Successione di amministratori e responsabilità per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale

Ciro Santoriello
14 Febbraio 2019

In caso di fusione societaria l'amministratore subentrato non è imputabile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale quando non si rinvengano a suo carico prove di alienazioni e manchi ogni indizio che conduca al compimento del richiamato reato.
Massima

In caso di fusione societaria l'amministratore subentrato non è imputabile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale quando non si rinvengano a suo carico prove di alienazioni e manchi ogni indizio che conduca al compimento del richiamato reato.

Il caso

In sede di merito, l'amministratore di una società era condannato – in concorso con altri soggetti che gestivano di fatto la medesima persona giuridica - per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

In sede di ricorso per cassazione si lamentava una carenza di motivazione della decisione gravata con riferimento alla sussistenza del reato contestato, non avendo i giudici di merito accertato l'oggetto della presunta distrazione, l'effettiva sussistenza di beni nel patrimonio della fallita e l'elemento soggettivo del reato in capo all'imputato. In particolare, il ricorrente aveva eccepiva la mancata individuazione dei beni oggetto della contestata distrazione e il difetto di prova sulla stessa capienza patrimoniale della fallita, essendosi la sentenza impugnata si è limitata ad evidenziare la confusione tra la gestione della fallita ed altra società facente capo ad altri coimputati e l'assunzione sostanzialmente formale da parte dell'imputato ricorrente della carica di amministratore della società fallita solo pochi mesi prima del suo fallimento, con la conseguenza che sulla scorta di quanto definito dai giudici di prime cure non era stato possibile nemmeno identificare l'esatta condotta di cui si sarebbe reso responsabile, né l'effettiva sua attribuibilità sul versante dell'elemento soggettivo al medesimo.

La questione

Come è noto, le modalità di prova e ricostruzione di un fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale sono svolta secondo una tecnica di accertamento affatto particolare. Secondo una consolidata ed incontrastata giurisprudenza, in seno allo sbilancio fallimentare, ove non si individui una corrispondenza tra impieghi e attività, si addebita all'imprenditore come ricchezza distratta (Cass. Pen., Sez. V, 18 marzo 2015, n. 11405; Cass., sez. V, 30 aprile 2015, n. 18145). La Cassazione è infatti costante nell'affermare che la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell'amministratore, della destinazione dei beni, per cui quando risulta che in epoca anteriore prossima al fallimento la società abbia avuto il possesso di determinati beni, non rinvenuti all'atto della redazione dell'inventario, spetta ai suoi amministratori provare la concreta destinazione degli stessi o il loro ricavato (Cass., sez. V, 26 luglio 2018, n. 35799).

Tuttavia, la tecnica ricostruttiva di una condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale non può essere affidata ad un mero confronto fra le risultanze della contabilità della società fallita e i beni e le disponibilità liquide rinvenute dal curatore dopo il fallimento e ciò per due ragioni (in dottrina, sul punto, PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito. Reati commessi persone diverse dal fallito, in Commentario Scialoja - Branca della legge fallimentare, a cura di Bricola – Galgano - Santini, Bologna - Roma 1995, 25; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 80; COCCO, Il ruolo delle procedure concorsuali e l'evento dannoso nel reato di bancarotta, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2014, 67; CONTI, Fallimento (reati in materia di), in Dig. Disc. Pen., vol. V, Torino 1991, 12).

In primo luogo, è fatta ovviamente salva la possibilità, per l'imprenditore, di fornire spiegazioni, poiché è suo onere dare delucidazioni sulla destinazione assegnata al bene non rinvenuto in sede di inventario.

In secondo luogo, non può accusarsi l'amministratore di una persona giuridica di condotte di distrazione solo perché non si rinvengono beni la cui esistenza risulta da quanto attestato dalla contabilità aziendale, dovendosi prima accertare che i libri sociali siano stati redatti correttamente e non presentino contenuti mendaci (Cass., sez. V, 9 ottobre 2018, n. 45344, secondo cui intanto il disavanzo ingiustificato può costituire prova del fatto distrattivo, in quanto risulti con certezza l'esistenza dei beni della società la cui destinazione non sia stata dimostrata dall'amministratore: è dunque necessario l'accertamento che l'imprenditore ha avuto nella sua disponibilità i beni che si assumono distratti).

In terzo luogo, è illegittima l'affermazione della responsabilità dell'amministratore fondata esclusivamente sul mancato rinvenimento di dati beni di cui la società abbia avuto il possesso in epoca anteriore e prossima al fallimento, qualora sia subentrato un nuovo amministratore con estromissione del precedente dalla gestione dell'impresa, considerato che, in tal caso, la responsabilità dell'amministratore cessato può essere affermata solo a condizione che risulti dimostrata la collocazione cronologica degli atti di distrazione nel corso della sua gestione o l'esistenza di un accordo con l'amministratore subentrato per il compimento di tali atti (Cass., sez. V, 7 giugno 2006, n. 172).

Osservazioni

Nella decisione in commento, la Cassazione accoglie il ricorso, affermando che in caso di fusione societaria l'amministratore subentrato non è imputabile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale quando non si rinvengano a suo carico prove di alienazioni e manchi ogni indizio che conduca al compimento del richiamato reato, il quale potrebbe quindi essere stato commesso da amministratori precedenti all'operazione straordinaria.

In particolare, la Corte Suprema ritiene inaccettabile che il giudice di merito sia giunto a pronunciare sentenza di condanna senza accertare di quali beni si sarebbe appropriato o avrebbe comunque distratto l'imputato, ma attribuendo allo stesso, sulla base della sua mera qualifica di amministratore di diritto della società fallita, le conseguenze dannose derivanti da una fusione fra l'impresa decotta ed altre aziende, senza esaminare se tale fusione fosse stata effettivamente (ed in che termini) deleteria per la prima e in che termini a tale operazione avesse partecipato l'imputato, senza fornire alcuna precisazione in merito al reale contributo prestato dall'imputato alla condotta distrattiva contestata e, soprattutto, in ordine all'effettiva consumazione della medesima nel corso della sua breve gestione, nonché all'accertamento dei beni e delle attività presenti nel patrimonio della fallita al momento dell'assunzione della carica da parte del medesimo, posto che egli non poteva certo rispondere dei fatti eventualmente realizzati prima di tale momento.

La Cassazione perciò ribadisce che è illegittima l'affermazione della responsabilità dell'amministratore fondata esclusivamente sul mancato rinvenimento di dati beni di cui la società abbia avuto il possesso in epoca anteriore e prossima al fallimento, qualora sia subentrato un nuovo amministratore con estromissione del precedente dalla gestione dell'impresa, considerato che, in tal caso, la responsabilità dell'amministratore cessato può essere affermata solo a condizione che risulti dimostrata la collocazione cronologica degli atti di distrazione nel corso della sua gestione o l'esistenza di un accordo con l'amministratore subentrato per il compimento di tali atti.

Di contro, la motivazione della sentenza impugnata non solo ha individuato in maniera assertiva l'oggetto della distrazione (limitandosi a richiamare le dichiarazioni dei dipendenti della società in merito alla confusione gestionale con altra impresa Cos., ma senza precisare quale fosse l'effettiva consistenza patrimoniale della fallita e cosa effettivamente sarebbe stato distratto), ma per l'appunto senza nemmeno chiarire il momento in cui sarebbe intervenuta la spoliazione della società fallita, né motivare sull'eventuale consapevolezza da parte dell'imputato di aver contribuito attraverso la mera formale assunzione della gestione all'agevolazione di condotte poste in essere anche precedentemente da altri.

Conclusioni

La sentenza della Cassazione si presenta apprezzabile nella misura in cui pone un argine a semplificazioni probatorie cui si è tentati di far ricorso quando si tratti di accertare la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale a mezzo di distrazione di beni aziendali.

Infatti, se è senz'altro corretto sostenere che, essendo l'amministratore della società il garante del patrimonio della stessa nonché l'unico soggetto che può disporre dei relativi beni, è costui a dover giustificare la mancanza di determinati assets aziendali la cui presenza invece risulta dai libri contabili, così come è l'amministratore a dover dimostrare che ha dato ai beni sociali destinazioni coerenti con la tutela del relativo patrimonio e li ha utilizzati in modo da massimizzarne la produttività (Cass., sez. V, 20 gennaio 2004, Guglielmini, in Mass. Uff., n. 228081), è altresì vero che a tale criterio di valutazione probatoria può farsi ricorso solo quando si è certi che il bene asseritamente sottratto fosse in precedenza entrati nel patrimonio della persona giuridica fallita (Cass., sez. V, 15 dicembre 2004, Sabino, in Mass. Uff., n. 231411; Cass., sez. V, 21 aprile 1999, Jovino, in Mass. Uff., n. 213636) così come è necessario che si accertino e si indichino i beni non rinvenuti all'atto del fallimento o di cui si ignori la destinazione finale, non potendo invece la distrazione può essere desunta dal mero accertamento del passivo – chè, altrimenti, il reato di bancarotta fraudolenta sarebbe ravvisabile in ogni ipotesi di fallimento (Cass., sez. V, 24 settembre 2004, Blancardi, in Mass. Uff., n. 231011).

Da tali considerazioni, discende quindi che è assolutamente errato attribuire la responsabilità della distrazione di un bene o di un valore patrimoniale all'amministratore in carica al momento della dichiarazione di fallimento, giacché ben può verificarsi che la sottrazione illecita del cespite sia riferibile ad altro soggetto che ha rivestito in precedenza la medesima carica di gestore dell'azienda. Tale conclusione, infatti, è assolutamente coerente con la qualificazione della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale quale reato di pericolo concreto, per il cui perfezionamento è esclusa la necessità di un nesso causale tra i fatti di bancarotta ed il successivo fallimento (Cass., sez. V, 14 febbraio 2017, n. 12272, Gandolfi; Cass., sez. V, 8 febbraio 2017, Santoro, n. 13910, in Mass. Uff., n. 269389). Ciò significa che i fatti di bancarotta possono assumere rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando l'impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza.

Va tuttavia considerato che, in quanto reato di pericolo concreto, è comunque necessario, da un lato, che il fatto di bancarotta abbia determinato un depauperamento dell'impresa e un effettivo pericolo per la conservazione dell'integrità del patrimonio dell'impresa da valutare nella prospettiva dell'esito concorsuale e sulla base dell'idoneità del fatto distrattivo ad incidere sulla garanzia dei creditori alla luce delle specifiche condizioni dell'impresa e, dall'altro, che tale effettivo pericolo non sia stato neutralizzato da una successiva attività "riparatoria" di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento (Cass., sez. V, 4 ottobre 2018, n. 44110). Ecco, dunque, la ragione per cui un fatto di bancarotta può essere ben realizzato – anche a distanza di tempo dalla dichiarazione di fallimento – da un amministratore diverso da quello subentrato e non più in carica al momento dell'apertura della procedura concorsuale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.