Il nuovo concordato preventivo

Diego Corrado
07 Febbraio 2019

Il presente contributo si sofferma sulle novità più salienti della disciplina del concordato preventivo nel Codice della Crisi e dell'Insolvenza. Tra queste, quella forse più importante è la cura posta dal legislatore nel differenziare concordato in liquidità e concordato liquidatorio, unitamente alla specificazione che a quest'ultimo si potrà far luogo solo ove un terzo metta a disposizione risorse aggiuntive pari ad almeno il 10% rispetto all'attivo realizzabile in caso di liquidazione giudiziaria e il soddisfacimento dei creditori chirografari sia previsto in misura non inferiore al venti per cento.
Premessa

Il presente contributo si sofferma sulle novità più salienti della disciplina del concordato preventivo nel Codice della Crisi e dell'Insolvenza. Tra queste, quella forse più importante è la cura posta dal legislatore nel differenziare concordato in liquidità e concordato liquidatorio, unitamente alla specificazione che a quest'ultimo si potrà far luogo solo ove un terzo metta a disposizione risorse aggiuntive pari ad almeno il 10% rispetto all'attivo realizzabile in caso di liquidazione giudiziaria e il soddisfacimento dei creditori chirografari sia previsto in misura non inferiore al venti per cento.

Altre innovazioni riguardano la previsione di ipotesi di suddivisione obbligatoria dei creditori in classi, la sindacabilità da parte del Tribunale della fattibilità economica del piano e il venir meno dell'adunanza dei creditori, sostituita da un meccanismo di voto telematico. La nuova disciplina è poi l'occasione per diversi interventi di semplificazione e di risoluzione di dubbi interpretativi sorti nel vigore della Legge fallimentare.

Generalità

La disciplina del concordato preventivo contenuta nel Codice della Crisi e dell'Insolvenza presenta novità di grande rilievo rispetto a quella previgente. La prima è quella relativa al procedimento di ammissione, che come è noto è stato “unificato”, avendo previsto il legislatore un unico canale di accesso (normato dagli artt. da 40 a 53 del Codice) per tutte le procedure di regolazione della crisi propriamente dette, superando così la frammentazione prevista dal R.D. n. 267/1942, che oggettivamente non aveva ragione di esistere. L'innovazione più importante tuttavia è un'altra, quella che riguarda il “ribaltamento” di ruoli tra concordato in continuità e concordato liquidatorio.

Infatti, con l'entrata in vigore della nuova disciplina, l'ipotesi per così dire “ordinaria” di concordato sarà quella in continuità aziendale, laddove la forma liquidatoria sarà ammessa solo ove sussistano specifici e più stringenti requisiti. Come si ricorderà, norme ad hoc per il concordato “con continuità aziendale” sono state previste solo recentemente, dal d.l. n. 83/2012, che aveva inserito nella Legge fallimentare l'art. 186-bis. Si trattava peraltro di una disciplina embrionale, che in sede applicativa aveva fatto sorgere non pochi dubbi, che a loro volta si erano riflessi in contrasti giurisprudenziali cui il Codice evidentemente mira a porre fine con le disposizioni oggetto di queste brevi note.

Il legislatore in sostanza incentiva il ricorso al concordato in continuità, che ricorre quando la proposta preveda il superamento della crisi mediante la prosecuzione (diretta o indiretta) dell'attività aziendale, sulla base di un adeguato piano che consenta, al contempo, di contemperare salvaguardia del valore dell'impresa e, tendenzialmente, dei livelli occupazionali, con il soddisfacimento dei creditori.

La proposta liquidatoria è ammessa solo se essa si avvalga di risorse poste a disposizione da terzi (cd. nuova finanza) che amplino in modo significativo le prospettive di soddisfacimento per i creditori. Solo a questa condizione, infatti, il concordato, che rappresenta indubbiamente un vantaggio per l'imprenditore, che mantiene l'amministrazione dei propri beni ed è esposto a rischi più limitati sotto il profilo della responsabilità penale, diviene conveniente anche per i creditori, i quali diversamente sarebbero maggiormente garantiti dalla liquidazione giudiziale, diretta da un curatore terzo e di norma meno onerosa.

Concordato in continuità vs concordato liquidatorio, continuità diretta vs continuità indiretta

Come è noto, l'art. 186-bis l.fall. non chiariva i criteri che distinguevano il concordato in continuità da quello liquidatorio, limitandosi ad affermare che la “continuità” non era da escludersi per il solo fatto che il piano prevedesse “la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa”, dando così origine a tentativi di soluzione giurisprudenziale di una questione foriera di notevoli conseguenze, vista la differenza di disciplina applicabile, che si estrinsecava in un manifesto favor per le ipotesi che non prevedevano la cessazione dell'attività di impresa, esonerate – a norma dell'art. 160, comma 4, l.fall. – dall'obbligo di prevedere di soddisfare in misura pari ad almeno il 20% i crediti chirografari.

In merito, come è noto, i dubbi interpretativi, e i conseguenti contrasti di giurisprudenza cui essi avevano dato origine, avevano riguardato la possibilità di includere tra le ipotesi di continuità quelle di c.d. “continuità indiretta”, nonché a quale disciplina assoggettare i “concordati misti”.

Il Codice interviene puntualmente su questi temi, ponendo fine al dibattito giurisprudenziale grazie all'introduzione di criteri oggettivi. In primo luogo, infatti, si stabilisce esplicitamente che la continuità può essere sia “diretta” (ovvero “in capo all'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato”) sia “indiretta”. Questa seconda ipotesi, chiarisce espressamente l'art. 84, co. 2, si configura nel caso in cui “sia prevista la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso da debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, conferimento dell'azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo, ed è previsto dal contratto il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall'omologazione”.

Il criterio da applicare per identificare la disciplina applicabile ai concordati misti (quelli in cui la continuazione dell'attività di impresa si accompagna alla liquidazione di assets non strategici) è stabilito dall'art. 84, co. 3, che – accogliendo l'approdo cui era pervenuta la prevalente giurisprudenza con riferimento alle norme della Legge fallimentare – fa proprio il principio della prevalenza, con alcune importanti puntualizzazioni. La norma stabilisce infatti che si ha continuità quando “i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta”, precisando che la cessione del magazzino non configura attività liquidatoria. La disposizione in esame prosegue affermando che la continuità si considera sempre sussistente “quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un'attività di impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media dei dipendenti in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso”.

Nel caso di continuità aziendale, specifica infine l'art. 84, co. 3, a ciascun creditore deve essere assicurata un'utilità specificamente individuata ed economicamente individuabile (previsione che nella Legge fallimentare contenuta nell'art. 161, co. 2, lett. e, e dunque riferita a tutti i tipi di concordato), fermo restando che essa può essere rappresentata anche solo “dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa” (ovvero il destinatario dell'azienda, nel caso di continuità indiretta). Non è quindi necessario che la continuità preveda il conseguimento di risorse aggiuntive a quelle reperibili con il ricorso alla liquidazione giudiziale, ma il piano deve indicare le ragioni per cui la continuità è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (art. 87, co. 1, lett. f).

Per quanto riguarda i concordati liquidatori, fermo restando l'obbligo di rispettare il limite esistente anche nella previgente disciplina, ovvero l'obbligo di prevedere di soddisfare i crediti chirografari per almeno il venti per cento del loro ammontare, il Codice pone un'ulteriore, rilevante “barriera” di accesso, consistente nella previsione della prescrizione che un terzo metta a disposizione risorse ulteriori, “incrementando di almeno il dieci per cento, rispetto all'alternativa della liquidazione, giudiziale, il soddisfacimento dei creditori chirografari”.

Il piano di concordato e il suo contenuto

Il Codice della Crisi pone maggior cura della Legge fallimentare nello specificare il contenuto del piano. Questo, a norma dell'art. 85, comma 2, deve essere “fattibile”. In proposito è bene ricordare che, secondo quanto previsto espressamente dalla legge delega (cfr. art. 6, comma 1, lett. e, legge 155/2017) al Tribunale spetterà il compito di valutare la fattibilità anche economica del piano, il che rappresenta una novità sul punto, in controtendenza rispetto al più recente orientamento della Cassazione, secondo cui il Tribunale può sindacare la fattibilità economica del piano concordatario (intesa come realizzabilità nei fatti del piano medesimo) "nei limiti della sussistenza o meno di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in relazione alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi" (Cass. civ. Sez. I, 07-04-2017, n. 9061). Una coeva pronuncia aveva addirittura escluso il potere del Tribunale di sindacare la fattibilità economica del piano concordatario, sostenendo che "in tema di concordato preventivo, il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dall'attestazione del professionista, mentre rimane riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti" (Cass. civ. Sez. I Ordinanza, 03-07-2017, n. 16327).

Sempre per quanto riguarda il piano – a fianco di un contenuto eventuale, previsto dall'art. 85, comma 3, che ricalca sostanzialmente quanto previsto dall'art. 160, comma 1, l.fall. -, esso deve necessariamente indicare quanto previsto dall'art. 87, comma 1, ovvero: “a) le cause della crisi; b) la definizione delle strategie d'intervento e, in caso di concordato in continuità, i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria; c) gli apporti di finanza nuova, se previsti; d) le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, con indicazione di quelle eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e delle prospettive di recupero; e) i tempi delle attività da compiersi, nonché le iniziative da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi pianificati e quelli raggiunti (quest'ultima previsione costituisce una opportuna novità introdotta dal Codice); f) in caso di continuità aziendale, le ragioni per le quali questa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori; g) ove sia prevista la prosecuzione dell'attività d'impresa in forma diretta, un'analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura”.

La divisione dei creditori in classi – che in generale come visto è una semplice facoltà del proponente – è obbligatoria in una serie di casi specificamente individuati dall'art. 85, comma 5, definiti come segue: 1) creditori titolari di crediti previdenziali o fiscali dei quali non sia previsto l'integrale pagamento; 2) creditori titolari di garanzie prestate da terzi; 3) creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro; 4) creditori proponenti il concordato e per le parti ad essi correlate. Si tratta di una norma molto opportuna, che fa tesoro della prassi applicativa maturata nel vigore della previgente disciplina e soprattutto tiene conto del fatto che la concentrazione dei creditori portatori di interessi differenti in un'unica collettività è contrario al principio maggioritario, laddove non vi sia comunanza di interessi tra i componenti di un gruppo, come è particolarmente evidente, ad esempio, quando l'esposizione debitoria dell'imprenditore sia in prevalenza nei confronti di istituti di credito garantiti da capienti fideiussioni personali dei soci o di altre società del medesimo gruppo, come tali incuranti della percentuale di soddisfazione loro garantita dalla proposta concordataria.

Nel solo caso di concordato in continuità il piano può prevedere una moratoria, della durata massima di due anni, per i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione (art. 86).

La nuova disciplina del concordato con riserva

Conseguenza più immediata dell'unificazione del percorso di accesso alle procedure concorsuali è che la domanda di concordato può essere presentata non solo in via autonoma ma, si desume dagli artt. 37 e seguenti del Codice, anche in risposta alla domanda di apertura della liquidazione giudiziale proposta da un creditore. In questo caso, infatti, il debitore potrebbe non limitarsi a chiedere il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti, ma appunto chiedere di essere ammesso al concordato preventivo, o – più verosimilmente – chiedere un termine per poter formulare una domanda di accesso a detta procedura completa di tutta la documentazione prevista dalla legge.

In questo caso il Codice rimodula i termini oggi previsti dalla Legge fallimentare per il c.d. concordato con riserva, disponendo (cfr. art. 44, co. 1, lett. a) che il tribunale, se richiesto, fissa un termine compreso tra trenta e sessanta giorni, entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l'attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all'art. 39, comma 1, o in alternativa un accordo di ristrutturazione dei debiti. Il termine è prorogabile su istanza del debitore, in presenza di giustificati motivi, e per un periodo non superiore a sessanta giorni, ma solo in assenza di domande per l'apertura della liquidazione giudiziale, all'evidente scopo di evitare utilizzi strumentali di questa facoltà. Con il provvedimento di concessione del termine viene nominato – come avviene oggi – un commissario giudiziale, che dovrà riferire immediatamente eventuali atti di frode ai creditori e vigilare sul rispetto degli obblighi informativi imposti al debitore.

La revoca del provvedimento di concessione del termine, con conseguente cessazione della procedura, è previsto nei casi di frode ai creditori, circostanze sopravvenute o condotta del debitore tali da pregiudicare una soluzione efficace della crisi, grave violazione degli obblighi informativi, mancato deposito delle spese di procedura.

Strumenti di controllo del Tribunale e risoluzione del concordato

Il Codice interviene, con l'art. 118, per risolvere i dubbi applicativi circa gli strumenti di controllo ed intervento del Tribunale durante la fase di esecuzione del concordato preventivo sorti nel vigore della oggi vigente Legge fallimentare. La norma citata, nel disporre che, dopo l'omologazione del concordato, il commissario giudiziale ha il compito di sorvegliare l'adempimento del piano secondo le modalità fissate nella sentenza di omologazione e deve riferire al giudice ogni fatto dal quale possa derivare pregiudizio per i creditori, chiarisce che – nel caso in cui venga rilevato che il debitore non sta provvedendo al compimento degli atti necessari a dare attuazione alla proposta o ne sta ritardando il compimento – il Tribunale può attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore (art. 118, co. 4). Nel caso in cui invece vengano denunciati ritardi o omissioni del debitore da parte del soggetto che ha presentato la proposta di concordato approvata e omologata dai creditori, il Tribunale può attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore o revocare l'organo amministrativo, se si stratta di società, nominando un amministratore giudiziario, fatti salvi in questo caso i diritti di informazione e di voto dei soci di minoranza (successivo comma 5).

Infine, anche la disciplina prevista per la risoluzione del concordato per inadempimento contiene una rilevante novità, poiché la legittimazione a proporre la domanda è riconosciuta non solo ai creditori, ma anche al commissario giudiziale che ne sia richiesto da uno di loro (art. 119).

Semplificazioni procedurali e risoluzione di dubbi interpretativi

Semplificando rispetto alla disciplina oggi in vigore circa lo svolgimento delle operazioni di voto, è stata soppressa l'adunanza dei creditori, integralmente sostituita da una procedura di voto telematico, a mezzo posta elettronica certificata inviata al commissario giudiziale (cfr. art. 107). Con lo stesso strumento, prima che i creditori si esprimano, può svolgersi una sorta di contraddittorio concentrato tra tutti gli interessati. Stabilisce infatti la norma ora citata (ai commi 4 e 5) che il debitore, coloro che hanno formulato proposte alternative, i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso, nonché i creditori, possono formulare osservazioni e contestazioni alla proposta del debitore, alle eventuali proposte concorrenti e alla relazione del commissario giudiziale, che questi deve comunicare ai creditori e al giudice delegato. Ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o convenienti le proposte di concordato e sollevare contestazioni sui crediti concorrenti. Il debitore ha facoltà di rispondere e contestare a sua volta i crediti, e ha il dovere di fornire al giudice gli opportuni chiarimenti. Il debitore, inoltre, può esporre le ragioni per le quali ritiene non ammissibili o non fattibili le eventuali proposte concorrenti. Il tutto mira evidentemente ad arricchire il set informativo a disposizione di tutti gli interessati, affinché ciascuno possa autodeterminarsi al meglio dell'informazione disponibile.

Il Codice poi molto opportunamente interviene, con l'art. 114, per risolvere l'annosa questione circa la legittimazione ad agire in giudizio, successivamente all'omologazione del concordato preventivo liquidatorio, delle azioni restitutorie, recuperatorie e dell'azione sociale di responsabilità, stabilendo che essa spetta al liquidatore sia nel caso in cui le azioni debbono essere iniziate nel corso della procedura sia quando siano già pendenti. La stessa norma, con particolare riferimento all'azione sociale di responsabilità, prevede che ogni patto contrario o ogni altra diversa previsione contenuta nella proposta di concordato o nel piano siano inopponibili al liquidatore ed ai creditori sociali. Resta tuttavia ferma, anche in pendenza della procedura e nel corso della sua esecuzione, la legittimazione da parte di ciascun creditore sociale ad esercitare o proseguire l'azione di responsabilità prevista dall'art. 2394 c.c.

Un ulteriore intervento di semplificazione, che peraltro risolve un problema applicativo che in passato ha dato adito a contenziosi di incerta soluzione, riguarda i rimedi concessi ai creditori nel caso di operazioni di trasformazione, fusione o scissione compiute durante la procedura di concordato o dopo l'omologazione. L'art. 116 del Codice stabilisce in proposito che i creditori possono contestare la validità di dette operazioni soltanto attraverso lo strumento dell'opposizione all'omologazione (co. 1), e che nel caso di risoluzione o annullamento del concordato, gli effetti delle medesime sono irreversibili, salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi ex art. 2500-bis, comma 1, c.c., art. 2504-quater, comma 2, c.c. ed art. 2506-ter, comma 5. c.c. (comma 3).

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