Profili probatori della regolare assunzione di lavoratori e applicazione della “maxi sanzione” per lavoro in nero. Due tesi a confronto
11 Febbraio 2019
Il caso
Il legale rappresentante di una ditta individuale adiva con ricorso il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, proponendo opposizione all'atto di irrogazione sanzioni con cui l'Agenzia delle entrate gli aveva irrogato la sanzione (c.d. maxi sanzione) ex art. 3, comma 3, d.l. 22 febbraio 2002, n.12, conv. con modif. in l. 23 aprile 2002, n. 73.
La ditta individuale veniva sanzionata per avere impiegato alle proprie dipendenze due lavoratori “non risultanti dalle scritture contabili o da altra documentazione obbligatoria”.
Gli accertatori infatti, al momento dell'accesso ispettivo avevano ritenuto la documentazione loro fornita, non sufficiente a provare la regolarità degli adempimenti connessi alla instaurazione del rapporto di lavoro, così come posti in essere dal legale rappresentante la ditta.
Il Tribunale, rigettando la proposta opposizione, condannava la ditta in persona del suo legale rappresentante non solamente al pagamento dell'irrogata sanzione ma, anche al pagamento delle spese del giudizio in favore dell'Agenzia delle entrate. Avverso la sentenza, la ditta in persona del titolare proponeva appello. La questione
La questione esaminata dalla Corte di Appello di Caltanissetta è la seguente:
La soluzione giuridica
La Corte di appello di Caltanissetta, ha accolto l'appello proposto dalla ditta sanzionata assumendo una posizione differente da quella prescelta in precedenza dal Tribunale di primo grado.
Il Giudice di prime cure aveva infatti ritenuto sussistente la violazione contestata, sul presupposto che la documentazione prodotta dalla ditta (libri paga, libri matricola e buste paga), fosse priva di alcun valore probatorio poiché di formazione unilaterale. Inoltre, e con riferimento alla comunicazione di assunzione anch'essa prodotta in giudizio, ma non in originale, il Tribunale aveva ritenuto che la stessa fosse stata versata in atti “per dimostrare una regolarità acquisita in via postuma rispetto all'accesso ispettivo e sicuramente determinata dallo stesso” .
Per la Corte di appello di Caltanissetta, i rilievi mossi dal Giudice di primo grado riferiti al valore probatorio della documentazione prodotta, possono essere superati grazie alla applicazione dell'art. 345, c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis, Ciò consente di ritenere legittima la produzione nel giudizio di appello di una certificazione del Centro per l'impiego attestante la data di effettiva comunicazione dell'assunzione.
Questo ha permesso alla Corte di affermare con certezza che i lavoratori erano stati assunti con comunicazione del 15 ottobre 2002 e perciò in data ampiamente antecedente l'accesso ispettivo, che ha avuto corso l'8 marzo 2003.
La Corte prosegue poi, rilevando che alla data di accertamento delle violazioni (8 marzo 2003) gli artt. 134, r.d. n. 1422 del 1924, e gli artt. 20 e 21, d.P.R. n. 1124 del 1965, in tema di istituzione e tenuta dei libri sociali, erano ancora vigenti essendo stati abrogati solamente con il d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. in l. n. 133 del 2008. Il datore di lavoro in sede di controllo pertanto, aveva regolarmente adempiuto ai propri obblighi mostrando agli accertatori i libri paga e matricola, regolarmente tenuti. Nessun ulteriore adempimento poteva essere richiesto. Osservazioni
Si tratta di una decisione che fonda le proprie radici non solo sui fatti di causa, ma anche sull'analisi del testo normativo e che si inserisce tra le poche recenti pronunce sul tema.
Sulla scorta dell'analisi effettuata dalla Corte di appello, appare quantomeno estrema la posizione assunta dal Giudice di primo grado soprattutto nella parte in cui, senza alcun elemento di supporto, si spinge a mettere in dubbio la regolarità sostanziale della documentazione prodotta, ponendo un ombra anche sulla liceità della condotta del ricorrente.
In realtà l'iter argomentativo seguito dal Giudice di primo grado e la condanna alle spese del giudizio disposta a carico della ricorrente, hanno finito per avvalorare e dare forza alla condotta posta in essere dagli accertatori che a dire il vero, è apparsa prima facie lacunosa.
Sul riparto delle spese poi, a giudizio dello scrivente, anche la Corte di appello avrebbe potuto assumere una diversa posizione. Ed invero, la motivazione della sentenza d'appello evidenzia l'illegittimità originaria della sanzione e di tutto il processo ispettivo a carico della ditta. I fatti e soprattutto l'indagine della Corte hanno smentito l'intera struttura argomentativa del Tribunale. Perché quindi limitarsi alla compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. |