Disastro ambientale e pericolo di crollo dell’edificio abusivo
04 Febbraio 2019
Il quadro normativo
Il reato di “crollo di costruzioni o altri disastri dolosi” trova la propria disciplina nell'art. 434 c.p., nell'àmbito dei delitti contro l'incolumità pubblica, intesa come proiezione collettiva, cioè riferita a un numero indeterminato di persone, dei beni individuali della vita, della salute e dell'integrità fisica, con collocazione topografica all'interno della species dei reati “di comune pericolo commessi mediante violenza” (libro II, titolo VI, capo I del codice penale). Per effetto dell'art. 449 c.p., vengono punite tutte le ipotesi di realizzazione colposa delle condotte previste (in forma dolosa) nel capo I del medesimo titolo IV del codice penale agli artt. 423 ss. c.p., in virtù del riferimento ad ogni “altro disastro preveduto dal capo primo”. Pertanto, il combinato disposto di cui agli artt. 449 e 434 c.p. individua il reato di c.d. disastro innominato colposo. In particolare, è all'art. 434 c.p., figura delittuosa che funge da norma di chiusura del “pacchetto” sanzionatorio integrato dai vari tipi di disastri, a cui occorre fare riferimento per definire gli elementi costitutivi delle fattispecie colpose. Tale norma, invero, in passato ha subìto una evidente torsione applicativa per mano della prassi giurisprudenziale, la quale - almeno fino all'introduzione della disciplina codicistica dedicata ai delitti contro l'ambiente da parte della l. 22 maggio 2015, n. 68 - ne ha fatto uso, tanto nella sua configurazione dolosa (art. 443 c.p.) quanto in quella colposa (art. 449 c.p.), al fine di colmare pur apprezzabili vuoti di tutela relativi a gravi fenomeni di contaminazione ambientale. L'art. 434 c.p. disciplina due diverse fattispecie di reato ormai tralaticiamente accomunate sotto il nomen iuris di “disastro innominato”, con aggettivazione che palesemente ne esalta le note di indeterminatezza contenutistica e di residualità. Il comma 1 della disposizione punisce secondo la tecnica redazionale propria del delitto tentato o dei delitti di attentato - la condotta consistente nell'aver posto in essere «fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, un fatto diretto a cagionareil crollo di una distruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro», qualora dal fatto sia derivato un “pericolo per la pubblica incolumità” (reato di pericolo concreto). Il comma 2 prevede un incremento sanzionatorio per l'ipotesi in cui il disastro si sia effettivamente verificato. La giurisprudenza ha affermato trattarsi di un delitto aggravato dall'evento, assumendo che la consumazione del fatto si realizza nel momento in cui si verifica il disastro e, cioè, allorquando l'immutatio loci di straordinaria portata degenerativa dell'habitat naturale risulta essersi realizzata (Cass. pen., sez I, 23 febbraio 2015, n. 7941). Dalle ipotesi tipizzate di disastro (inondazione, frana, valanga, disastro aviatorio, disastro ferroviario ecc.), si evincono le caratteristiche che un fatto deve presentare per essere considerato un disastro: impatto violento sulla realtà esterna; macro-danneggiamento; tendenziale contestualità tra condotta ed evento; pericolo per la pubblica incolumità ovvero per la vita o l'integrità fisica di un numero indeterminato di soggetti. La giurisprudenza evolutiva: il disastro innominato e disastro ambientale
L'art. 434 c.p. ha generalmente presentato più di un aspetto problematico nel regime della sua applicazione in quanto il modello legale, in sintesi estrema, ha permesso solo di delimitarne il piano operativo nei casi in cui non ricorresse alcuno dei disastri nominati. Si è posta dunque la questione della corretta interpretazione della seconda parte del comma 1, laddove si sanziona la condotta di chi compie atti diretti a cagionare “altro disastro”, senza dare una definizione normativa dello stesso. Al tal proposito si parla di “disastro innominato” quale clausola di chiusura che completa la tutela dell'incolumità pubblica e attraverso la quale, il legislatore ha inteso rendere sussumibili nell'art. 434 c.p., disastri diversi da quelli tipizzati. L'insolita tecnica normativa, che incentra sul concetto di alterità del disastro, la connotazione oggettiva della condotta, ha indubbiamente stimolato il fronte delle critiche, sul piano del rigore descrittivo e della tassatività. Sulla compatibilità di tale clausola con il principio costituzionale di determinatezza-tassatività, si è pronunciato il giudice delle leggi con sentenza n. 327/2008. La Corte Costituzionale, pur ammettendo il deficit originario di precisione della norma, ne ha confermato la legittimità costituzionale chiarendo che le norme incriminatrici possono contenere, quali elementi descrittivi della fattispecie, anche concetti sommari ed elastici, vere e proprie clausole generali, senza perciò vulnerare il principio di tassatività, qualora, in base al raccordo con gli altri elementi costitutivi del reato, alla collocazione sistematica della norma, nonché alla sua ratio, l'interprete, attraverso l'utilizzo degli ordinari canoni ermeneutici sia in grado di attribuirvi un significato univoco e prevedibile per i destinatari. Pertanto, la Corte ha ritenuto possibile enucleare una nozione unitaria di disastro, definibile per identità morfologica e contenutistica rispetto agli “altri disastri”, forgiando la relativa definizione sulla base degli elementi strutturali ottenuti per astrazione dalle altre fattispecie, in quanto il disastro c.d. innominato è un accadimento diverso, ma comunque omogeneo rispetto a quei disastri. In questa prospettiva, il giudice costituzionale ha adottato una concezione “bipolare” del disastro, strutturandolo - sotto il profilo dimensionale - come un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, estesi e complessi e - sotto il profilo della proiezione offensiva - come un evento idoneo a causare un pericolo per la vita o per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone, senza che peraltro sia richiesta anche l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti. In particolare, sul piano dimensionale dovrà trattarsi di un avvenimento distruttivo di proporzioni straordinarie, ma non necessariamente immane, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi. Sul piano della proiezione offensiva, l'evento deve provocare un pericolo per la vita o l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone. L'operazione ermeneutica operata dalla Corte costituzionale ha consentito di individuare una nozione unitaria e allargata di disastro innominato che ricomprende anche quello ambientale. Alla luce di questo chiarimento, anteriormente all'introduzione dell'art. 452-quater c.p., i fenomeni di grave inquinamento ambientale sono stati tradizionalmente affrontati in giurisprudenza, recuperandoli all'ambito di applicabilità dell'art. 434 c.p. e in particolare, nel disastro cd. innominato. Valorizzando la portata "inespressa" della norma regolatrice, la sua collocazione sistematica (tra i delitti contro la pubblica incolumità) e il contenuto lessicale del concetto descrittivo di "disastro" si è apprestata, attraverso la sua applicazione, tutela anche al “paesaggio” (e, dunque, all'ambiente), bene giuridico materiale oggetto di presidio costituzionale (art. 9 Cost.). La Cassazione ha confermato questa prospettiva, affermando che l'imponente contaminazione di siti, realizzata mediante l'accumulo sul territorio o lo sversamento in acqua di rifiuti pericolosi, è atta a configurare il disastro innominato allorché, per la durata in termini temporali e per l'ampiezza in termini spaziali dell'attività di inquinamento, essa assuma connotati di eccezionale gravità, generando un concreto pericolo per la salute di un numero indeterminato di persone. Il disastro ambientale risultava così connotato dalla specificità tipologica del bene aggredito e delle caratteristiche lesive e si coordinava e inseriva nel paradigma legale di quello incriminato come “altro disastro doloso”, anche assurto nel linguaggio applicativo ad una definizione tipizzante, attraverso il ricorso all'attributo di innominato. Sotto il profilo della teoria generale del reato, l'operazione ermeneutica operata dalla giurisprudenza di includere anche il disastro ambientale nell'àmbito dei disastri innominati ha sortito una profonda trasformazione nella configurazione dell'evento naturalistico del reato come micro-evento o evento a formazione progressiva. La prassi ha, infatti, evidenziato situazioni in cui l'evento non è cronologicamente determinato in un episodio che produce da solo una modificazione della realtà, ma è un micro-evento, ovvero situazioni in cui l'azione causale si compone di una pluralità di atti ascrivibili a soggetti diversi, ciascuno di essi con efficacia causale e si snoda nel tempo anche nel lungo periodo, e produce effetti quasi immediati per ciascuna di queste azioni o omissioni, ma l'evento si manifesta in piccoli episodi che di per sé non sono percepibili come modificazioni della realtà. Si è trattato, quindi, di definire come disastro non soltanto gli eventi disastrosi di grande immediata evidenza (crollo, naufragio, deragliamento, ecc.) connotati da un macro-evento, cioè di una modificazione istantanea della realtà o che si verifica in un arco di tempo ristretto, ma anche quegli eventi non immediatamente percepibili, che possono realizzarsi in un arco di tempo anche molto prolungato, che pure producono quella compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività che consentono di affermare l'esistenza di una lesione della pubblica incolumità. La giurisprudenza, mentre in una prima fase riconduceva alla fattispecie di disastro innominato di cui all'art. 434 c.p. soltanto ipotesi di “macroeventi”, successivamente - a partire dalla c.d. svolta di Porto Marghera - ha affermato la riconducibilità alla stessa anche di “microeventi”, intesi come fenomeni di progressiva e imponente contaminazione dei suoli, delle acque o dell'aria con sostanze pericolose per la salute, attuata tramite condotte cronologicamente e spazialmente “diluite”, che non richiedono un evento disastroso immediatamente percepibile, ma che si risolvono in un inquinamento lungo latente, non caratterizzato dalla sussistenza di un evento di forte impatto traumatico sulla realtà né innescato da una causa di tipo violento. La sostituzione del c.d. macroevento con una serie di microeventi e il suo frazionamento - attraverso il protrarsi della contaminazione nel tempo anche per lungo periodo ha comportato la perdita della concentrazione spaziale e soprattutto temporale dell'evento, nonché la perdita della sua puntualità e individualità. Se non è essenziale alcuna contestualità tra condotta e insorgere dell'evento di pericolo, che si manifesta nel lungo-periodo, se non è essenziale la concentrazione spazio-temporale dell'evento, ancorché riconducibile a più condotte consecutive e frazionate nel tempo, se non è richiesta l' immediatezza e della puntualità dell'evento, si apre la porta alla distinzione tra disastri statici (in contrapposizione a quelli dinamici) che cioè si caratterizzino per un lento sviluppo “silente” sul territorio, con possibili evoluzioni ulteriori. L'insanabile contrasto tra le varie posizioni interpretative ha fatto nascere l'esigenza, sempre più impellente anche alla luce degli obblighi eurocomunitari e delle più eclatanti vicende giudiziarie, di dotare l'ordinamento penale di una nuova fattispecie incriminatrice realmente capace di sanzionare rilevanti fenomeni di contaminazione ambientale. La nuova fattispecie di cui all'art. 452-quater c.p. configurata come reato causale puro di evento, istantaneo a effetti permanenti, abbandona il paradigma del reato di pericolo, punisce con un notevole incremento sanzionatorio la condotta che, secondo l'ordinario rapporto di causalità, cagioni abusivamente uno dei tre eventi di disastro ambientale, ora espressamente tipizzati dalla norma Il primo consiste in una alterazione dell'equilibrio dell'ecosistema di carattere “irreversibile” (n. 1); il secondo in un evento «la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali» (n. 2). Il terzo incrimina, infine, come macroevento: «l'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo» (n. 3). I primi due eventi di disastro, nella forma del danno, si configurano in un rapporto di concatenazione criminosa crescente con la contigua fattispecie di inquinamento ambientale, ponendo a oggetto dell'incriminazione l'alterazione di un ecosistema che, rispettivamente, risulti “irreversibile” (n. 1, irreversibilità in senso proprio) ovvero «la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali» (n. 2, c.d. irreversibilità complessa). Dette ipotesi di disastro sono forgiate, in ordine, sul profilo della stabilità dell'alterazione cagionata. Si chiama quindi l'interprete a sciogliere il binomio circa il carattere reversibile/irreversibile degli effetti della stessa e imponendo un delicato apporto valutativo, non diversamente dai requisiti di significatività e misurabilità previsti per l'inquinamento ambientale che sconta l'incognita di fondo circa l'esatto significato da attribuire alla nozione di irreversibilità. Infatti, se è pur vero che l'irreversibilità, intesa in senso naturalistico come incapacità dell'ecosistema di autorigenerarsi, implica una prognosi circa l'impossibilità di ripristino dell'equilibrio ecologico che è stato alterato dalla contaminazione, non è parso ragionevole pretendere la sua ricorrenza in termini assoluti. Quindi, il disastro sarà irrimediabile anche qualora occorra, per una sua eventuale reversibilità, il decorso di un ciclo temporale talmente ampio, in natura, da non poter essere rapportabile alle categorie dell'agire umano, essendo da escludere l'opzione per la quale un ecosistema non può considerarsi irreversibilmente distrutto finché ne è teoricamente possibile un ripristino, ipotizzando la compresenza di tutti gli ulteriori presupposti favorevoli, in un periodo però sensibilmente lungo o addirittura lunghissimo di tempo. Il concetto di “alterazione” va inteso come modifica significativa a opera di un fattore esterno dell'originario assetto dell'ecosistema che, agendo sulla stabilità del suo stato, ne altera la interazione funzionale delle singole componenti. La nozione di irreversibilità implica la concreta fattibilità degli interventi di ripristino da intendersi come eccessiva onerosità in senso oggettivo per la pubblica amministrazione. La nozione è completata, poi, dalla prognosi circa la necessaria adozione di provvedimenti eccezionali per sanare la contaminazione, intesi come misure straordinarie, di particolare complessità e difficoltà, che implicano il ricorso a strumenti giuridici ad hoc, come finanziamenti statali o locali straordinari, soggetti a specifiche delibere, al di fuori del normale contradditorio con la pubblica amministrazione o dell'ordinario procedimento di bonifica. Infine, il n. 3 descrive l'ultima ipotesi di evento, il quale si “accontenta” di una alterazione di minore intensità lesiva per il bene ambiente, in cui l'evento di disastro è descritto come “offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo” - che sembrerebbe apparentemente esulare dallo scenario offensivo dell'ambiente come ecosistema. La natura della figura di cui al n. 3 non è pertanto di agevole definizione. Si tratta, invero, tra le tre ipotesi di disastro ambientale, di quella di meno agevole lettura e l'unica in astratto ricollegabile all'art. 434 c.p., rispetto al quale si pone in rapporto di sostanziale specialità. La giurisprudenza ha ritenuto che il nucleo criminoso del n. 3) debba considerarsi riferito, in ogni caso, a condotte incidenti sull'ambiente rispetto alle quali l'offesa alla pubblica incolumità rappresenti una conseguenza; essa sembra, quindi, voler incriminare le condotte di deminutio del bene ambiente (diverse dalle alterazioni irreversibili o quasi irreversibili, quali, ad esempio, condotte di mero inquinamento) da cui consegua un'offesa alla pubblica incolumità sub specie di messa in pericolo, il cui carattere diffuso trovi spiegazione nella sua speciale rilevanza alla luce dell'estensione spaziale e temporale della compromissione così realizzata e dei suoi effetti lesivi sulla matrice incisa (non sulle persone, subito dopo prese in considerazione) ovvero del consistente dato quantitativo delle persone offese. Alla luce dell'evoluzione del concetto di disastro, tale includere anche eventi che non producono una immediata e percepibile modificazione della realtà, e della distinzione tra disastri statici e disastri dinamici, nella prassi, si è posta la questione dell'applicazione del reato di disastro ambientale - ed in particolare all'ipotesi descritta al n. 3 dell'art. 452-quater c.p. (e non quello di disastro innominato ex art. 434 c.p.) - nel caso di pericolo di crollo di immobile costruito in violazione delle norme edilizie ed abusivamente occupato. Ecco in breve il caso. A seguito dell'improvvisa apertura di una voragine di circa 10 metri quadrati all'interno di un magazzino di proprietà di un privato, veniva riscontrata la sussistenza di un concreto ed attuale pericolo di cedimento strutturale dell'intero edificio e dell'immobile adiacente, esposto a pericolo di crollo per induzione. L'edificio oggetto di verifica, di cinque piani, presentava l'esplosione ed il completo deterioramento di tre pilastri interni, in corrispondenza del nodo di congiunzione tra pilastro e trave ed il copriferro inesistente ed i ferri di armatura verticali inefficaci non venivano ritenuti idonei a garantire la sicurezza statica dell'edificio. Entrambi gli edifici risultavano essere completamente abusivi, perché costruiti senza alcun titolo abilitativo. La situazione di pericolosità era conseguente non soltanto all'inosservanza delle norme che disciplinano l'attività edificatone, ma anche alla instabilità del sottosuolo dovuta all'attraversamento tombale di un canale al di sotto del fabbricato. La condotta contestata ai due imputati, il sindaco del comune e il responsabile dell'ufficio tecnico, si sarebbe concretata nella prolungata inerzia, a fronte di una situazione di elevato rischio di crollo, ovvero nel non aver adottato alcuna iniziativa concreta effettivamente idonea a fronteggiare la situazione di pericolo accertata, limitandosi all'adozione di un'ordinanza di sgombero e di chiusura del tratto stradale alla circolazione mai eseguiti, causando, conseguentemente, un perdurante, concreto incombente pericolo di disastro ambientale, tale da integrare il delitto di disastro ambientale. Il Tribunale, dando conto dell'accertata sussistenza del pericolo, ha ritenuto astrattamente ipotizzabile il delitto, collocando le condotte contestate nell'àmbito dell'art. 452-quater, comma 1, n. 3, c.p., osservando che il disastro ambientale, oltre che nei casi descritti ai nn. 1 e 2 della citata disposizione, si configura anche mediante “ ... una qualsivoglia offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi o per il numero delle persone offese o sposte al pericolo”, e che, nel caso specifico, la causa della concreta situazione di pericolo di crollo dei due fabbricati era da rinvenire nelle condotte omissive tenute dagli indagati, obbligati ad agire in ragione delle rispettive posizioni all'interno dell'amministrazione comunale. Si è ritenuto che, se il provvedimento di sgombero fosse stato eseguito, il disastro ambientale, ovvero l'offesa alla pubblica incolumità, non si sarebbe mai verificato. Per contro, si è evidenziato che il rischio per la pubblica incolumità sarebbe stato causato dalle condotte di abusivismo le quali avrebbero determinato il pericolo di crollo dell'immobile, con la conseguenza che il disastro ambientale (o, comunque, il pericolo per la pubblica incolumità) si sarebbe verificato per effetto di tali ultime condotte, precedentemente all'omissione contestata ed indipendentemente da essa, sanati o condonati. In conclusione
La Suprema Corte, nel chiarire che l'ipotesi di disastro ambientale descritta dal comma 1, n. 3, dell'art. 452-quater c.p. presuppone che le conseguenze della condotta svolgano i propri effetti sull'ambiente in genere, ha specificato che la nozione di ambiente va intesa in senso ampio, non limitata cioè all'esclusivo riferimento agli aspetti naturali, ma estesa anche alle conseguenze dell'intervento umano e trasformazioni operate dall'uomo sull'ambiente e perciò estesa alle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, storico, artistico, architettonico o archeologico. Inoltre, anche con specifico riferimento alla fattispecie descritta nel citato art. 452-quater al n. 3, ha rilevato come anch'essa deve necessariamente ritenersi riferita a comportamenti comunque incidenti sull'ambiente, rispetto ai quali il pericolo per la pubblica incolumità rappresenta una diretta conseguenza, pur in assenza delle altre situazioni contemplate dalla norma. Tale soluzione interpretativa trova peraltro plurime conferme, in primo luogo, nella collocazione della condotta tra le ipotesi di disastro ambientale, quindi di un fenomeno che logicamente svolge i suoi effetti sull'ambiente, trattandosi, appunto, di un delitto contro l'ambiente, peraltro rilevando che, escludendo tale necessario collegamento con l'ambiente e considerando il solo riferimento alla pubblica incolumità, verrebbe meno ogni distinzione rispetto al disastro innominato di cui all'art. 434 c.p. Sulla base di queste premesse, la Corte ha escluso che la realizzazione o il mancato abbattimento di edifici abusivi possa essere considerata produttiva degli effetti descritti dalla fattispecie incriminatrice e pertanto ha negato che possa configurarsi l'ipotesi di disastro ambientale colposo nella condotta omissiva del titolare della posizione di garanzia a fronte del pericolo di crollo di un edificio totalmente abusivo e pericolante. Il reato di disastro ambientale ha quale oggetto di tutela l'integrità dell'ambiente, e in ciò si distingue dal disastro innominato di cui all'art. 434 c.p., poiché la condotta può rilevare anche senza danno o pericolo per una pluralità indeterminata di persone. Gli effetti del crollo possono interferire con la tutela dell'incolumità pubblica, ma non rilevano sotto il profilo della tutela dell'ambiente. Ne consegue che anche l'ipotesi di disastro ambientale descritta al n. 3 dell'art. 452-quater c.p. presuppone, come le due precedenti, che le conseguenze della condotta svolgano i propri effetti sull'ambiente in genere o su una delle sue componenti (Cass. pen, sez. II, 18 giugno 2018, n. 29901). Bell- Valsecchi, Il nuovo delitto di disastro ambientale: una norma che difficilmente avrebbe potuto essere scritta peggio, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2015, fasc. 2, 81; Gargani,Le plurime figure del disastro: modelli e involuzioni, in Cass. pen., 2016, fasc. 7-8, 2718; Masera, La riforma del diritto penale dell'ambiente, in Costituzionalismo.it, 2015, fasc. 3, 222; Padovani, Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l'ambiente, in Guida al diritto, 2015, fasc. 32, 11. |