Responsabilità per violazione del divieto di intraprendere nuove operazioni: la quantificazione del danno

La Redazione
31 Gennaio 2019

Qualora venga intrapresa un'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società per violazione del divieto di intraprendere nuove operazioni a seguito dello scioglimento della società per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, ex art. 2449 c.c., il danno non può essere liquidato sulla base della differenza tra attivo e passivo accertati in sede fallimentare, non potendosi configurare l'intero passivo come frutto delle nuove operazioni.

Qualora venga intrapresa un'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società per violazione del divieto di intraprendere nuove operazioni a seguito dello scioglimento della società per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, ex art. 2449 c.c., il danno non può essere liquidato sulla base della differenza tra attivo e passivo accertati in sede fallimentare, non potendosi configurare l'intero passivo come frutto delle nuove operazioni. A ribadirlo è l'ordinanza n. 2659 della Cassazione, depositata il 30 gennaio.

Il caso. L'amministratore unico di una s.r.l. fallita veniva condannato al pagamento di un importo in favore della curatela sella società, per non essersi astenuto dal compiere nuove operazioni in presenza di perdite che avevano ridotto il capitale sociale, così producendo ulteriori perdite, e per non aver avviato la procedura di messa in liquidazione, una volta verificatosi lo scioglimento della società per mancata reintegrazione del capitale sociale.

Scioglimento della società per riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale. Oggetto della controversia è il criterio utilizzato dal Tribunale per la liquidazione del danno nel procedimento avviato con l'azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare ex art. 147 l.fall.

La S.C., nell'accogliere il ricorso, ribadisce alcuni principi in materia: in particolare, nel caso in cui l'azione di responsabilità, nei confronti degli amministratori, trovi fondamento nella violazione del divieto di intraprendere nuove operazioni, ex art. 2449 c.c., non è giustificata la liquidazione del danno in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati in sede fallimentare: l'intero passivo, infatti, non può essere configurato come conseguenza delle nuove operazioni intraprese dagli amministratori, dovendosi ascrivere lo stesso, almeno in parte, alle perdite pregresse, che già avevano contribuito a ridurre il capitale sociale (così: Cass., n. 1703/2008; Cass., n. 16211/2007).

Al verificarsi di una causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato al perseguimento dello scopo sociale, per cui gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, bensì solo a scopi liquidatori: è questa la ratio dell'art. 2449 c.c. Per nuove operazioni devono intendersi tutti quei rapporti giuridici che, svincolati dalle necessità inerenti alla liquidazione, vengono posti in essere dagli amministratori al fine di produrre nuovi utili, producendo nuovi vincoli per la società (Cass. n. 3694/2007).

Nell'azione di responsabilità di cui si tratta, quindi, può essere fatta valere una responsabilità diretta degli amministratori per la violazione dell'obbligo su di essi gravante per legge, e solo nella misura in cui esso si è tradotto in un danno per la società, o per i creditori.

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