La rinuncia del curatore alla liquidazione manifestamente non conveniente

Silvia Zenati
30 Gennaio 2019

L'art. 104-ter, comma 8, l.fall. si occupa della c.d. derelizione dei beni rientranti nel compendio fallimentare, qualora la loro acquisizione all'attivo o la loro liquidazione risulti essere un'attività manifestamente non conveniente.
Premessa

L'art. 104-ter, comma 8, l.fall. si occupa della c.d. derelizione dei beni rientranti nel compendio fallimentare, qualora la loro acquisizione all'attivo o la loro liquidazione risulti essere un'attività manifestamente non conveniente.

Secondo la relazione governativa al D.L. n. 5/2006 che ha introdotto ex novo nel corpo della legge fallimentare il programma di liquidazione, "risponde ad esigenze di speditezza e di economicità la previsione essa pur innovativa di una possibile c.d. derelizione di beni che, per qualsivoglia ragione, vuoi per il loro modesto valore venale vuoi per il carattere di oggettiva invendibilità come nel caso di impianti fuori norma e, dunque incommerciabili, o di terreni inquinati (…)".

Altre ipotesi di non convenienza manifesta si possono verificare qualora i costi di custodia del bene superino il presumibile valore di realizzo, ovvero quando il bene sia fuori norma e sarebbe antieconomico metterlo in regola (per altri casi ancora cfr. amplius C. Zanichelli “La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali dopo il d.ld. 12.9.2007, n. 169”, Torino, 2008, 244).

La derelizione

La procedura per porre in essere la derelizione, che di recente ha tratto impulso da alcune ordinanze delle sezioni fallimentari di alcuni tribunali (Ordinanza Tribunale di Verona 24 giugno 2017, inedita; Decreto Tribunale di Novara, 5 maggio 2016, n. 14) passa dalla previa autorizzazione del comitato dei creditori (trattandosi di scelte di opportunità collegate al principio generale di responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c.), quindi dal decreto del giudice delegato che ne ordina la comunicazione a tutti i creditori i quali, in deroga a quanto previsto dall'art. 51 l.fall., possono iniziare azioni esecutive o cautelari sui beni.

In dottrina ci è chiesto se, ai creditori che decidano di agire, venga accordato un mero potere processuale, ovvero il diritto (sostanziale) di soddisfarsi a preferenza degli altri creditori (M.Fabiani “Diritto fallimentare. Un profilo organico”, Torino, 2011, 448) e si è opinato trattarsi di un potere processuale e che il ricavato della liquidazione debba poi essere distribuito secondo le regole della gradazione concorsuale, fermo restando il diritto del creditore agente al rimborso preferenziale delle spese esecutive.

Nel caso in cui il creditore concorrente agisca uti singulus sul bene derelitto, risultando all'esito della procedura esecutiva il suo credito soddisfatto solo parzialmente, l'ammissione al passivo dovrà essere ridotta in misura corrispondente (altrimenti si verificherebbe un doppio pagamento, cfr. D'Attorre Sandulli, Commentario Nigro Sandulli, 2006, 625).

Si pongono in proposito alcuni problemi in ordine all'individuazione del momento a partire dal quale è efficace la derelizione, e quindi del momento in cui il debitore rientra nella disponibilità dei beni stessi.

Sul punto soccorre il disposto dell'art. 42 l.fall., ai sensi del quale la sentenza di fallimento priva "dalla sua data" il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento: il comma 3 del citato articolo, tra l'altro, dispone in merito alla possibilità di non acquisire sin dall'inizio alla massa fallimentare i beni che fossero pervenuti al fallito durante la procedura fallimentare, qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi.

Appare quindi agevole concludere che la derelizione operi, in analogia con il momento dell'apprensione dei beni del fallito alla massa, che avviene a partire dalla data della sentenza di fallimento, dalla data del decreto del giudice delegato che ordina la comunicazione della derelizione, su parere del comitato dei creditori.

I creditori coinvolti

Va quindi risolto il quesito in merito a quali siano i creditori ai quali la derelizione vada comunicata, e cioè se ai soli creditori concorrenti, ovvero anche ai creditori concorsuali; in analogia a quanto analizzato supra, e quindi considerando che l'abbandono o la rinuncia alla liquidazione dei beni riporta la situazione del patrimonio quale era all'epoca dell'apertura del fallimento, appare logico concludere per la necessità che ne siano notiziati tutti i creditori del fallito al momento dell'apertura del concorso, e non solo i creditori concorrenti (in senso conforme, P.Nonno in “La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico”, a cura di M. Ferro, Padova 2011, 1214; M.Fabiani, op. cit., 448, D'Attorre – Sandulli, op.cit., 625).

Sorge quindi il problema delle conseguenze della derelizione, in particolare la questione fiscale attinente ai tributi locali gravanti sugli immobili, nonché alle spese di massa maturate in costanza di procedura, connesse alla gestione degli immobili.

Le problematiche applicative in merito all'IMU gravante sugli immobili

Come evidente, la precisa individuazione delle spese di massa, connesse agli immobili derelitti, riveste un'importanza cruciale nell'ambito dalla scelta che il curatore deve effettuare, e che il comitato dei creditori deve approvare, sulla base del criterio della non manifesta convenienza, come delineato supra.

In base alla disciplina IMU di cui all'art. 9, comma 7, D.lgs. n. 23/2011, che sul punto dell'obbligazione tributaria maturata in costanza di fallimento espressamente richiama l'art. 10, comma 6, D.lgs. n. 504/1992, in tema di ICI, per gli immobili compresi nel fallimento il curatore è tenuto a presentare entro 90 giorni dalla nomina una dichiarazione al Comune dove sono ubicati gli immobili per comunicare l'avvio della procedura; inoltre, il curatore è tenuto al versamento dell'imposta dovuta per il periodo di durata dell'intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili (come noto, la L. 27/12/2006 n. 296 ha modificato il testo originario dell'art. 10, comma 6, del D. Lgs 504/1992, precisando che il curatore fallimentare o il commissario liquidatore sono tenuti al versamento dell'imposta dovuta per il periodo di durata dell'intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi “dalla data del decreto di trasferimento degli immobili”, e non più, come in precedenza, “dalla data in cui il prezzo è stato incassato”).

In ipotesi di fallimento, quindi, si viene a configurare un autonomo periodo d'imposta costituito dall'intera durata di possesso dell'immobile, che può estendersi su più anni solari: il debito d'imposta rappresenta una tipica fattispecie di debito di massa ex art. 111 l.fall., da soddisfarsi in prededuzione al di fuori del concorso: quindi, durante la procedura fallimentare, in deroga alle norme che prescrivono per la generalità dei contribuenti il pagamento del tributo entro gli ordinari termini, si verifica una sorta di “sospensione” della riscossione del tributo fino al momento nel quale il legislatore ha ritenuto il curatore in grado di adempiere, avendo reperito dalla vendita dell'immobile le necessarie disponibilità finanziarie (in questo senso S. Zenati, L. Mandrioli, “I tributi nel fallimento”, Milano 2000, 250).

Il tributo in capo al curatore diventa, quindi, esigibile, ai sensi del citato art. 10, comma 6, entro tre mesi dall'emissione del decreto di trasferimento degli immobili.

Dal testo normativo emerge chiaramente il collegamento tra l'obbligo di versamento e il decreto di trasferimento.

Infatti il presupposto dell'Ici nel fallimento, come precisato dalla Suprema Corte, è costituito da una fattispecie complessa composta da due elementi: “a) l'acquisizione all'attivo dell'immobile, b) la cessione dell'immobile stesso e la conseguente riscossione del prezzo” (Cassazione 28 novembre 2007, n. 24670).

Se, quindi, l'immobile non viene venduto, non si verifica l'incasso del prezzo, che è elemento essenziale del presupposto del tributo, quando il cespite viene alienato.

In altra fattispecie di concordato fallimentare con restituzione di immobile al fallito rientrato in bonis, la Suprema Corte ha affermato che “poiché nella specie la vendita non vi è stata, ed il fallito è tornato in bonis a seguito del concordato fallimentare mantenendo la proprietà dell'immobile, la obbligazione di pagamento dell'imposta grava sul medesimo anche in relazione al periodo precedente in pendenza della procedura concorsuale” (Cassazione 30 giugno 2010, n.15478).

In sostanza, qualora il fallimento sia chiuso per un motivo che renda superflua la vendita del bene, il quale torna nel possesso del fallito, l'obbligazione tributaria maturata in pendenza di procedura è posta a carico del fallito tornato in bonis, in quanto nella pendenza della procedura sussiste l'obbligazione tributaria, ma non l'obbligo di denuncia e di pagamento dell'imposta, obbligo che risulta, come anticipato supra, sospeso.

Come ulteriormente precisato nella citata sentenza, trattandosi di sospensione disposta per legge, sul tributo versato in unica soluzione dal fallito non saranno dovute sanzioni, e neanche interessi, in assenza di esigibilità del credito.

Di recente, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di ribadire che, partendo dal disposto dell'art. 42 l.fall., ai sensi del quale la sentenza di fallimento priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento, “ove il fallimento o la liquidazione coatta vengano chiusi senza farsi luogo alla vendita e con il ritorno in bonis dell'ex fallito o del soggetto sottoposto alla liquidazione, la predetta obbligazione tributaria, quale progressivamente maturata, è posta a carico dei medesimi, tenuti da quel momento sia alla denuncia che al pagamento dei ratei annuali di imposta relativa al periodo concorsuale” (Cassazione 15 febbraio 2013, n. 3845).

Appare quindi conseguente affermare che l' IMU, cosi come l'Ici dovuta sul l'immobile derelitto, e quindi rientrato nella disponibilità del fallito, debba essere pagata dal fallito, in unica soluzione entro tre mesi dalla data del decreto di derelizione , con pagamento di tutta l'imposta dovuta per tutte le annualità comprese nel periodo di fallimento. Trattandosi, tuttavia, di un'imposta che non era dovuta in pendenza di fallimento in base a specifica disposizione di legge, non saranno dovute né le sanzioni, né gli interessi, bensì la sola imposta.

La fattispecie della derelizione, sotto questo punto di vista, appare molto simile a quella della mancata liquidazione dell'attivo durante la procedura concorsuale, con conseguente sua restituzione al fallito tornato in bonis: si tratta del caso, infrequente anche se normativamente disciplinato dall'art. 118, n 2, l.fall., di un attivo fallimentare capiente per il pagamento dell'intero ceto creditorio.

In entrambi i casi, pur se il presupposto d'imposta, costituito dal possesso dell'immobile, si verifica in capo alla procedura fallimentare, la mancanza del trasferimento incide sul momento impositivo a decorrere dal quale decorrono gli obblighi di dichiarazione e versamento. Nel caso della mancata liquidazione dell'immobile, tali obblighi sorgeranno in capo al fallito dopo la chiusura del fallimento (in questo senso S.Zenati, L.Mandrioli, op.cit., 254.).

Nel caso della derelizione, invece, pare logico assumere che gli obblighi di dichiarazione e versamento rivivano in capo al fallito decorsi tre mesi dal decreto di derelizione.

Il fallito, quindi, anche in costanza di fallimento potrà risultare titolare di un bene, che potrà essere aggredito dai suoi creditori con azione esecutiva individuale, al di fuori del concorso: tra questi creditori vi sarà il Comune ove è ubicato il bene immobile derelitto, che andrà a recuperare presso il fallito il suo credito per IMU maturato in costanza di procedura, ante derelizione.

Quindi appare indispensabile che destinatari della comunicazione prevista dal comma 8 dell'art. 104-ter l.fall. siano anche il Comune ove sono situati gli immobili, nonché il fallito, e ciò anche se la testualità della norma si limita ad imporre la comunicazione del decreto che autorizza la derelizione ai soli creditori (sul punto anche Tribunale di Catania, 12 agosto 2017, in Il caso, il quale afferma che “è senza dubbio facoltà del curatore comunicare la derelizione anche a soggetti diversi dai creditori che siano potenzialmente interessati ad averne contezza es: pubbliche amministrazioni, proprietari di terreni confinanti”).

Per tutto quanto sopra esposto è possibile concludere in merito alla necessaria valutazione, quanto alla manifesta non convenienza dell'attività di liquidazione, in ordine all'IMU maturata in costanza di procedura, di cui sicuramente la procedura viene ad essere sgravata: tale beneficio per la massa trasferisce, tuttavia, sull'ente locale impositore il problema dell'incasso del tributo, visto che l'obbligo di pagamento dello stesso, anche per il periodo di durata della procedura concorsuale, viene ad essere trasferito sul fallito, con elevato rischio di impossibilità di esazione del tributo stesso.

Questa criticità non sembra sia stata prevista del legislatore tributario, pur se la derelizione immobiliare è istituto presente sin dal 2005 nell'ordinamento fallimentare, e anche se le esigenze di effettività del prelievo sono state attentamente vagliate anche dalla giurisprudenza di legittimità, laddove evidenzia che la ratio dell'art. 10, comma 6, D.Lgs. 504/1992 è duplice, in quanto si vuole “da un lato consentire al curatore fallimentare di differire il pagamento dell'imposta maturatasi a carico della procedura fallimentare sino ai tre mesi successivi al momento in cui è possibile prelevarne il complessivo ammontare dal ricavato della vendita immobiliare e, dall'altro, attribuire al comune la possibilità di un effettivo soddisfacimento (in prededuzione) della pretesa tributaria, in relazione a quel singolo immobile assoggettato ad ICI, in quanto posseduto dal fallimento e per il periodo di durata di tale possesso” (Cass. 28 novembre 2007, n. 24670, cit.).

Un'altra importante criticità è rappresentata dal fatto che, comportando la derelizione il venire meno del vincolo di indisponibilità ex art.42 l.f. sul bene, il fallito potrebbe porre in essere, nel periodo immediatamente successivo la derelizione, atti di disposizione a titolo oneroso, ovvero anche gratuito, con possibile lesione dei diritti dei creditori concorsuali, i quali avrebbero comunque il rimedio della azione revocatoria, essendo l'atto dispositivo posto in essere in frode ai creditori.

Si rende quindi necessario rispondere al quesito se sia, o meno, necessario effettuare un'annotazione sui registri immobiliari della derelizione, per mettere ogni creditore in grado di avere conoscenza della possibilità di esercitare, o riattivare, azioni esecutive individuali.

Tale annotazione, da richiedere al Conservatore in base al titolo portato dal decreto del G.d. che autorizza la derelizione, consentirebbe al creditore concorsuale, che intenda soddisfarsi uti singulus sul bene derelitto, di individuare agevolmente il bene da aggredire per soddisfare il proprio credito.

Infine, resta da capire come ottenere poi la cancellazione della iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento.

Da una parte, vi sono taluni Tribunali propensi ad autorizzare tale cancellazione su specifica richiesta del curatore, il quale è così messo in condizione di poter richiedere la relativa annotazione presso i competenti uffici territoriali (Trib. Verona, decreto 21 ottobre 2015, inedito).

Dall'altra parte, la dottrina (M. Ferro, “La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico”, a cura di M. Ferro, Padova 2014, 1424) e una isolata giurisprudenza di merito (Tribunale Catania cit.) ritengono, invece, che, in assenza di una norma specifica che imponga al Giudice Delegato di ordinare la cancellazione dei vincoli precedenti iscritti sul bene, la cancellazione vada disposta dal giudice dell'esecuzione, a seguito dell'aggiudicazione del bene stesso, e della conseguente emissione del decreto di trasferimento, che costituirà il titolo per richiedere la trascrizione.

In tale sede, secondo l'orientamento di cui supra, il curatore verrà chiamato a rendere la dichiarazione di assenso alla cancellazione della sentenza di fallimento.

Quid iuris se nel frattempo la procedura sia giunta al termine, con emissione del decreto di chiusura, che sancisce la decadenza del curatore dalle sue funzioni?

Si potrebbe ipotizzare in tal caso o una ultrattività della funzione del curatore, come nelle ipotesi di incasso del credito iva ovvero di presentazione della dichiarazione dei redditi finale, successivamente alla chiusura del fallimento; in alternativa si potrebbe giungere alla nomina di un curatore speciale, incaricato di tale specifico adempimento, il cui onere potrebbe essere posto a carico della procedura esecutiva individuale.

Con riferimento agli immobili, va precisato il regime delle spese di manutenzione maturate in costanza di procedura, le quali, se divenute esigibili nel periodo di durata della procedura stessa, sono prededucibili ai sensi dell'art.111 l.fall.; la derelizione degli immobili cui le spese stesse afferiscono non muta la titolarità dell'obbligazione, che resta in capo alla massa fallimentare, e dovrà essere soddisfatta al suo interno secondo le regole del concorso.

Tale situazione è stata di recente normata all'interno della disciplina del condominio ad opera dell'art. 30 della L. 11 dicembre 2012, n. 220, che espressamente prevede: “I contributi per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché per le innovazioni sono prededucibili ai sensi dell'art. 111 r.d. n. 267/1942 se divenute esigibili, ai sensi dell'art. 63, comma 1, disp.att. c.c. (art. 63 c.1 disp att. c.c.: “Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi”), durante le procedure concorsuali”.

Un distinguo, all'interno della incontestata prededuzione, può essere semmai operato con riferimento alle spese condominiali ordinarie e straordinarie (sul punto cfr. amplius Tribunale Milano 21 maggio 2015 in www.ilcaso.it): infatti, mentre le prime sono sostenute per la amministrazione e gestione degli immobili, e non godono di privilegio alcuno, alle seconde, avendo riguardo alla conservazione e al mantenimento del valore patrimoniale del bene, potrebbe in ipotesi essere riconosciuto il privilegio per atti conservativi ex art. 2770 c.c.

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