L’assemblea sindacale può essere indetta anche da un solo componente della r.s.u.

Giovanni Fiaccavento
04 Febbraio 2019

Il diritto di indire assemblee, di cui all'art. 20, l. n. 300 del 1970, rientra, quale specifica agibilità sindacale, tra le prerogative attribuite non solo alla r.s.u. considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della r.s.u. stessa, purché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nell'azienda di riferimento, sia, di fatto, dotato di rappresentatività, ai sensi dell'art. 19, l. n. 300 del 1970, quale risultante a seguito della sentenza della Corte cost. n. 231 del 2013.
Massima

Il diritto di indire assemblee, di cui all'art. 20, l. n. 300 del 1970, rientra, quale specifica agibilità sindacale, tra le prerogative attribuite non solo alla r.s.u. considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della r.s.u. stessa, purché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nell'azienda di riferimento, sia, di fatto, dotato di rappresentatività, ai sensi dell'art. 19, l. n. 300 del 1970, quale risultante a seguito della sentenza della Corte cost. n. 231 del 2013.

Il caso

La F.L.M.U. – C. di Roma agiva con ricorso ex art. 28, l. 20 maggio 1970 n. 300, nei confronti di T. I. S.p.A. per la censura di un comportamento posto in essere dalla società, illegittimamente limitativo dell'attività sindacale. Nello specifico la società aveva negato un permesso di assemblea in quanto la stessa era stata indetta da un singolo componente della Rappresentanza Sindacale Unitaria.

Il Giudice della prima fase emetteva decreto di rigetto, non ravvisando i presupposti nel comportamento datoriale di una limitazione della attività propria del sindacato.

In seguito al giudizio di opposizione, il Tribunale emetteva sentenza di revoca del decreto di rigetto, dichiarando il ricorso ex art. 28, l. n. 300 del 1970, inammissibile per carenza di legittimazione ad agire da parte dell'organizzazione sindacale. Riteneva, infatti, che quest'ultimo non rispettasse il requisito della diffusione su base nazionale, richiesto dalla norma.

La Corte di appello riformava parzialmente la sentenza del Tribunale, riconoscendo il carattere nazionale del sindacato appellante e rigettando il gravame nel merito. La Corte territoriale, infatti, escludeva il carattere antisindacale del comportamento messo in atto dalla società sulla base del principio di diritto fissato dalla Cass. 26 febbraio 2002, n. 2855, in aperto dissenso rispetto all'orientamento giurisprudenziale affermatosi in successive pronunce della stessa Suprema Corte.

L'organizzazione sindacale ricorreva per la cassazione della decisione, lamentando la non considerazione da parte della Corte di appello di un pronunciamento della Corte di legittimità in materia, risalente al 2005, che aveva sovvertito il precedente orientamento del 2002 sul quale la il giudice di appello avevo fondato la propria decisione.

La società resisteva con controricorso.

La questione

La questione esaminata dalla Corte di cassazione nella sentenza in commento verte sulla possibilità di attribuire ad un singolo componente della rappresentanza sindacale unitaria i diritti spettanti alle rappresentanze sindacali aziendali, secondo quanto stabilito dal titolo III dello Statuto dei lavoratori ( l. n. 300 del 1970).

Nella fattispecie la Suprema Corte ha pronunciato sul rifiuto da parte di una società di concedere ore di assemblea sindacale, in quanto la stessa era stata indetta non dalla rappresentanza sindacale unitaria nel suo complesso, bensì da un singolo componente della stessa.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione, nell'esaminare la questione di diritto proposta, ha ripercorso gli approdi giurisprudenziali più significativi e recenti in materia, dando continuità agli ultimi pronunciamenti intervenuti.

Risolta - en passant - la questione sulla legittimità del ricorso proposto dall'organizzazione sindacale, ricordando che la denunciata violazione o falsa applicazione di contratti e accordi collettivi è oramai assimilata sul piano processuale a quella relativa alle norme di legge, la Corte ha ritenuto di porre la propria decisione in continuità con l'autorevole orientamento espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza 6 giugno 2017, n. 13978. In detta pronuncia, quasi integralmente riportata nella decisione qui in commento, i giudici hanno mosso il loro ragionamento dalla verifica della sussistenza, in concomitanza con le competenze “collegiali” delle r.s.u., anche delle prerogative proprie dei singoli componenti delle stesse, intervenendo a risolvere un contrasto giurisprudenziale formatosi sul punto e riproposto nel caso in analisi. La Corte di Appello aveva fondato la propria decisione proprio su di un precedente della Cassazione (Cass. n. 2855 del 2002), poi contrastato da successive pronunce (Cass. n. 1892 del 2005 e Cass. n. 15437 del 2014).

L'iter argomentativo seguito dai giudici di legittimità, nella sentenza del 2017 e riproposto nella decisione in commento, è sorto dalla considerazione del dato testuale espresso dallo Statuto dei lavoratori e da alcune norme, applicabili ratione temporis, dell'accordo interconfederale 20 dicembre 1993 per la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie.

La Cassazione ha affermato come non esista alcun elemento idoneo a far ritenere che le r.s.u. siano destinatarie delle sole prerogative riconducibili ai singoli dirigenti delle r.s.a. ed anzi ha precisato che alle prime, le rappresentanze unitarie, spettino anche tutti quei diritti già riconosciuti alle seconde, le rappresentanze aziendali, nella loro configurazione di organi collegiali. Tutto ciò in considerazione del combinato disposto dell'art. 20 dello Statuto dei lavoratori(“le riunioni […] sono indette singolarmente o congiuntamente dalle rappresentanze sindacali aziendali”) e dell'art. 5 dell'accordo interconfederale del 1993 (“Le r.s.u. subentrano alle r.s.a. ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge”).

A sostegno della tesi affermata, i giudici di legittimità hanno valorizzato, altresì, l'art. 4 del medesimo accordo interconfederale, nella parte in cui ha regolato alcune condizioni di miglior favore per le r.s.u. La Corte, in particolare, ha letto in chiave confermativa della propria decisione il comma 5 dell'art. 4, ove è stato fatto salvo, in favore delle oo.ss. aderenti alle associazioni sindacali stipulanti il c.c.n.l. applicato nella singola unità produttiva, il diritto, tra gli altri, di indire singolarmente o congiuntamente assemblee ex art. 20 Statuto dei lavoratori. Previsione, quella espressa dall'art. 4, comma 5 cit., in cui la Suprema Corte ha riconosciuto una soluzione di compromesso, giustificata dall'intento delle parti stipulanti di promuovere la creazione delle r.s.u., pur senza alterarne la natura di organo collegiale ovvero pregiudicarne il principio maggioritario, comunque non intaccato nel caso de quo in considerazione del fatto che l'indizione di un'assemblea è libero esercizio di un diritto (riconosciuto ex lege) e non vincola la totalità dei soggetti rappresentati dalla r.s.u. In altre parole, la possibilità di indire assemblea ben deve essere riconosciuta ad un singolo componente della r.s.u., ad avviso della Cassazione, perché non intacca il momento decisionale, necessariamente governato dal principio maggioritario, ma ne consente una corretta “preparazione”, dando voce a tutte le componenti della rappresentanza.

Osservazioni

La Suprema Corte, nella pronuncia in analisi, ha confermato l'importante precedente reso dalle Sezioni Unite, nel 2017, con la sentenza n. 13978 (Cass., sez. un., n. 13978 del 2017), intervenendo in un caso di presunto comportamento antisindacale di un'azienda che aveva negato lo svolgimento di un'assemblea in quanto indetta da un solo componente della rappresentanza sindacale unitaria e non dalla stessa collegialmente. Seppur muovendosi nel solco tracciato dalla sentenza delle Sezioni Unite, la Cassazione, qui in commento, ha avuto modo di superare in via definitiva i precedenti difformi, ribadendo con forza la sussistenza in capo ai singoli componenti delle r.s.u., purché eletti nelle liste di un sindacato dotato di rappresentatività, dei diritti già concessi alle r.s.a.

Ripercorso brevemente il contrasto giurisprudenziale generatosi in punto di prerogative delle rappresentanze sindacali unitarie, con particolare riferimento al diritto di assemblea, la Suprema Corte si è soffermata sul dato normativo e pattizio, fornito rispettivamente dal titolo III dello Statuto dei lavoratori e dall'accordo interconfederale del 1993, dando prevalenza all'interpretazione letterale del combinato disposto delle diverse disposizioni.

I giudici di legittimità, infatti, considerando il diritto di indire assemblea riconosciuto “congiuntamente o singolarmente” ex lege alle rappresentanze sindacali aziendali e le prerogative fornite alle rappresentanze sindacali unitarie, nell'ottica di un subentro di queste ultime in tutti i diritti e le funzioni già propri delle r.s.a., hanno bypassato la configurazione collegiale delle rappresentanze istituite dall'accordo del ‘93 ed hanno individuato nei componenti delle stesse i soggetti autorizzati ad indire singolarmente le riunioni dei lavoratori di cui all'art. 20, l. n. 300 del 1970.

I precedenti difformi, fatti propri dalla Corte territoriale nel giudizio di appello, avevano invece valorizzato la differenza strutturale tra rappresentanze sindacali aziendali e unitarie sulla base della considerazione della logica che aveva portato alla introduzione, nel sistema della relazioni industriali, delle r.s.u., ovverosia l'intento delle parti sociali di garantire indirizzi di politica sindacale idonei ad esprimere la volontà della collettività dei lavoratori. La Corte si era, anzi, spinta a ritenere che la concessione ai singoli componenti della rappresentanza unitaria del diritto di assemblea, già concesso alle rappresentanze aziendali singolarmente intese, avrebbe rappresentato una “deregulation” della materia, muovendosi in direzione opposta a quella di agevolazione di una politica sindacale unitaria per i lavoratori. Tutto ciò in un contesto nel quale ancora non si era completato il processo di aggiornamento della disciplina inerente la costituzione delle rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Rinnovamento che si è completato con la sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013 che ha riconosciuto il diritto di cui all'art. 19, Statuto dei lavoratori, a tutte quelle organizzazioni sindacali che abbiano anche solo partecipato alla negoziazione dei contratti collettivi applicati in azienda, pur senza stipularli.

La Corte, già nella pronuncia a Sezioni Unite, ha diversamente ritenuto che la compressione dei diritti sindacali nei confronti delle r.s.u., rispetto alle r.s.a. avrebbe causato nei confronti della nuova rappresentanza unitaria una diffidenza da parte delle organizzazioni sindacali, le quali mai avrebbero potuto determinarsi a non costituire, ovvero a sostituire, una propria rappresentanza, autonoma e ben assistita da diritti e prerogative riconosciute dalla legge, con una priva dei poteri già in uso. La Corte, inoltre, non ha tralasciato di considerare che il proprio orientamento avrebbe potuto essere ritenuto modificativo della caratterizzazione collegiale, basata sul principio democratico, delle rappresentanze sindacali unitarie. Per “rispondere” opportunamente a tale prevedibile osservazione, ha analizzato la natura del diritto di assemblea, rappresentandolo quale elemento esclusivamente preparatorio al momento decisionale, il quale si configura come compiuta espressione del principio democratico. In termini più chiari, la Corte ha ritenuto che l'assemblea indetta da un singolo componente non venga meno alle regole del funzionamento della r.s.u., la quale, come detto, deve sintetizzare gli interessi di tutta la compagine lavorativa di un'azienda per il tramite di decisioni espressione della maggioranza. Tutto all'opposto, i giudici di legittimità hanno conferito alla assemblea indetta dal singolo membro della r.s.u. la valenza di strumento preparatorio al successivo momento di decisione collegiale.

In conclusione, pur tenendo nella dovuta considerazione la natura di organo collegiale della r.s.u., la Suprema Corte ha, quindi, interpretato letteralmente le norme, legali e collettive, in chiave maggiormente promozionale delle rappresentanze unitarie rispetto a quanto fatto dagli stessi giudici anni addietro. L'intento della Cassazione, verosimilmente, è stato quello di non arretrare il regime delle prerogative sindacali, nel complesso sistema delle relazioni industriali, al fine di armonizzare la disciplina delle rappresentanze sindacali costituite nei luoghi di lavoro.