Sovrapposizione dei giudizi di separazione e divorzio: presupposti della cessazione della materia del contendere
04 Febbraio 2019
Premessa
Con l'entrata in vigore della l. n. 55/2015 si sono significativamente ridotti i tempi per proporre la domanda di divorzio. Questo dato, unito alla più risalente introduzione, con la l. n. 263/2005, della sentenza non definitiva di separazione, comporta che ormai siano frequentissimi i casi di contemporanea pendenza dei giudizi di separazione e divorzio. La giurisprudenza, stante l'assenza di una norma di legge che disciplini i rapporti tra i provvedimenti dei rispettivi giudizi, si è dunque occupata di stabilire fino a che punto il giudice della separazione, di appello alla separazione o di modifica delle condizioni di separazione ex art. 710 c.p.c., possa emettere provvedimenti efficaci a seguito della successiva instaurazione del divorzio. La Suprema Corte ha sempre dichiarato che non sussiste litispendenza tra i due giudizi (da ultimo Cass. civ., 8 febbraio 2012, n. 1779), mancando l'identità di petitum e causa petendi ed essendo ovviamente inappropriata la relativa disciplina, che comporta la prevalenza della causa precedentemente iscritta. Scomponendo l'oggetto del giudizio, si può però affermare che i due giudici, quello della separazione e quello del divorzio, possono simultaneamente giudicare su tre tipi di domande: domande diverse (l'addebito, presente solo nella separazione); domande sostanzialmente identiche volte a ottenere provvedimenti con efficacia necessariamente futura (assegnazione della casa coniugale, affidamento e collocamento figli); infine domande simili, «questioni patrimoniali indubbiamente connesse», (come definite da Cass. civ., 8 febbraio 2012, n. 1779), che possono avere efficacia anche per il passato, quali la richiesta dell'assegno di separazione e divorzio, il primo ancorato al tenore di vita in costanza di matrimonio (art. 156 c.c. come interpretato dalla giurisprudenza, v. da ultimo Cass. civ., 18 gennaio 2017, n. 1162) e avente natura invece composita assistenziale-perequativa- compensativa il secondo (Cass. civ., 11 luglio 2018, n. 18287). Pur essendo domanda identica, si assimila a quest'ultimo tipo di domande quella del mantenimento dei figli, essendo infatti volta a ottenere un provvedimento che può avere efficacia decorrente anche dal passato. Tanto premesso, è fondamentale individuare i confini della competenza di ciascun giudice e dell'efficacia dei rispettivi provvedimenti, onde evitare contrasti di giudicato e duplicazione delle attività processuali.
La verifica della possibilità e utilità di proseguire il precedente giudizio di separazione anche a seguito dell'instaurazione del divorzio verte intorno al concetto di interesse ad agire. Tale interesse consiste nell'esigenza di ottenere, mediante l'intervento del giudice, un risultato utile giuridicamente apprezzabile; non può consistere nell'interesse astratto a una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici (Cass. civ., 26 giugno 1992, n. 3737). Quando nel corso del processo sopravviene una situazione che elimina il contrasto tra le parti, facendo venir meno l'interesse delle stesse ad agire e la necessità della pronuncia del giudice, deve dichiararsi cessata la materia del contendere (Cass. civ., 20 marzo 2009, n. 6864). Cass., ord.,16 febbraio 2018, n. 3913, si è pronunciata, nell'ambito dell'impugnazione della sentenza di appello alla separazione, sulla questione dell'interesse del ricorrente alla pronuncia relativa solamente ad affidamento e collocamento dei figli, pur a seguito dell'emanazione dei provvedimenti provvisori nel divorzio. La Corte ha affermato che persiste l'interesse ad agire e che la pendenza del divorzio non comporta la cessazione della materia del contendere nella separazione «anche quando il ricorso si appunti unicamente su statuizioni di carattere non patrimoniale»e nonostante la sopravvenienza dei provvedimenti presidenziali di divorzio, i quali «non elidono l'interesse giuridico delle parti a evitare la formazione del giudicato sfavorevole separatizio». La Suprema Corte presenta questo principio come il proprio “costante orientamento”. Tuttavia richiama due sentenze non del tutto attinenti (Cass. civ., 28 febbraio 2017, n. 5062; Cass. civ., 26 agosto 2013, n. 19555): in una si dava atto dell'assenza dei provvedimenti provvisori del divorzio; nell'altra si specificava che l'interesse alla decisione nella separazione sussisteva per quantificare l'assegno da versare fino alle nuove nozze del beneficiario. Provvedimenti patrimoniali, dunque. Non si trattava invece di ipotesi nelle quali la decisione verteva solo su affidamento e collocamento. In questi casi la maggior parte della giurisprudenza (Cass. civ., 2 settembre 1997 n. 8381; Cass. civ., 22 novembre 1994, n. 9867; Trib. Bari, 4 aprile 2011; Trib. Bologna, 15 marzo 2010; App. Roma 10 ottobre 2013) afferma che, sussistendo identità della domanda tra i due giudizi, si ha carenza dell'interesse ex art. 100 c.p.c. e conseguentemente il giudizio di separazione dovrà concludersi con la pronuncia della cessazione della materia del contendere e improcedibilità. Ciò salvo che le statuizioni di affidamento e collocamento possano riflettersi sul futuro assegno di divorzio: infatti per il periodo, passato, già oggetto della separazione (e ai fini del relativo assegno), risulterà già dagli atti con quale genitore ha convissuto il minore. Questa impostazione è da condividersi. Viceversa, i diversi giudici di separazione e divorzio si troverebbero a giudicare la stessa domanda con lo stesso criterio, quello dell'interesse del minore. Si tratta infatti di provvedimenti che avranno necessariamente efficacia per il futuro e ogni decisione del primo giudice finirebbe inevitabilmente per essere posta nel nulla dal provvedimento presidenziale del divorzio già emesso. In assenza di provvedimento presidenziale, e solo in quel caso, il giudice della separazione, dell'appello alla separazione o del procedimento ex art. 710 c.p.c., potrà disporre per il futuro, con un provvedimento che sarà efficace anche per il periodo successivo alla domanda di divorzio, fino all'emanazione del provvedimento del giudice divorzile. Addebito della separazione
Diverso è il discorso per la domanda di addebito della separazione. Questa domanda è proponibile solo davanti al giudice della separazione; pertanto non potrà dichiararsi la cessazione della materia del contendere per la contemporanea pendenza del divorzio (App. Roma, 21 febbraio 2013), salvo sopraggiunga la sentenza definitiva (Cass. civ., 25 gennaio 1983, n. 692). Poiché l'assegno divorzile si quantifica anche in relazione alle "ragioni della decisione" (art. 5 l. div.), relative ai comportamenti che hanno causato la crisi familiare, ci si è interrogati sull'opportunità di sospendere il procedimento fino alla pronuncia del primo; o, se non possibile, stante la tassatività delle ipotesi di sospensione (Cass., S.U.,29 agosto 2008, n. 21931), di posticipare la decisione sull'assegno divorzile. La Suprema Corte ha tuttavia concluso per la proseguibilità del divorzio (Cass., ord., 29 maggio 2014, n. 12097; Cass. civ., 30 marzo 2012, n. 5173). Provvedimenti patrimoniali
Per analizzare la questione patrimoniale, che si presenta come quella maggiormente complessa, occorre partire da due considerazioni fondamentali. La prima è che solo a seguito del giudicato della sentenza sullo status ex art. 4, comma 12, l. div., i coniugi non sono più tali e può disporsi un assegno divorzile. La seconda è che, premesso quanto sopra, prima di una sentenza definitiva sullo status, i provvedimenti economici del Presidente del divorzio hanno necessariamente natura di assegno di separazione: assegni determinati dunque secondo i criteri ex art. 156 c.c. (v. F. Danovi in Il giusto processo civile, 2017, 91 ss; A. Mondini, L'assegno per il coniuge tra separazione e divorzio, in ilFamiliarista.it; contra C. Onniboni, in Fam. e Dir., 2005/3, 267 ss.). La norma di riferimento, l'art. 4, comma 8, l. div. parla di «provvedimenti opportuni», il che ha indotto talvolta la giurisprudenza (Cass. civ., 10 dicembre 2008, n. 28990; Cass. civ., 3 settembre 2004, n. 17830) a definire l'emolumento come una “conversione” dell'assegno di separazione o una “anticipazione” dell'assegno divorzile. Trattasi in realtà di assegno di separazione: pertanto, può accadere concretamente che i due giudici si trovino a decidere sull'an di un assegno da quantificare con identici criteri e strumenti. È quindi necessario che uno dei due venga sollevato dal compito e dichiari la cessazione della materia del contendere, pena la duplicazione dell'attività processuale e il rischio di contrasto tra giudicati. Di questo rischio ha tenuto conto la prima versione del disegno di legge n. 55/2015 (divorzio breve) nell'inciso – poi soppresso- che prevedeva che, nell'ipotesi di pendenza di separazione, il divorzio venisse assegnato allo stesso giudice (prassi che è stata poi adottata da alcuni Tribunali, come dà atto F. Danovi in Il giusto processo civile, 2017, 117). I rapporti tra i provvedimenti economici nei simultanei giudizi di separazione e divorzio sono stati spesso argomento delle sentenze della Cassazione, la quale però, nell'usare principi generali senza specificarne i confini, ha creato confusione. Il principio espresso dalla maggioranza delle sentenze afferma che la pendenza simultanea del divorzio e finanche il giudicato della sentenza sullo status di divorziati non comportano la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale che sia iniziato anteriormente e sia ancora in corso, ove persista l'interesse di una delle parti. Occorre ora individuare in concreto tale interesse e i suoi limiti temporali. L'interesse a cui fa riferimento la Corte è sicuramente un interesse economico (Cass. civ., 2 settembre 1997, n. 8381), poiché per le altre domande, salvo l'addebito, tale interesse si è visto essere insussistente. Si tratta dell'interesse a che il giudice decida, definitivamente e con efficacia di giudicato, il quantum o l'an dell'assegno di separazione. I limiti temporali sono controversi: secondo l'indirizzo maggioritario (Cass. civ., 14 marzo 2014, n. 6017; Cass., ord., 22 luglio 2013, n. 17825; Cass. civ., 8 febbraio 2012, n. 1779; Trib. Parma, 11 marzo 2016; App. Napoli, 22 marzo 2000; in dottrina v. M. Dogliotti, A. Figone, I procedimenti di separazione e divorzio, Giuffrè, 2011, 163; G. De Marzo, C. Cortesi, A. Liuzzi, La tutela del coniuge e della prole nella crisi familiare. Profili di diritto sostanziale e processuale, Giuffrè, 2007, 190 ss.), la carenza d'interesse sopraggiunge con la pronuncia dei provvedimenti presidenziali di divorzio, in quanto questi non possono essere modificati da un successivo provvedimento di separazione. La giurisprudenza più attenta ha affermato infatti che, prima della sentenza definitiva sullo status, le domande relative alla modifica dell'assegno trattate dal giudice della separazione e del divorzio sono “identiche domande in tempi diversi” e pertanto deve dichiararsi la cessazione della materia del contendere o l'inammissibilità della domanda, pena la violazione del divieto di ne bis in idem e il contrasto tra giudicati (Cass. civ., 14 ottobre 2010 n. 21245; Cass. civ., 10 dicembre 2008, n. 28990, in Fam. e Dir. 7/2009, 696 ss., con nota di Bianchi; si dà atto di una prassi di riunione del procedimento ex art. 710 c.p.c. e divorzile in M. Dogliotti, Giurisprudenza del diritto di famiglia: Matrimonio, separazione, divorzio, Giuffrè 2007, 1002 ss.) Secondo una giurisprudenza minoritaria (Cass. civ., 8 luglio 2005, n. 14381; Cass. civ., 3 settembre 2004, n. 17830) la carenza di interesse si verifica invece sin dal momento, precedente, della domanda di divorzio, a prescindere dalla successiva ordinanza del Presidente. In effetti è la stessa legge del divorzio, all'art. 4, comma 13, a conferire al giudice il potere di regolare i rapporti tra coniugi, con sentenza, con effetti dalla data della domanda. E la giurisprudenza (Trib. Bergamo 25 novembre 2014; Trib. S.M. Capua Vetere 19 luglio 2012; Trib Cagliari 6 ottobre 2016) ammette altresì che il Presidente possa derogare al generale principio secondo il quale l'ordinanza è efficace per il futuro, stabilendo che decorra dalla data della domanda, con specifica motivazione. La ratio di questo indirizzo minoritario è dunque non collidere con la lettera della legge e lasciare intatto quel potere del giudice del divorzio di giudicare dalla data della domanda, senza che il “può” del comma 13 possa intendersi come limitato all'eventualità che l'altro giudice non abbia già regolato la materia. Tale impostazione è, ad avviso di chi scrive, condivisibile. In conclusione
In conclusione, la prassi della Suprema Corte di citare genericamente il principio dell'insussistenza della cessazione della materia del contendere salvo persista l'interesse di una delle parti, e di affermare che i provvedimenti patrimoniali di separazione restino efficaci fino al passaggio in giudicato della sentenza sullo status di divorzio, senza specificare limiti temporali e individuare in concreto tali interessi, sta creando confusione tra gli operatori del diritto (dà atto del contrasto G. Cassano, Il diritto di famiglia nei nuovi orientamenti giurisprudenziali, 2006, 115), che si son chiesti se la Suprema Corte volesse sancire l'esclusività della competenza del giudice della separazione fino al giudicato della sentenza sullo status (v. il quesito di diritto in Cass. civ., 4 dicembre 2012, n. 21660; v. la parte conclusiva in A. Mondini, L'assegno per il coniuge tra separazione e divorzio in ilFamiliarista.it). È invece fondamentale sottolineare, in primo luogo, come “l'interesse di una delle parti” sussiste, relativamente alla decisione sui provvedimenti patrimoniali della separazione, solo per un delimitato periodo pregresso, che la giurisprudenza riconosce in quello precedente alla decorrenza dei provvedimenti presidenziali del divorzio e, solo se insussistenti, al giudicato della sentenza non definitiva sullo status. In secondo luogo occorre sottolineare che la cessazione della materia del contendere, sebbene parziale, sussiste e deve essere dichiarata ove il Giudice della separazione, dovendo giudicare anche per il futuro, si trovi di fronte al fatto sopravvenuto dell'emanazione del provvedimento presidenziale in sede divorzile, che, non potendo essere modificato dallo stesso, diviene l'unica disciplina che regola i rapporti tra i coniugi. Tale conclusione è in linea con gli effetti della cessazione della materia del contendere, una fattispecie di estinzione del processo creata dalla prassi giurisprudenziale, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio nel merito per il venir meno dell'interesse delle parti alla conclusione del giudizio stesso. All'emanazione di detta sentenza consegue, da un canto, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio, dall'altro l'assoluta inidoneità ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell'interesse alla prosecuzione del giudizio.
*Fonte: www.ilFamiliarista.it |