Riscaldamento (impianto di)

Alberto Celeste
11 Febbraio 2019

*Bussola in fase di aggiornamentoL'impianto di riscaldamento è, con tutta probabilità, quello che crea più questioni all'interno della realtà condominiale e, di riflesso, nelle aule di giustizia: per affrontare correttamente le relative problematiche giuridiche, occorre partire dal dato normativo e delineare gli orientamenti che sono emersi nella giurisprudenza sul punto. Sul versante normativo, si registrano una pluralità di disposizioni...
Inquadramento
L'impianto di riscaldamento è compreso tra i beni rispetto ai quali opera la c.d. presunzione di comunione di cui all'art. 1117, n. 3), c.c.; tale presunzione opera, però, soltanto per quella parte di impianto che può ritenersi “centrale” e, quindi, comune, ossia la caldaia e le condutture che da essa si dipartono, e ciò fino al punto di diramazione delle singole unità immobiliari che si presumono di proprietà esclusiva, in quanto finalizzate a soddisfare esigenze del singolo proprietario, alimentando unicamente i termosifoni allocati all'interno dell'appartamento, con le evidenti conseguenze in tema di responsabilità, per esempio, per danni da infiltrazioni (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 1998, n. 9940, sulla responsabilità, ai sensi dell'art. 2051 c.c., del proprietario dell'appartamento nel cui interno erano poste le condutture che, in conseguenza del loro taglio e della fuoriuscita dell'acqua, avevano prodotto danni all'appartamento sottostante).Può considerarsi, quindi, oramai ius receptum che, in conformità al disposto dell'art. 1117, n. 3), c.c., la presunzione di comproprietà dell'impianto per il riscaldamento opera soltanto per quella parte che può ritenersi centrale e non pure per le condutture che, staccandosi dall'impianto centrale, si addentrano nei singoli appartamenti e soddisfano, quindi, unicamente le esigenze individuali di ciascun condomino, conseguendone che, per le suddette condutture, vale la presunzione di proprietà esclusiva da parte del condomino medesimo (tra le pronunce di merito, si segnala App. Napoli 21 maggio 1986). Logico corollario di tale principio è che non è consentito alla maggioranza dei condomini deliberare una diversa collocazione delle tubazioni comuni dell'impianto di riscaldamento in un locale di proprietà esclusiva, con pregiudizio di tale proprietà, senza il consenso del proprietario del locale stesso, atteso che i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135 c.c.), non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni sia a quelle esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di acquisto oppure mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda (Cass. civ., sez. II, 27 agosto 1991, n. 9157). * Bussola in fase di aggiornamento
L'impianto preesistente

A questo punto, è doveroso distinguere due situazioni: l'impianto di riscaldamento preesistente (o al più) contemporaneo alla nascita del condominio e l'impianto successivo al sorgere del condominio stesso.

Nel primo caso, opera pienamente la presunzione di comunione tra tutti i partecipanti, salvo solo il dubbio se ciò vale anche nei confronti di quei condomini che siano proprietari di unità prive di allacciamento con la centrale termica e, pertanto, impossibilitati ad usufruire del servizio.

In passato, la giurisprudenza aveva statuito che l'impianto è comune a tutti i condomini, ivi compresi quelli i cui locali non fossero raggiunti dalle diramazioni dell'impianto centrale, atteso che sussisteva in ogni caso la possibilità per il condomino di allacciarsi successivamente al suddetto impianto, dal funzionamento del quale era ipotizzabile un beneficio anche in favore del proprietario che non vi fosse direttamente allacciato; da ciò conseguiva l'obbligo, in capo a tali condomini, di partecipare alle spese di manutenzione, il cui riparto doveva essere operato in misura proporzionale ai valori della singola proprietà, ai sensi del generale disposto dell'art. 1123, comma 1, c.c., senza che, quindi, potesse incidere l'effettivo uso dello stesso.

In quest'ordine di concetti, era stato affermato che, riguardo all'impianto di riscaldamento installato in un fabbricato condominiale, l'indagine diretta a stabilire se il singolo partecipante, che non usufruisca del servizio di riscaldamento - nella specie, in quanto proprietario esclusivo di negozi - sia ugualmente comproprietario di detto impianto e, quindi, in applicazione dell'art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere nelle spese inerenti alla sua conservazione, va condotta in base ai criteri fissati dall'art. 1117 c.c. sull'individuazione delle parti comuni dell'edificio, tenendo conto che la comunione di detto impianto, ove debba essere negata in base alla citata norma, può essere riconosciuta, per effetto di diversa previsione del regolamento condominiale, solo se esso abbia natura contrattuale, perché predisposto dall'originario unico proprietario e poi accettato con i singoli atti di acquisto, oppure perché adottato con il consenso unanime di tutti i partecipanti, manifestato nelle dovute forme (Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3966).

Il suddetto orientamento giurisprudenziale è stato, di recente, messo in discussione: occorre segnalare alcune decisioni del Supremo Collegio - per quanto riguarda, ad esempio, le mansarde, le cantine ed i boxes (Cass. civ., sez. II, 7 giugno 2000, n. 7730) - che hanno escluso la comunione dell'impianto.

Si rileva, infatti, che i proprietari delle unità immobiliari che, per ragioni di conformazione dell'edificio, non siano servite dall'impianto di riscaldamento centralizzato, non possono vantare un diritto di condominio sull'impianto stesso, perché questo non è legato alle dette unità immobiliari da una relazione di accessorietà (che si configura come il fondamento tecnico del diritto di condominio), e cioè da un collegamento strumentale, materiale e funzionale consistente nella destinazione all'uso o al servizio delle medesime; il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune in favore di tutti i compartecipi viene meno se le cose, gli impianti o i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, siano necessari per l'esistenza e l'uso di alcuni soltanto dei piani o di porzioni di piani dell'edificio.

IMMOBILIARI PRIVE DI ALLACCIO: ORIENTAMENTI A CONFRONTOICA

IMMOBILIARI PRIVE DI ALLACCIO: ORIENTAMENTI A CONFRONTOICA


Esistenza dell'obbligo di contribuzione

Il proprietario di appartamenti o locali di un edificio condominiale, ancorché questi non usufruiscano del servizio prodotto dall'impianto di riscaldamento centrale, che sia, però, potenzialmente idoneo a riscaldarli, è comproprietario di tale impianto a norma dell'art. 1117, n. 3), c.c., qualora tale impianto sia già stato installato nell'immobile prima della formazione del condominio, ed è quindi obbligato a contribuire al pagamento delle spese necessarie per la sua manutenzione se il contrario non risulta da un titolo idoneo, senza che osti il riferimento, nell'art. 1117, n. 3), c.c., alla comproprietà dell'impianto per il riscaldamento “fino al punto di diramazione di quest'ultimo ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini”, che non comporta l'esclusione dalla comproprietà dei titolari delle unità immobiliari per le quali non siano state contemplate delle diramazioni, avendo il solo scopo di individuare il punto terminale della comunione e, quindi di stabilire quali siano le parti dell'impianto per le quali le spese di riparazione debbono essere ripartite fra i condomini e non porsi a carico dei proprietari dei singoli locali (Cass. civ., sez. II, 23 maggio 1990, n. 4653).

Inesistenza dell'obbligo di contribuzione

Poiché le spese per la sostituzione della caldaia comune attengono alla “conservazione” dell'impianto (cioè alla tutela dell'integrità materiale e, quindi, del valore capitale dello stesso), esse costituiscono oggetto di vere e proprie obligationes propter rem che, nascendo dalla contitolarità del diritto reale sull'impianto comune, sono dovute dai condomini in proporzione della quota che esprime la misura di appartenenza, ovvero in base ai millesimi; conseguentemente, ove nell'edificio condominiale vi siano locali (come cantine e box) non serviti dall'impianto di riscaldamento centralizzato, i condomini titolari - soltanto - della proprietà di tali locali, non sono contitolari dell'impianto centralizzato, non essendo questo legato da una relazione di accessorietà, cioè da un collegamento strumentale, materiale e funzionale all'uso o al servizio di quei beni; cosicché, venendo meno il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune dell'impianto, viene meno anche l'obbligazione propter rem di contribuire alle spese per la conservazione dello stesso (Cass. civ., sez. II, 27gennaio 2004, n. 1420).

Orientamento, quest'ultimo, che si inserisce nel filone che riconosce la cittadinanza nel nostro ordinamento del c.d. condominio parziale, e di cui risulta espressione la seguente massima: l'indagine diretta a stabilire se il singolo partecipante al condominio (nella specie, proprietario di un'autorimessa), che non usufruisce del servizio di riscaldamento, sia ugualmente proprietario di detto impianto e, quindi, in applicazione dell'art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere alle spese inerenti alla sua conservazione o al suo rifacimento, va condotta in base ai criteri fissati dall'art. 1117 c.c. per l'individuazione delle parti comuni dell'edificio, sicché, limitandosi la proprietà comune dell'impianto di riscaldamento al punto di diramazione ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, qualora manchi detta diramazione, poiché non esiste la possibilità che i locali medesimi fruiscano del riscaldamento, l'impianto non può considerarsi al loro servizio (Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1996, n. 4270).

Il godimento del servizio

Con il d.p.r. n. 412/1993, è stato introdotto un principio di uguaglianza per tutti i cittadini che usufruiscono di un impianto termico centralizzato per il riscaldamento, nel senso che tutti gli impianti termici devono rispettare i limiti temporali di accensione - giorni e ore giornaliere - in funzione della zona climatica in cui è ubicato l'immobile, di temperatura media domestica e di risparmio energetico.

In particolare, qualora operi l'impianto centralizzato, deve essere riconosciuto il diritto di ogni condomino ad ottenere il riscaldamento in misura uniforme agli appartamenti degli altri condomini e, pertanto, occorre che il condominio adotti tutti gli accorgimenti tecnici per il raggiungimento di tale risultato.

Nell'ipotesi in cui tale uniformità non si realizzi, occorre accertare le cause del fenomeno, poiché a volte sono proprio le caratteristiche dell'appartamento a determinare una dispersione di calore senza che possano individuarsi carenze nella strutturazione del servizio; in tali casi, secondo la giurisprudenza di legittimità - deve riconoscersi che ogni condomino ha il diritto di ottenere che l'impianto di riscaldamento sia strutturato in modo da assicurare, nelle ore di accensione, un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti, e ciò attraverso opportuni accorgimenti tecnici, quali una differenziazione delle superfici radianti, in rapporto alla posizione, struttura, esposizione e volumetria di ogni appartamento; peraltro, se le caratteristiche di posizione, struttura ed esposizione di un appartamento (nella specie, attico) siano tali da determinare, nelle ore di interruzione del funzionamento dell'impianto, un calo della temperatura più accentuato che negli altri appartamenti, al di fuori di qualsiasi deficienza nell'organizzazione e conduzione del servizio, il condomino interessato ha diritto di ottenere una maggiore fruizione del servizio comune, nei limiti stabiliti dalle norme generali regolanti il funzionamento degli impianti termici, purché ciò sia consentito dalle caratteristiche dell'impianto e possa effettuarsi senza pregiudizio o disagio per gli altri condomini, restando a carico del richiedente la maggiore spesa derivante dal protratto o più inteso funzionamento dell'impianto (anche in relazione all'eventuale deterioramento) e quella che possa rendersi necessaria per la messa in opera di strumenti o l'adozione di accorgimenti tecnici atti ad evitare un eccesso di calore negli altri appartamenti (Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1981, n. 3775).

Se, invece, l'insufficiente riscaldamento di un appartamento dipenda, a monte, da una deficienza nell'organizzazione e conduzione del servizio, sicché, ad esempio, per un difetto nella generale distribuzione dell'acqua nell'appartamento di un condomino, non si ha la medesima erogazione di calore assicurata negli altri appartamenti, il condominio è tenuto ad eliminare ogni vizio o difetto di funzionamento risarcendo il condomino danneggiato (tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Molfetta 31 dicembre 1988, che ha reputato legittimo, da parte dei condomini, il ricorso al procedimento ex art. 700 c.p.c., nel caso in cui il loro diritto al riscaldamento potesse subire un danno grave ed irreparabile, sussistendo pericolo di un concreto nocumento all'integrità psico-fisica a fronte della rigida stagione invernale in atto).

È stato, poi, necessario l'intervento nel 1996 del supremo organo di nomofilachia per dirimere il contrasto giurisprudenziale in ordine alla possibilità per il condomino, nel cui appartamento si determini un'insufficiente o comunque ridotta erogazione di calore, di opporre l'eccezione di inadempimento ed ottenere per tale via una riduzione della propria quota di spese.

Si è, infatti, statuito che l'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio (art. 1123, comma 1, c.c.), con la conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio dell'impianto, dato che il condomino non è titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica e, quindi, non può sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio (Cass. civ., sez. un., 26 novembre 1996, n. 10492).

Nella stessa linea di pensiero, si pone un'altra pronuncia dei giudici di legittimità che, ribadito il principio per cui il condomino non è esonerato dall'obbligo di contribuire alle spese per il servizio nell'ipotesi di insufficiente erogazione del servizio, tempera lo stesso, affermando che, in caso di insufficiente erogazione della giusta quantità di calore, il condomino può far valere la lesione al suo diritto ad un'adeguata erogazione di calore, previo accertamento giudiziale del danno subìto e della sua liquidazione, riferibile, da un lato, ai contributi pagati - a questo scopo - al condominio e, da un altro lato, alle spese affrontate per supplire - con propri mezzi - alla carente erogazione del servizio centralizzato (Cass. civ., sez. II, 28 agosto 2002, n. 12596).

I doveri dell'amministratore

La l. n. 10/1991 contiene una serie di disposizioni che sono destinate a regolamentare il funzionamento degli impianti centralizzati, la cui gestione è affidata all'amministratore di condominio, il quale, in base all'art. 1130 c.c., deve disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini (n. 2), nonché è tenuto a compiere gli atti conservativi delle parti comuni dell'edificio (n. 4).

L'amministratore, quindi, non solo deve vigilare sulla regolarità dei servizi comuni, ma è, altresì, chiamato a porre in atto tutti gli interventi che si rendano necessari per adeguare l'impianto centralizzato alle norme vigenti; tutto ciò comporta a carico dello stesso, nel caso di inosservanza di disposizioni legislative ed amministrative, l'insorgere di precise responsabilità che, ove accertate, mettono in moto il sistema sanzionatorio previsto dall'art. 34 della legge n. 10 citata.

La base di partenza per individuare i compiti e le competenze riservate all'amministratore va ricercata nell'art. 31 che, in sostanza, riassume in sé l'intera attività che tale soggetto è tenuto a compiere: l'amministratore, infatti, deve adottare «le misure necessarie per contenere i consumi di energia, entro i limiti di rendimento previsti dalla normativa in materia» e «condurre gli impianti e disporre tutte le operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria secondo le prescrizioni della normativa UNI e CEI».

In primo luogo, si pone la necessità di rispettare, durante il periodo di funzionamento dell'impianto, i valori massimi della temperatura, che l'art. 4 del d.p.r. n. 412/1993 ha individuato, per tutti gli edifici non rientranti in quelli adibiti ad attività industriali, artigianali ed assimilabili, in 20° C + 2° C di tolleranza; tale obbligo si va a sommare a quello del rispetto dei limiti massimi relativi al periodo annuale di esercizio dell'impianto ed alla durata giornaliera di attivazione dello stesso, che deve, comunque, essere sempre compresa tra le ore 5 e le ore 23 di ciascun giorno, pur se con talune deroghe.

Circa gli orari ed il periodo di accensione, il territorio italiano è diviso in sei zone climatiche; al di fuori di tali periodi, gli impianti termici possono essere attivati (senza autorizzazioni comunali) solo in presenza di situazioni climatiche che ne giustifichino l'esercizio, per metà dell'orario massimo; l'accensione continua è, invece, concessa soltanto agli impianti che posseggano una caldaia ad alto rendimento e siano provvisti di una termoregolazione, a quelli con contabilizzazione di calore ed a quelli sottoposti ad un contratto di servizio energia stipulato con un'impresa che si assume la responsabilità del controllo.

Per consentire agli organi competenti di esercitare le dovute verifiche, l'amministratore è tenuto ad esporre presso l'impianto centralizzato una tabella, ove siano indicati i dati concernenti l'attivazione dello stesso, nonché le generalità e il domicilio del soggetto al quale è affidata la manutenzione dell'impianto termico; ciascun condomino o conduttore può richiedere, a proprie spese, che l'autorità comunale, competente ai sensi dell'art. 31 della l. n. 10/1991, verifichi l'osservanza delle disposizioni di cui sopra.

Agli impianti centralizzati, inoltre, si applicano sostanzialmente tutte le disposizioni previste per quelli autonomi, e ciò con riferimento ai collaudi, ai controlli periodici, alle verifiche, alla tenuta del libretto di centrale, e così via; va precisato, infatti, che la normativa sul risparmio energetico ha previsto limiti espressi che riguardano necessariamente anche gli impianti comuni, siano essi di nuova installazione, ristrutturati od anche più semplicemente adeguati alle leggi vigenti.

Disposizioni ancora più severe sono state, infine, imposte per la conduzione di impianti termici centralizzati con potenza superiore a 350 kW: esse, riferendosi indicativamente a condominii di almeno trenta appartamenti, stabiliscono che il terzo responsabile dell'esercizio e della manutenzione sia iscritto in albi nazionali tenuti dalla P.A. - come, ad esempio, quello dei costruttori nel settore della gestione e manutenzione degli impianti termici di ventilazione e di condizionamento - o in equivalenti elenchi della Comunità Europea, oppure ancora mediante accreditamento del soggetto ai sensi delle norme UNI EN 29000.

La manutenzione dell'impianto

In base alla normativa codicistica, le decisioni relative al riscaldamento devono esser distinte, prendendo in considerazione la tipologia dei vari interventi operati sull'impianto comune, al fine anche di classificare le opere per verificare le maggioranze richieste.

Quanto alle modifiche apportate sull'impianto comune di riscaldamento, va poi distinta, all'interno della manutenzione - da intendersi come quel complesso di lavori che si rendono necessari per assicurare al bene comune una costante funzionalità - quella ordinaria da quella straordinaria, per accertare se le opere de quibus rientrino nell'una o nell'altra categoria secondo la loro natura ed importanza.

La manutenzione ordinaria non richiede una previa convocazione dell'assemblea, in quanto trattasi di mansioni affidate direttamente all'amministratore, essendo all'uopo sufficiente che le spese relative siano approvate, in sede di bilancio consuntivo, con la maggioranza semplice ex art. 1136, comma 3, c.c., ossia un terzo del valore dell'immobile (si pensi alla pulizia della caldaia, ai controlli periodici, alle riparazioni di piccola entità, all'installazione di pompe per lo smaltimento delle acque, e quant'altro).

La manutenzione straordinaria, per la particolare portata degli interventi, è, invece, demandata all'assemblea ex art. 1135, n. 4), c.c. ed è sottoposta alle maggioranze ordinarie - si pensi alla sostituzione della caldaia e all'interramento del serbatoio del combustibile, v. Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1986 n. 5101 - a meno che trattasi di innovazioni, ossia quando si debba intervenire sull'impianto centralizzato con opere che richiedano lavori complessi sia dal punto di vista economico che tecnico-operativo, perché in questo caso il quorum è quello dei due terzi dell'edificio.

Può annoverarsi, tra queste ultime, la delibera con la quale l'assemblea dei condomini decide di demolire e di asportare l'impianto di riscaldamento e di ricostruirlo ex novo in luogo diverso e con caratteristiche del tutto differenti, anche se ispirata dalla necessità di adeguare l'impianto alle prescrizioni della l. 13 luglio 1966, n. 615, recante provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico, deve pur sempre ritenersi relativa a vere e proprie innovazioni e non ad opere di manutenzione straordinaria (Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1980, n. 2288).

In altri termini, ferma la competenza dell'assemblea, l'ulteriore questione è quella di stabilire se si è al cospetto o meno di un'innovazione per la quale occorre la maggioranza qualificata di cui al comma 5 dell'art. 1136 c.c.: al riguardo, non è possibile dare una soluzione astratta, occorrendo evidentemente valutare caso per caso, posto che la qualificazione di un'opera come modificazione o innovazione dipende direttamente dalle modalità e caratteristiche con cui l'opera deve essere eseguita.

Alla luce di quanto sopra esposto, si rileva che l'impianto di riscaldamento può necessitare di interventi più o meno consistenti resi necessari dall'uso, dal logorio o dalla necessità di adeguamento alle normative vigenti.

Tale non agevole discrimen ha trovato applicazione in una pronuncia della magistratura di vertice, secondo la quale la sostituzione della caldaia termica (bruciatore), se quella esistente è obsoleta o guasta, deve considerarsi atto di straordinaria manutenzione, in quanto diretto semplicemente a ripristinare la funzionalità dell'impianto e non a creare una modificazione sostanziale o funzionale della cosa comune (l'impianto di riscaldamento); deve essere ricondotta, invece, alle modifiche migliorative dell'impianto, e non alle innovazioni, la sostituzione della caldaia termica, ancora funzionante, se ha lo scopo di consentire l'utilizzazione di una fonte di energia più redditizia e meno inquinante (Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 2000, n. 238).

Orbene - come abbiamo visto - l'organo deputato ad adottare le relative decisioni è senz'altro l'assemblea dei condomini, dovendosi escludere la legittimazione dell'amministratore ai sensi dell'art. 1130 c.c.; la questione è stata affrontata dai giudici di legittimità che, nel giudicare sulla validità di un contratto avente ad oggetto la commissione da parte dell'amministratore di opere che riguardavano la trasformazione dell'impianto termico condominiale per conformarlo a prescrizioni di legge, ha affermato che, a differenza dei contratti conclusi dall'amministratore nell'esercizio delle sue funzioni ed inerenti alla manutenzione dell'edificio condominiale o all'uso normale delle cose comuni, che sono vincolanti per tutti i condomini ai sensi dell'art. 1131 c.c., quando invece si tratti di lavori che, seppure diretti alla migliore utilizzazione di cose comuni od imposte da una nuova normativa, comportino per la loro particolarità e consistenza un onere di spesa rilevante, superiore a quello normalmente inerente alla manutenzione dell'edificio e che eccede per di più i limiti imposti dagli stessi condomini ai poteri dell'amministratore, l'iniziativa del medesimo amministratore senza la preventiva deliberazione dell'assemblea è consentita solo se tali lavori presentino il carattere dell'urgenza, per cui, difettando tale presupposto, le iniziative assunte dall'amministratore stesso riguardo ai lavori straordinari non creano obbligazioni per i condomini (Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1987, n. 4232).

In evidenza

Il problema sorge quando l'amministratore si ponga di fronte all'esecuzione di lavori innovativi c.d. necessitati, ossia imposti dalla normativa di settore - ad esempio, in tema di sicurezza degli impianti alla luce della (allora vigente) l. n. 46/1990 - che lo espongono, in caso di inerzia da parte dell'assemblea, a responsabilità civili, amministrative, se non addirittura penali: a parte l'ipotesi drastica di rassegnare le dimissioni, allo stesso amministratore non resta che invocare l'intervento del magistrato ex art. 1105, ultimo comma, c.c., che si applica qualora “non si prendono provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune”.

Altro problema concerne l'esecuzione della manutenzione straordinaria, che al pari dell'innovazione, in forza del nuovo disposto dell'art. 1130, n. 4), c.c. - come modificato dalla l. n. 220/2012, di riforma della normativa condominiale - ora richiede obbligatoriamente la previa costituzione di un fondo speciale pari all'ammontare dei lavori da realizzare; in pratica, l'assemblea non dovrebbe deliberare i lavori, e di conseguenza l'amministratore non potrebbe sottoscrivere il relativo contratto di appalto, se prima non si costituisca il suddetto fondo dotato dell'intera provvista.

Casistica

CASISTICA

Accessorietà con l'appartamento

Il proprietario di un'unità immobiliare in condominio che, per ragioni di conformazione dell'edificio, non sia servita dall'impianto di riscaldamento centralizzato non è comproprietario di tale impianto, non essendo questo legato alla sua unità dalla relazione di accessorietà che costituisce al fondamento tecnico del diritto di condominio e va considerata su base reale, in relazione a ciascun piano o porzione di piano in proprietà esclusiva; tale condizione non può essere modificata dall'iniziativa unilaterale del condomino proprietario di più unità immobiliari nello stesso edificio che crei un vincolo pertinenziale tra queste (Cass. civ., sez. II, 27novembre 2015, n. 24296).

Manovra di purgo dei gas

Gli impianti e i servizi condominiali per essere perfettamente funzionali, cioè, idonei allo scopo cui sono destinati, devono assicurare, alle stesse condizioni, la stessa prestazione, ovvero, la stessa utilità a tutti i condomini; né è plausibile che un condomino possa o debba assumersi l'onere, ben poco conta se impegnativo o sopportabile, di effettuare uno o più interventi per rendere perfettamente funzionale un impianto condominiale, soprattutto, quando esistano tecniche ben identificate che consentono di escludere, per la loro funzionalità, definitivamente la necessità di un intervento umano (nella fattispecie, si era cassata la sentenza di merito che aveva riconosciuto una condomina tenuta ad eseguire la manovra manuale di spurgo dei gas presenti nei radiatori dell'impianto di riscaldamento centralizzato) (Cass. civ., sez. II, 12novembre 2012, n. 19616).

Responsabilità penali

Deve ritenersi responsabile a titolo di omicidio colposo il proprietario che abbia ceduto a terzi il godimento di un appartamento dotato di un impianto per il riscaldamento in pessimo stato di manutenzione, qualora l'evento lesivo sia riconducibile al cattivo funzionamento di tale impianto, atteso che il proprietario di un immobile è titolare di una specifica posizione di garanzia nei confronti del cessionario delle facoltà di godimento del bene; posizione di garanzia, in virtù della quale il proprietario è tenuto a consegnare al secondo un impianto di riscaldamento revisionato in piena efficienza e privo di carenze funzionali e strutturali; né tale responsabilità può essere esclusa in ragione della complessità tecnica degli adempimenti necessari a rendere l'impianto adeguato alle prescrizioni di settore, laddove il proprietario non possa non essere consapevole della vetustà dello stesso e della conseguente esistenza di situazioni di rischio che ne possano conseguire per i soggetti ai quali sia stata consentita l'utilizzazione del fabbricato (Cass.pen., sez. IV, 4 luglio 2013, n. 31356).

Guida all'approfondimento

Scalettaris, L'impianto di riscaldamento quale oggetto del condominio parziale, in Giur. it., 2016, 1347;

Baldacci, Impianto di riscaldamento condominiale e questioni sul locale caldaia, in Ventiquattrore avvocato, 2008, fasc. 9, 19;

Tagliolini, Non costituisce mutamento di destinazione d'uso l'installazione di un impianto di riscaldamento, in Immob. & proprietà, 2007, 695;

Bordolli, Impianto comune di riscaldamento: problematiche, in Immob. & proprietà, 2004, 673;

De Tilla, Sull'impianto centralizzato di riscaldamento, in Rass. loc. e cond., 2001, 492;

Sangiuolo, Riflessioni in tema di impianto di riscaldamento, in Arch. locazioni, 1994, 47;

Salis, Comunione e autonomia dell'impianto di riscaldamento (leggi 9 gennaio 1991, n. 9 e 10), in Riv. giur. edil., 1991, II, 137.

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