La tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare per giusta causa disposto in assoluta carenza della preventiva contestazione
11 Febbraio 2019
Massima
In caso di licenziamento disciplinare per giusta causa, la carenza assoluta di preventiva contestazione del fatto non può far ritenere in alcun modo sussistente il fatto stesso, infatti: il radicale difetto della preventiva contestazione dell'infrazione comporta un vizio genetico dell'atto di recesso a cui si applica la tutela reintegratoria attenuata. Il caso
Un lavoratore veniva licenziato per giusta causa con lettera datata 29 giugno 2017. Tenuto conto della data del licenziamento, per quanto riguarda la disciplina sostanziale relativa alle controversie aventi a oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'art. 18, l. n. 300 del 1970, e successive modificazioni, si applicano le disposizioni dell'art. 1, commi 48 ss., l. n. 92 del 2012.
Come emergeva dal tenore letterale della comunicazione di licenziamento da parte della società datrice si verteva, però, in un'ipotesi di licenziamento per giusta causa “ontologicamente” disciplinare, assoggettata, quindi, all'obbligo di preventiva contestazione, che, nel caso in esame, difettava radicalmente.
Infatti, nella documentazione sottoposta all'esame del giudice non si rinveniva alcuna preventiva contestazione disciplinare e non bastava a fondare il convincimento del giudice circa l'esistenza della stessa, nemmeno il riferimento, da parte della società resistente, a un precedente telegramma del 2013 riguardante il ritiro del cd. tesserino aereoportuale in danno del lavoratore. Anche in tale occasione, non emergeva nessuna evidenza di alcun procedimento disciplinare e, anzi, con successivo telegramma della stessa società, si precisava che il precedente era stato erroneamente titolato come contestazione disciplinare e che altrettanto erroneamente era stato fatto riferimento all'art. 7, l. n. 300 del 1970.
Il lavoratore, quindi, agiva in giudizio per sentire dichiarare l'illegittimità del licenziamento per difetto di contestazione scritta, con conseguente condanna della convenuta società a reintegrarlo nel posto di lavoro ai sensi dell'art 18, comma 4, l. n. 300 del 1970 e in subordine, per sentir dichiarare l'illegittimità del licenziamento di cui trattasi per carenza di giusta causa, e per sentir condannare la convenuta alle tutele di cui all'art. 18, comma 5, l. n. 300 del 1970. Le questioni
La questione in esame riguarda la tutela applicabile in caso di licenziamento disciplinare per giusta causa disposto dal datore di lavoro in radicale difetto di contestazione preventiva al lavoratore. Le soluzioni giuridiche
Nell'ordinanza in commento, riguardante un caso di licenziamento per giusta causa disposto in radicale difetto della preventiva contestazione dell'infrazione al lavoratore, l'organo giudicante evidenzia come il licenziamento intimato per mancanze del lavoratore deve considerarsi sempre come “ontologicamente” disciplinare.
In particolare, con la sentenza n. 9953 del 1991, la Cassazione aveva avuto modo di precisare che anche per i casi di licenziamento disciplinare per giusta causa o giustificato motivo soggettivo dovessero operare «le garanzie previste dai commi 2 e 3 dell'art. 7, l. n. 300 del 1970, per la contestazione dell'addebito e l'esercizio del diritto di difesa». Veniva, così, attribuito al «principio del contraddittorio, tutelato dall'art. 7, l. n. 300 del 1970, un valore di speciale canone di garanzia dei diritti fondamentali dell'individuo tale da configurare come del tutto illogica, alla luce del parametro di eguaglianza, una differenziazione legislativa che non imponga al datore di procedere alla preventiva contestazione degli addebiti in caso di licenziamento determinato da fatto del lavoratore» (V. Ferrante, Licenziamento Disciplinare (voce), in Digesto delle disc. priv. sez. comm., Aggiornamento, Utet, Milano, 2008, p. 539).
Nel caso in esame, al difetto di preventiva contestazione dell'infrazione il giudice attribuisce la tuteladi cui all'18, comma 4, l. n. 300/1970, come modificato dall'art. 1, comma 42, l. 28 giugno 2012, n. 92.
La conclusione a cui giunge l'organo giudicante si spiega con il fatto che «ai sensi dell'art. 18, comma 4, la reintegrazione è disposta in caso di inesistenza del fatto contestato, che pare implicitamente ricomprendere anche l'ipotesi di inesistenza della contestazione» (M. Marazza, L'art 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in Arg. dir. lav., 2012, 3, I, pp. 633. Sul punto di veda anche M. Tatarelli, Il licenziamento individuale e collettivo, IV ed., Padova, Cedam, 2012). Tale soluzione è sostenuta dalla stessa Cassazione che afferma che «un fatto non contestato o contestato tardivamente comporta l'inesistenza della procedura disciplinare, o, comunque non è idoneo ad essere verificato in giudizio e non può che considerarsi insussistente» (G.S. Passarelli, Diritto dei lavori e dell'occupazione, Giappichelli Editore, 2017, p. 350).
Tale decisione, però, è criticata da quella parte della dottrina che sostiene che «l'opinione secondo la quale il fatto non contestato deve equipararsi al fatto insussistente è disattesa dallo stesso comma 6 dell'art 18, ove si prevede che, in caso di accertamento dell'ingiustificatezza del licenziamento irritualmente intimato, operino le tutele stabilite dai commi 4 e 5 e non esclusivamente quella reintegratoria di cui al comma 4» (M. Tremolada, C. Cester (a cura di), I licenziamenti, dopo la legge n. 92 del 2012, Cedam, 2013, p. 130). Ed è, inoltre, contestata dall'intervenuta sentenza n. 30985 del 27 dicembre 2017 delle Sezioni unite, le quali stabiliscono che nelle ipotesi in cui si accerti il mancato rispetto del principio della tempestività dalla contestazione dell'addebito si deve applicare la tutela indennitaria forte, di cui all'art. 18 comma 5, l. n. 300 del 1970, poiché si tratta di violazione dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto e non si applica la tutela prevista per i vizi di natura procedimentale disciplinatadall'art. 18, comma 6, l. n. 300 del 1970, e nemmeno la tutela reintegratoria attenuata, di cui all'art. 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, che, invece, era stata applicata con sentenza n. 2513 del 2017 dalla Cassazione, la quale aveva avuto occasione di affermare che se il comma 4 «parla di insussistenza del fatto contestato (quindi, contestato regolarmente), a maggior ragione non può che riguardare anche l'ipotesi in cui il fatto sia stato contestato abnormemente e cioè in aperta violazione dell'art. 7».
In buona sostanza, l'organo giudicante del caso di specie determina che in caso di licenziamento disciplinare per giusta causa comminato in difetto della preventiva contestazione dell'infrazione, non ricorrerà la tutela prevista per la violazione del procedimento di cui all'articolo 7, sancita dall'art 18, comma 6, l. n. 300 del 1970, bensì, data la totale inesistenza della contestazione stessa, la tutela reintegratoria attenuata dettata dall'art. 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, applicabile nelle ipotesi in cui non ricorrono gli estremi della giusta causa, perché il fatto contestato non sussiste. Osservazioni
La l. n. 92 del 2012 ha «ridisegnato il regime sanzionatorio dei licenziamenti individuali, stabilendo che solo l'insussistenza dell'inadempimento contestato o la sua punibilità per mezzo di sanzioni conservative possono comportare la reintegrazione con risarcimento fino a 12 mesi (art. 18, lett. a) e b) del comma 4, St. lav.)» (S. Cairoli, Il contratto collettivo come (possibile) limite all'esercizio del potere disciplinare con incidenza sull'accertamento del fatto contestato, Nota a Cass., 3 settembre 2018, n. 21569, in Labor, 6/2018, p. 712 - 724). Pertanto, è determinante qualificare la natura del vizio che si verifica, al fine di poter individuare le conseguenze rispetto ai diversi regimi sanzionatori introdotti dalla l. n. 92 del 2012.
Nel caso di specie non esiste alcun fatto contestato e l'indagine dell'organo giudicante in ordine all'esistenza o meno dell'insussistenza del fatto materiale contestato, utile ai fini dell'eventuale applicazione della tutela reintegratoria, non può prescindere dalla contestazione del fatto stesso.
In altre parole, non può procedersi all'accertamento dell'insussistenza del fatto materiale contestato, in difetto di contestazione. Infatti, «se la reintegrazione trova ingresso in relazione alla verifica della esistenza/inesistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, tale verifica si risolve e si esaurisce nell'accertamento, positivo o negativo, dello stesso fatto che dovrà essere condotto senza margini per valutazioni discrezionali, ma in base alla elementare distinzione tra l'essere ed il non essere» (A. Maresca, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all'art. 18 Statuto dei Lavoratori, Rivista Italiana di diritto del lavoro, 2012, p. 24).
Nell'ordinanza in commento l'organo giudicante fa valere la tutela del comma 4 dell'art 18, l. n. 300 del 1970, affermando che «non esiste alcun fatto contestato, che dunque non può in alcun modo ritenersi sussistente».
La contestazione è, dunque, essenziale, perché viene a costituire la «pre-condizione necessaria affinché possa discorrersi di qualsivoglia fatto materiale sussistente: ne consegue che l'omessa contestazione specifica (tempestiva e antecedente rispetto al provvedimento di licenziamento) degli addebiti disciplinari esclude in radice la sussistenza di qualsiasi fatto materiale pur astrattamente idoneo a fondare un licenziamento per giusta causa, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria» (Trib. Taranto, sez lav., 21 aprile 2017).
Ciò sta a significare che «ove un licenziamento pacificamente disciplinare non sia preceduto dalla contestazione disciplinare non dovrà applicarsi la sanzione indennitaria lieve di cui all'art 18, comma 6, bensì la tutela reintegratoria attenuata, non essendoci appunto un fatto contestato» (F. Chietera, E. Ghera e D Garofalo - a cura di -, Le tutele per i licenziamenti e per la disoccupazione involontaria nel Jobs Act 2, Cacucci editore, Bari, 2015, p. 125).
Infatti, con la pronuncia n. 25745 del 2016 la stessa Cassazione aveva avuto modo di affermare che il radicale difetto di contestazione dell'infrazione al lavoratore determina l'inesistenza del procedimento previsto dall'art. 7, l. n. 300 del 1970, con conseguente applicazione della tuteladell'art. 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012. La Cassazione, in tale occasione, sanciva una sostanziale equiparazione tra il caso di licenziamento disciplinare comminato con il mancato rispetto della procedura di contestazione preventiva dell'infrazione e il licenziamento in cui difetta il fatto contestato e, così facendo, sanciva che la sanzione dell'art 18 comma 4, prevista per i casi in cui il datore di lavoro contesti un fatto insussistente, equivalga all'ipotesi in cui il datore di lavoro disponga un licenziamento disciplinare senza la preventiva contestazione dell'infrazione.
La tutela indennitaria prevista dal comma 6 dell'art 18, l. n. 300 del 1970, deve sicuramente ritenersi applicabile ai vizi del procedimento ex art. 7, l. n. 300 del 1970, laddove, però, ad esso sia stato dato avvio. Infatti, nel caso in cui manchi del tutto, tale violazione non può essere ricompresa tra i vizi formali, ma dovrà essere assimilata all'ipotesi di insussistenza dei fatti contestati, ex art 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, con diritto per il lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro.
Pertanto, l'insussistenza del fatto contestato è da considerarsi come il presupposto per l'applicazione della tutela reintegratoria.
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