Carenza di vigilanza nel sistema del controllo interno sull’operato degli amministratori

Deborah Gallo
18 Febbraio 2019

In relazione all'attività del collegio sindacale, ad esso non è affidato un controllo di merito sull'opportunità delle scelte di gestione degli amministratori, ma piuttosto essi hanno l'obbligo di vigilare sull'adeguatezza delle strutture organizzative e dei sistemi di controllo interno e contabile e sull'affidabilità di quest'ultimo al fine di rappresentare adeguatamente i fatti gestionali; tale potere non si esplica soltanto sulla base delle informazioni offerte dagli amministratori, ma anche attraverso i poteri di indagine ad essi attribuiti, con la conseguenza che eventuali inadempimenti dell'organo amministrativo non valgono ad escludere la responsabilità dei sindaci.
Massima

La disciplina dei termini ordinatori di cui all'art. 154 c.p.c. è concretamente applicabile solo nell'ambito del procedimento giurisdizionale (in cui il giudice sia l'autorità, terza e indipendente, alla quale è demandata l'eventuale proroga, in vista del governo del giusto processo) e non anche nell'ambito del processo amministrativo – tributario.

In tema di sanzioni amministrative, il momento dell'accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, va individuato in quello in cui la contestazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia anche delle peculiarità del caso concreto.

Ai fini del rispetto del principio del contraddittorio, è sufficiente che venga effettuata la contestazione dell'addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell'interessato; inoltre, i precetti costituzionali riguardanti il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il giusto processo (art. 111 Cost.) riguardano espressamente e solo il giudizio che si svolge innanzi ad un giudice e non anche il procedimento amministrativo, ancorché finalizzato all'emanazione di provvedimenti incidenti su diritti soggettivi.

In relazione all'attività del collegio sindacale, ad esso non è affidato un controllo di merito sull'opportunità delle scelte di gestione degli amministratori, ma piuttosto essi hanno l'obbligo di vigilare sull'adeguatezza delle strutture organizzative e dei sistemi di controllo interno e contabile e sull'affidabilità di quest'ultimo al fine di rappresentare adeguatamente i fatti gestionali; tale potere non si esplica soltanto sulla base delle informazioni offerte dagli amministratori, ma anche attraverso i poteri di indagine ad essi attribuiti, con la conseguenza che eventuali inadempimenti dell'organo amministrativo non valgono ad escludere la responsabilità dei sindaci.

Il caso

Con delibera n. 19296 del 30 luglio 2015, la Consob ha applicato a un componente del collegio sindacale di Telecom Italia S.p.A. sanzioni pecuniarie per un ammontare di euro 90.000, di cui euro 63.000 per la violazione dell'art. 149, comma 1, lett. a), b) e c) del d. lgs. n. 58/1998 (TUF), con riferimento alla carenza di vigilanza nel sistema di controllo interno sull'operato degli amministratori, ed euro 27.000 per la violazione dello stesso articolo con riferimento alle carenze nell'attività di vigilanza sull'operato dell'organo di amministrazione in merito ai doveri previsti dall'art. 2391 c.c..

Avverso tale provvedimento, il sindaco ha proposto opposizione davanti alla Corte d'Appello di Milano che, nel contradditorio con la Consob, ha rigettato l'opposizione riconoscendo che il Regolamento Consob in questione non viola il principio del contradditorio e il diritto di difesa; ha, altresì, riconosciuto che la contestazione degli addebiti era avvenuta tempestivamente, nel rispetto del termine perentorio previsto dall'art. 195 TUF.

Nel merito, la Corte d'Appello ha riconosciuto che i sindaci non avevano attivato alcuni dei poteri informativi, ispettivi e reattivi loro riconosciuti dall'ordinamento. Inoltre, la Corte ha disatteso l'obiezione del ricorrente secondo cui l'art. 2391 c.c. non poteva trovare applicazione con riferimento alle riunioni del comitato di controllo, posto che la norma si riferisce a “deliberazioni del consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo”. Secondo la Corte d'appello milanese, infatti, la notizia prevista dal primo comma della norma in esame deve essere data “agli amministratori e al collegio sindacale”, senza distinguere tra organo collegiale, consiglio di amministrazione o comitato esecutivo. La Corte ha, infine, riconosciuto congrue le sanzioni in concreto applicate.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano, il B.E.M. ha proposto ricorso per Cassazione e la Consob ha resistito con controricorso.

Le questioni e le soluzioni giuridiche

Le tematiche sottese alla pronuncia in commento sono molteplici e possono essere così riassunte: decorrenza dei termini per opposizione da parte della Consob; poteri-doveri del collegio sindacale e rispetto del principio del contradditorio; applicazione del favor rei nel processo sanzionatorio amministrativo.

Iniziamo analizzando un primo aspetto relativo alla decorrenza del termine per la proposizione dell'opposizione da parte della Consob. In relazione alla questione relativa all'individuazione del dies a quo dal quale decorre il termine per l'opposizione da parte della Consob, la Cassazione ha confermato l'orientamento prevalente secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, il procedimento preordinato alla loro irrogazione sfugge all'ambito di applicazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto, per la sua natura sanzionatoria, è compiutamente retto dai principi sanciti dalla legge 21 novembre 1981, n. 689.

Secondo l'orientamento prevalente, infatti, tale termine deve essere stabilito di volta in volta in quanto va valutato in relazione alle singole fattispecie, senza poter essere prestabilito, ma è da rintracciarsi nel periodo di tempo necessario per compiere una giusta valutazione di tutti i dati acquisiti. L'orientamento consolidato anche dalle Sezioni Unite (in tema, Cass. Civ., SS. UU., del 9 marzo 2007, n. 5395) è quello secondo cui il termine per la contestazione delle violazioni da parte della Consob decorre dal giorno in cui, dopo la fine dell'attività ispettiva e dell'eventuale istruttoria, la Commissione in composizione collegiale è in grado di adottare le decisioni di sua competenza, senza che si possa tenere conto di ingiustificati ritardi derivanti da disfunzioni burocratiche. (Sul punto, si legga anche G. Napolitano, Manuale dell'illecito amministrativo, Rimini, 2017, 216 e ss.; in giurisprudenza si veda anche: Cass. Civ. 13 aprile 2010, n. 8763; Cass. Civ. 22 aprile 2016, n. 8210).

Tra i motivi di impugnazione innanzi alla Suprema Corte vi è anche quello relativo alla violazione o falsa applicazione dell'art. 195 TUF e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in quanto secondo i ricorrenti la Corte d'Appello avrebbe omesso di verificare se l'accertamento si fosse prolungato oltre il limite di ragionevolezza, avuto riguardo al carattere perentorio del termine concesso all'amministrazione per effettuare la contestazione. Anche in questo caso, però, l'orientamento giurisprudenziale è di senso contrario in quanto si ritiene che il momento dell'accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti della Consob, va individuato in quello in cui la contestazione si è tradotta in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni, tanto più ove la violazione sia riferibile ad un tempo ben determinato e circoscritto (Cass. Civ., 19 maggio 2004, n. 9456; Cass. Civ., 3 maggio 2016, n. 8687).

Inoltre, in relazione al richiamo a quanto disposto dall'art. 154 c.p.c., la pronuncia in commento, uniformandosi con l'orientamento giurisprudenziale prevalente, ha stabilito che: la disciplina dei termini ordinatori di cui alla citata norma è applicabile solo nell'ambito di un procedimento giurisdizionale – in cui il giudice sia l'autorità, terza e indipendente, alla quale è demandata l'eventuale proroga, in vista del governo del giusto processo –, e non anche di un processo amministrativo – tributario caratterizzato da impulso, soggetti, struttura, funzioni affatto peculiari e diversi da quelli del processo civile”.

Pertanto, quando un termine non sarà configurabile come ordinatorio non potrà che essere considerato come un termine meramente “acceleratorio”, previsto dalla legge a fini di organizzazione interna dell'amministrazione (in tal senso anche, Cass. Civ., 8 agosto 2003, n. 11988).

Inoltre, il ricorrente lamentava anche la violazione del principio di contraddittorio in quanto non sarebbero stati trasmessi all'interessato le conclusioni dell'ufficio sanzioni con la conseguente impossibilità di interloquire; sul punto, i giudici della Suprema Corte si sono espressi in modo negativo osservando che con tale condotta non si concretizza una violazione del principio del contraddittorio, con conseguente mancata violazione dell'art. 6 CEDU, in quanto pur avendo le sanzioni natura sostanzialmente penale, il provvedimento con cui esse vengono irrogate è assoggettato ad un sindacato giurisdizionale pieno, attuato nell'ambito di un giudizio che assicura le garanzie del giusto processo (in tal senso: Cass. Civ, 22 aprile 2016, n. 8210, cit.; Cass. Civ., 4 settembre 2014, n. 18683).

Infine, per quanto riguarda l'obbligo di vigilanza sugli amministratori, la prevalente giurisprudenza di legittimità afferma che al collegio sindacale non è affidato un controllo di merito sull'opportunità delle scelte di gestione degli amministratori, ma vige piuttosto un obbligo di vigilare sull'adeguatezza delle strutture organizzative e dei sistemi di controllo interno e contabile e sull'affidabilità di quest'ultimo al fine di rappresentare adeguatamente i fatti gestionali” (così, Cass. Civ., 7 marzo 2018, n. 5357).

Per meglio adempiere al loro compito, quindi, i sindaci devono utilizzare non soltanto le informazioni che sono fornite loro dagli amministratori, ma devono attivarsi attraverso l'utilizzo di strumenti informativi e l'attuazione di poteri di indagine loro attribuiti in virtù dell'art. 149 TUF (come il potere di ispezione o la richiesta di chiarimenti sull'operato). Ed è proprio in virtù di tali poteri a loro attribuiti che l'eventuale adempimento parziale dei doveri di informazione da parte dell'organo amministrativo non esclude la responsabilità dei sindaci (in tal senso, anche, Cass. Civ., 29 marzo 2016, n. 6037, in questo portale, con nota di Compiani, Violazione del dovere di vigilanza e responsabilità del collegio sindacale).

Osservazioni

Le conclusioni alle quali sono giunti i giudici della Suprema Corte ricalcano gli orientamenti già affermati e consolidati in giurisprudenza sui principali temi affrontati dal ricorso, ovvero: l'individuazione del dies a quo e la sua qualificazione come termine perentorio o ordinatorio; la violazione del principio del contradditorio nell'ambito del procedimento amministrativo e il potere-dovere di vigilanza dei sindaci.

L'annosa questione relativa all'applicabilità o meno nell'ambito del processo sanzionatorio amministrativo dell'art. 154 c.p.c. anche in questo caso viene risolta in senso negativo, negando ancora una volta il richiamo della predetta norma nell'ambito del processo amministrativo(sulla disciplina dei termini ordinatori e perentori nell'ambito del processo amministrativo, per un approfondimento, si legga Trimarchi, Termine (diritto civile), in Novissimo Digesto, XIX, 1973, 95 e ss.; Giannini, Diritto amministrativo, II, Giuffrè, 1970, 414 e ss.).

In relazione all'applicabilità al processo amministrativo dell'art. 154 c.p.c., si è osservato che, accanto alle due categorie di termini perentori e ordinatori in senso proprio, nella prassi si individua anche la categoria dei termini ordinatori in senso lato, non previsti a pena di decadenza e insuscettibili di determinare decadenza anche dopo la valutazione del giudice (detti, anche da parte della dottrina, termini “canzonatori”); in giurisprudenza, poi, si è osservata una certa “incompatibilità” tra la categoria dei termini ordinatori in senso proprio e il processo tributario (sul punto, si legga: Marcheselli, Contenzioso tributario, Milano, 2014, 238 e ss.; in giurisprudenza: Cass. Civ., 8 agosto 2003, n. 11988).

Conclusioni

La pronuncia in commento, quindi, si uniforma all'orientamento prevalente sia per la disciplina dei termini ordinatori e perentori ritenendo applicabile le diposizioni ex art. 154 c.p.c. alla sola ipotesi del procedimento giurisdizionale e non anche nell'ambito del processo amministrativo–tributario, sia per i profili di responsabilità dei sindaci collegata al loro potere-dovere di vigilanza e controllo, nonché in relazione al rispetto del principio del contradditorio nell'ambito del processo amministrativo, andando a consolidare un orientamento già solido nella giurisprudenza di legittimità.

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