La forma dell'appello contro l'ordinanza di rigetto della domanda di protezione internazionale
07 Febbraio 2019
Massima
Nel vigore dell'art.19deld.lgs. n. 150/2011, così come modificato dall'art.27 comma 1, lett. f)deld.lgs. n. 142/2015, l'appello ex art. 702-quater c.p.c. proposto avverso la decisione di primo grado sulla domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale deve essere introdotto con ricorso e non con citazione, in aderenza alla volontà del legislatore desumibile dal nuovo tenore letterale della norma. Tale innovativa esegesi, in quanto imprevedibile e repentina rispetto al consolidato orientamento pregresso, costituisce un "overruling" processuale che, nella specie, assume carattere peculiare in relazione al momento temporale della sua operatività, il quale potrà essere anche anteriore a quello della pubblicazione della prima pronuncia di legittimità che praticò la opposta esegesi (Cass. civ., n. 17420/2017), e ciò in dipendenza dell'affidamento sulla perpetuazione della regola antecedente, sempre desumibile dalla giurisprudenza della Corte, per cui l'appello secondo il regime dell'art. 702-quater c.p.c. risultava proponibile con citazione. Resta fermo il principio che, nei giudizi di rinvio riassunti a seguito di cassazione, il giudice del merito è vincolato al principio enunciato a norma dell'art. 384 c.p.c., al quale dovrà uniformarsi anche se difforme dal nuovo orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Il caso
Un cittadino maliano, proposta domanda di protezione internazionale secondo il rito sommario di cognizione c.d. necessario di cui all'art. 19 d.lgs. n. 150/2011, vedeva rigettata la sua richiesta, per cui interponeva appello, ma la Corte territoriale dichiarava inammissibile il gravame perché tardivo. Secondo il giudice dell'impugnazione, l'appello contro il provvedimento di rigetto del ricorso avverso il diniego di riconoscimento della Protezione Internazionale andava proposto con atto di citazionee non con ricorso, sicché la verifica della tempestività dell'impugnazione andava effettuata calcolando il termine di trenta giornidalla data di notifica dell'atto introduttivo alla parte appellata. Poiché l'appello era stato proposto con ricorso (tempestivamente depositato, ma) notificato dopo il termine di trenta giorni dalla notifica dell'ordinanza di rigetto, l'impugnazione doveva considerarsi tardiva e perciò inammissibile. Avverso la decisione veniva proposto ricorso per cassazione, deducendosi in particolare la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 del d.lgs. n. 150/2011, 27 del d.lgs. n. 142/2015 e dell'art. 12 delle Preleggi. Assegnato il ricorso prima alla Sesta Sezione e poi alla Prima Sezione, quest'ultima, con ordinanza di rimessione del 9 maggio 2018, n. 11232, rimetteva gli atti al Primo Presidente affinché valutasse l'opportunità di trasmettere gli atti di causa alle Sezioni Unite. La questione
La Prima Sezione, con la citata ordinanza, premessa l'adesione alla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui l'atto introduttivo dell'appello avverso l'ordinanza di rigetto della domanda di protezione internazionale deve rivestire la forma della citazione, ha sollevato le seguenti questioni:
Le soluzioni giuridiche
Investite delle questioni, le Sezioni Unite ritengono necessario risolvere i problemi a loro sottoposti, partendo tuttavia da un diverso punto di osservazione. Ribadito il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui l'errore nella scelta della forma dell'atto introduttivo di una impugnazione, «in particolare notificando una citazione là dove era prescritto il deposito del ricorso ovvero depositando un ricorso là dove era prescritto che si dovesse notificare una citazione» non inficia la tempestività dell'impugnazione «solo se, nel primo caso, alla notifica della citazione segua il suo deposito presso l'ufficio entro il termine prescritto per l'impugnazione, e, nel secondo caso, se, al deposito del ricorso segua la notifica dell'atto alla controparte sempre entro quel termine», le Sezioni Unite prendono in esame l'interpretazione sinora fornita dalla giurisprudenza in ordine alla forma dell'appello avverso l'ordinanza di rigetto della domanda di protezione internazionale di cui all'art. 19, d.lgs. n. 150/2011, come novellato dal d.lgs. n. 142/2015, ritenendo come essa non possa essere condivisa. Per il Supremo Collegio, in particolare, mentre nella vigenza dell'art. 19 nel testo anteriore alla modifica apportata dal d.lgs. n. 142/2015 la risposta in ordine alla forma dell'appello non poteva che essere ricercata nell'esegesi dell'art. 702-quaterc.p.c., mancando ogni riferimento espresso alla forma dell'atto introduttivo del gravame, la sostituzione del comma 9 dell'art. 19 ad opera del d.lgs. n. 142/2015 e l'introduzione da parte del legislatore della previsione del ricorso non può che ritenersi il segnale della volontà del legislatore di disciplinare innovativamente la forma dell'atto di impugnazione, così sottraendola all'efficacia dell'art. 702-quater, altrimenti giustificata dal comma 1 dell'art. 19. Ad avviso delle Sezioni Unite deve perciò escludersi che nella vigenza dell'art. 19 d.lgs. n. 2011/150, come modificato nel 2015 il riferimento al ricorso fosse da intendersi un'espressione atecnica del legislatore e che dunque fosse rimasta vigente la forma della citazione. Per le Sezioni Unite, al contrario, la forma dell'atto di appello è il ricorso; in applicazione dell'art. 12 preleggi, detta norma risulta applicabile nei soli casi in cui, come accaduto nella specie, il provvedimento di primo grado venga pubblicato a far tempo dal 1° ottobre 2015, cioè nei casi nei quali il diritto di impugnazione con l'appello sia insorto dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 142/2015. Le Sezioni Unite, ritenuto superfluo esaminare le ulteriori questioni sollevate dall'ordinanza di rimessione, a causa della diversa opzione esegetica elaborata intorno alla forma dell'atto introduttivo, si spingono però oltre. Consapevoli che, in applicazione dell'orientamento disatteso sono state rese numerose decisioni di legittimità che hanno cassato con rinvio decisioni di appello delle corti di appello che avevano seguito, sebbene in misura minoritaria, proprio l'esegesi dell'art. 19 novellato poi accolta, ritiene opportuno precisare che nei giudizi di rinvio le corti d'appello davanti alle quali i processi fossero stati riassunti si troveranno a dover decidere applicando un principio di diritto difforme da quello qui affermato (cioè quello che riteneva corretta la forma della citazione), essendo principio indiscusso quello secondo cui «a norma dell'art. 384, comma 1, c.p.c. l'enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche se nel frattempo sono intervenuti mutamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità» (Cass. civ., n. 12701/1999). Osservazioni
Fino ad oggi, la Suprema Corte era costante nell'affermare che l'appello ex art. 702-quater c.p.c. contro il provvedimento reiettivo del ricorso avverso il diniego di riconoscimento della Protezione Internazionale e nei confronti degli altri provvedimenti in materia di immigrazione ex art. 19 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 andasse proposto con atto di citazione e non con ricorso, sicché la verifica della tempestività dell'impugnazione andava effettuata calcolando il termine di trenta giorni– previsto dall'art. 702-quaterc.p.c. – dalla data di notifica dell'atto introduttivo alla parte appellata (Cass. civ., 15 dicembre 2014, n. 26326; Cass. civ., 26 giugno 2014, n. 14502; Cass. civ., 6 luglio 2016, n. 13815). Questo orientamento era stato tenuto fermo anche dopo le modifiche apportate all'art. 19 del d.l. n. 150/2011 dall'art. 27 del d.l. n. 142/2015, ritenendosi che l'improprio riferimento al termine «ricorso» fosse stato dal legislatore effettuato ai soli fini della disciplina della durata del procedimento, senza alcuna espressa deroga alle regole generali del rito sommario di cognizione (cfr. Cass. civ., 11 settembre 2017, n. 21031 e n. 21030; Cass. civ., 13 luglio 2017, n. 17420). Con la decisione in commento, la Cassazione muta il suo indirizzo, optando per la forma più snella del ricorso. A tale conclusione la Corte giunge in virtù di numerosi elementi: 1) il dato letterale della norma, rappresentato dall'uso ad opera del legislatore, oltre che dell'espressione “ricorso”, anche del termine "deposito", indice della precisa intenzione del legislatore di optare per una diversa forma dell'atto introduttivo; 2) l'argomento teleologico della maggiore «funzionalità della modifica della forma rispetto all'esigenza di trattazione acceleratoria», giacché imporre un termine di sei mesi per la definizione del giudizio di appello lasciando il relativo atto introduttivo proponibile con citazione sarebbe stato contrario allo scopo perseguito dal legislatore di assicurare una decisione celere; 3) “l'argomento c.d. del legislatore consapevole”: avendo quest'ultimo usato il temine ricorso, se ne desume che lo stesso doveva essere consapevole che usava per la forma dell'appello un termine diverso da quello che, secondo la Corte di cassazione, identificava anteriormente quella forma, che era la citazione; 4) le indicazioni offerte dalla normativa comunitaria, desumendosi dal Considerando 18 e dall'art. 46, punto 4 della direttiva 2013/32/UE che la tutela giurisdizionale fosse nella specie particolarmente accelerata, il che rendeva funzionale la forma del ricorso per il giudizio di appello. Ora, anche a voler ritenere corretta la scelta del Supremo Consesso di individuare nel ricorso la forma dell'atto introduttivo del giudizio di appello avverso l'ordinanza di rigetto della domanda di protezione internazionale, sembra a chi scrive che, comunque, la decisione presti il fianco ad alcune critiche. In primo luogo, sembra davvero inutile, oltre che foriero di inutili complicazioni, il revirement operato dalle Sezioni Unite, trattandosi dell'interpretazione di una norma ormai abrogata. Come è noto, con l'art. 7 del d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, conv. con modif. in l. 13 aprile 2017, n. 46, è stato abrogato l'art. 19 del d.lgs. n. 150/2011 ed è stato contestualmente introdotto un nuovo rito speciale per le controversie in materia di protezione internazionale, strutturato secondo la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio di cui agli artt. 737 e c.p.c.: dunque, il procedimento in questione non solo cambia “rito” (da sommario a camerale), ma viene anche espulso dal d.lgs. n. 150/2011; soprattutto, il legislatore ha (sciaguratamente) deciso di eliminare la stessa possibilità di proporre appello, come risulta espressamente dall'art. 6, comma 13 del d.l. n. 13/2017, secondo cui il provvedimento resto dal Tribunale non è reclamabile, ma solo ricorribile per cassazione (in tal modo determinando un aumento delle controversie pendenti in cassazione del 500%, come riferito dal Primo Presidente della Corte di cassazione durante la Cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario). Pertanto, come d'altronde affermato anche dalle Sezioni Unite, l'interpretazione offerta dalla decisione in commento risulta avere efficacia di precedente solo per gli appelli proposti: a) durante la vigenza dell'art. 19 del d.lgs. n. 150/2011, come novellato dal d.lgs. n. 142/2015; b) sempreché, come affermato dalle stesse Sezioni Unite, non sia già stato formulato il principio di diritto da parte della Suprema Corte, perché in tal caso il giudice del rinvio dovrà attenersi alla precedente interpretazione. In secondo luogo, sul piano strettamente pratico, la decisione è criticabile perché rischia di danneggiare irrimediabilmente soggetti deboli che non hanno gli strumenti culturali ed economici per effettuare una scelta consapevole del difensore, spesso affidandosi ad avvocati scelti dall'elenco degli abilitati al gratuito patrocino, i quali (sebbene non sempre) non sono dotati delle competenze tecniche e giuridiche per districarsi nel labirinto degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità. Infine, su un piano più propriamente teorico e sistematico, la scelta di discostarsi da un indirizzo interpretativo appare ragionevole se la sua applicazione finisce per rendere evidente una sopravvenuta incoerenza rispetto al sistema legislativo vigente, circostanza che, invero, non appare essersi verificata nel caso di specie. A parere di chi scrive, invece, sembra che un valore da salvaguardare sia quello di garantire l'uniformità dell'interpretazione giurisprudenziale, allo scopo di tutelare l'affidamento delle parti. Il mutamento imprevedibile ed inatteso (così lo qualifica la stessa decisione!) disorienta le parti, nonché tutti coloro che, trovandosi in situazioni analoghe a quelle rappresentate in giudizio dalle parti, possono vantare un interesse al compimento di quegli atti (giuridicamente rilevanti) su cui incidono le conclusioni della nuova lettura giurisprudenziale. In tali casi, allora, l'unica forma di tutela dell'affidamento incolpevole della parte è quello di permettere al giudice di avvalersi dell'istituto della rimessione in termini, come d'altronde efficacemente suggerito dall'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite in commento. Evitare di percorrere questa strada comporta il sorgere di soluzioni complesse, manifestamente inidonee a tutelare la posizione sostanziale delle parti, come risulta in maniera lampante dalla decisione che qui si commenta, costretta ad effettuare numerosi (e per tale via oscuri) distinguo in ordine alla efficacia temporale del nuovo indirizzo interpretativo. |