Actio iudicati

18 Febbraio 2019

L'art. 2953 c.c. prevede una modificazione del termine di prescrizione del diritto fatto valere in giudizio che, se soggetto originariamente ad una prescrizione più breve, viene assoggettato alla prescrizione decennale allorché intervenga una sentenza di condanna.
Inquadramento

L'art. 2953 c.c. prevede una modificazione del termine di prescrizione proprio del diritto fatto valere in giudizio che, se soggetto originariamente ad una prescrizione più breve, viene assoggettato alla prescrizione decennale allorché intervenga una sentenza di condanna.

L'esplicita previsione della norma delle sentenze di condanna esclude che tale modificazione del termine di prescrizione possa aversi con riguardo alle sentenze di mero accertamento o costitutive, ma nemmeno nei confronti dei diritti rispetto ai quali l'ordinamento prescrive un termine di prescrizione più lungo del decennio. Parimenti esclusi sono i diritti imprescrittibili o, comunque, le situazioni giuridiche o gli status che l'ordinamento non assoggetta alla prescrizione.

Autorevole dottrina ha precisato, in senso critico rispetto ad altra ricostruzione, che non vi è una correlazione necessaria tra la sentenza di condanna e l'esecuzione forzata. Nel rinviare all'A. per ulteriori approfondimenti sul punto (A. Proto Pisani, Sentenza di condanna, 5 e ss.) bisogna rilevare che proprio l'art. 2953 c.c. è una delle norme che consentono di escludere tale necessaria correlazione. Ciò perché l'interpretazione più semplice e letterale della disposizione normativa in parola induce a ritenere che il legislatore con tale disposizione abbia voluto rinforzare la tutela dei diritti originariamente assoggettati a prescrizione breve laddove rispetto a tali diritti sia intervenuta una sentenza di condanna passata in giudicato. Nulla però induce a ritenere che la ragione di tale rafforzamento della tutela sia da rinvenire nella idoneità della sentenza ad essere titolo esecutivo e ciò per diversi motivi di cui uno direttamente collegato alla previsione dell'art. 2953 c.c.. Infatti se il legislatore avesse considerato oggetto della c.d. actio iudicati non già il diritto ma l'azione esecutiva egli non avrebbe subordinato la produzione dell'effetto modificativo della prescrizione al passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

In evidenza

Ai sensi dell'art. 2953 c.c. «i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni». La norma prevede pertanto una modificazione del termine di prescrizione proprio del diritto fatto valere in giudizio che, se soggetto originariamente ad una prescrizione più breve, viene assoggettato alla prescrizione decennale allorché intervenga una sentenza di condanna.

Ambito di applicazione dell'actio iudicati

Secondo la dottrina con l'espressione “sentenza di condanna” contenuta nella previsione dell'art. 2953 c.c. bisogna intendere ogni provvedimento che abbia i caratteri della decisorietà e definitività e, pertanto, anche i provvedimenti decisori che hanno portata equivalente rispetto alla sentenza di condanna in senso tecnico, come, per es. il decreto ingiuntivo non opposto o il lodo arbitrale esecutivo. In sostanza con il riferimento alla sentenza di condanna il legislatore minus dixit quam voluit, dovendosi intendere il rinvio in senso ampio, ossia a tutti i provvedimenti con portata decisoria previsti dal codice di procedura civile ma anche nelle leggi speciali.

Il principio è confermato anche dalla giurisprudenza atteso che essa esclude la modifica del termine prescrizionale soltanto per le sentenze dichiarative o costitutive o, come ricordato sopra, per i diritti imprescrittibili.

Si è infatti precisato che Il termine di prescrizione di cui all'art. 2953 c.c. si riferisce alle sole sentenze di condanna e quindi non è applicabile alle sentenze di risoluzione dei contratti, che sono, invece, dichiarative o costitutive, a seconda che ricorrano le ipotesi di cui agli artt. 1454, 1456, 1457 c.c. ovvero quelle di cui agli artt. 1453 e 1467, con la conseguenza che ai diritti oggetto del contratto dichiarato risolto si applica il regime prescrizionale proprio di essi e, trattandosi del diritto di proprietà, il regime della imprescrittibilità, tranne che si sia verificata l'usucapione in favore di terzi (in termini si veda Cass. civ., sez. II, 31 maggio 1990, n. 5121).

La norma non sarebbe applicabile nemmeno, ancorché siano state riconosciute con sentenza passata in giudicato, alle facoltà rientranti nel contenuto del diritto di proprietà, come quella di esigere il rispetto delle distanze legali nelle costruzioni, le quali sono imprescrittibili, salvo gli effetti dell'usucapione (in questo senso Cass. civ., sez. II, 24 agosto 1991, n. 9088); ugualmente se la situazione stessa non è soggetta a prescrizione, perché essa si esaurisce nell'attribuzione alla parte istante di un potere di natura processuale ovvero involge diritti indisponibili, quali quelli relativi allo status di figlio, non è configurabile una prescrizione per l'azione derivante dal relativo giudicato. Dichiarata, quindi, ai sensi dell'art. 274 c.c. l'ammissibilità dell'azione diretta alla dichiarazione giudiziale di paternità (o maternità) naturale è irrilevante che l'azione di merito sia proposta trascorsi dieci anni dal passaggio in giudicato della pronuncia di ammissibilità (Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2004, n. 18053).

Essa è invece applicabile ad esempio in tema di riscossione delle imposte perché, laddove il relativo diritto sia fondato su sentenza passata in giudicato, esso non è assoggettato ai termini di decadenza di cui all'art. 25 d.P.R. n. 602/1973 ma, piuttosto, al termine di prescrizione posto dall'art. 2953 c.c. previsto per l'actio iudicati (in tal senso, di recente, Cass. civ., sez. VI, 15 maggio 2018, n. 11862, in precedenza v. Cass. civ., sez. V, 17 febbraio 2016 n. 3125); la necessità della sentenza di condanna è confermata dall'affermazione che, invece, il diritto alla riscossione di un'imposta azionato mediante emissione e notifica di una cartella di pagamento non opposta è soggetto alla ordinaria prescrizione quinquennale perché in tale ipotesi non vi è un accertamento giurisdizionale che comporti l'applicazione del termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2953 c.c. (ad es. Cass. civ., sez. V, 29 novembre 2017, n. 28576 ma anche Cass. civ., sez. V, 7 aprile 2017 n. 9076). Non è in tal senso sentenza di condanna la sentenza tributaria che annulla o conferma l'atto impugnato e, pertanto, per essa vale la prescrizione quinquennale ordinaria e non quella decennale prorogata ex art. 2953 c.c. (si veda ad es. Comm. trib. regionale Veneto, Venezia, sez. VII, 29 febbraio 2016). Sul tema della riscossione delle imposte e, in particolare, su se la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione per decorrenza del termine previsto dall'art. 24, comma 5, d.lgs. 46/1999 provocasse anche l'effetto di rendere operativo l'art. 2953 c.c. per l'operatività del termine decennale, era però sorto, prima della giurisprudenza recente ora riportata, un contrasto giurisprudenziale poi risolto con una pronuncia delle Sezioni Unite del 2016. Sul punto rinvio a quanto esposto ultra, nel paragrafo ad esso dedicato. Nello schema seguente si riportano gli orientamenti giurisprudenziali attuali in tema di riscossione delle imposte e crediti tributari sull'applicabilità dell'actio iudicati qualora il diritto sia fondato su sentenza passata in giudicato.

Orientamenti a confronto

Actio iudicati e riscossione delle imposte: orientamenti attuali

La giurisprudenza del Supremo Collegio è costante nell'affermare che in tema di riscossione delle imposte, ove il diritto sia fondato su sentenza passata in giudicato, esso non è soggetto al termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 25 d.P.R. n. 602/1973, ma al termine di prescrizione decennale dell'art. 2953 c.c., che decorre dal momento in cui la sentenza diviene definitiva.

Infatti il diritto di credito dell'amministrazione finanziaria in relazione a tributi e sanzioni, quando sia stato accertato con sentenza passata in giudicato è soggetto al termine di prescrizione decennale anche se per esso la legge prevede specificamente un termine più breve, perché determinando il giudicato una sorta di novazione giudiziale del rapporto tributario in contestazione, trova applicazione il termine di prescrizione di cui all'art. 2953 c.c..

Cass. civ., sez. VI, 15 maggio 2018, n. 11862; Cass. civ., sez. V, 17 febbraio 2016, n. 3125; Cass. civ., sez. V, 7 aprile 2017 n. 9076;

Cass. civ., sez. V, 19 luglio 2013, n. 17669.

Analogamente si afferma che il diritto alla riscossione dell'imposta azionato tramite emissione e notifica della cartella di pagamento è soggetto a prescrizione quinquennale perché difetta dell'accertamento giurisdizionale che porti all'applicazione del termine di prescrizione decennale (non vi è sentenza di condanna ex art. 2953 c.c.).

Cass. civ., sez. V, 29 novembre 2017, n. 28576

Rispetto alla cartella di pagamento relativa a somme dovute a seguito di sentenza passata in giudicato si è affermato che essa deve essere notificata entro il termine decadenziale quinquennale perché non trova applicazione il più ampio termine di prescrizione previsto dall'art. 2953 c.c. atteso che la sentenza tributaria non condanna il contribuente al pagamento ma annulla o conferma l'atto impugnato.

Nemmeno si applica il termine decennale dell'art. 2953 c.c. laddove la definitività dell'accertamento derivi non già da una sentenza passata in giudicato ma dalla dichiarazione di estinzione del processo tributario per inattività delle parti.

Comm. Trib. Regionale Veneto, Venezia, sez. VII, 29 febbraio 2016.

Cass. civ., sez. V, 6 marzo 2015, n. 4574.

Decorrenza dell'actio iudicati

Ci si è peraltro interrogati anche sul momento di decorrenza del termine prescrizionale modificato ex art. 2953 c.c. che, a parere della giurisprudenza, decorre dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, mentre non hanno rilevanza né il giorno dal quale si può eseguire la sentenza stessa, né quello della pubblicazione (in tal senso Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2014, n. 15765). Non è l'esistenza né l'esecutività della sentenza in sé che determina l'applicabilità del termine decennale della prescrizione, ma il giudicato, con la conseguenza che finché c'è solo la sentenza ma non ancora il giudicato non opera il termine di prescrizione decennale da actio iudicati. Ciò comporta che, se si tratta di sentenza soggetta ad impugnazione, la prescrizione da actio iudicati inizia a decorrere non dalla pubblicazione di essa ma dalla completa decorrenza del termine per impugnare.

Soggetti nei cui confronti l'actio iudicati può farsi valere

Secondo la giurisprudenza della Cassazione la conversione del termine di prescrizione previsto dall'art. 2953 c.c. è invocabile anche nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al processo nel quale fu pronunciata la sentenza passata in giudicato, a meno che non si tratti di diritti che non furono oggetto di valutazione o decisione (in tal senso Cass. civ. sez. III, 13 dicembre 1993 n. 12253 ma anche giurisprudenza più risalente e conforme).

Actio iudicati e riscossione mediante ruolo: la decorrenza del termine perentorio per l'opposizione a cartella di pagamento

Sul tema era sorto un contrasto giurisprudenziale risolto nel 2016 dalle Sezioni Unite. In particolare il quesito posto alle Sezioni Unite era quello se la decorrenza del termine perentorio per fare opposizione a cartella di pagamento di cui all'art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46/1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produca soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito oppure determini anche l'effetto di rendere applicabile l'art. 2953 c.c., ai fini della operatività del termine di prescrizione breve in quello decennale.

Secondo l'orientamento dominante e anche più risalente, la conversione del termine di prescrizione da quinquennale a decennale si può avere, come visto, soltanto per effetto di sentenza passata in giudicato o di decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato formale e sostanziale (si vedano le sentenze citate supra e riportate anche nella tabella seguente) e, rispetto alla riscossione coattiva dei crediti questa norma viene considerata applicabile solo quando il titolo sulla cui base è iniziata la riscossione non è l'atto amministrativo, ma il provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo (Cass. civ. 11 marzo 1996, n. 1980; Cass. civ., 10 marzo 1996, n. 1965; Cass. civ., 22 dicembre 1989, n. 5777). In particolare, secondo questo orientamento, l'atto di avvio del procedimento di riscossione forzata, indipendentemente dal credito cui si riferisce (sia se attenga al pagamento di tributi o contributi previdenziali, sia che attenga a sanzioni pecuniarie per violazioni tributarie e amministrative), è privo di attitudine al giudicato perché espressione del potere di accertamento della P.A.. E, quindi il decorso del termine perentorio per proporre l'opposizione, produce, oltre all'effetto della decadenza dall'impugnazione, soltanto l'effetto della irretrattabilità del credito e quindi l'inapplicabilità dell'art. 2953 c.c. (In questo senso Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12263; Cass. civ., 16 novembre 2006, n. 24449; Cass. civ., 26 maggio 2003 n. 8335).

Su questo principio si è attestata la giurisprudenza anche a seguito di una pronuncia delle Sezioni Unite del 2009 in cui si è affermato che il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni per effetto dell'actio iudicati, mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile vale il termine di prescrizione di cinque anni (Cass. civ., Sez. Un., 10 dicembre 2009, n. 25790).

Anche con riferimento ai crediti derivanti da omissioni o evasioni di contributi previdenziali si è sempre affermato il principio per cui in caso di condanna con decreto o sentenza penale per il mancato o ritardato versamento di contributi assicurativi il diritto dell'INPS al recupero delle somme non è soggetto a prescrizione quinquennale ma alla decennale dell'actio iudicati e anche dopo la depenalizzazione delle fattispecie in questione si è affermato che l'ordinanza-ingiunzione di pagamento delle sanzioni pecuniarie è un atto amministrativo e non giurisdizionale e, quindi, si differenzia nettamente dal decreto ingiuntivo e non può produrre l'effetto dell'actio iudicati (in questo senso di recente Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2012 n. 13516 e Cass. civ., sez. I, 1° aprile 2004, n. 6362).

In questa cornice interpretativa vanno inserite le sentenze della sezione lavoro che hanno individuato la categoria dei c.d. titoli esecutivi paragiudiziali, accanto a quella dei titoli giudiziali che hanno l'attitudine a divenire, in caso di mancata opposizione o di opposizione proposta fuori termine, definitivi e incontrovertibili (per tutte Cass. civ., 26 ottobre 1991, n. 11421), principio poi ribadito con specifico riferimento alla cartella esattoriale di pagamento relativa alla riscossione di contributi previdenziali (Cass. civ., sez. lav., 11 agosto 1993, n. 8624) senza però che vi fosse alcun richiamo al termine di prescrizione dell'art. 2953 c.c. dato che in queste sentenze la definitività del titolo era collegata al diritto sostanziale ma non alla conversione del termine di prescrizione.

Il problema è sorto con una pronuncia della V sezione del 2004 con cui si è affermato – in tema di iscrizione a ruolo per l'IVA – che per effetto della iscrizione l'Ufficio forma un titolo esecutivo cui si applica il termine di prescrizione decennale dell'art. 2946 c.c., senza però far cenno all'actio iudicati (Cass. civ., sez. V, 26 agosto 2004, n. 17051). A seguito di questa pronuncia la sezione lavoro ha affermato il principio per cui, divenuta intangibile la pretesa contributiva per effetto della mancata opposizione a cartella esattoriale il diritto alla contribuzione non è più soggetto alla estinzione per prescrizione e si può prescrivere soltanto l'azione diretta all'esecuzione del titolo cui trova applicazione il termine di prescrizione decennale, in conformità a quanto previsto per l'actio iudicati (Cass. civ., sez. lav., 24 febbraio 2014, n. 4338 e Cass. civ., sez. lav., 8 giugno 2015 n. 11749, in entrambe le sentenze il principio è contenuto in un obiter dictum). Si è però su questa stregua pervenuti ad una pronuncia del 2016 in cui si è affermato in modo vincolante l'applicabilità dell'art. 2953 c.c. alla cartella di pagamento divenuta definitiva perché non opposta nel termine perentorio (Cass. civ. sez. lav. 15 marzo 2016 n. 5060).

Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite nel 2016, le quali hanno affermato due principi di diritto:

  • che la scadenza del termine perentorio per l'opposizione alla cartella di pagamento, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce solo l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l'effetto della conversione del termine di prescrizione breve in ordinario; l'actio iudicati si applica infatti solo quando intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo mentre la cartella, essendo atto amministrativo, è priva dell'attitudine all'efficacia di giudicato;
  • la scadenza del termine perentorio per opporsi o impugnare un atto di riscossione tramite ruolo o di riscossione coattiva produce unicamente l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche la conversione del termine di prescrizione da breve in ordinario ex art. 2953 c.c.. Questo principio si applica con riguardo a tutti gli atti di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali o di crediti tributari o extratributari nonché di crediti di enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative, sicché qualora per i crediti relativi sia prevista una prescrizione più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre opposizione non consente di applicare l'art. 2953 c.c. se non in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo (Cass. civ., sez. un., 17 novembre 2016 n. 23397).
Orientamenti a confronto

Actio iudicati

e riscossione delle imposte: la decorrenza del termine per l'opposizione

Secondo l'orientamento dominante e anche più risalente, la conversione del termine di prescrizione da quinquennale a decennale si può avere, come visto, soltanto per effetto di sentenza passata in giudicato o di decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato formale e sostanziale

Rispetto alla riscossione coattiva dei crediti questa norma viene considerata applicabile solo quando il titolo sulla cui base è iniziata la riscossione non è l'atto amministrativo, ma il provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo.

Secondo questo orientamento, l'atto di avvio del procedimento di riscossione forzata, indipendentemente dal credito cui si riferisce (sia se attenga al pagamento di tributi o contributi previdenziali, sia che attenga a sanzioni pecuniarie per violazioni tributarie e amministrative), è privo di attitudine al giudicato perché espressione del potere di accertamento della P.A. E, quindi il decorso del termine perentorio per proporre l'opposizione, produce, oltre all'effetto della decadenza dall'impugnazione, soltanto l'effetto della irretrattabilità del credito e quindi l'inapplicabilità dell'art. 2953 c.c.

Cass. civ., sez. VI, 15 maggio 2018, n. 11862; Cass. civ., sez. V, 17 febbraio 2016, n. 3125; Cass. civ., sez. V, 7 aprile 2017 n. 9076; Cass. civ. 29 febbraio 2016, n. 3987

Cass. civ. 11 marzo 1996, n. 1980; Cass. civ., 10 marzo 1996, n. 1965; Cass. civ., 22 dicembre 1989, n. 5777

In questo senso Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12263; Cass. civ. 16 novembre 2006, n. 24449; Cass. civ. 26 maggio 2003 n. 8335

Anche con riferimento ai crediti derivanti da omissioni o evasioni di contributi previdenziali si è sempre affermato il principio per cui in caso di condanna con decreto o sentenza penale per il mancato o ritardato versamento di contributi assicurativi il diritto dell'INPS al recupero delle somme non è soggetto a prescrizione quinquennale ma alla decennale dell'actio iudicati e anche dopo la depenalizzazione delle fattispecie in questione si è affermato che l'ordinanza-ingiunzione di pagamento delle sanzioni pecuniarie è un atto amministrativo e non giurisdizionale e, quindi, si differenzia nettamente dal decreto ingiuntivo e non può produrre l'effetto dell'actio iudicati.

In questa cornice interpretativa vanno inserite le sentenze della sezione lavoro che hanno individuato la categoria dei c.d. titoli esecutivi paragiudiziali, accanto a quella dei titoli giudiziali che hanno l'attitudine a divenire, in caso di mancata opposizione o di opposizione proposta fuori termine, definitivi e incontrovertibili, principio poi ribadito con specifico riferimento alla cartella esattoriale di pagamento relativa alla riscossione di contributi previdenziali senza però che vi fosse alcun richiamo al termine di prescrizione dell'art. 2953 c.c. dato che in queste sentenze la definitività del titolo era collegata al diritto sostanziale ma non alla conversione del termine di prescrizione.

Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2012 n. 13516 e Cass. civ., sez. I, 1° aprile 2004, n. 6362

Cass. civ. 26 ottobre 1991 n. 11421

Cass. civ., sez. lav., 11 agosto 1993, n. 8624

Il problema è sorto con una pronuncia della V sezione del 2004 con cui si è affermato – in tema di iscrizione a ruolo per l'IVA – che per effetto della iscrizione l'Ufficio forma un titolo esecutivo cui si applica il termine di prescrizione decennale dell'art. 2946 c.c., senza però far cenno all'actio iudicati. A seguito di questa pronuncia la sezione lavoro ha affermato il principio per cui, divenuta intangibile la pretesa contributiva per effetto della mancata opposizione a cartella esattoriale il diritto alla contribuzione non è più soggetto alla estinzione per prescrizione e si può prescrivere soltanto l'azione diretta all'esecuzione del titolo cui trova applicazione il termine di prescrizione decennale, in conformità a quanto previsto per l'actio iudicati. Si è però su questa stregua pervenuti ad una pronuncia del 2016 in cui si è affermato in modo vincolante l'applicabilità dell'art. 2953 c.c. alla cartella di pagamento divenuta definitiva perché non opposta nel termine perentorio.

Cass. civ., sez. V, 26 agosto 2004, n. 17051

Cass. civ., sez. lav., 24 febbraio 2014, n. 4338 e Cass. civ., sez. lav., 8 giugno 2015 n. 11749, in entrambe le sentenze il principio è contenuto in un obiter dictum

Cass. civ., sez. lav., 15 marzo 2016, n. 5060

Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite nel 2016, le quali hanno affermato due principi di diritto:

  • che la scadenza del termine perentorio per l'opposizione alla cartella di pagamento, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce solo l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l'effetto della conversione del termine di prescrizione breve in ordinario; l'actio iudicati si applica infatti solo quando intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo mentre la cartella, essendo atto amministrativo, è priva dell'attitudine all'efficacia di giudicato;
  • la scadenza del termine perentorio per opporsi o impugnare un atto di riscossione tramite ruolo o di riscossione coattiva produce unicamente l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche la conversione del termine di prescrizione da breve in ordinario ex art. 2953 c.c. Questo principio si applica con riguardo a tutti gli atti di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali o di crediti tributari o extratributari nonché di crediti di enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative, sicché qualora per i crediti relativi sia prevista una prescrizione più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre opposizione non consente di applicare l'art. 2953 c.c. se non in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo.

Cass. civ., Sez. Un., 17 novembre 2016 n. 23397

La condanna generica

Premesso che l'art. 2953 c.c., senza alcuna distinzione nei contenuti della sentenza di condanna, ad essa ricollega, purché passata in giudicato, l'effetto di modificare il termine di prescrizione più breve convertendolo in quello decennale, bisogna ricordare che la norma nulla dice quanto all'applicabilità di questo principio alle sentenze di condanna generica o ai provvedimenti di condanna che abbiano una forma diversa dalla sentenza, come, ad es., il decreto ingiuntivo.

In giurisprudenza è però orientamento costante quello per cui la condanna generica, pur se non suscettibile di essere eseguita, è una sentenza che impone al debitore di adempiere pur se il quantum verrà fissato con successivo provvedimento. Sicché secondo la giurisprudenza l'azione rivolta alla determinazione del danno è assoggettata al termine di prescrizione di cui all'art. 2953 c.c., che decorre dalla data in cui la sentenza di condanna diventa irrevocabile. Si è ad esempio affermato che l'obbligazione risarcitoria scaturente dall'illecito aquiliano, normalmente soggetta alla prescrizione breve ex art. 2947 c.c., per effetto di una pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno, emessa anche a seguito di procedimento penale in favore del danneggiato costituitosi parte civile, diventa soggetta alla prescrizione decennale ex iudicato (Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2002 n. 17825). Anche in tema di risarcimento del danno ambientale si è affermato che nel caso sia stata pronunciata sentenza penale che contenga anche la condanna generica al risarcimento del danno ambientale, l'azione per la relativa quantificazione si prescrive, a norma dell'art. 2953 c.c, in dieci anni, decorrenti dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile (Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2015 n. 6901).

Il decreto ingiuntivo

Abbiamo visto come in generale l'actio iudicati possa collegarsi anche a provvedimenti diversi dalla sentenza purché si tratti di provvedimenti condannatori idonei al giudicato. Rispetto al decreto ingiuntivo va però segnalato che è necessario diversificare le ipotesi.

Se è quindi certo che dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che decide sull'opposizione a decreto ingiuntivo ovvero del decreto stesso decorre il diverso termine di prescrizione previsto dall'art. 2953 c.c. (si veda ad es. Cass. civ., sez. lav., 1° settembre 2017 n. 20684), vi sono però dei casi in cui ciò, secondo il Supremo Collegio, non può verificarsi.

Infatti la conversione in decennale del termine prescrizionale per effetto del giudicato non si verifica a seguito di decreto ingiuntivo non opposto ma privo della dichiarazione ex art. 647 c.p.c., bensì nel momento in cui il giudice, dopo aver controllato la notificazione del decreto, lo dichiari esecutivo, poiché il procedimento di cui all'art. 647 c.p.c. non ha una mera funzione di attestazione, analoga a quella della cancelleria circa l'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza, bensì quella, assai più penetrante, di una verifica giurisdizionale della regolarità del contraddittorio, che si pone all'interno del procedimento monitorio e che conclude l'attività in esso riservata al giudice in caso di mancata opposizione. L'effetto di cui all'actio iudicati sul termine di prescrizione si collega, infatti, ad un provvedimento giurisdizionale passato in giudicato, e tale qualità non può che essere attribuita al decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c., dal momento che solo per esso l'art. 656 c.p.c. prevede l'esperibilità dei mezzi straordinari d'impugnazione per la sentenza passata in giudicato (Cass. civ., sez. lav., 24 gennaio 2018, n. 1774).

Riferimenti
  • Azzariti-Scarpello, Della prescrizione e della decadenza, in Comm. Scialoja-Branca, art. 1953 c.c., Bologna-Roma, 1977;
  • Proto Pisani, voce Sentenza di condanna, in Digesto (disc. Priv. Sez. civ.), vol. XVIII, Torino, 1998, 295 e ss.;
  • Roselli-Vitucci, La prescrizione e la decadenza, in Trattato Rescigno, 20, Torino, 1998;
  • Ruperto, La prescrizione, in Comm. Schlesinger, art. 2953 c.c., Milano, 1999.

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