Il Codice della crisi e la disciplina civilistica in tema di impresa: novità ed “eterno ritorno”
11 Febbraio 2019
Le modifiche alla disciplina civilistica in tema di impresa tra le disposizioni di immediata attuazione e le altre disposizioni
Il 10 gennaio scorso, il Governo ha definitivamente approvato lo schema di decreto legislativo recante il “Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza” (di qui, in breve, anche solo il “Codice della crisi”), recependo così, in gran parte, le indicazioni di modifica della disciplina civilistica in tema di impresa dettate dall'art. 14 della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, elaborata dalla c.d. “Commissione Rordorf” ed entrata in vigore il 14 novembre 2017. In particolare, la parte II del Codice della crisi, rubricata “Modifiche al codice civile”, si compone di dieci articoli (artt. 375 – 384). Tali norme, con l'unica eccezione dell'art. 376 relativo all'incidenza della liquidazione coatta amministrativa e della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro, attengono all'ambito del diritto commerciale e, stante l'art. 389, si distinguono in:
Ciò posto, non resta che analizzare criticamente il futuro del diritto di impresa, occupandosi, dapprima, dei contenuti delle disposizioni di immediata attuazione e, poi, di quelli delle altre disposizioni. Il primo articolo della parte II del Codice della crisi, l'art. 375, rubricato “Assetti organizzativi dell'impresa”, interviene sull'art. 2086 c.c., che, figlio dell'ottica tipica dell'ordinamento corporativo, configura l'imprenditore quale “capo” dell'impresa, da cui “dipendono gerarchicamente” i collaboratori. Due sono le novità nell'art. 2086 c.c.:
Particolarmente rilevanti sono, senza dubbio, le previsioni del secondo comma dell'art. 2086 c.c. sia per la pregnanza dei termini utilizzati sia per l'impatto sull'attività di amministratori, sindaci e revisori.
Per quanto concerne il profilo semantico, occorre precisare che:
La riforma realizzata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 aveva introdotto nella disciplina societaria il concetto di “assetto organizzativo, amministrativo e contabile”, menzionandolo in due disposizioni che, con riferimento alle s.p.a., trattavano rispettivamente dell'attività degli amministratori e del collegio sindacale:
Secondo i pronostici di qualche autorevole voce dottrinale (v. Buonocore, Adeguatezza, gestione, responsabilità: chiose all'art. 2381, commi terzo e quinto del codice civile, in Giur. comm., 2006, 5, nonché, di recente, Irrera (diretto da), Assetti adeguati e modelli organizzativi nella corporate governance delle società di capitali, Bologna, 2016, passim), la descritta innovazione sarebbe stata idonea a incidere profondamente sulla valutazione della responsabilità degli organi di gestione e di controllo. Tuttavia, le aspettative sono state frustrate. Del resto, come opportunamente osservato (v. Gennari, Modelli organizzativi dell'impresa e responsabilità degli amministratori di s.p.a. nella riforma della legge fallimentare, in Giur. comm., 2018, 295), la scarsa sensibilità alle innovazioni del nostro sistema e il labile confine tra obbligo di legge e discrezionalità amministrativa insindacabile nelle scelte di gestione (c.d. “business judgement rule”) hanno fatto sì che la giurisprudenza riconoscesse alla presenza di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile un ruolo assai limitato nel giudizio circa l'adempimento, da parte di amministratori, sindaci e revisori, degli obblighi connessi alla carica. Nel descritto quadro di riferimento, il Codice della crisi ha certamente inteso valorizzare il carattere precettivo delle disposizioni concernenti la previsione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, delineandone altresì le concrete ricadute sull'attività degli organi di gestione e di controllo. Per quanto riguarda l'attività degli organi di gestione, l'art. 377 del Codice della crisi estende espressamente il modello di cui all'art. 2086 c.c. (e, quindi, il dovere dell'imprenditore di dotarsi di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile) a tutti i tipi di società. A tal fine, modifica: (i) l'art. 2257 c.c. relativo all'amministrazione delle società di persone; (ii) gli artt. 2380-bis e 2409-novies c.c. relativi all'amministrazione delle s.p.a.; (iii) l'art. 2475 c.c. relativo all'amministrazione delle s.r.l., disponendo, peraltro, analogamente a quanto era previsto prima della riforma del 2003 (v. vecchio art. 2487, comma 2, c.c.) e sulla scia di Cass. 7 dicembre 2016, n. 25085 (in questo portale, con nota di Riolfo), l'espressa applicabilità a tale tipo societario della disciplina contemplata dall'art. 2381 c.c. per le deleghe gestorie consiliari nelle s.p.a. (Per approfondimenti al riguardo, v. Cagnasso, La delega di potere gestorio e la s.r.l., in Giur. it., 2017, 888; Di Bitonto, Anche nella s.r.l. è valida la delega consiliare soggettivamente plurima a carattere generale e disgiunto, in Le Società, 2017, 438).Invece, per quanto concerne l'attività degli organi di controllo, il Codice della crisi introduce specifici obblighi, volti ad assicurare, per quanto possibile, la prevenzione della crisi di impresa. Nello specifico, gli organi di controllo:
L'art. 378 del Codice della crisi, rubricato “Responsabilità degli amministratori”, aggiunge all'art. 2476 c.c., dopo il quinto, un ulteriore comma, che, riproponendo per le s.r.l. le disposizioni vigenti per le s.p.a. e per le s.a.p.a. (i.e.: artt. 2394 e 2455 c.c.):
La modifica è senz'altro apprezzabile, perché risolve le questioni interpretative sorte con la riforma realizzata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Prima della menzionata riforma, l'art. 2487, comma 2, c.c., disponeva espressamente l'applicazione dell'art. 2394 c.c. all'amministrazione delle s.r.l. Successivamente all'intervento del legislatore delegato del 2003, per contro, stante il silenzio del nuovo art. 2476 c.c., nessuna disposizione si occupava della responsabilità degli amministratori di s.r.l. nei confronti dei creditori per il depauperamento del patrimonio sociale. Di qui, in ambito giurisprudenziale e dottrinale, si erano delineate due letture del dato normativo. Alcuni avevano escluso che ai creditori di s.r.l. spettasse l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori che avessero violato gli obblighi di conservazione del patrimonio sociale (così, in giurisprudenza, ex multis: Trib. Torino 8 giugno 2011, in Giur. it., 2012, 332; App. Napoli 28 giugno 2008, in Giur. merito, 2009, 2470; Trib. Milano 27 febbraio 2008, n. 2589, in Giustizia a Milano, 2008, 13; Trib. Milano 25 gennaio 2006, in Le Società, 2007, 320; Trib. Santa Maria Capua Vetere 18 marzo 2005, in Fall., 2006, 190. In dottrina, a titolo meramente esemplificativo: Ciampi, Novità della Novella per le azioni di responsabilità nelle s.r.l., in Le Società, 2006, 289; Proto, Le azioni di responsabilità contro gli amministratori nella società a responsabilità limitata, in Fall., 2003, 1133; Di Amato, Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2003, 303). Altri, invece, avevano sostenuto l'esatto contrario, argomentando sul presupposto dell'applicazione analogica dell'art. 2394 c.c. anche alle s.r.l. (In questo senso, in giurisprudenza, ex plurimis: Trib. Roma 21 febbraio 2017, n. 3398, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Torino 11 novembre 2015, in Giur. it., 2016, 1155; Trib. Milano 15 novembre 2012, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano 22 dicembre 2010, n. 14632, in Le Società, 2011, 757; Trib. Pescara 15 novembre 2006, in Foro it., 2007, I, 2262. In dottrina, fra i più noti: Teti, La responsabilità degli amministratori di s.r.l., in Liber Amicorum G.F. Campobasso, Torino, 2007, III, 662; Mozzarelli, Responsabilità degli amministratori nella s.r.l., Torino, 2007, 180). Ecco, allora, che il Codice della crisi fa assoluta chiarezza, sciogliendo ogni dubbio in merito all'esperibilità, da parte dei creditori di s.r.l., dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, in presenza dei presupposti e con le modalità previste dall'art. 2394 c.c., la cui lettera, non certo per caso, è esattamente riproposta dal nuovo comma dell'art. 2476 c.c.
I criteri per la quantificazione del danno risarcibile ex art. 2486 c.c.
Come noto, l'art. 2486 c.c. configura una responsabilità risarcitoria solidale a carico degli amministratori che, al verificarsi di una causa di scioglimento della società, non adempiano al dovere di gestione conservativa. La liquidazione dei danni risarcibili ex art. 2486 c.c., però, ha, da sempre, posto significativi problemi agli operatori del diritto: definire il quantumdei pregiudizi derivanti dai plurimi atti di gestione richiesti dalla dinamicità dell'impresa siè rivelato assai difficile, se non addirittura impossibile. Perciò, la giurisprudenza ha optato per la liquidazione equitativa di tali nocumenti, facendo storicamente ricorso a due criteri presuntivi:
Il c.d. “criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare”, ritenuto generalmente incompatibile con il nesso eziologico che dovrebbe sussistere tra condotta e pregiudizio (v., ex multis: Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100; Cass. 15 febbraio 2005, n. 3032; Cass. 8 febbraio 2000, n. 1375; Trib. Milano 23 settembre 2015, n. 10652), ha avuto un'operatività limitata, trovando applicazione quando mancassero o fossero completamente inattendibili le scritture contabili (v., ad esempio, Cass. 4 aprile 1998, n. 3483; Cass. 19 dicembre 1985, n. 6493; Trib. Bologna 22 maggio 2007; Trib. Treviso 29 ottobre 2009) oppure quando il dissesto fosse diretta conseguenza di comportamenti colposi degli amministratori (v., ex plurimis, Cass. 17 settembre 1997, n. 9252). è stato, invece, decisamente preferito, soprattutto dopo Cass., Sez. Un. 6 maggio 2015, n. 9100, cit., che aveva ulteriormente ridotto l'ambito applicativo del c.d. “criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare”, il c.d. “criterio della differenza dei netti patrimoniali”, avallato anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità e di merito (Così, ex multis: Cass. 20 aprile 2017, n. 9983, in questo portale, con nota di Galletti; Trib. Torino 4 luglio 2018, n. 3431, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano 5 giugno 2018, n. 6324; Trib. Bologna 21 dicembre 2017, n. 2846, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano 28 novembre 2017, in Le Società, 2018, 703; Trib. Milano 7 ottobre 2015, in Danno e resp., 2016, 870; App. Torino 12 gennaio 2009, in Fall., 2010, 35; Trib. Padova 24 giugno 2009, in Fall., 2010, 729). Peraltro, è stato rilevato che pure il c.d. “criterio della differenza dei netti patrimoniali” non è esente da censure, perché si astiene dall'accertare se la perdita si sia verificata per effetto della mala gestio oppure si sarebbe prodotta anche in caso di condotta diligente degli amministratori (In questo senso, in giurisprudenza, ad esempio: Cass. 23 giugno 2008, n. 17033; Trib. Milano 1 aprile 2011, n. 4480, in Le Società, 2012, 288. In dottrina, di recente: Carminati, Responsabilità dell'amministratore e liquidazione del danno per differenza tra netti patrimoniali, in Le Società, 2018, 710; Facci, La valutazione del danno in via equitativa, il criterio della differenza dei netti patrimoniali e la responsabilità degli amministratori, in Danno e resp., 2016, 880). L'art. 378 del Codice della crisi, nel modificare l'art. 2486 c.c., anzitutto, positivizza il c.d. “criterio della differenza dei netti patrimoniali” opportunamente “rettificato” rispetto alle criticità riscontrate e, poi, sulla scia di Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100, il cui Presidente Relatore era proprio il dott. Renato Rordorf, configura un ambito residuale di applicazione per il c.d. “criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare”. E, infatti, il nuovo terzo comma dell'art. 2486 c.c. sancisce che, fatta salva la prova di un danno di diverso ammontare, il danno risarcibile si presume:
La nomina degli organi di controllo nelle s.r.l.
L'art. 379 del Codice della crisi, rubricato “Nomina degli organi di controllo” modifica l'art. 2477 c.c., estendendo le ipotesi di obbligatorietà di nomina dell'organo di controllo nelle s.r.l. e le possibilità di intervento sostitutivo del tribunale, in caso di inerzia della società. In particolare, per quanto più rileva, il nuovo art. 2477 c.c. dispone:
Peraltro, è previsto un “periodo di transizione” di nove mesi dalla data di entrata in vigore dell'art. 379 del Codice della crisi, per consentire alle s.r.l. e alle società cooperative nella forma di s.r.l. tenute alla nomina dell'organo di controllo e del revisore di ottemperare all'incombente, adeguando, se necessario, l'atto costitutivo e lo statuto (v. art. 379, comma 3). Prima della riforma attuata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, l'art. 2488 c.c., all'ultimo comma, prevedeva espressamente l'applicabilità dell'art. 2409 c.c. alle s.r.l., pur se prive del collegio sindacale. Il legislatore delegato del 2003 aveva abrogato l'art. 2488 c.c. e aveva inserito la disciplina relativa al collegio sindacale nelle s.r.l. nell'art. 2477 c.c., che, però, non conteneva alcun riferimento esplicito all'art. 2409 c.c. Di qui, si erano delineati due orientamenti in merito alla possibilità di ricorrere, con riferimento alle s.r.l., al controllo giudiziario descritto dall'art. 2409 c.c. Alcune pronunce, anche alla luce della posizione assunta dalla Corte Costituzionale (v. Corte Cost. 29 dicembre 2005, n. 481 e Corte Cost., ord., 7 maggio 2014, n. 116, che avevano escluso la contrarietà a Costituzione della disciplina legislativa relativa alle s.r.l. per l'assenza di richiami all'art. 2409 c.c.), avevano negato l'applicazione dell'art. 2409 c.c. alle s.r.l., in base a quattro argomenti: (i) il principio di generalizzata ammissibilità di un controllo giudiziario della gestione delle società di capitali era ormai superato, perché la riforma del 2003 configurava la s.r.l. non come una “piccola s.p.a.”, ma come un ente caratterizzato, da un lato, dalla valorizzazione della persona del socio nella vita della società (elemento tipico delle società di persone) e, dall'altro, dall'autonomia patrimoniale perfetta (elemento tipico delle società di capitali); (ii) l'art. 8, d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37 disponeva espressamente l'applicazione dell'art. 2409 c.c. alle società sportive, pur se costituite in forma di s.r.l., lasciando, così, intendere che, altrimenti, la norma non si sarebbe applicata; (iii) la disciplina delle s.r.l. non conteneva un esplicito riferimento all'art. 2409 c.c.; (iv) l'art. 92 disp. att. c.c., nello stabilire che il decreto di nomina dell'amministratore giudiziario di cui all'art. 2409 c.c. privava l'imprenditore dell'amministrazione della società, faceva riferimento solo alle società di cui ai capi V e VI del libro V, ossia alle s.p.a. e alle s.a.p.a. (In questo senso, ex multis: Cass. 13 gennaio 2010, n. 403; Trib. Como 27 aprile 2016; Trib. Venezia, decr., 13 marzo 2013, in Le Società, 2013, 1345; Trib. Piacenza 27 giugno 2012; Trib. Firenze, ord., 25 ottobre 2011, in Le Società, 2012, 5; App. Roma 13 aprile 2005, in Foro it., 2005, I, c. 3469; Trib. Lecce, decr., 16 luglio 2004, in Le Società, 2005, 358; Trib. Terni 9 aprile 2004, in Foro it., 2005, I, c. 868. Analogamente, in dottrina: Presti, La s.r.l. e la scomparsa dell'art. 2409 c.c.: la difficile “elaborazione” del lutto, in Benazzo-Cera-Patriarca (diretto da) Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze. Studi in onore di G. Zanarone, Torino, 2011, 417; Abriani, Commento all'art. 2477, in Benazzo-Patriarca (diretto da), Il codice commentato delle s.r.l., Torino, 2006, 389; Rordorf, I sistemi di amministrazione e di controllo nella nuova s.r.l., in Le Società, 2003, 672). Altre decisioni, invece, avevano ritenuto applicabile il controllo giudiziario alle s.r.l. dotate obbligatoriamente dell'organo di controllo e su richiesta di quest'ultimo, in virtù del rinvio di cui all'art. 2477, comma 5, c.c., alle “disposizioni sul collegio sindacale previste per le società per azioni”, fra le quali sarebbe compreso anche l'art. 2409 c.c. (Così, ex plurimis: Trib. Milano, decr. 12 aprile 2018; Trib. Milano 25 gennaio 2016, n. 963, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Bologna 4 febbraio 2015, in questo portale; Trib. Ascoli Piceno 1 marzo 2013, in Le Società, 2013, 599; Trib. Napoli 14 maggio 2008, in Le Società, 2009, 1019; Trib. Treviso, decr., 27 settembre 2004, in Vita not., 2004, 1628; Trib. Roma 6 luglio 2004, in Le Società, 2005, 359; Trib. Udine 1 luglio 2004, in Le Società, 2005, 357. Per la stessa posizione, in dottrina: Corapi, Il controllo interno nelle s.r.l., in Le Società, 2003, 1575; Mainetti, Il controllo dei soci e la responsabilità degli amministratori nella società a responsabilità limitata, in Le Società, 2003, 943; Nazzicone, La denunzia al tribunale per gravi irregolarità ex art. 2409: le novità della riforma societaria, in Le Società, 2003, 1079). In questo contesto, l'art. 379 del Codice della crisi, anzitutto, introduce, all'art. 2477 c.c., un settimo comma che prevede l'applicazione dell'art. 2409 c.c. alle s.r.l., anche se prive di organo di controllo (v. art. 379, comma 2) e, in secondo luogo, modifica l'art. 92 disp. att. c.c., menzionando pure le società del capo VII del titolo V del libro V, ossia le s.r.l. (v. art. 379 comma 4). Il nuovo dettato legislativo toglie, quindi, ogni incertezza in merito all'applicabilità dell'art. 2409 c.c. a tutte le s.r.l.
Le disposizioni di non immediata attuazione
Esaminati i contenuti delle disposizioni di immediata attuazione, si considerano i contenuti delle altre disposizioni del Codice della crisi, che, come ricordato (v., supra, § “1”), entreranno in vigore, decorsi diciotto mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Nello specifico, tali norme prevedono:
In conclusione
Analizzate le modifiche alla disciplina del codice civile in tema di impresa introdotte dal Codice della crisi, una domanda sorge spontanea: che cosa c'è davvero di nuovo? In realtà, meno di quanto inizialmente si potrebbe pensare. Le vere innovazioni si riducono a sei: (i) il potenziamento dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile dell'impresa e la conseguente estensione dei doveri posti in capo agli organi di gestione e controllo ; (ii) l'introduzione, a livello normativo, di criteri per la determinazione del danno risarcibile ex art. 2486 c.c.; (iii) l'estensione delle ipotesi in cui è obbligatoria la nomina degli organi di controllo nelle s.r.l.; (iv) l'inserimento della liquidazione controllata fra le cause di scioglimento delle società di capitali; (v) la previsione della possibilità di autorizzare il commissario di una società cooperativa a domandare la nomina del collegio o del commissario per la composizione assistita della crisi ovvero l'accesso a una delle procedure regolatrici previste dal Codice della crisi; (vi) il fatto che non debba più essere restituito il rimborso dei finanziamenti dei soci di s.r.l., avvenuto “nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società”. Le restanti modifiche, laddove non abbiano natura meramente formale, hanno riproposto la disciplina anteriore alla riforma societaria del 2003: così è per l'applicabilità alle s.r.l. dell'art. 2381 c.c., dell'azione dei creditori sociali e dell'art. 2409 c.c., nonché per l'introduzione della liquidazione giudiziale (alter ego del vecchio fallimento) tra le cause di scioglimento delle società di capitali. Che dire? Forse questa riforma non è sfuggita, per dirla con Nietzsche, alla logica dell'“eterno ritorno”. |