Il finanziamento soci nel Codice Civile

19 Aprile 2019

Il cosiddetto “finanziamento soci” è una delle più conosciute e praticate forme di intervento finanziario del socio a favore della società: un intervento non equivalente ad un aumento di capitale sebbene gli operatori pratici mostrano di considerarlo come sostanzialmente alternativo a quello.
Premessa

Il cosiddetto “finanziamento soci” è una delle più conosciute e praticate forme di intervento finanziario del socio a favore della società: un intervento non equivalente ad un aumento di capitale sebbene gli operatori pratici mostrano di considerarlo come sostanzialmente alternativo a quello.

La norma di riferimento è l'art. 2467 c.c. che, come noto, dispone la postergazione del rimborso del finanziamento “anomalo” erogato dal socio per tale intendendosi quel finanziamento operato dal socio quando sarebbe stato ragionevole effettuare un “vero e proprio” conferimento ovvero in un momento di eccesivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto: l'art. 2467 opera così non sul piano della fattispecie (perché l'operazione rimane un finanziamento e non un apporto a titolo conferimento) ma su quello della disciplina e precisamente del regime giuridico del suo rimborso che il legislatore, appunto, posterga.

Sono noti i punti interrogativi che hanno accompagnato l'art. 2467 c.c. sin dalle sue prime applicazioni: il trattamento contabile e quindi l'esposizione a bilancio, l'individuazione di indicatori o fatti segnaletici dello squilibrio finanziario, la necessità che detto squilibrio permanga fino al momento del rimborso, la responsabilità dell'amministratore che ha impropriamente rimborsato il finanziamento postergato, la rilevanza anche dei finanziamenti (c.d. indiretti) prendenti corpo in forniture e così via dicendo.

Molte e molto rilevanti anche le implicazioni sul piano della disciplina concorsuale: per stare agli ultimi casi censiti in giurisprudenza si pensi a temi quali l'individuazione del giudice competente in caso di controversia relativa all'azione del curatore per la restituzione del rimborso, la legittimazione del socio finanziatore a spiegare istanza di fallimento, il regime giuridico del credito assistito da garanzia, il voto nel concordato ed il computo dei relativi quorum, la necessità o meno di destinare ad una classe il credito da rimborso e quindi il rapporto tra questo ed i chirografari.

Su tutte, però, la questione che ha maggiormente offerto materia contenziosa e di cui torneremo più avanti a parlare riguarda la possibilità di applicare l'art. 2467 c.c. anche “oltre le Srl” e precisamente alle società azionarie: una questione di forte interesse in caso di insolvenza in quanto per i curatori potersi valere dell'art. 2467 c.c. è, in alcuni frangenti, fondamentale (si pensi a quelle società a base proprietaria ristretta costantemente gestite dagli amministratori, fino a poco prima del fallimento, “in regime” di sottocapitalizzazione).

Il finanziamento soci nelle discipline “speciali” sulla crisi

Finanziare la società al di fuori di un aumento di capitale è espressione di una prassi che, sebbene permessa e lecita, rivela profili di una certa criticità quando il finanziamento del socio cade in un momento storico in cui dai soci doveva pretendersi una ricapitalizzazione; le criticità tendono poi ad acuirsi quando la società finanziata, dopo l'erogazione del finanziamento o – peggio ancora – dopo il suo rimborso, fallisca o versi in uno stato di insolvenza ovvero ancora di crisi: a rendere esplicite queste criticità non è tanto l'incidentale riferimento al fallimento che ritroviamo nel primo capoverso dell'art. 2467 c.c. quando alcune previsioni contenute in due discipline speciali di cui è opportuno velocemente dare conto: la disciplina, di prossima entrata in vigore, sulla crisi d'impresa e la disciplina, già entrata in vigore, sulle società a partecipazione pubblica avuto specifico riguardo a quelle (in Italia, la maggioranza) società che registrano perdite di esercizio.

Il nuovo Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza prevede che:

  • in deroga agli articoli 2467 e 2497- quinquies” i finanziamenti dei soci (anche nella forma dell'emissione di garanzie), vanno gestiti in prededuzione fino all'80% del loro ammontare: trattamento di favore che si rafforza – fino a coprire l'intero ammontare - nel caso in cui il finanziatore sia diventato socio in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione;
  • i rimborsi dei finanziamenti soci eseguiti dopo il deposito della domanda per l'avvio della procedura concorsuale o nell'anno anteriore sono privi di effetto rispetto ai creditori anche là dove il finanziamento sia stato effettuato a favore di società in liquidazione giudiziale da parte di chi esercita attività di direzione e coordinamento “o da altri soggetti ad essa sottoposti”;
  • il credito postergato va collocato in una posizione residuale nella ripartizione dell'attivo;
  • in tema di insolvenze “di gruppo”, i crediti vantati da chi – anche come persona fisica - esercita attività di direzione o coordinamento nei confronti di imprese sottoposte a detta attività sono postergati venendo in rilievo, a questo fine, anche i crediti rivenienti dall'escussione di garanzie: stesso trattamento per i crediti vantati nei confronti del soggetto che esercita la direzione unitaria sulla base di rapporti di finanziamento contratti dopo il deposito della domanda che ha dato luogo all'apertura della liquidazione giudiziale o nell'anno anteriore; resta poi ferma l'applicazione dell'art. 164 in relazione al rimborso di crediti postergati avvenuto nell'anno anteriore alla domanda che ha dato luogo all'apertura della liquidazione giudiziale.

Come anticipato, il tema del finanziamento soci assume significati peculiari quando la società finanziata è a partecipazione pubblica: inquesto genere di società (per le quali, come noto, è possibile il fallimento, anche nel caso di società in-house) il finanziamento soci rappresenta, già in partenza, un aspetto critico essenzialmente perché il socio è pubblico e pubbliche sono le risorse oggetto di impiego; il discorso tende poi a farsi più specifico quando, nell'ambito del c.d. programma di valutazione del rischio di crisi aziendale, la società pubblica dovesse presentare un indicatore di crisi, perdite di esercizio o addirittura dovesse in senso proprio trovarsi in una condizione di crisi finanziaria: ed infatti tra gli interventi da adottare “senza indugio” al fine di prevenire “l'aggravamento della crisi, di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause” il D.Lgs. n. 175/2016 meglio noto come Testo Unico delle Società Partecipate (TUPP) “avverte” (con la minaccia di incorrere in responsabilità per di gravi irregolarità nella gestione) che il “ripianamento delle perdite” da parte del socio pubblico non può avvenire in maniera – se così è permesso esprimersi - “stand alone” e cioè al di fuori di un “un piano di ristrutturazione aziendale, dal quale risulti comprovata la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività svolte” (art. 14, TUPP); traspare, nemmeno tanto implicita, la finalità: evitare che le società in mano pubblica in costante perdita di esercizio possano drenare risorse pubbliche sotto forma di trasferimenti straordinari, aperture di credito, rilascio di garanzie, etc. e quindi anche sotto forma di “finanziamenti”.

Per minima completezza del quadro, è il caso di ricordare che anche nelle cooperative il finanziamento soci è retto da una disciplina propria essenzialmente derogatoria rispetto a quella codicistica: nell'ambito di un intervento volto a dettare regole più stringenti (e chiare) in tema di c.d. prestito cooperativo, la Legge di Bilancio 2018 (Legge 27 dicembre 2017, n. 205) ha infatti stabilito l'inapplicabilità dell'art. 2467 c.c. ai prestiti effettuati dai soci.

L'applicazione alle società azionarie: la sentenza della Cassazione e quella (contraria) del Tribunale di Milano

È arrivato il momento di trattare il nostro tema di vertice e cioè se la disciplina dettata dall'art. 2467 si possa applicare anche alle società azionarie.

La S.C. risponde affermativamente (almeno) quando l'azionista-finanziatore è ha coscienza - o dovrebbe presuntivamente averla - della reale situazione finanziaria nella quale versa la società: è questo, infatti, il “principio di diritto” che la S.C. ha da ultimo applicato - Cass. 20 Giugno 2018, n. 16291 – in un caso dove l'azionista, al momento del finanziamento, oltre che socio di maggioranza era anche amministratore (consigliere presidente) della società finanziata; i Supremi Giudici hanno così accolto il ricorso spiegatodalla curatela fallimentare avverso la decisione del Tribunale che aveva ammesso il credito da rimborso in via privilegiata e non, come invece aveva correttamente ritenuto il Giudice Delegato (ex art. 2467, c.c.), con collocazione postergata; il principio ha trovato poi sostanziale seguito in alcune pronunce della giurisprudenza di merito: si è, ad esempio, affermata la postergazione quando la società finanziatrice, sebbene non sia socia della società finanziata, operi all'interno del medesimo gruppo essendo l'azione di entrambe coordinata da un unico “soggetto di vertice”.

La citata sentenza della S.C. sebbene non rappresenti una novità assoluta – perché sostanzialmente conferma, con qualche aggiuntiva precisazione un orientamento che si era già fatto strada nella giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 14056/2015) - può, tuttavia, segnare un punto di svolta nel dibattito sulla applicabilità alle società azionarie dell'art. 2467, un dibattito che il Tribunale di Milano aveva contribuito ad alimentare: non più tardi di un anno fa (Trib. Milano, 16 novembre 2017) quel Tribunale optava, infatti, per una interpretazione restrittiva dell'art. 2467 c.c. così ponendosi in aperto ed anzi dichiarato contrasto con le conclusioni cui la S.C. era approdata nel 2015, conclusioni da quel Tribunale considerate “non condivisibili”.

Venendo alla ratio decidendi, l'iter argomentativo del Tribunale di Milano moveva essenzialmente da un dato formale-testuale, invero il più appariscente di tutti: nell'architettura del Codice Civile la regola della postergazione è presente per esplicito solo nella sezione dedicata alle Srl e pertanto la sua mancata trasposizione in quella dedicata alle Spa è indicativa di una precisa opzione normativa alle quale i giudici debbono attenersi (aggiungasi: anche per ragioni di certezza del diritto). Da questa premessa maggiore il Tribunale di Milano ne faceva quindi discendere la conseguenza che l'istituto che stiamo commentando va inteso come proprio ma anche esclusivo del tipo Srl: l'applicazione della postergazione al di fuori del tipo Srl è infatti ammessa solo quando lo stabilisce per esplicito il legislatore, vale a dire in presenza di un rapporto di direzione e coordinamento (art. 2497-quinques, c.c.).

Conclusioni

Dopo l'ultimo intervento della Cassazione si può ritenere che l'art. 2467 c.c. codifichi non già una regola specifica ed esclusiva delle Srl ma un principio suscettibile di applicazione anche nel caso di “finanziamenti anomali” a società azionarie dove i soci – tra cui il socio finanziatore - sono nelle condizioni – de iure ovvero anche solo de facto - di formarsi un convincimento maturo ed attendibile sulle condizioni economico-finanziarie nelle quali versa la società nel momento del finanziamento. Si tratta quindi di operare un accertamento concreto appurando, alla luce degli assetti proprietari, organizzativi e dunque di gevernance dell'impresa finanziata, se il socio disponga di poteri di accesso agli affari sociali che gli permettano di comprendere se l'impresa ha o meno bisogno di essere ripatrimonializzata: in questo senso, ed in sintesi, a venire in rilievo sarà allora non solo lo statuto legale della società (e quindi il fatto di essere, quella finanziata, una società la cui amministrazione è “tipologicamente” trasparente verso i soci: le Srl) ma anche lo statuto per così dire “reale” (così venendo in rilievo, ad esempio, il fatto di essere il socio finanziatore un amministratore o comunque titolare di speciali prerogative in tema di controllo sulla gestione).

Si può discutere, ed in effetti in giurisprudenza e dottrina, si continua a discutere, se l'obiettivo dell'art. 2467 c.c. sia davvero prevenire il rischio della sottocapitalizzazione nominale delle imprese ma c'è un punto sul quale, particolarmente dopo l'ultima sentenza della S.C., si deve oggi convenire: a prescindere che il soggetto chiamato a compiere questa valutazione sia un curatore (in sede di azione per il recupero del rimborso illecitamente erogato) ovvero un amministratore (cui il socio finanziatore stia richiedendo detto rimborso) ovvero ancora un Giudice (nell'ambito di una vicenda contenziosa), la postergazione deve operare quando emerga che i soci, per far fronte ad una situazione di crisi o comunque di tensione finanziaria, hanno “sapientemente” (perché al corrente di quella situazione) optato per un finanziamento confidando nella possibilità di sottrarre il proprio apporto alla “regola del capitale” la quale regola, tra le regole del patrimonio netto, è notoriamente la più stringente – perché giuridicamente più rischiosa - di tutte: è qui, pertanto, che l'art. 2467 deve poter intervenire.

Quella che si sta preferendo è dunque una lettura dell'art. 2467 che, andando oltre il tipo societario, potremmo definire sostanzialista perché valorizza la funzione antielusiva dell'istituto: una lettura che trova oggi esplicito riscontro non solo negli orientamenti della giurisprudenza di legittimità ma anche, come sinteticamente si è provato a dimostrare, nelle recenti tendenze legislative in tema di crisi d'impresa: si pensi ad esempio al fatto che il futuro Codice della Crisi, in tema di finanziamenti infragruppo, conferma l'applicazione dell'art. 2467 non solo a prescindere dalla forma societaria dell'impresa finanziata ma anche dal fatto di essere il socio finanziatore cui fa capo la direzione unitaria una società, un altro ente o, appunto, una persona fisica.

Precisazioni aggiuntive

Ovviamente non sfugge un dato: là dove, il legislatore dell'ultima riforma organica di diritto societario (quella del 2003) ha cercato – come approccio generale - di emancipare le Srl dalle Spa le prime non essendo più una variante “minore” delle seconde, aprendo alla possibilità di applicare l'art. 2467 alle società azionarie si finisce, su questo specifico argomento, con il rovesciare quell'approccio nel senso che, in tema di finanziamento soci, è la disciplina delle Srl a completare quella delle Spa.

Ciò nondimeno, il “rovesciamento” appare giuridicamente plausibile per almeno due ragioni.

La prima. L'idea di non restare ancorati al “tipo societario”, permette di assicurare una certa effettività ad una regola che, va detto apertamente almeno una volta, prima ancora che giuridica appare di buona amministrazione: la regola cioè, secondo cui – per fare qualche esempio - il bonifico, la consegna di un assegno, il versamento di una somma di denaro (etc.) da parte del socio va considerato finanziamento “anomalo” quando la situazione economico-finanziaria della società avrebbe piuttosto preteso, da quel socio e da tutti gli altri, un aumento di capitale: un finanziamento il cui rimborso è allora meritevole – appunto perché “anomalo” – di essere postergato a quello di tutti gli altri creditori sociali.

La seconda. A ben vedere, l'opzione interpretativa che si sta qui preferendo trova implicito ma chiaro riscontro anche nella disciplina sulla postergazione dei finanziamenti all'interno dei Gruppi dove, come ricordato, la “sanzione” della postergazione opera “puramente e semplicemente” sol che la società finanziata sia eterodiretta e coordinata dal soggetto che eroga il finanziamento sul rilievo che quel soggetto è, almeno presuntivamente, in grado di valutare con compiutezza se la società che sta finanziando e che etero-dirige è o no adeguatamente patrimonializzata e quindi se necessità o meno di nuovi “mezzi propri”: il punto da rimarcare è esattamente questo e cioè il privilegio informativo di cui il socio finanziatore può giovarsi nel valutare le condizioni di salute finanziaria dell'impresa è postulato certamente dalla direzione unitaria, certamente dai poteri previsti, per le Srl, dagli artt. 2475 e 2476 c.c., ma altrettanto certamente anche da una serie di altre, essenzialmente non enumerabili in astratto, situazioni concrete che rimandano a quello che, qualche poco sopra, chiamavamo, “statuto reale” della società.

Del resto, anche in un passaggio di quella sentenza del Tribunale di Milano che limita l'applicazione alle sole Srl sembrano riecheggiare questi argomenti: anche per quel Tribunale, infatti, l'art. 2467 c.c. punta a colpire – con la postergazione – i finanziamenti operati da soci che sono nelle condizioni di valutare “in anticipo gli indici sintomatici di uno stato di crisi aziendale che rendano loro più conveniente” fare un prestito anziché ricapitalizzare in senso proprio la società.

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