L'interpretazione dei requisiti di moralità ed attitudine richiesti per l'assunzione dei pubblici dipendenti

Paolo Patrizio
04 Febbraio 2019

È principio consolidato quello secondo cui l'agere pubblico deve essere modellato sui canoni della correttezza e della buona fede. Tanto vale anche nell'applicazione delle clausole dei bandi e degli avvisi di selezione ai fini dell'interpretazione dei requisiti di moralità richiesti per l'assunzione dei pubblici dipendenti...
Il caso

Con nota del 15 marzo 2017, il Ministero dell'economia aveva richiesto al competente Centro per l'impiego della Città Metropolitana di Bari l'avviamento di complessive 5 unità di personale appartenente alle categorie protette di cui all'art. 1, l. n. 68 del 1999, da inquadrare nella seconda Area — Fascia retributiva F1 — del ruolo unico del personale interno.

Ricevuta la trasmissione dei nominativi dei lavoratori avviati, il Ministero menzionato, quindi, provvedeva all'espletamento delle prove selettive ed, all'esito, rilasciava dichiarazione di idoneità per tutti i candidati (tra cui anche il successivo ricorrente) con approvazione della relativa graduatoria.

Senonché, in sede di riscontro dei requisiti posseduti per l'accesso all'impiego, ai sensi dell'art. 71, d.P.R. n. 445 del 2000, l'Amministrazione statale, nel richiedere l'acquisizione dei certificati dei casellari giudiziali e dei carchi pendenti dei lavoratori avviati, rilevava, per uno di essi, l'annotazione di una condanna a sei mesi di reclusione (risalente all'anno 2008 e dovuta a detenzione di sostanze stupefacenti) in uno all'intervenuto provvedimento di successiva riabilitazione (recante la data del 22 ottobre 2015).

Su tali presupposti, quindi, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, ritenendo di poter rilevare l'insussistenza, in capo al lavoratore avviato, dei requisiti di idoneità morale e di attitudine ad espletare l'attività di pubblico impiegato, provvedeva a disporne la sua esclusione dalla procedura selettiva.

Il lavoratore presentava, pertanto, ricorso ex art. 700, c.p.c., invocando l'accertamento della illegittimità del provvedimento di esclusione adottato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e la conseguente condanna della predetta Amministrazione convenuta alla riammissione nel posto di cui alla richiesta numerica di avviamento al competente Centro per l'impiego della Città Metropolitana di Bari, in uno al risarcimento dei danni patiti e patiendi.

Il Tribunale, in composizione monocratica, con ordinanza del 9 ottobre 2018 rigettava la domanda cautelare per difetto del requisito del periculum in mora.

Il ricorrente presentava reclamo al Tribunale in composizione Collegiale.

La questione

La decisione in esame, involge la tematica della corretta interpretazione dei requisiti di moralità ed attitudine richiesti per l'assunzione dei pubblici dipendenti, opportunamente vagliata alla luce della sussistenza degli imprescindibili presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, caratterizzanti l'ambito delle pronunce cautelari.

La soluzione giuridica

Nell'accogliere il reclamo promosso dal lavoratore avviato e poi escluso, il Collegio barese ha evidenziato come il giudizio sul possesso delle qualità morali debba essere sempre effettuato nel rispetto dei criteri di ragionevolezza e coerenza dell'azione amministrativa e come, pertanto, debba considerarsi imprescindibile che la pubblica amministrazione espliciti chiaramente l'incidenza degli elementi considerati per la valutazione delle qualità “morali e personali” del candidato, dovendosi escludere che la stessa, attraverso una apodittica applicazione delle clausole del bando, possa dedurre sempre e comunque la mancanza del prescritto requisito di "moralità".

Su tali presupposti, il Giudice del reclamo ha osservato come nella fattispecie posta al suo vaglio, il provvedimento di esclusione del lavoratore già dichiarato idoneo all'avviamento fosse estremamente generico, in quanto non consentiva di comprendere la specifica ragione per cui quell'unico reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, punito con pena sospesa e commesso circa 18 anni orsono, risultasse di fatto ostativo allo svolgimento delle specifiche mansioni (nella specie quelle di usciere) che il ricorrente avrebbe dovuto svolgere.

Ed invero, per il Tribunale pugliese, il Ministero delle Finanze si sarebbe limitato a recepire acriticamente le risultanze del casellario giudiziale, senza effettuare alcun ulteriore approfondimento, sia sull'effettiva portata dell'episodio, sia sulla condotta di vita del reclamante, anteriore e successiva ai fatti.

Ma non solo.

Secondo il Collegio giudicante, l'Amministrazione convenuta avrebbe omesso qualsivoglia valutazione dell'intervenuto successivo provvedimento di riabilitazione del lavoratore ricorrente, mentre i principi di correttezza e buona fede che devono improntare, comunque, l'azione amministrativa, impongono che la p.a. espliciti, in sede motivazionale, il perché l'intervenuta riabilitazione, nel caso concreto, impedisca al soggetto che ha superato le prove selettive, lo svolgimento degli specifici compiti da espletare.

Ciò, dunque, dimostrerebbe chiaramente come, nella fattispecie, la p.a. avesse utilizzato una motivazione standard, senza dar conto dell'effettiva incidenza di tutte le circostanze concrete relative al reclamante ai fini della valutazione del requisito di moralità necessario per lo svolgimento delle funzioni di usciere e, dunque, come dovesse ritenersi certamente sussistente il requisito del fumus boni iuris della pretesa del ricorrente, posto che la delicatezza e la specificità delle funzioni che i dipendenti pubblici sono chiamati a svolgere, pur richiedendo il dovuto rigore nella valutazione della sussistenza dei requisiti di condotta, non escludono che il giudizio sul possesso delle qualità morali debba comunque essere effettuato nel rispetto dei criteri di ragionevolezza e coerenza dell'azione amministrativa, pena la tramutazione in mero arbitrio.

Con riferimento, invece, al presupposto del periculum in mora, disatteso in sede di primo esame cautelare, il Tribunale collegiale di Bari ha sancito come, stante il dimostrato stato di bisogno in cui versava il lavoratore, in uno alla valutazione delle ulteriori circostanze inerenti l'età del medesimo, la sua percentuale di invalidità, la sua quasi trentennale iscrizione presso le liste di collocamento e la qualificazione della chiamata ministeriale come l'unica proposta di avviamento al lavoro ricevuta dal reclamante in detto lunghissimo frangente, il mancato accoglimento dell'istanza del ricorrente avrebbe potuto certamente comportare la lesione di irreversibili beni e interessi primari, quali il diritto alla sopravvivenza personale del reclamante e del proprio nucleo familiare, come tali insuscettibili di ristoro per equivalente.

Il Giudice del reclamo barese, dunque, ha concluso per l'accoglimento del reclamo, disponendo la revoca l'ordinanza cautelare impugnata ed ordinando al Ministero dell'Economia e delle Finanze di immettere il reclamante nel posto di seconda area – fascia retributiva F1 – del ruolo unico del personale dell'Amministrazione convenuta di cui alla richiesta numerica di avviamento al competente Centro per l'impiego delle Città Metropolitana di Bari, con compensazione integrali delle spese di lite, in considerazione della natura interpretativa delle questioni sottoposte all'esame del Collegio, della peculiarità della vicenda e della qualità delle parti.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento il Tribunale collegiale di Bari affronta la specifica tematica del delicato bilanciamento tra le prerogative proprie del corretto agere pubblico e la tutela dei diritti del singolo, nella sua individualità e funzionalità lavorativa, con particolare riferimento alla più volte contrastata interpretazione dei requisiti di moralità richiesti per l'assunzione dei pubblici dipendenti.

Il nostro ordinamento, invero, tra le prerogative proprie della pubblica amministrazione, ricomprende, senza dubbio alcuno, il fondamentale potere di selezione finalistica nel reclutamento del personale dipendente, essendo basilare l'esigenza che tali tipologie di rapporti di lavoro vengano instaurate con soggetti che, per comprovate qualità morali e personali, nonché per specchiato habitus comportamentale, diano ragionevoli garanzie di assicurare l'imprescindibile credibilità e prestigio che devono contraddistinguere la figura classica del dipendente pubblico.

Ciò comporta, di regola, la possibilità, riservata alla pubblica amministrazione, di disporre, in qualsiasi momento, l'esclusionedalle selezioni, anche in corso, di quei candidati nei confronti dei quali sia stata accertata la mancanza dei requisiti prescritti per l'ammissione al pubblico impiego e ciò, si badi bene, anche in riferimento a situazioni (correnti e/o pregresse) ritenute incompatibili con l'esercizio delle funzioni da svolgere e di norma desunte da eventuali procedimenti penali, che implichino l'aver posto in essere comportamenti inconciliabili con le attribuzioni e le funzioni tipiche del posto da ricoprire e con l'espletamento dei compiti istituzionali.

Senonché, tale giudizio pubblicistico sul possesso delle predette qualità morali, personali e comportamentali da parte dei candidati funzionari, come giustamente evidenziato dalla Magistratura barese e dalla giurisprudenza assolutamente dominante, non può di certo tradursi in un mero arbitrio datoriale, dovendo al contrario essere effettuato nel rispetto dei criteri di ragionevolezza e coerenza dell'azione amministrativa, con imprescindibile contestualizzazione degli episodi vagliati ed attenta valutazione delle caratteristiche oggettive del fatto addebitato e della personalità del candidato (anche alla luce della sua evoluzione temporale).

Dunque, la delicatezza e la specificità delle funzioni che i dipendenti pubblici sono chiamati a svolgere, pur richiedendo il dovuto rigore nella valutazione della sussistenza dei requisiti di condotta, non possono certamente escludere la necessità che il giudizio prognostico svolto dall'amministrazione sia aderente con la concreta situazione di fatto, e che la P.A espliciti chiaramente l'incidenza degli elementi considerati per la valutazione delle qualità “morali e personali” del candidato, posto che, come è noto, i ben noti criteri di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 della Costituzione vanno assicurati mediante un'azione amministrativa adeguata al caso concreto ed opportunamente delineata in sede motivazionale.

Ed allora, proprio applicando tali criteri valutativi e discretivi alla fattispecie posta al suo vaglio, il Tribunale di Bari ha correttamente censurato l'operato del Ministero resistente, il quale, nel motivare la disposta esclusione del candidato ricorrente, avrebbe omesso qualsivoglia contestualizzazione dell'illecito a suo tempo posto in essere dal dipendente e qualsivoglia approfondimento sull'effettiva portata dell'episodio e sulla condotta di vita del reclamante anteriore e successiva ai fatti, così di fatto limitandosi a recepire acriticamente le risultanze del casellario giudiziale, con evidente frustrazione dei principi e dei contrappesi motivazionali che devono informare l'azione amministrativa.

Secondo i Giudici pugliesi, infatti, nella generica motivazione del provvedimento di esclusione non vi sarebbe alcuna esplicitazione del perché l'unica condotta di detenzione illecita di stupefacenti, attuata dal dipendente diciotto anni orsono e punita con pena sospesa, potesse precludere lo svolgimento delle funzioni di usciere e ciò anche in ragione del fatto che, come affermato a più riprese dalla stessa giurisprudenza amministrativa, l'uso o la detenzione isolati di sostanze stupefacenti, fatto di certo riprovevole, non determina ex sè ed in via del tutto ineluttabile quella dedizione alla droga che, per la sua ripetitività, fa emergere la mancanza del "profilo" morale richiesto a coloro che si apprestano a tutelare gli interessi della collettività.

Inoltre, la pubblica amministrazione resistente non avrebbe affatto preso in considerazione l'intervenuta riabilitazione del candidato, così confermando l'evidenziata assenza di qualsivoglia concreta attività valutativa, in uno all'ulteriore frustrazione dei precetti costituzionali e giurisprudenziali in materia.

Ed invero, come sancito dal Giudice delle leggi e riportato in più pronunce dallo stesso Consiglio di Stato in materia di valutazione della riabilitazione ai fini dell'accesso all'impiego pubblico, l'istituto della riabilitazione ha per scopo il reinserimento del condannato nella vita sociale e lavorativa e, quindi, non è ammissibile che la Pubblica Amministrazione ritenga irrilevante l'intervenuta riabilitazione nel giudizio di bilanciamento dei requisiti di moralità richiesti per l'assunzione dei pubblici dipendenti, in quanto i principi di correttezza e buona fede che devono improntare, comunque, l'azione amministrativa impongono che la p.a. espliciti, in sede motivazionale, il perché l'intervenuta riabilitazione, nel caso concreto, impedisca al soggetto che ha superato le prove selettive lo svolgimento degli specifici compiti da espletare, alla luce della necessaria valutazione di tutte le circostanze del caso ed, in particolare, del tipo di reato, della inclinazione a delinquere del colpevole, del suo ravvedimento e delle mansioni della qualifica da ricoprire.

Dunque, tralasciando, per questioni di contenimento della trattazione, ogni collaterale dissertazione in merito all'analisi dei pur rilevati presupposti cautelari codicistici del periculum in mora e del fumus boni iuris, la decisione del Tribunale barese appare certamente corretta e ben argomentata, avendo la P.A., nella fattispecie in esame, disatteso il rispetto dei criteri di ragionevolezza, correttezza, buona fede e coerenza dell'azione amministrativa, di fatto optando per l'immotivata esclusione del reclamante, in assenza di qualsivoglia concreta valutazione delle circostanze fattuali, personali e giudiziali sottese alla ricorrenza del requisito di moralità necessario per lo svolgimento delle funzioni di usciere, così tramutando l'agere pubblico in mero arbitrio amministrativo, per ciò solo stigmatizzabile in sede giudiziale.

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