I poteri e doveri dell'amministratore di nomina giudiziale

30 Gennaio 2019

L'amministratore nominato dall'autorità giudiziaria, ai sensi e per gli effetti di cui al comma 1 dell'art. 1129 c.c., non diversifica il rapporto che ne scaturisce, né assume connotazioni diverse da quelle proprie dell'amministratore di nomina assembleare; dunque, con la nomina dell'amministratore, non si instaura un rapporto regolato dalle parti...
Il quadro normativo

La giurisprudenza prevalente, in ordine alla natura del rapporto intercorrente tra i condomini e l'amministratore, sia nel caso in cui la nomina abbia avuto luogo da parte dei primi, sia nel caso sia avvenuta ad opera dell'autorità giudiziaria, ritiene di far riferimento all'istituto del mandato, la cui disciplina è, quindi, applicabile se non risulti incompatibile con le disposizioni legislative che, nel condominio, determinano con precisione le attribuzioni dell'amministratore (tale opzione ermeneutica ha trovato ora l'avallo da parte del novellato art. 1129, comma 15, c.c.).

Invero, l'intervento del giudice al riguardo è esclusivamente diretto a supplire ad una carenza dei meccanismi tipici dell'ordinamento condominiale, mediante la sostituzione della volontà assembleare con un provvedimento giudiziale; ciò implica che l'amministratore nominato dal giudice non può avere, nell'àmbito del condominio, una posizione diversa da quello eletto dall'assemblea, in quanto i contenuti del rapporto che si viene ad instaurare tra l'amministratore e il condominio sono già predeterminati dalla legge, per cui l'intervento giudiziale si limita alla designazione della persona incaricata di espletare l'incarico di amministratore, ma non altera in alcun modo i connotati tipici di tale rapporto.

Quando il giudice procede alla nomina dell'amministratore solo perché l'assemblea non vi abbia provveduto, pur essendo i condomini più di otto, è semplicemente sostituito il potere di scelta, nell'àmbito della ricomposizione della crisi strutturale della compagine condominiale; è la legge che sostituisce la propria scelta a quella dei condomini, affinché sia adempiuto il precetto dell'art. 1129, comma 1, c.c.; nominato l'amministratore, viene adempiuto il comando della legge, e, quindi, non rileva che la nomina sia derivata dalla volontà dei singoli o da quella dell'autorità giudiziaria, in quanto la ratio legis è di non lasciare il condominio senza l'amministratore, ma, una volta che questi esista, dovrà avere gli stessi poteri e doveri previsti dagli artt. 1130 ss. c.c.

La collocazione della figura

In buona sostanza, il giudice si sostituisce all'assemblea quando questa, per una o altra ragione, non si muove: esso interviene soltanto per colmare un vuoto, se il vuoto non c'è più (perché la maggioranza ha modo di formarsi), la funzione del giudice cessa, si torna alla normalità e l'assemblea può revocare o modificare ogni provvedimento precedente, giudiziale o collegiale, compresa la nomina dell'amministratore.

Si deve, pertanto, escludere che la figura dell'amministratore di nomina giudiziale - terminologia quest'ultima, a stretto rigore, preferibile a quella di “amministratore giudiziario” - possa essere assimilata a quella degli ausiliari del giudice (consulenti, custodi, ecc.), poiché, con il provvedimento di nomina, lo stesso amministratore diventa organo (anche se non in senso prettamente tecnico) del condominio e risponderà esclusivamente a quest'ultimo del proprio operato.

In particolare, dopo la nomina da parte dell'autorità giudiziaria - come del resto avviene in quella ad opera dell'assemblea - l'amministratore è tenuto ad eseguire le delibere dei partecipanti al condominio, e non può certo rivolgersi al giudice per ottenere da questo una qualunque “convalida” o approvazione di quanto i predetti partecipanti hanno deliberato, sicché ad essi deve dar conto del suo operato e solo essi hanno il potere di approvare i risultati della sua gestione e, eventualmente, ampliare la sfera dei poteri attribuitigli dalla legge.

Va dato atto che l'amministratore, in virtù dei poteri conferitigli dalla nomina giudiziale, rappresenta la collettività dei condomini, la cui assemblea si è rivelata deficitaria, dimostrando scarsa consapevolezza nella tutela dei propri interessi, ma lo stesso non potrà agire totalmente svincolato dalle attribuzioni che la legge sancisce per l'amministratore ordinario e dal parere della maggioranza degli stessi condomini; l'iniziale ripetuta inconcludenza che ha giustificato la sua nomina non deve far sì che l'amministratore designato dal magistrato operi in modo autonomo e dia conto del suo procedere professionale soltanto all'autorità legale che lo ha nominato, salvo coinvolgere la stessa assemblea nelle decisioni opportune per ristabilire quell'equilibrio turbato e rimuovere quella stasi verificatasi prima della sua nomina.

L'àmbito delle attribuzioni

Abbiamo visto che la forma estrema della nomina giudiziale di un rappresentante del gruppo è rivolta a normalizzare quanto di carente si presentava nell'assemblea, sicché tutte le attribuzioni, così come quando è ordinariamente nominato dall'assemblea stessa, non possono che convergere anche nell'amministratore giudiziario; così inquadrata quest'ultima figura, il provvedimento di nomina da parte dell'autorità giudiziaria, oltre che l'indicazione del nominativo non deve contenere altre statuizioni, poiché le attribuzioni conferite all'amministratore nominato dal magistrato coincidono pienamente con quelle tipiche dell'amministratore eletto direttamente dall'assemblea.

Nel condominio degli edifici, il Legislatore si è preoccupato di predeterminare - salvo ampliamenti decisi dalla volontà dei condomini, o con delibere assembleari ad hoc o mediante disposizioni del regolamento - quali siano i poteri ed i doveri dell'amministratore, attribuendogli persino la rappresentanza giudiziale del condominio, che talvolta prescinde addirittura dalla volontà dei partecipanti, tanto che si è riconosciuto all'amministratore medesimo il potere di iniziare o continuare un'azione giudiziaria senza la necessità di sentire il parere dei condomini interessati, e persino anche contro la loro volontà (ex multis, Cass. civ., sez. II, 13 giugno 1991, n. 6697; Cass. civ., sez. II, 10 luglio 1971, n. 2229; Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1968, n. 1608).

Quindi, anche per l'amministratore giudiziario troverà applicazione l'art. 1130 c.c. - con la Riforma del 2013 notevolmente arricchito nei contenuti - che definisce le attribuzioni dell'amministratore, che lo stesso può espletare pure senza la necessità di una specifica delibera assembleare; troverà applicazione, altresì, l'art. 1131 c.c. che disciplina i poteri di rappresentanza, nei limiti delle attribuzioni stabilite dal precedente art. 1130 c.c. o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento condominiale o dall'assemblea; troverà applicazione, infine, l'art. 1133 c.c. secondo cui i provvedimenti dell'amministratore, presi nell'àmbito dei poteri come sopra descritti, sono obbligatori per i condomini, salvi i rimedi concessi mediante ricorso all'assemblea e all'autorità giudiziaria.

Al predetto amministratore sono, quindi, attribuite le funzioni previste dalle disposizioni sopra citate, la cui derogabilità va intesa nel senso che l'assemblea, e soltanto essa, può estenderle, come può esonerare l'amministratore soltanto da talune di quelle funzioni; l'assemblea non potrebbe, invece, privare l'amministratore giudiziario di ogni funzione, perché ciò equivarrebbe a revoca del medesimo ed imporrebbe, di conseguenza, la necessità di nominarne un altro ex novo da parte della stessa assemblea, in virtù della norma inderogabile di cui all'art. 1129, comma 1, c.c.

La determinazione del compenso

Anche quando la nomina dell'amministratore è fatta dal giudice, questi non ha il potere di attribuire all'amministratore funzioni che eccedono quelle previste dalla legge e rivolte alla tutela di interessi chiaramente privatistici, ma si limita a precisare soltanto il soggetto al quale dette funzioni devono essere riconosciute; del resto, la designazione de qua, in quanto proveniente dal giudice, non imprime un particolare connotato al rapporto tra amministratore e amministrati, limitandosi, invece, a supplire all'inattività di questi ultimi, e l'inerzia al riguardo non è presa in considerazione d'ufficio, ma soltanto quando il magistrato ne è sollecitato da un condomino.

In quest'ordine di concetti, si sono recentemente espressi i giudici di legittimità (Cass. civ., sez. II, 26 luglio 2014, n. 16698), ad avviso dei quali il decreto emesso ai sensi dell'art. 1129, comma 1, c.c., civ. ha ad oggetto esclusivamente la nomina dell'amministratore da parte del tribunale, in sostituzione dell'assemblea che non vi provvede, senza che però muti la posizione dell'amministratore stesso, il quale, benché designato dall'autorità giudiziaria, instaura con i condomini un rapporto di mandato e non riveste la qualità di ausiliario del giudice, conseguendone che l'amministratore nominato dal tribunale deve rendere conto del suo operato soltanto all'assemblea, e la determinazione del suo compenso rimane regolata dall'art. 1709 c.c.

Pertanto, la qualificazione dell'amministratore di nomina giudiziale quale mandatario dei condomini comporta che il compenso dello stesso non possa essere determinato dal giudice, ma a tale liquidazione deve provvedere l'assemblea quale organo deliberante del condominio-mandante; invero, la natura delle funzioni attribuite all'amministratore non cambia nel caso in cui la sua nomina venga dai condomini interessati o dall'autorità giudiziaria, e non cambia proprio perché le predette funzioni sono precisate dalla legge e non mutano con il mutare della fonte dell'investitura del soggetto (amministratore) designato ad esercitarle.

Il compenso all'amministratore giudiziario è dovuto anche nell'ipotesi in cui il regolamento di condominio preveda la gratuità dell'incarico dell'amministratore da scegliersi a turno tra i condomini; interessante, sul punto, un passo della motivazione di una sentenza della Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1988, n. 1513): il presupposto di fatto indiscusso è che il patto contenuto nel regolamento condominiale de quo, che riserva l'amministratore del condominio soltanto ai condomini, non ha potuto funzionare, ragion per cui si è dovuto fare ricorso alle regole relative alla nomina dell'amministratore dettate dall'art. 1129 c.c., con la conseguente nomina di un amministratore da parte dell'autorità giudiziaria; in tal caso la disciplina legale della gestione dell'ente comune, per l'inderogabilità delle norme che vi presiedono, prevale su quella convenzionale, che resta priva di effetto anche per la parte riguardante la prevista gratuità dell'incarico, per quanto concerne i rapporti condominiali; da ciò consegue che bene ha giudicato il giudice di merito, corte ritenendo che gli oneri relativi alla retribuzione dell'amministratore nominato dall'autorità giudiziaria, rispetto al quale non si pone il problema della gratuità del mandato, sono a carico di tutti i partecipanti alla comunione, tenuti per legge a contribuire nelle spese necessarie per il godimento della cosa comune e per i servizi relativi.

In buona sostanza, l'amministratore nominato dal giudice dovrà concordare la misura del compenso con l'assemblea - per tale determinazione si dovrebbe ritenere necessaria la stessa maggioranza prevista per la nomina - ferma restando la possibilità di un accertamento in sede contenziosa ai sensi dell'art. 1709 c.c., secondo cui il mandato si presume oneroso, e la misura del compenso, se non è stabilita dalle parti, è determinata dal giudice in base alle tariffe professionali o agli usi.

Sotto il profilo operativo, l'amministratore dovrà, subito, al primo contatto con i condomini, sollevare il problema relativo al suo compenso, subordinando eventualmente l'accettazione dell'incarico al versamento di un anticipo o ad una delibera assembleare che gli precostituisca il diritto di agire in via monitoria ex art. 633 c.p.c.; se, invece, accettasse senza fare questioni, dopo, ad incarico espletato, qualora le sue richieste non fossero spontaneamente soddisfatte dai mandanti, dovrà citare costoro in un ordinario giudizio di cognizione mediante l'esperimento di una normale azione di pagamento.

Qualora, però, non si trovi un accordo, tra amministratore e condominio, in ordine alla spettanza di un compenso in favore del primo o relativamente all'entità dello stesso - di solito, determinandolo in una somma specifica (mensile, annuale, per unità immobiliare, ecc.) - non sembra che ciò porti ex se alla decadenza del provvedimento di nomina, in quanto sarebbe facile per il condominio sottrarsi in tal modo alle prescrizioni normative che impongono la nomina dell'amministratore; solo l'elezione di un nuovo amministratore da parte dell'assemblea può comportare la caducazione degli effetti del provvedimento di nomina giudiziale, ma l'attività di fatto svolta dal soggetto designato dal giudice sarà, pur sempre, suscettibile di valutazione ai sensi dell'art. 1709 citato.

L'efficacia temporale della designazione

Stante che l'amministratore giudiziario diventa, a seguito del provvedimento del magistrato, un vero e proprio organo del condominio, che risponde soltanto a questi della sua condotta è in facoltà dell'assemblea in ogni tempo (ovviamente, con le maggioranze di cui all'art. 1136, commi 2 e 4, c.c.), e, quindi, anche prima dell'anno che decorre dal provvedimento di nomina, ponendo termine alla propria inerzia o alla propria conflittualità paralizzante, di decidere di sostituirlo con uno di sua fiducia, senza necessità di convalida o conferma legittimante da parte dell'autorità giudiziaria.

In altre parole, atteso che l'autorità giudiziaria si sostituisce, in un certo senso, all'assemblea in caso di inerzia o di dissenso, è ben possibile che questa, riappropriandosi del suo diritto-dovere di nominare un amministratore di suo gradimento, ne scelga uno diverso da quello nominato dal magistrato.

Nei termini sopra indicati, il provvedimento di nomina dell'amministratore da parte del giudice non ha limiti di efficacia temporali, ma lo stesso deve considerarsi come munito di un effetto “provvisorio”, nel senso che la sua validità (e la durata dell'incarico al nominato) è circoscritta a tutto il tempo in cui il condominio non provvede alla scelta di un amministratore, tramite una valida delibera assembleare; per tali motivi, l'efficacia del decreto è destinata a cadere, senza necessità di revoca espressa, quando tale scelta volontaria sia stata adottata - la natura e la provenienza della nomina non può essere vincolante per il condominio, in qualsiasi senso, neanche temporale - come può avvenire che il decreto, pur regolarmente emesso, non abbia in concreto alcuna efficacia, nell'ipotesi in cui la nomina dell'amministratore da parte dell'assemblea venga a determinarsi prima della sua pronuncia o prima dell'acquisto dell'efficacia del provvedimento stesso.

Non è, quindi, condivisibile l'assunto secondo cui il decreto di nomina dell'autorità giudiziaria cessi di avere vigore solo quando intervenga un successivo provvedimento che lo annulli, revochi o modifichi, oppure quando si realizzi la condizione risolutiva prevista dalla legge o espressamente contemplata nel medesimo decreto di nomina, in quanto il magistrato si sostituisce all'assemblea quando questa, per una qualsiasi ragione, non si attiva, cioè interviene solo per colmare un vuoto e, se questo non esiste più, la sua funzione cessa, e si torna alla normalità con l'assemblea di nuovo sovrana.

Infatti, l'intervento giudiziale è finalizzato a supplire ad una carenza da parte dell'assemblea, sicché l'amministratore giudiziario può essere anche “revocato in ogni tempo” da parte dell'assemblea medesima (v. art. 1129, comma 2, c.c.), in pratica privando di qualsivoglia efficacia lo stesso provvedimento giudiziale di nomina, tenendo però presente che, se non si provvede alla sua immediata sostituzione, opera il consueto principio della prorogatio - ridimensionato a seguito della l. n. 220/2012 -conseguendone che l'amministratore destituito continuerà ad espletare il proprio incarico fino alla nomina del successore da parte dell'assemblea, o, in difetto, nuovamente ad opera dell'autorità giudiziaria.

La durata della nomina dell'amministratore giudiziario si ricollega alla crisi che l'ha generata ed ha motivato il ricorso al magistrato; se la crisi venutasi a creare in seno al condominio non poteva essere risolta mediante i normali meccanismi assembleari, incappando in un punto morto, in cui l'istanza al giudice rappresenta l'atto estremo, eccezionale, volto al superamento della situazione di stasi, il provvedimento di nomina sostituisce la carente volontà dell'assemblea fintanto che questa, superata la crisi, riprende il proprio potere, nominando l'amministratore che deve affiancarla nello svolgimento della vita condominiale.

Se la presenza dell'amministratore giudiziario è nel condominio una presenza imposta all'assemblea, questa non può e non deve dimenticare che poteva evitare tale presenza se solo avesse ottemperato ai propri doveri di gruppo; ne consegue che la nomina dell'amministratore da parte del giudice, che ha operato una scelta che l'assemblea non aveva voluto o potuto fare, decade qualora, ricomposto l'ordine, l'assemblea sia nuovamente capace di darsi il proprio ordinamento; una nomina, pertanto, che trova i propri limiti nella ragione per cui è avvenuta, e cioè un'inerzia risolta.

A ben guardare, il provvedimento del giudice è emanato rebus sic stantibus, per cui si caduca quando viene meno la ragione che ne aveva giustificato l'emissione; d'altra parte, ove così non fosse, si avrebbero due “legittimi” amministratori: quello “giudiziario”, che non verrebbe meno fino alla definitività del provvedimento di revoca da parte del magistrato, e quello “assembleare”, il quale entra subito in funzione, essendo le delibere assembleari immediatamente esecutive ex art. 1137, comma 2, c.c.

Peraltro, se si opina che l'amministratore di nomina giudiziale possa essere anche immediatamente destituito dall'assemblea, appare dubbio che, ove mai fosse revocato per puro dispetto e lasciando le cose nello status quo, si possa agire per il risarcimento danni nei confronti nei condomini “dispettosi” (Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1972, n. 455).

Quando, poi, l'assemblea proceda alla revoca dell'amministratore designato dal giudice nominando in sua vece uno fiduciario, ma con una delibera invalida - si pensi al difetto del quorum deliberativo previsto dall'art. 1136 c.c. - non sembra che l'amministratore giudiziario possa opporsi alla predetta sostituzione, deducendo il vizio di tale provvedimento assembleare; stante l'efficacia interinale della delibera, l'amministratore giudiziario non potrà negare l'attuazione alla volontà espressa dall'assemblea, salvo ritenere lo stesso legittimato ad impugnare la relativa delibera - trovandosi nella stessa posizione dell'amministratore eletto dai condomini - e ad invocarne la sospensione dell'efficacia.

Sul punto, non sembra ipotizzabile la sollecitazione di un nuovo intervento del giudice in sede di volontaria giurisdizione fin quando non sia decisa, con efficacia di giudicato, la controversia relativa all'impugnazione della delibera, atteso che i limiti funzionali dell'intervento del giudice nell'ambito del procedimento di nomina precludono la valutazione di questioni di carattere contenzioso.

Qualora, poi, alcuni condomini si oppongano all'amministratore nominato dal giudice ai sensi dell'art. 1129, comma 1, c.c., assumendo che già esiste un fiduciario dell'assemblea, nel caso in cui si faccia questione di invalidità della delibera assembleare, il giudice della volontaria non è competente a risolvere tale conflitto e dovrà rimettere le parti davanti al magistrato del contenzioso; ovviamente, coloro che si ostinino a riconoscere in carica un amministratore privo in realtà di poteri, lo faranno a loro rischio e pericolo, nel senso che tutta l'attività da costoro svolta sarà viziata; per esempio, il pagamento delle quote condominiali nelle mani del preteso amministratore fiduciario potrebbe essere invalido ed il vero amministratore, cioè quello nominato dal giudice, sarebbe legittimato ad agire nei confronti degli stessi in quanto morosi, né questi potrebbero invocare i principi del pagamento al creditore apparente, stante appunto il decreto dell'autorità giudiziaria che impedisce di raffigurare la loro buona fede.

In conclusione

Nei confronti dei condomini, quindi, non sembra sorgere un problema di esecuzione del decreto di nomina, in quanto - come abbiamo visto - chi non vuole riconoscere l'autorità dell'amministratore giudiziario, ne paga le conseguenze; il problema nasce nei confronti del preteso amministratore fiduciario, che spesso è un estraneo, in ordine all'acquisizione dei mezzi necessari per svolgere il mandato (registri, conteggi, tabelle millesimali, ecc.); in questo caso, l'amministratore giudiziario potrà introdurre un vero e proprio giudizio di cognizione per l'accertamento dell'obbligo, e munirsi di un titolo esecutivo, per instaurare l'esecuzione specifica di consegna (della documentazione) o di rilascio (quando, ad esempio, il preteso amministratore occupi un locale dell'edificio condominiale ad uso ufficio), potrà chiedere un decreto ingiuntivo (se la domanda riguarda la restituzione di una quantità determinata di denaro del condominio), oppure potrà avvalersi di alcune misure cautelari se ne ricorrono i presupposti (si pensi al provvedimento di cui all'art. 700 c.p.c. ed al sequestro conservativo).

Non è superfluo rammentare, infine, che anche l'amministratore giudiziario, come quello di nomina assembleare - oltre che destituito dall'assemblea - può essere revocato dal giudice, su ricorso di ciascun condomino, nelle ipotesi previste dall'art. 1129, comma 11, c.c., e cioè quando non dia notizia all'assemblea dei condomini circa atti giudiziari o amministrativi il cui contenuto esorbiti dalle sue attribuzioni, se non renda il conto della sua gestione, o qualora vi sussistano “gravi irregolarità” nell'espletamento del suo incarico (elencate in via esemplificativa nel successivo comma 12).

Guida all'approfondimento

Celeste, L'amministratore nominato dal giudice deve rendere conto solo all'assemblea, in Consul. Immobil., n. 967, gennaio 2015, 45;

Pezzullo, La nomina dell'amministratore giudiziario, in Immob. & proprietà, 2003, 494;

Felici, Nomina giudiziaria dell'amministratore condominiale e contraddittorio, in Dir. e giust., 1999, 246;

Chiocca - Capponi, Sulla nomina giudiziaria dell'amministratore di condominio, in Arch. loc. e cond., 1993, 215;

Balzani, L'amministratore giudiziario del condominio negli edifici, in Arch. loc. e cond., 1984, 383;

Salis, Il compenso dell'amministratore della comunione nominato dall'autorità giudiziaria, in Riv. giur. edil., 1973, I, p. 53;

Zaccagnini, Natura giuridica dell'amministratore giudiziario nella comunione e rimedi avverso il provvedimento che gli liquida il compenso, in Nuovo dir., 1972, 841;

Cipriani, Sulla tutela giurisdizionale del diritto al compenso dell'amministrazione giudiziale della comunione, in Riv. dir. proc., 1971, 747.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario