L’affitto di azienda nell'ottica della riforma

05 Febbraio 2019

In attuazione della legge delega n. 155/2017 il decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri ha introdotto il “Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza”. Da diverse fonti si prevede che il testo verrà corretto nel periodo di vacatio di 18 mesi previsto dalle norme transitorie per il “pieno regime”...
Premessa

In attuazione della legge delega n. 155/2017 il decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri ha introdotto il “Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza”.

Da diverse fonti si prevede che il testo verrà corretto nel periodo di vacatio di 18 mesi previsto dalle norme transitorie per il “pieno regime”.

Non di meno, è ragionevole attendersi che il testo, con riguardo al tema dell'affitto di azienda mantenga alla fine la sua struttura attuale, salve poche correzioni eventualmente per armonizzare il coordinamento tra le diverse norme della procedura di liquidazione giudiziale e della procedura di concordato.

L'autore si sofferma pertanto su queste novità, anticipandole con una riflessione sui principali temi di discussione generati nella applicazione delle norme oggi in vigore.

Le discussioni topiche in tema di affitto di azienda nella legge concorsuale vigente

La legge delega, ed ancor più il testo del Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza non costituiscono, per l'operatore del diritto, un elemento di discontinuità rispetto alla precedente legislazione, laddove infatti il dato più interessante è costituito dalla possibilità, finalmente, di poter usufruire di una riforma organica in un'ottica di progressione nell'intervento sulla crisi di impresa, e così: dalle misure anticipatorie di allerta, alla istanza concordataria, per giungere infine alla liquidazione giudiziale.

È infatti innegabile che, ancora prima della riforma del 2006, il panorama concorsuale avesse indotto l'occhio dell'interprete ad apprezzare, nella normativa, non già il dato concorsuale inteso come gestione collettiva della esecuzione dei creditori sul patrimonio dell'imprenditore-debitore; bensì ed anche alla luce di una prassi giurisprudenziale maturata negli anni ‘70 - '80 (basti ricordare il tema della consecuzione delle procedure concorsuali) il tratto del risanamento, così come della conservazione dell'azienda o almeno dei rami di azienda ancora fruibili dal mercato. In questo senso la parte del leone l'aveva senza dubbio giocata la normativa sulla amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, e così il decreto legislativo 270 del 1999 che introduceva per la prima volta una serie di norme volte a dare una dimensione al gruppo di imprese, alla responsabilità infragruppo, alle revocatorie ed alle operazioni infragruppo.

In questo contesto, e dunque nell'ottica conservativa nell'ambito della procedura concorsuale, l'attenzione si era spostata dal debitore e dalla sua attività, per l'appunto l'impresa, allo strumento di questa attività: l'azienda; il tutto con la consapevolezza che, per il miglior contemperamento di tutti gli interessi in gioco (dei creditori e dei lavoratori) alla fine ciò che poteva davvero contare era la sopravvivenza della azienda.

Ciò detto, da un punto di vista sistematico la legge fallimentare vigente guarda all'azienda secondo tre linee prospettiche:

a) il contratto di azienda preesistente e quindi rinvenuto dal curatore nell'ambito dei rapporti attivi e passivi facenti capo al debitore fallito;

b) il contratto di azienda stipulato dallo stesso curatore in corso di procedura;

c) infine, il contratto di affitto di azienda funzionale all'esperimento delle procedure concordatarie.

Ognuno di questi aspetti ha peraltro generato una serie di quesiti, poi elaborati dalla dottrina e metabolizzati dalla giurisprudenza, favorendo la soluzione ritenuta più consona ai principi del sistema.

L'affitto di azienda ha in particolare trovato nella disposizione dell'attuale art. 79 legge fallimentare un punto normativo di approdo, ancorché non soddisfacente. Prima della riforma, infatti, si discuteva se applicare, per analogia, il contratto di locazione o, invece, se rifarsi ai principi di ordine generale, in tema di sospensione e subentro nei contratti pendenti, dettati dall'art. 72 legge fallimentare. Si tratta tuttavia di una soluzione imperfetta, posto che la norma si limita a indicare la facoltà di recesso in capo ad entrambi i contraenti entro 60 giorni dalla dichiarazione di insolvenza, e a riconoscere il diritto ad un indennizzo per tale recesso. Ma essa lascia inevaso il profilo più importante, costituito dalla retrocessione dell'azienda nella ipotesi in cui l'affittante o concedente che subisce la dichiarazione di recesso sia appunto il fallito: in questo caso, a rigore, si dovrebbero infatti applicare i comuni principi dettati dagli articoli 2112, 2558, 2560, con la conseguenza che il curatore si troverebbe gravato di contratti inerenti l'azienda da proseguire, così come di debiti attinenti i rapporti di lavoro non soddisfatti e maturati in precedenza.

Questa problematica ha così trascinato, in dottrina e in giurisprudenza, un ampio dibattito incentrato su tesi differenti: gli uni rassegnati all'idea che, in mancanza di una norma speciale, non vi fosse la possibilità di disapplicare i principi dettati in materia dal diritto comune; gli altri fautori di una idea innovativa, tesa ad una applicazione analogica volta ad applicare l'ombrello protettivo dettato dal legislatore in tema di affitto di azienda stipulato da curatore, e quindi il sesto comma dell'art. 104-bis.

Quanto al contratto d'affitto d'azienda posto in essere dal curatore in corso di procedura e più attentamente disciplinato dall'art. 104-bis appena enunciato, anche in questo caso le discussioni non sono mancate. Se infatti il contratto di affitto ha indubbiamente il pregio di trasferire fuori dalla procedura (ed in capo all'affittuario) i costi generati dall'esercizio dell'impresa in costanza del contratto stesso, così da eliminare l'onere della prededuzione, ben diverse possono essere le finalità e le implicazioni dell'istituto. Una cosa è infatti se il contratto costituisce lo strumento ponte per addivenire alla vendita dell'azienda, e quindi alla sua collocazione definitiva in capo ad altro imprenditore, con realizzo del prezzo: il che costituisce atto conservativo ma, al contempo, atto satisfattivo per i creditori concorrenti.

Altra cosa, invece, è se il contratto intende semplicemente tamponare, in mancanza di altra soluzione, la necessità della continuità aziendale per evitare gravi danni medio tempore, senza una chiara meta finale. Ben potrebbe infatti, alla fine, l'azienda ritornare in capo allo stesso debitore fallito, con la conseguenza che la continuazione implica l'autorizzazione all'esercizio provvisorio dell'impresa. Ed è infatti a questo livello che si è collocato il dibattito, vale a dire: se la stipulazione del contratto di affitto d'azienda da parte del curatore implichi, sempre e per definizione, una autorizzazione all'esercizio provvisorio dell'impresa, oggi disciplinata dall'art. 104 legge fallimentare.

Infine, e veniamo così al terzo profilo prospettico, non sono mancati i dubbi nell'utilizzo della figura contrattuale in funzione di una proposta concordataria. Le norme di riferimento al riguardo sono costituite dall'articolo 169bis legge fallimentare, in materia di contratti pendenti nel concordato, così come ancor più dall'articolo 186-bis, che disciplina il caso del concordato con continuità aziendale per trasferire per l'appunto anche a favore del concessionario o del conferitario dell'azienda di cui si discute il beneficio della continuità contrattuale, anche in relazione a contratti stipulati con le pubbliche amministrazioni. Se non che, e qui sta il cuore delle discussioni, la norma non indica tra gli strumenti atti a veicolare la continuità dell'azienda il contratto di affitto di azienda.

E a questo riguardo il problema è alla fine stato risolto con la sentenza della Corte di Cassazione, sezione I civile, del 19 novembre 2018, n. 29742 che ha espressamente indicato il contratto di affitto di azienda tra gli strumenti idonei a garantire la continuità aziendale, con conseguente applicazione della norma.

Insomma, nel percorso che ha condotto dalla considerazione della procedura concorsuale in chiave esecutiva ad una sua valorizzazione eminentemente conservativa e di salvaguardia dei nuclei aziendali, il contratto di affitto di azienda ha, per forza di cose, accentuato la propria valenza, pur non andando esente dalle problematiche appena ricordate.

In prospettiva: le novità introdotte dal “Codice della crisi e dell'insolvenza”

Inevitabilmente, il codice della riforma ha dovuto occuparsi con decisione della disciplina dell'istituto, introducendo le particolarità di cui stiamo per dire.

Anzitutto, è stata coniata una nuova disciplina del contratto di affitto di azienda preesistente o pendente, e ciò attraverso l'articolo 184.

La nuova disciplina distingue oggi l'ipotesi del fallimento del concedente dal fallimento dell'affittuario e così:

1. se la liquidazione giudiziale è del concedente, il curatore può recedere entro un termine di soli 60 giorni dall'apertura del concorso;

2. se la liquidazione giudiziaria è dell'affittuario, il curatore può invece recedere in ogni tempo.

In entrambi i casi è previsto un indennizzo, nel dissenso delle parti determinato dal giudice delegato, ma tuttavia insinuato allo stato passivo come concorsuale. Si perde così ogni riferimento alla prededuzione, in armonia con l'idea di fondo del Codice di alleggerire, per quanto possibile, la procedura di ogni forma di prededuzione non indispensabile.

Infine, il recesso pone comunque la massa al riparo dagli effetti restitutori propri della retrocessione, di talché la responsabilità conseguente all'applicazione degli articoli 2112 e 2560 codice civile non si estende all'imprenditore in liquidazione giudiziale; inoltre, quanto ai contratti pendenti che pure dovrebbero trasferirsi ai sensi dell'art. 2558 codice civile, il curatore avrà la possibilità di avvantaggiarsi della disciplina concorsuale appositamente prevista per i contratti pendenti, non essendo così obbligato a subirne supinamente le conseguenze.

Poco vi è invece da dire, nella prospettiva della riforma, in ordine al contratto di affitto di azienda o dei rami di azienda stipulato dal curatore in corso di procedura, ed oggi previsto dall'art. 104bis legge fallimentare.

Nel codice, infatti, la norma omologa è costituita dall'art. 212 che, sostanzialmente, altro non fa se non parafrasare la norma vigente. Vi è semmai da sottolineare il fatto che, attesa la appena ricordata volontà di ridurre il peso dei crediti in prededuzione, ebbene almeno in questo caso se il curatore esercita la facoltà del recesso, all'altro contraente è dovuto un indennizzo previsto in prededuzione, e non in moneta concorsuale.

Vi è peraltro da osservare che, verosimilmente, la previsione viene in qualche modo alleggerita dalla scelta del curatore di prevedere in anticipo l'indennizzo dovuto per l'ipotesi del recesso, introducendolo come patto ad hoc nella convenzione di affitto di azienda.

Occorre invece spendere qualche parola in più relativamente al contratto di affitto di azienda rispetto alla proposta concordataria.

Leggendo le norme al riguardo, si vede anzitutto che gli attuali articoli 167 (in tema di amministrazione) e 168 (in tema di effetti del concordato) sono stati accorpati e sostituiti dall'articolo 94 del Codice il quale, peraltro, enuncia espressamente ed a parte il contratto di affitto di azienda come autorizzabile: e ciò sia per indicare la necessità che tale autorizzazione poggi comunque su una previa valutazione delle offerte concorrenti, sia per indicare che, in particolare casi di urgenza, tale autorizzazione può intervenire anche in mancanza di offerte competitive.

Ciò che è chiaro è che il contratto di affitto di azienda è per definizione titolo idoneo alla proposta concordataria e, conseguentemente, titolo idoneo alla continuità aziendale.

Ci si sarebbe dunque aspettati che gli articoli del codice della riforma, che ripetono le indicazioni dell'articolo 169bis attuale per i contratti pendenti e dell'art. 186bis in relazione al concordato con continuità aziendale, oggi costituiti dagli articoli 95 e 97, ribadissero una tale idoneità, così da fugare ogni dubbio al riguardo.

Vi è invece da dire che tale espressa dizione manca, verosimilmente per un difetto di allineamento nella stesura delle norme, sul quale è auspicabile un intervento nel periodo di 18 mesi previsto come vacatio legis.

Tra l'altro, anche a prescindere dal recente intervento della Corte di Cassazione circa la idoneità dell'affitto d'azienda in rapporto al concordato con continuità aziendale, lo stesso articolo 91, 1° comma, del Codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza, nel disciplinare il tema delle offerte competitive, vi ricomprende senza dubbio anche il caso del contratto di affitto di azienda.

Conclusioni

Questo, in sintesi, è il quadro di confronto che si presenta agli occhi dell'osservatore.

È evidente che il profilo sul quale la riforma intende incidere maggiormente è rappresentato dalla messa a punto di una normativa più appagante tesa a regolamentare il contratto di affitto di azienda pendente o preesistente, alla luce delle problematiche incorse a seguito della scarna dizione della normativa attuale. Ma proprio il tenore della nuova norma, e dunque dell'art. 184 del codice, consente una suggestione in più: il leitmotiv della procedura di liquidazione giudiziale, senza dubbio in chiave conservativa prima che satisfattiva del diritto dei creditori, è implicito nella stessa idea di ridurre all'essenziale le ragioni della prededuzione. Questo è il motivo per cui non si differenzia, quanto all'indennizzo conseguente all'esercizio del diritto del recesso, a seconda che il curatore recedente si trovi nella posizione del concedente o dell'affittuario; ma è anche la ragione per cui si estende al recesso l'effetto protettivo diversamente prodotto dalla retrocessione dell'azienda: in primis per i debiti di lavoro, giusta l'applicazione dell'art. 2112 codice civile.

E d'altro canto, l'esaltazione del contratto di affitto d'azienda in chiave conservativa, in una con la riduzione delle pretese in prededuzione, trova un'altra chiave di lettura guardando alle norme in tema di concordato, posto che il concordato liquidatorio, intanto appare ammissibile, in quanto vi sia la finanza apportata da un terzo, tale da giustificare una maggior soddisfazione per i creditori.

In altre parole: la velleità conservativa si impone con prepotenza nel Codice, ed è di per sé ragione giustificatrice del favore verso la procedura di concordato: laddove la mancata conservazione fa scadere l'ammissibilità della stessa procedura concordataria.

In ogni caso, sia che ci si muova nell'ambito della liquidazione giudiziale, sia che ci si muova in chiave concordataria, il contratto di affitto di azienda ne esce accresciuto nella sua potenzialità.

Guida all'approfondimento

Giuseppe Bozza, I rapporti pendenti nelle procedure concorsuali. L'affitto di azienda, in Il Fallimento, 2018, pagg. 1135 ss.; Luciano Panzani, I rapporti pendenti nell'amministrazione straordinaria, ivi, pag. 1204 e ss.; Massimo Fabiani, Per una lettura ricostruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in Il caso.it, 11 marzo 2013, 4; Filippo Lamanna, Il contratto di affitto d'azienda, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da A.Jorio-B.Sassani, II, Milano, 2014, pag. 545.

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