I principi della causalità e la perdita di chance
31 Gennaio 2019
Introduzione
Che non sia facile perimetrare l'ambito d'indagine sulla perdita di chance ce lo svela quel surplus di tassonomia che si registra in materia: tesi ontologica e tesi eziologica, chance pretensiva e chance oppositiva, e ancora più di recente, ma con risvolti che vedremo essere significativi, chance patrimoniale e chance non patrimoniale. Si intersecano, dunque, più punti di vista e questo è la spia che non proprio ogni cosa è al suo posto. È certo che il territorio in cui si colloca la perdita di chance – istituto tutto di matrice giurisprudenziale (premessa, questa, che occorre sempre tener bene presente) – non agevola, di per sé, le esigenze di un riordino spontaneo della materia, essendo la responsabilità civile, da più di qualche decennio, banco di prova della policy giudiziaria della tutela rimediale, soprattutto allorquando si affrontino i temi – che investono direttamente anche il problema del risarcimento della chance perduta - dell'ingiustizia del danno (per la responsabilità extracontrattuale) e quello della causalità (che rileva pure per la responsabilità contrattuale). Definizione di chance
Il dato di partenza è, ovviamente, quello della definizione della chance, che possiamo dire sufficientemente acquisito (sebbene con alcune divergenze a volte non irrilevanti) in termini di possibilità di conseguire un risultato utile o migliore ovvero un vantaggio. È questa, del resto, la definizione che viene assunta dalla c.d. decisione capostipite in materia, la nota sentenza del 1985 (Cass. civ., sez. lav., 19 dicembre 1985 n. 6506) della Sezione lavoro della Cassazione, resa in controversia promossa da un lavoratore che era stato escluso da un concorso per l'assunzione in un inquadramento più favorevole. La perdita si incentra specularmente sulla possibilità e la possibilità è concetto che evoca quello di incertezza; dunque, la situazione di incertezza strutturale dell'evento pregiudizievole è, come vedremo più avanti, la cifra propria della fenomenologia della chance.
Il risarcimento da perdita di chance
Lo statuto del risarcimento da perdita di chance, nella sua versione di “chance patrimoniale” e nella declinazione che sin d'ora può essere indicata come orientamento prevalente (almeno nelle apparenze), è già nella citata sentenza del 1985. Si afferma che la chance non è una mera aspettativa di fatto, ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d'autonoma valutazione. La sua perdita, quindi, configura un danno concreto ed attuale e non meramente ipotetico o eventuale, quale sarebbe stato se correlato al raggiungimento del risultato utile. Di qui, la c.d. tesi ontologica della chance, ossia di un bene suscettibile di valutazione economica, già presente nel patrimonio del danneggiato e la cui perdita costituisce di per sé un danno emergente. Orientamento prevalente “almeno nelle apparenze” – come si accennava -, perché poi la sentenza del 1985 (e quasi tutte le successive che ne hanno seguito le orme) indugia sulla correlazione tra chance e risultato sperato, richiedendo che la possibilità di conseguimento sia rilevante, almeno superiore al 50%. Questa correlazione stretta, di stampo causalistico, della chance con il vantaggio che si sperava di conseguire sposta l'effettività della tutela su un altro piano, ossia quello c.d. eziologico, per cui la chance sarà risarcibile ove si dimostri che quel vantaggio sperato abbia un certo grado di probabilità di essere conseguito. Una tale impostazione – in cui si misura uno iato tra natura della chance (intesa come danno emergente) e risarcibilità della stessa (secondo la dimostrazione del rilevante grado di probabilità di consecuzione del risultato sperato) - la si rinviene in tutti i campi in cui la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto configurabile (anche solo in tesi) il risarcimento da perdita di “chance patrimoniale”. In particolare (e senza voler essere esaustivi): assunzione per concorso nel lavoro privato, mutamento di mansioni nello stesso ambito, responsabilità professionale dell'avvocato, responsabilità sanitaria (ove però il profilo della chance patrimoniale è recessivo, per assurgere a paradigma quello della chance non patrimoniale) e, infine, in fattispecie di esclusione da gara di appalto o di lesione di interesse pretensivo (ad es. Cass. civ., n. 24295/2016). Questa discrasia sembrerebbe ascrivibile alla necessità di soddisfare, al tempo stesso, più esigenze, tra loro non facilmente coerenziabili. Il risarcimento della perdita di chance è rimedio sorto in territorio aquiliano (la sentenza del 1985 si pone espressamente il problema dell'ingiustizia del danno) e la tesi ontologica, ravvisando nella chance una entità patrimoniale autonoma, non solo intendeva risolvere il problema del danno ipotetico (con l'anticipazione del risultato mancato nella situazione soggettiva della sua possibilità o aspettativa), ma pure quello dell'ingiustizia del danno extracontrattuale, predicando altresì l'esistenza, seppur dogmaticamente assai contestata, di una mera lesione dell'integrità del patrimonioecon ciò superando, almeno in tesi, anche l'obiezione della risarcibilità di un danno in re ipsa. Anche se poi, come si è potuto notare, le fattispecie oggetto di applicazione si riferiscono piuttosto alla responsabilità contrattuale, nel cui ambito diviene irrilevante la mediazione qualificatoria dell'ingiustizia del pregiudizio, che, nella responsabilità extracontrattuale, funge invece da imprescindibile fattore selettivo per intercettare il responsabile proprio attraverso l'interesse protetto dall'ordinamento che è stato inciso dell'illecito. L'ulteriore esigenza invece era, ed è, comune a tutte le ipotesi di risarcimento da perdita chance ed è un'esigenza di non minor peso, ossia quella di non consentire una propagazione di situazioni suscettibili di risarcimento, nonostante il dubbio sulla consistenza delle stesse in termini di reale aspettativa tutelabile. La soluzione che si rinviene nella giurisprudenza prevalente della Corte oscilla, dunque, tra questi due poli, adducendo (tesi ontologica) come già esistente nel patrimonio del danneggiato una posta attiva, ossia la possibilità del vantaggio, ma consentendo (tesi eziologica) il risarcimento ove vi sia una probabilità consistente di consecuzione del vantaggio stesso. Del resto, al di là delle apparenze, si è anche predicato apertamente (Cass. civ., Sez. Un., n. 21678/2013, in ipotesi di risarcimento del danno per perdita di chance di promozione) la necessità di prova, pur se solo presuntiva, del nesso causale tra l'inadempimento e l'evento dannoso come concreta possibilità di conseguire la qualifica superiore. Assunto che è stato ulteriormente puntualizzato da una recente pronuncia della Sezione lavoro (Cass. civ., 9 maggio 2018, n. 11165) nel senso della necessità che la chance deve trasformarsi «in reale conseguimento del beneficio in termini di elevata probabilità, prossima alla certezza», tanto che la sentenza dichiaratamente mette in discussione la stessa configurabilità della chance come danno certo «nella sua reale verificazione in senso giuridico». In linea, per così dire mediana, si collocano, poi, quelle pronunce (ad es.: Cass. civ., n. 1752/2005, non infrequentemente citata in altre decisioni, anche più recenti, come Cass. civ., n. 6488/2017) che sembrano inclini a seguire la tesi che in dottrina è stata definita della “sequenza causale”, che richiede la prova della concreta realizzazione di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato che è stato impedito dalla condotta illecita, di cui il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta. Il caso, comune ad entrambe le pronunce appena citate, è quello della perdita di chances lavorative future a seguito di sinistro stradale: qui la chance è intesa non come danno in sé risarcibile, bensì come conseguenza dannosa risarcibile di un diverso evento di danno, ossia il danno alla salute, e cioè, in definitiva, come danno patrimoniale da lucro cessante.
La chance non patrimoniale
Una diversa prospettiva si può cogliere, però, nel contesto del risarcimento della chance c.d. “non patrimoniale”, che trova terreno di elezione nell'ambito della responsabilità sanitaria. In tal senso, il primo, ma significativo passo, si rinviene nella sentenza del 2004 (Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2004 n. 4400), non tanto nel ribadire la natura c.d. ontologica tradizionale della chance, nei termini sopra ricordati, quanto, piuttosto, nello spostare il fuoco dell'indagine sul piano della causalità e dei termini implicati nel relativo giudizio. La possibilità comincia ad essere apprezzata non solo come scissa dal risultato o vantaggio sperato, ma in rapporto proprio all'incertezza di verificazione di quest'ultimo. L'ulteriore passaggio si apprezza in due successive pronunce (Cass. civ., n. 23846/2008 e Cass. civ., n. 7195/2014) che seguono, sostanzialmente, lo stesso schema di ragionamento, muovendosi su un doppio binario argomentativo. Anzitutto, quello dell'esistenza di una chance; il che si traduce nella individuazione di una situazione di fatto idonea a suscitare una possibilità (dunque, incerta) che il risultato sperato possa essere conseguito. L'indagine non è sull'attitudine della chance al risultato sperato, ma proprio sull'esistenza stessa della “possibilità” (cioè: se vi sia una maggiore durata della vita; se un certo trattamento terapeutico determini minori sofferenze), da accertarsi in base a leggi scientifiche e/o statistiche (le c.d. leggi di copertura). Una volta ritenuta esistente la chance va, quindi, indagato il nesso causale tra inadempimento e perdita della chance stessa, prescindendo dalla sua maggiore o minore idoneità a realizzare il risultato sperato, reputandola come bene autonomo e distinto dagli altri: indagine di tipo causale, da effettuarsi in base alle ordinaria regole proprie del giudizio civile, ossia “del più probabile che non”. Le differenze rispetto al danno (o meglio alla domanda di risarcimento del danno) da mancato conseguimento del risultato o vantaggio (cioè: l'effettiva durata maggiore della vita; le minori sofferenze effettive; il decidere come auto-organizzare la qualità della vita nel tempo residuo) cominciano, dunque, ad essere più marcate.
La giurisprudenza recente
Discontinuità nella continuità può, infine, apprezzarsi nei recenti approdi della Terza Sezione civile della Corte, in particolare in Cass. civ., 9 marzo 2018 n. 5641, ma anche in talune significative precisazioni che si traggono anche dalla appena successiva sentenza Cass. civ., 18 marzo 2018 n. 6688. Nella prima decisione si ha discontinuità in quanto si intende far risaltare la differenza tra “chance patrimoniale” e “chance non patrimoniale” in ragione del carattere “pretensivo” o meno che esse, rispettivamente, esibiscono. Quella “pretensiva”, con accezione presa a prestito dal diritto amministrativo, è pertinente ad una situazione positiva su cui l'intervento ablativo andrà ad incidere in modo da impedirne un'ulteriore evoluzione migliorativa. Situazione che, invece, non è ravvisabile nel caso della “chance non pretensiva” in ambito di responsabilità sanitaria, là dove, a fronte di una condizione minorata del paziente, è lo stesso medico a creare la chance di miglioramento. Ulteriore discontinuità si ha in relazione al profilo della risarcibilità del danno, che guarda alle ripercussioni che la lesione della chance (la sua perdita) abbia poi avuto sulla persona del paziente, da valutarsi in rapporto ai parametri della “apprezzabilità, serietà e consistenza”, con giudizio liquidatorio meramente equitativo. La omessa diagnosi della malattia ha fatto sì che il paziente perdesse una possibilità di sopravvivenza (possibilità soltanto, poiché, alla luce della scienza medica, non era dato sapere con certezza se davvero sarebbe sopravvissuto); ebbene, un tale danno evento sarà risarcibile, però, solo ove abbia avuto ripercussioni serie, consistenti e apprezzabili sulla persona dello stesso paziente. In ciò, peraltro, si recuperano, almeno in parte, i principi enunciati dalle Sezioni Unite del novembre 2008 (con le sentenze c.d. di San Martino: in particolare, Cass. civ., Sez. Un., n. 26972/2008) e affinati dalla successiva giurisprudenza (Cass. civ., n. 16133/2014), per cui il pregiudizio “non serio” esclude che vi sia una perdita di utilità derivante da una lesione che pur abbia superato la soglia di offensività. La continuità, rispetto all'orientamento già maturato, si apprezza quanto ai profili dell'individuazione della chance e della sua relazione causale con la condotta illecita (nel nostro caso con l'inadempimento del sanitario, sebbene di condotta illecita, ai sensi dell'art. 2043 c.c., dovrà tornarsi a parlare in applicazione della recente legge n. 24 del 2017, cd. Legge Gelli-Bianco). Si superano di slancio, quindi, le tesi “ontologica” ed “eziologica”, per affermarsi che la “possibilità perduta di un risultato migliore e soltanto eventuale” è l'evento di danno e tale possibilità perduta – cioè tale “insanabile incertezza eventistica” (la sola che consenta di parlare legittimamente di chance perduta) – sarà risarcibile ove venga dimostrato il nesso causale (secondo la regola di funzione del “più probabile che non”) tra la condotta e lo stesso evento incerto. A tal riguardo, occorre stabilire un equilibrio tra “causalità generica” e “causalità specifica”. Quest'ultima (quella che attiene alla concretezza della vicenda processuale e dunque alla pretesa fatta valere dal danneggiato) transita attraverso la causalità generica, la quale deve fornire una base, seppur probabilistica, di copertura scientifica del nesso causale (ove, naturalmente, ciò sia predicabile), ossia che in astratto, secondo le conoscenze scientifiche dell'epoca, non se ne possa comunque escludere la sussistenza. Dunque, dall'incertezza scientifica è dato fondare la dimostrazione della causalità specifica, facendo leva sugli elementi processualmente raccolti e, quindi, in base all'evidenza probatoria, che non solo è orientata dall'irrepetibilità della vicenda umana portata dinanzi al giudice, ma anche da una valutazione ancorata al rispetto pieno del contraddittorio sul thema decidendum, con ostracismo del bilancino percentuale del 50% più uno. Dunque, come detto, la chance si sostanzia nell'incertezza del risultato e la perdita, ossia l'evento di danno, si identifica proprio in ragione di questa insuperabile dimensione di incertezza, predicabile alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologia di cura del tempo (le c.d. leggi di copertura). Tale evento di danno è risarcibile a seguito della lesione di una situazione soggettiva rilevante e non già direttamente in base a quella relazione causale tra condotta ed evento che la prevalente giurisprudenza in tema di “chance patrimoniale” ritiene operante, sin da questa fase dell'accertamento, secondo i canoni della probabilità rispetto al risultato sperato. Quest'ultima analisi si colloca invece a valle dell'evento di danno e in tal modo, come detto, fa evaporare il problema – proprio della tesi c.d ontologica - della risarcibilità di un danno in re ipsa (un problema che permane anche dopo le Sezioni Unite dello scorso anno – sent. n. 16601/2017 – in tema di risarcimenti punitivi, posto che la funzione sanzionatoria della responsabilità civile, seppur ad essa strutturalmente ascrivibile, rimane comunque effettualmente configurabile solo a certe condizioni e, prima fra tutte, l'interpositio legislatoris). La sentenza di poco successiva, la n. 6688/2018, si preoccupa di superare talune criticità presenti negli orientamenti precedenti in tema di chance del malato terminale. Si imprime alla chance “non patrimoniale”, infatti, una vocazione tendenzialmente relazionale con il risultato sperato in termini di eventualità e di acquisizione di un quid ulteriore rispetto allo status quo. La chance, che è proiettata al futuro, aspira ad un risultato utile eventuale e non potrà che partecipare della natura del bene/interesse che detto risultato o vantaggio presidia. La preoccupazione di fondo - che tuttavia non è forse dissolta del tutto - è, piuttosto, quella di dare consistenza all'oggetto della tutela, ossia a quello che, in ambito di danno non patrimoniale, deve sostanziarsi come diritto fondamentale protetto a livello costituzionale che l'illecito viene a vulnerare. All'esito della ricostruzione che precede si pone un interrogativo di fondo: la più recente giurisprudenza della Cassazione fornisce una traccia utile per riorganizzare in modo unitario e coerente la tematica della perdita di chance, sia patrimoniale, che non patrimoniale? Un percorso possibile, ma ancora da esplorare sino in fondo, è quello che segue. Prescindendo dalle varie tesi in campo, occorre muovere dalla ricostruzione dell'istituto che complessivamente emerge dalle citate sentenze del marzo di quest'anno (n. 5641 e n. 6688 del 2018). La base comune di partenza – il fondamento che, almeno convenzionalmente, è necessario tenere fermo – deve ravvisarsi nel concetto di “incertezza eventistica”, che è connotato consustanziale della chance come “possibilità di …” e, come tale, non differisce, nella sua ontologia, tra chance non patrimoniale (in cui è piuttosto maturato) e patrimoniale. E proprio per tale ragione non vanno sopravvalutati eccessivamente i profili differenziali della “pretensività” e “non pretensività”. In ciò ritorna l'eco della sentenza n. 6688/2018, per cui la chance ambisce a quella stessa situazione giuridica rilevante cui, del pari, inerisce il risultato sperato. Situazione di partenza che, nella “chance patrimoniale”,aspirando all'acquisizione di un vantaggio, deve essere suscettibile di arricchimento; situazione di partenza che nella “chance non patrimoniale” – come visto - è quella della comparsa sulla scena del medico che crea una possibilità di guarigione per il paziente che vi aspira. Ciò conduce a ritenere che anche la “chance patrimoniale” sia configurabile, in radice, solo e soltanto dove il risultato migliore sperato venga effettivamente individuato come effettiva “possibilità”, ossia come un evento del tutto incerto, irresolubilmente incerto. È ovvio che l'irresolubile incertezza (pur sempre connotata da serietà) si deve prestare ad essere criterio di individuazione/qualificazione della chance particolarmente selettivo e stringente; in un certo senso, con una vocazione restrittiva della fattispecie. Per far ciò dovrà attingere non tanto ad una incertezza giuridica, quanto, piuttosto, ad una incertezza “empirica” (come direbbe autorevole dottrina); e ciò perché l'incertezza giuridica, sebbene inizialmente presente, si risolve sempre ex post (in definitiva, non è irresolubile), mentre l'incertezza empirica non si risolve neppure ex post e, per l'appunto, è destinata a rimanere tale (ossia, incertezza irresolubile). Per esemplificare, si pensi, in ambito di “chance patrimoniale”, alla materia degli appalti pubblici: se in definitiva si accerta che spettava di partecipare alla gara illegittimamente mai indetta (o, a maggior ragione, alla gara dalla quale vi è stata una illegittima esclusione), non dovrebbe venire in rilievo un profilo di perdita della chance di partecipazione (perché quest'ultima non è incerta, ovvero non lo è più), ma semmai solo un profilo di chance di aggiudicazione, ove naturalmente anche quest'ultima rimanga un evento incerto. Dunque, al di là di del generico esempio che precede, ciò che è importante sottolineare è il fatto che occorre ricercare proprio nello specifico campo di applicazione della chance se vi sono e, quindi, quali sono le condizioni empiriche di irresolubilità dell'incertezza. Una volta accertato questo ineludibile presupposto, sarà, quindi, necessario procedere - secondo la scansione logico-giuridica che solitamente trova applicazione in ambito di risarcimento del danno civile - a verificare la condotta illecita abbia avuto efficienza causale nell'elisione della chance (ossia, della “mera possibilità effettiva”) e tale verifica dovrà essere effettuata in base alle regole ordinarie che attengono all'esistenza ed alla prova del nesso eziologico materiale tra la prima e la seconda. All'esito di tale accertamento, ove positivo, occorrerà, quindi, valutare quale incidenza un tale evento di danno (la perdita della chance) abbia avuto in termini di conseguenze risarcibili, che dovranno essere accertate come sussistenti in base alle regole della causalità giuridica, quale nesso eziologico tra l'evento lesivo e suoi effetti pregiudizievoli: nesso che è da intendersi in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale, secondo la teoria della cd. regolarità causale. Ed è proprio in tale prospettiva che l'affermazione per cui la norma dell'art. 1223 c.c. è da ascrivere al piano della “selezione” dei danni risarcibili, ossia dei danni-conseguenza (la cui esistenza soltanto fa sorgere l'obbligazione risarcitoria, altrimenti non ravvisabile in ragione del solo danno-evento-ingiusto), non può essere letta nel senso che la disciplina recata dalla medesima disposizione rimanga estranea all'ambito del rapporto di causalità. Come detto, infatti, la regola operazionale accreditata dalla giurisprudenza per detta selezione è quella sostanziata dalla c.d. “regolarità causale”, che trova svolgimento secondo l'id quod plerumque accidit, ammettendo così nell'area del risarcibile tutte quelle conseguenza, anche indirette e mediate, che si trovino in una correlazione probabilistica di effetti propri ed ordinari dell'evento dannoso, con esclusione, quindi, delle conseguenze del tutto atipiche. A questi fini si potrà utilizzare anche il ragionamento probatorio presuntivo, calato nella singolarità del caso concreto, in forza del quale potranno rilevare anche criteri statistico/percentuali (che traducono in ambito patrimoniale la apprezzabilità, serietà e consistenza delle conseguenze risarcibili della “chance non patrimoniale”), ma pur sempre in riferimento alla chance perduta del vantaggio sperato e non con diretto apprezzamento della consistenza del vantaggio non conseguito. In conclusione
1) Sul piano strutturale e funzionale della fattispecie, chance patrimoniale e chance non patrimoniale partecipano della stessa natura;
2) la fattispecie, sul piano logico e cronologico, si dipana secondo la seguente scansione: situazione preesistente - condotta lesiva – nesso di causa - evento – conseguenze dannose risarcibili;
3) la diversità “fattuale” (non strutturale) tra chance patrimoniale e chance non patrimoniale (da responsabilità sanitaria) va individuata solo “nella situazione preesistente”: a) chance non patrimoniale: preesistenza negativa (situazione patologica); b) chance patrimoniale: preesistenza positiva (titoli, professionalità, curriculum, esperienze pregresse, attitudini specifiche ecc.);
5) all'esito di tale premessa (e differenza) solo fattuale, la struttura e la funzione di entrambe le chance coincidono, poiché entrambe presuppongono: a) un intervento del terzo; b) la illiceità della sua condotta; c) un evento di danno; d) un nesso di causalità condotta/evento; e) conseguenze dannose risarcibili; f) un nesso di causalità evento/conseguenze.
Tale sintetica analisi propone un percorso ancora da definire compiutamente; tuttavia, ciò di cui occorre tenere in attenta considerazione, nella scelta della soluzione che comunque si andrà a privilegiare, sono le criticità di fondo che da sempre l'istituto esibisce: ossia, come detto, il pericolo che le esigenze di effettività della tutela trasmodino invece in fenomeni di sovracompensazione. Ciò che nell'ambito della responsabilità civile comporta costi sociali non indifferenti. E allora, proprio in ragione dell'assenza di una diretta intermediazione legislativa circa l'allocazione di detti costi, è necessario che l'intervento regolativo giurisprudenziale trovi la maggiore coerenza possibile con il complessivo sistema ordinamentale di riferimento. Solo così la risposta può munirsi di tendenziale stabilità e, al tempo stesso, quel che più conta, essere accettata come giusta. |