di capitali e gli enti residenti, nonché i trust, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale;
  • gli enti residenti, nonché i trust, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale, relativamente all'attività commerciale eventualmente esercitata;
  • le società di persone, escluse le società semplici;
  • e gli altri soggetti residenti ad esse equiparati ai sensi dell'art. 5, comma 1, del TUIR;
  • le società e gli enti di ogni tipo non residenti, nonché i trust, indipendentemente dalla circostanza che abbiano o meno una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.
  • i gruppi di società e i raggruppamenti d'imprese, in questo caso occorre tener in considerazione il valore complessivo dell'investimento unitario, dato dalla somma del valore dei singoli investimenti di tutti i soggetti partecipanti all'iniziativa;
  • anche i soggetti che, pur non qualificandosi a priori come imprenditori, promuovano investimenti (sia nella forma dell'asset deal che dello share deal) che abbiano come “target” un'impresa localizzata nel territorio dello Stato.

Il progetto di investimento deve necessariamente presentare le caratteristiche di seguito indicate:

  1. deve realizzarsi nel territorio dello Stato;
  2. deve avere ricadute occupazionali significative e durature;
  3. deve essere di ammontare non inferiore a trenta milioni di euro. L'articolo 01 del D.L. 119/2018, modificando l'articolo 2 del D.Lgs. 147/2015, prevede un abbassamento della soglia, in quanto a partire dal 1° gennaio 2019 le istanze presentate potranno riguardare investimenti di ammontare non inferiore a 20 milioni di euro.

L'istanza d'interpello è redatta in carta libera ed è presentata all'Agenzia delle entrate – Direzione Centrale Normativa, Ufficio Interpelli Nuovi Investimenti mediante una delle seguenti modalità:

  1. consegna a mano;
  2. spedizione tramite servizio postale a mezzo plico raccomandato con avviso di ricevimento;
  3. per via telematica attraverso l'impiego della posta elettronica certificata.

l'istanza di interpello deve contenere:

  1. la denominazione dell'impresa, gli elementi identificativi del suo legale rappresentante, la sede legale o il domicilio fiscale, se diverso dalla sede legale, il codice fiscale o la partita IVA ovvero altro codice di identificazione dell'impresa, nonché l'indicazione dei recapiti, anche telematici, del domiciliatario per la procedura di interpello presso il quale si richiede di inoltrare le comunicazioni attinenti la procedura. Nel caso in cui più soggetti intendano partecipare all'investimento, l'istanza deve contenere la denominazione e gli elementi identificativi di tutte le imprese partecipanti all'investimento;
  2. la descrizione dettagliata del piano di investimento, sul quale si chiede la valutazione dell'Agenzia delle entrate con riferimento al relativo trattamento fiscale e alle operazioni societarie pianificate per la relativa attuazione. La descrizione deve necessariamente specificare: l'ammontare dell'investimento, non inferiore a trenta milioni di euro, e i metodi prescelti per la quantificazione;
  3. i tempi e le modalità di realizzazione dello stesso;
  4. le ricadute occupazionali significative da valutare in relazione all'attività in cui avviene l'investimento e durature, e i riflessi, anche in termini quantitativi, che l'investimento oggetto dell'istanza ha sul sistema fiscale italiano; e specifiche disposizioni tributarie di cui si richiede l'interpretazione, o in relazione alle quali si chiede di valutare l'eventuale abusività delle operazioni connesse al piano di investimento, nonché le specifiche disposizioni antielusive delle quali si chiede la disapplicazione e gli specifici regimi o istituti ai quali si chiede di avere accesso;
  5. l'esposizione, in modo chiaro e univoco, del trattamento fiscale che il contribuente ritiene corretto in relazione al piano di investimento, con esplicitazione delle soluzioni e dei comportamenti che l'istante intende adottare in relazione alla sua attuazione;
  6. la sottoscrizione dell'istante o del suo legale rappresentante ovvero del procuratore generale o speciale incaricato ai sensi dell'art. 63 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. In questo ultimo caso, se la procura non è contenuta in calce o al margine dell'atto, essa deve essere allegata allo stesso.

L'Agenzia delle Entarte deve fornire risposta entro 120 giorni al ricevimento dell'istanza prorogabili di altri 90 giorni decorrenti dalla data di acquisizione delle informazioni.

Se è chiesta l'integrazione delle informazioni mancanti da sanare entro 30 giorni, il termine per la risposta iniziano a decorrere dai giorni in cui la regolazione è avvenuta.

Il contenuto della risposta vincola L'Agenzia delle Entrate e resta valida finché restano invariate le circostanze di fatto e di diritto sulla base delle quali la stessa è stata resa.

Accordi internazionali

Bisogna infine tener presente che, secondo quanto disposto dall'art. 169 TUIR, le disposizioni del TUIR stesso si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione.

Eliminazione della doppia imposizione

A titolo meramente esemplificativo si riporta l'articolo 23 della Convenzione contro le doppie imposizioni vigente tra Italia e Cina [Legge 31 ottobre 1989, n. 376, (in Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., 23 novembre, n. 274). - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica popolare cinese per evitare le doppie imposizioni e per prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, con protocollo, firmato a Pechino il 31 ottobre 1986].

1. Si conviene che la doppia imposizione sarà evitata conformemente ai seguenti paragrafi del presente articolo.

2. Se un residente dell'Italia possiede elementi di reddito che sono imponibili in Cina, l'Italia, nel calcolare le proprie imposte sul reddito, specificate all'articolo 2 del presente Accordo, può includere nella base imponibile di tali imposte detti elementi di reddito, a meno che espresse disposizioni del presente Accordo non stabiliscano diversamente. In tal caso, l'Italia deve dedurre dalle imposte così calcolate l'imposta sui redditi pagata in Cina, ma l'ammontare della deduzione non può eccedere la quota della predetta imposta italiana attribuibile ai detti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo. Tuttavia, nessuna deduzione sarà accordata ove l'elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo di imposta su richiesta del beneficiario di detto reddito in base alla legislazione italiana.

3. Nel caso di un residente della Cina: - quando un residente della Repubblica Popolare Cinese percepisce un reddito dall'Italia, l'ammontare dell'imposta dovuta in Italia su tale reddito ai sensi delle disposizioni del presente Accordo è concesso un credito sull'imposta cinese applicata a tale residente; l'ammontare del credito, tuttavia, non deve eccedere l'ammontare dell'imposta cinese calcolata su tale reddito conformemente alla legislazione ed alla normativa fiscale della Repubblica Popolare Cinese; quando il reddito proveniente dall'Italia è un dividendo pagato da una società residente dell'Italia ad una società residente della Repubblica Popolare Cinese che possiede non meno del 10 per cento delle azioni della società che paga i dividendi, il credito terrà conto dell'imposta dovuta in Italia dalla società che paga i dividendi in relazione al proprio reddito.

4. Ai fini dei paragrafi 2 e 3 del presente articolo, quando l'imposta sugli utili di impresa, sui dividendi, interessi o canoni provenienti da uno Stato contraente non è prelevata o è ridotta per un periodo di tempo limitato ai sensi delle leggi e dei regolamenti di detto Stato, tale imposta non prelevata o ridotta si considera pagata per un ammontare complessivo nel caso degli utili di impresa e per un ammontare non superiore: a) al 10 per cento dell'ammontare lordo dei dividendi e degli interessi di cui agli articoli 10 e 11; b) al 15 per cento dell'ammontare lordo dei canoni di cui all'articolo 12.

Riferimenti

Normativi

  • D.L. 23 ottobre 2018, n. 119
  • Decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90 (in SO n. 28, relativo alla G.U. 19/06/2017, n.140)
  • Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di Bilancio 2017)
  • Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193, art. 7-quater
  • Agenzie delle Entrate, Provvedimento del 20 maggio 2016
  • Decreto Ministeriale 29 aprile 2016
  • L. 28 dicembre 2015, n. 208
  • D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147
  • Legge 19 luglio 2013, n. 88
  • Legge 14 gennaio 2013, n. 6
  • Legge 30 novembre 2012, n. 241
  • Legge 31 agosto 2012, n. 157
  • Legge 3 giugno 2011, n. 87
  • Decreto Legge 25 settembre 2001, n. 350
  • Legge 31 ottobre 1989, n. 376
  • Modello standardizzato di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni
  • Artt. 162/169, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917

Giurisprudenza

  • Cass. civ., sez. trib., 26 ottobre 2012, n. 18442
  • Cass. civ., sez. trib., 3 febbraio 2012, n. 1553
  • Cass. civ., sez. trib., 21 aprile 2011, n. 9166
  • Cass. civ., sent. 9 aprile 2010, n. 8488
  • Corte di Giustizia UE 23 marzo 2006, causa C-210/04

Prassi

  • Agenzia delle Entrate, Circolare del 5 marzo 2015, n. 9/E
  • Agenzie delle Entrate, Circolare del 1 giugno 2016, n. 25/E
  • Agenzia delle Dogane, Circolare 30 novembre 2012, n. 21/D
  • Agenzia delle Entrate, Circolare 6 ottobre 2010, n. 51/E
  • Agenzia delle Entrate, Risoluzione 16 giugno 2006, n. 81
  • Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 23 luglio 2004
  • Agenzia delle Entrate, Risoluzione 5 dicembre 2003, n. 220/E
  • Circ. Min. 21 ottobre 1997, n. 271/E
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