La liquidazione del compenso del difensore nominato dal curatore del fallimento revocato

Luca Jeantet
04 Febbraio 2019

Il compenso del difensore nominato dal curatore per l'espletamento di attività professionale svolta nell'ambito di un fallimento, successivamente revocato in assenza di responsabilità del creditore istante o del debitore per la sua dichiarazione, rientra tra le spese del fallimento al pari del compenso del curatore e, conseguentemente, deve...
Massima

Il compenso del difensore nominato dal curatore per l'espletamento di attività professionale svolta nell'ambito di un fallimento, successivamente revocato in assenza di responsabilità del creditore istante o del debitore per la sua dichiarazione, rientra tra le spese del fallimento al pari del compenso del curatore e, conseguentemente, deve riconoscersi la legittimazione passiva dell'Erario, in persona del Ministero della Giustizia, per il pagamento delle stesse, non potendo essere addebitate né al creditore istante per la dichiarazione di fallimento o al debitore tornato in bonis.

Il caso

Nell'ambito di una procedura fallimentare, il curatore nomina due legali per l'espletamento di attività giudiziale e stragiudiziale nell'interesse della massa dei creditori.

Successivamente, il Tribunale revoca la dichiarazione di fallimento della società perché dichiarato “d'ufficio” per effetto della mera revoca della procedura di concordato preventivo ex art. 173 l. fall. ed in assenza di richiesta di parte.

I due legali, ottenuto il decreto di liquidazione delle proprie competenze dal Giudice Delegato del fallimento revocato, agiscono in giudizio nei confronti dell'Erario, in persona del Ministero della Giustizia, per il pagamento dei loro compensi maturati in epoca precedente alla chiusura della procedura fallimentare.

La questione giuridica e le soluzioni

Il provvedimento in commento affronta la questione di fatto e di diritto relativa all'individuazione del soggetto legittimato passivo al pagamento delle competenze di un legale nominato dal curatore nell'ambito di una procedura fallimentare per l'ipotesi di sua revoca e la cui dichiarazione non sia stata conseguenza di un comportamento negligente del debitore o del creditore istante, ed alle modalità con il quale il difensore può chiedere la liquidazione del proprio compenso.

Osservazioni

Il tema risulta particolarmente dibattuto in dottrina e giurisprudenza, offrendo lo spunto per una ricognizione della disciplina delle spese della procedura fallimentare in caso di revoca del fallimento e sulla legittimazione passiva al pagamento delle stesse, in presenza di una lacuna normativa sul punto.

Nell'assetto normativo applicabile al caso di specie, viene anzitutto in rilievo l'ultimo comma dell'art. 18 l. fall. che si limita ad indicare che le spese relative alla procedura fallimentare in caso di revoca della sentenza di fallimento sono liquidate da Tribunale, su relazione del Giudice Delegato, ma non individua i soggetti tenuti al loro pagamento.

La norma, quindi, se è utile ad individuare l'organo deputato alla liquidazione ed il tipo di impugnazione possibile avverso il relativo provvedimento, non consente di stabilire chi sia tenuto al pagamento.

Questa lacuna è stata solo parzialmente colmata dall'art. 147 del D.P.R. 30/05/2002, n. 115 (“Testo Unico Spese di Giustizia”), che ha abrogato l'art. 21, comma 3, l. fall. a decorrere dal 1 luglio 2002, il quale poneva le spese della procedura e il compenso del curatore a carico del debitore che l'aveva subita senza che ne ricorressero i presupposti e senza avervi dato causa con il suo comportamento.

La disciplina, prevede che, in caso di revoca del fallimento, le spese della procedura fallimentare ed il compenso del curatore sono a carico del creditore istante, se condannato per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa, mentre sono a carico del debitore “persona fisica”, se con il suo comportamento ha dato causa alla dichiarazione di fallimento, aderendo così al precedente orientamento giurisprudenziale che aveva affermato il principio della soccombenza del debitore fallito.

Pertanto, è regolata la sola ipotesi in cui il fallimento, successivamente revocato, sia stato dichiarato con responsabilità del creditore istante ovvero del debitore persona fisica, essendo incerte le ipotesi in cui sia stato dichiarato il fallimento di una società commerciale oppure che il fallimento sia stato dichiarato senza alcuna responsabilità del creditore istante o del debitore, sia perché richiesto dal PM sia, come nel caso di specie, perché dichiarato d'ufficio dal Tribunale.

In tali ultimi casi, infatti, non vi sarebbe alcun soggetto responsabile ex art. 147 del Testo Unico Spese di Giustizia per il pagamento del compenso del curatore e per le spese della procedura fallimentare.

Per l'ipotesi in cui la società tornata in bonis dopo la revoca del fallimento sia una sua società commerciale, con o senza personalità giuridica, la giurisprudenza ha esteso la disciplina di cui all'art. 147 del Testo Unico Spese di Giustizia mediante una lettura costituzionalmente orientata, ritenendo che, in ordine al pagamento delle spese di procedura, una responsabilità del solo debitore persona fisica e non anche della società, sarebbe in contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza disciplinati dall'art. 3 della Costituzione, non essendovi ragioni per differenziare il regime delle spese nel caso di fallimento di persone fisiche e di persone giuridiche.

Pertanto in questo caso le spese della procedura fallimentare ed il compenso del curatore devono essere poste a carico del fallito che, con il suo comportamento, ha causato la dichiarazione di fallimento.

Per il caso, invece, di fallimento dichiarato in assenza di un contributo causale da parte del creditore istante o del debitore cui imputare le relative spese, la giurisprudenza si è chiesta quale fosse il soggetto passivamente legittimato al pagamento delle spese di giustizia e del compenso del curatore.

Sul punto, va ricordato che l'art. 146, comma 3, lett c) del Testo Unico Spese di Giustizia, con riferimento alle procedure fallimentari prive di attivo, prevede che siano anticipate dall'Erario le “spese ed onorari ad ausiliari del magistrato”, tra le quali è ricompreso anche il compreso del curatore a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 174/2006 che ha dichiarato incostituzionale tale disposizione normativa nella parte in cui non prevede che siano anticipate dall'Erario le spese e gli onorari del curatore. La Suprema Corte, infatti, ha identificato addirittura il curatore non solo come ausiliario del giudice ma addirittura come organo "ausiliare della giustizia", mancando al suo incarico quella temporaneità ed occasionalità che sono proprie dell'incarico conferito all'ausiliare del giudice ed ha espressamente disposto che la volontarietà (e, quindi, non obbligatorietà) dell'incarico "non escludono il diritto del curatore al compenso, né giustificano la non ricomprensione delle spese e degli onorari al curatore fra quelle che, come le spese e gli onorari agli ausiliari del giudice, sono anticipate dallo Stato".

La consolidata giurisprudenza di legittimità ha esteso il principio espresso per i fallimenti chiusi per mancanza di attivo anche alle ipotesi in cui, nell'ambito di un fallimento revocato, non sia individuabile un soggetto privato tenuto al pagamento del compenso del curatore, avendo quest'ultimo, anche in tale ipotesi, svolto il proprio operato non diversamente dal fallimento che sia stato chiuso in mancanza di attivo ed ha posto a carico dell'Erario le spese relative al compenso del curatore ritenendo applicabile l'art. 146, comma 3, lett c) del Testo Unico Spese di Giustizia (cfr. Cass. 26 ottobre 2012, n. 18541; Cass. 25 maggio 2006, n. 12411; Cass. 6 novembre 1999, n. 12349).

E' stato, infatti, più volte affermato dalla giurisprudenza il principio per il quale debba essere posto a carico della Pubblica Amministrazione, che ha beneficiato della prestazione svolta dal curatore e titolare delle situazioni onerose connesse all'esplicazione di un'attività pubblicistica, l'obbligo giuridico della corresponsione del compenso dovuto per legge al curatore e ritualmente determinato dagli organi competenti a favore di quest'ultimo, quale soggetto che ha prestato un munus publicum per il quale è stato riconosciuto il principio di remuneratività del proprio operato dalla Corte Costituzionale citata.

Questo principio è stato recepito anche dal Tribunale di Milano con sentenza del 19 luglio 2012, il quale ha espressamente ritenuto l'Erario soggetto responsabile delle spese della procedura e del compenso del curatore, in caso di revoca di un fallimentoladdove non sia individuabile un soggetto privato che abbia, con colpa, dato luogo alla dichiarazione di fallimento revocato.

Riconosciuto, quindi, il diritto del curatore di ottenere la liquidazione del proprio compenso da parte dell'Erario, si pone il tema se tale interpretazione estensiva possa trovare applicazione anche in materia di compenso del difensore che abbia assistito il fallimento, successivamente revocato, senza responsabilità né del debitore né del creditore istante.

Un primo riconoscimento di una tale legittimazione passiva dell'Erario, anche se meramente incidentale, è stato affermato dalla Suprema Corte nel 2008 la quale, rigettando la richiesta di rimborso delle spese legali di un avvocato formulate al Giudice Delegato di una procedura fallimentare non più in corso perché revocata, ha affermato che “eventualmente” l'istante avrebbe dovuto richiedere il rimborso del proprio compenso all'Amministrazione dello Stato, quale soggetto individuato come tenuto definitivamente al pagamento delle spese della procedura fallimentare, mediante un'azione ordinaria e non al Giudice Delegato in quanto organo che aveva perso le sue funzioni a seguito della revoca del fallimento.

Ma è con la ordinanza in commento che viene espressamente riconosciuto il diritto del difensore di un fallimento revocato, la cui dichiarazione non sia stata conseguenza della condotta del debitore né di un comportamento colposo del creditore, a chiedere la liquidazione dei propri compensi all'Erario.

Infatti, il Tribunale di Milano, adducendo motivazioni condivisibili che evitano una ingiustificata disparità di trattamento tra il curatore ed il difensore da quest'ultimo nominato, che sarebbe in contrasto con i principi di uguaglianza e ragionevolezza espressi dall'art. 3, comma 1, Cost., applica in via analogica i principi dettati dalla giurisprudenza in tema di compensi del curatore fallimentare, riconoscendo la identità delle attività prestate dal curatore e dal difensore.

Infatti, in primo luogo, è riconosciuta l'onerosità dell'incarico del difensore del fallimento il quale, al pari del curatore, ha assunto volontariamente un incarico per l'espletamento della attività professionale a favore del ceto creditorio.

In secondo luogo, poi, è stato rilevato come sia lo stesso art. 147 del Testo Unico Spese di Giustizia a disciplinare in modo uniforme il compenso del curatore e le spese della procedura fallimentare, tra le quali rientra anche il compenso del difensore incaricato dal curatore per attività etiologicamente riferibili alla procedura fallimentare stessa.

Da ciò il Tribunale di Milano, pur riconoscendo la diversità degli incarichi svolti dal curatore e dal difensore, fa discendere il principio per il quale il difensore ha diritto di chiedere all'Erario la liquidazione del compenso per l'attività prestata nell'ambito di un fallimento revocato, in assenza di colpa del creditore istante e di soggetto fallito.

Ma la sentenza in commento va oltre e, considerata la genericità della locuzione “Erario” indicata dall'art. 146 del Testo Unico Spese di Giustizia per individuare il patrimonio dello Stato, individua il Ministero della Giustizia come il soggetto passivo sul quale in concreto incombe il pagamento del compenso dell'avvocato nominato dalla procedura fallimentare, considerato che l'art. 185 del Testo Unico Spese di Giustizia prevede che le aperture di credito per la regolazione ed il rimborso dei pagamenti relativi al processo civile e penale devono essere disposte con decreto dirigenziale del Ministero della Giustizia.

Così facendo, il Tribunale di Milano si è altresì uniformato all'orientamento oramai consolidato della giurisprudenza in forza del quale il Ministero della Giustizia è parte necessaria nei procedimenti concernenti i compensi ed onorari posti a carico dello Stato relativi a giudizi civili o penali, e nei procedimenti istaurati ex art. 170 del Testo Unico Spese di Giustizia in tema di liquidazione dei compensi dovuti a seguito della ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nei quali è stata riconosciuta la legittimazione passiva del Ministro della Giustizia anziché dell'Agenzia delle Entrate.

La sentenza in commento, infine, conferma il principio giurisprudenziale in forza del quale il difensore incaricato dal curatore nell'ambito di un fallimento revocato, in assenza di colpa del creditore istante e di soggetto fallito, ha il titolo di chiedere la liquidazione dei propri compensi - liquidati ai minimi – nell'ambito di un giudizio contenzioso e non agli organi della procedura fallimentare che sono venuti meno a fronte del passaggio in giudicato della sentenza di revoca del fallimento.

Conclusioni

Pur riconoscendo la diversità degli incarichi svolti dal curatore e dal legale nell'ambito di una procedura fallimentare, il Tribunale di Milano, attraverso una analisi attenta della disciplina delle spese della procedura fallimentare e del compenso del curatore in caso di revoca di un fallimento, giunge ad affermare che le competenze del legale nominato dal curatore rientrano tra le spese del fallimento qualora lo stesso sia stato dichiarato in assenza di responsabilità del creditore istante e del debitore e, conseguentemente, applicando in via analogica i principi dettati dalla giurisprudenza per il compenso del curatore, riconosce la legittimazione passiva dell'Erario, in persona del Ministero della Giustizia, per il pagamento delle stesse, da liquidarsi nell'ambito di un giudizio contenzioso separato dalla procedura fallimentare oramai revocata.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

In giurisprudenza: Corte Cost. 28 aprile 2006, n. 174; Cass. 15 aprile 2016, n. 7592; Cass. 26 ottobre 2012, n. 18541; Cass., Sez. Un. 29 maggio 2012, n. 8516; Cass. 28 aprile 2010, n. 10230; Cass. 22 luglio 2009, n. 17155; Cass. 26 novembre 2008, n. 28226; Cass. 17 aprile 2008, n. 10099; Cass. 25 maggio 2006, n. 12411; Cass. 19 settembre 2000, n. 12401; Cass. 6 novembre 1999, n. 12349; Trib. Como, 3 novembre 2016; Trib. Milano, 19 luglio 2012; Trib. Sulmona, 12 maggio 2011; Trib. Monza, 19 settembre 2001. In dottrina, AMENDOLA, Il regime delle spese in caso di revoca del fallimento, in questo portale, 13 marzo 2017; BELLOMI, La liquidazione del compenso al curatore del fallimento revocato, in Il Fallimento, 2014, 11, 1181; ANDRETTO, La responsabilità erariale in caso di revoca del fallimento, in Il Fallimento, 2014, 6, 693; BELLOMI, Il pagamento del compenso al curatore del fallimento revocato, in Il Fallimento, 2013, 2, 223; REDEGHIERI BARONI, Compenso del curatore e spese della procedura a carico dell'Erario, in Il Fallimento, 2002, 10, 1090; SAMPIETRO, Revoca del fallimento e responsabilità del creditore istante, in Il Fallimento, 2000, 12, 1347.

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