Licenziamento per g.m.o.: mutamento dell’assetto organizzativo in assenza di crisi

Marco Giardetti
28 Gennaio 2019

In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto necessario del provvedimento. È invece sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro, le quali devono essere evidentemente esplicitate come motivazione che giustifica il licenziamento, causalmente determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa
Massima

In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto necessario del provvedimento. È invece sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro, le quali devono essere evidentemente esplicitate come motivazione che giustifica il licenziamento, causalmente determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa

Il caso

Nell'ambito di un giudizio introdotto ai sensi degli art. 1 commi da 41 e ss Legge n. 92/2012, un dipendente impugnava la sentenza emessa dalla Corte di Appello in sede di reclamo ex art. 1, commi 52 e ss, appello che aveva accolto parzialmente la domanda avanzata contro la società datrice di lavoro, volta ad ottenere l'accertamento della nullità e, in subordine, della illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo (con lettera enunciante il g.m.o. consistente nella soppressione della posizione lavorativa) e le conseguenti pronunce in regime di tutela reale, oltre alla condanna al pagamento di somme da quantificarsi in corso di causa, per danno biologico, morale ed esistenziale.

Il Tribunale in sede di opposizione Fornero parzialmente dissentendo dalle conclusioni raggiunte dal Giudice della fase sommaria, che aveva rigettato il ricorso, per i fini che qui interessano riteneva insussistente, con articolata motivazione, il fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con conseguente illegittimità del licenziamento, con assorbimento della questione relativa all'obbligo di ripescaggio. Condannava quindi l'azienda al pagamento della indennità risarcitoria ma non alla reintegra non potendosi ritenere manifestamente insussistente il motivo posto a base della misura.

Il dipendente in sede di reclamo avanti alla Corte di Appello Lavoro ha evidenziato l'erroneità della decisione, sotto tutti i profili che lo hanno visto soccombente. La Corte di Appello, per i fini che qiu interessano, nel confermare la decisione in tema di insussistenza del motivo oggettivo posto a base del licenziamento affermava che risultando provata la soppressione del posto di lavoro non si configurava l'ipotesi di evidente mancanza di giustificazione, sebbene la situazione economico-produttiva aziendale, al momento del licenziamento fosse in lieve miglioramento. Pertanto veniva confermata la sentenza resa in sede di opposizione.

In tema di manifesta insussistenza del fatto, quindi, la Suprema Corte afferma: “Al riguardo questa Corte con un orientamento che questo Collegio condivide, ha affermato che ‘ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3, l. n. 604 del 1966, l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce presupposto fattuale che il datore di lavoro deve necessariamente provare ed il giudice accertare, sì da assurgere a requisito di legittimità intrinseco al recesso ai fini dell'integrazione della fattispecie astratta, escludendo così che la tipologia del licenziamento de quo possa dirsi giustificata solo in situazioni di crisi di impresa (cfr. Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201).

È invece sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro, le quali devono essere evidentemente esplicitate come motivazione che giustifica il licenziamento, causalmente determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa.

È stato anche precisato che le ragioni produttive ed organizzative non coincidono né si identificano con la mera soppressione del poso di lavoro ma ne costituiscono causa efficiente (Cass. n. 19815 del 2016); esse quindi non si prestano ad esemplificazioni casistiche che abbiano la pretesa di esaustività in relazione ad una complessa e proteiforme realtà economica.

Al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore attraverso la verifica sulla effettività e non pretestuosità della ragione concretamente addotta dall'imprenditore a giustificazione del recesso”

La questione

La questione in esame è la seguente: in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo è requisito necessario per la legittimità del provvedimento la sussistenza di un andamento economico negativo dell'azienda o è invece sufficiente che l'atto espulsivo sia fondato da ragioni inerenti una migliore organizzazione aziendale a prescindere dalla sussistenza di una effettiva crisi di impresa?

Le soluzioni giuridiche

La questione è certamente tra le più dibattute negli ultimi anni atteso che la Corte di Cassazione ha inteso privilegiare quel filone interpretativo in passato minoritario secondo il quale il licenziamento per motivo oggettivo non dovesse necessariamente avere quale presupposto una situazione economica sfavorevole dell'azienda, ma semplicemente una volontà riorganizzativa che potesse essere in grado di migliorare l'efficienza operativa e addirittura aumentare il profitto aziendale.

Come noto infatti, la necessità di “far fronte a sfavorevoli situazioni non meramente contingenti influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva” era il leit-motiv del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, come a dire che non poteva riscontrarsi la legittimità dello stesso in assenza di una situazione aziendale sfavorevole che lo legittimasse. Pertanto laddove tale presuposto risultava mancante la giurisprudenza, di converso, riteneva il licenziamento illegittimo in quanto esclsuivamente tendente all'aumento di profitto.

Nel tempo si è invece fatto strada l'orientamento in virtù del quale le ragioni inerenti l'attività produttiva di cui all'art. 3, l. n. 604 del 1966, possano derivare anche da riorganizzazioni o ristrutturazioni, quali ne siano le finalità e quindi quelle dirette al risparmio dei costi o all'incremento dei profitti. Quanto precede sulla scorta della semplice considerazione secondo cui le ragioni inerenti l'attività produttiva e l'organizzazione del lavoro possono essere le più diverse e non solo quelle che mirano ad evitare situazioni economiche sfavorevoli e di crisi.

Pertanto, secondo tale ultimo orientamento è da considerarsi estraneo al controllo giudiziale il fine di arricchimento o non impoverimento perseguito dall'imprenditore, comunuque suscettibile di determinare un incremento di utili a beneficio dell'impresa e, dunque, dell'intera comunità dei lavoratori.

Nello scontro di tali due orientamenti la Corte di Cassazione Lavoro ha espressamente ritenuto “che debba esser data continuità” all'ultimo di quelli sopra descritti, nel quale va ad innestarsi la pronuncia che oggi si commenta.

Pertanto, oggi, un licenziamento per motivo oggettivo potrà dirsi manifestamente sussistente e quindi legittimo laddove il datore di lavoro ponga a base della misura delle ragioni puramente organizzative tali da rendere maggiormente efficiente l'azienda, anche in assenza di ragioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendale.

Rimarrà sempre in carico al datore di lavoro l'onere di provare che le ragioni poste alla base della misura siano effettivamente sussistenti e siano state tali da generare la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato.

Esaurito questo onere, il Giudice null'altro dovrà accertare e quindi non dovrà più addentrarsi nell'esame circa la economicità o meno del licenziamento.

Osservazioni

La sentenza in commento, o sarebbe meglio dire il filone oramai maggioritario essendo volontà della Suprema Corte farlo proprio in via maggioritaria, pone oggettivamente nuove e più ampie frontiere all'operato del datore di lavoro in caso di necessità di carattere aziendale.

È indubbio, infatti, che in passato non poteva prescindersi nella costruzione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo da un preventivo esame circa la sussistenza di uno stato di crisi di impresa o di una situazione economica sfavorevole, mancando la quale il provvedimento si sarebbe andato a scontrare con molta probabilità con una giurisprudenza contraria.

Il panorama operativo è invece cambiato e pertanto, oggi, nell'affrontare la necessità di un cambiamento organizzativo aziendale non si dovrà più necessariamente verificare la sussistenza di una sfavorevole situazione economica ma semplicemente le conseguenze migliorative in termini di efficienza ed economicità che produce la misura in ambito aziendale.

L'esempio classico è l'eliminazione di una funzione aziendale dettata al fine di rendere più snella la cosiddetta catena di comando e quindi la gestione aziendale nel suo complesso. In buona sostanza una misura non dettata da esigenze economiche sfavorevoli ma da un lato da esigenze realmente organizzative e produttive in quanto miranti ad una maggiore e migliore efficienza aziendale, dall'altro da una conseguenze maggiore produttività aziendale in termini di risultato che, implicitamente, si traduce in un aumento di profitto dell'azienda.

Come si vede, viene quindi ribaltato il precedente orientamento, ragionandosi quindi in maniera totalmente differente ritenendo legittime motivazioni in passato non ritenute tali.

Tecnicamente parlando quello che oggi si sta affermando è senza dubbio l'orientamento più aderente al dato legislativo di cui all'art. 3, l. n. 604 del 1966, che è sempre opportuno ricordare: “Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso é determinato […] da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Ebbene la norma, ad onor del vero, sembra orientata esclusivamente a legittimare la misura in quei casi in cui sia necessario che dalla stessa derivino benefici alla generale attività aziendale senza alcun riferimento, neanche implicito, alla sussistenza di preventive e sfavorevoli situazioni economiche o aziendali che debbano esserne a fondamento.

D'altronde la controprova la si ha nella diversa ipotesi di licenziamento per giusta causa dove il legislatore ha espressamente definito come presupposto il “notevole inadempimento agli obblighi contrattuali” (art. 3, l. n. 604 del 1966) o il verificarsi di “una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” (art. 2119, c.c.). Ed è su questi presupposti che la giurisprudenza ha lavorato nel tempo per individuare le diverse fattispecie, senza mai individuarne degli altri.

In conclusione appare potersi dire come la Cassazione Lavoro abbia operato nell'ultimo triennio in perfetta aderenza ai propri intenti, perseguendo ed affermando i principi oggi fatti propri dalla sentenza in commento.

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