Principio di apparenza e impugnazione dell'ordinanza conclusiva del procedimento di liquidazione dei compensi degli avvocati

20 Febbraio 2019

La decisione in commento si è occupata della questione concernente la individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso il provvedimento che ha rigettato la domanda di pagamento dei compensi per prestazioni professionali proposta ai sensi degli artt. 702-bis e ss. c.p.c..
Massima

Il provvedimento con cui è stato deciso il giudizio riguardante la domanda di condanna al pagamento dei compensi di avvocato introdotto ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., seguendo il rito sommario codicistico e non quello speciale di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011, deve essere impugnato con l'appello ex art. 702-quaterc.p.c., in virtù dei principi di ultrattività del rito e di apparenza.

Il caso

Presentato ricorso ai sensi dell'art. 702-bisc.p.c. da parte di due avvocati per il pagamento dei compensi professionali, il tribunale adito rigettava la domanda osservando che, poiché i crediti erano sorti dopo l'omologa del concordato cui aveva avuto accesso la società convenuta in giudizio, le relative pretese avrebbero dovuto rivolgersi non nei confronti della procedura concordataria, ma della società che si era avvalsa della consulenza professionale prestata dagli attori.

Avverso detta ordinanza, i due professionisti proponevano ricorso per cassazione.

La questione

La decisione che qui brevemente si commenta si è occupata della questione concernente la individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso il provvedimento che ha rigettato la domanda di pagamento dei compensi per prestazioni professionali proposta ai sensi degli artt. 702-bis e ss. c.p.c..

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione, con motivazione chiara ed ineccepibile, dichiara inammissibile il ricorso, sulla base del seguente percorso logico argomentativo. Osserva il Suprema Corte che, in base agli atti di causa, appare incontestabile che i ricorrenti decisero di avvalersi del rito sommario di cognizione c.d. ordinario (o codicistico), in luogo di quello delineato dall'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 e che nessuna contestazione in ordine al rito prescelto dagli attori fu sollevata nel corso del procedimento di primo grado, il quale, infatti, si concluse con una declaratoria di rigetto per difetto di legittimazione a contraddire della parte convenuta. Detto comportamento, ad avviso del Collegio, comporta senza dubbio l'impossibilità per il ricorrente di sollevare qualsiasi censura in ordine all'errore nell'individuazione del rito applicabile, la quale peraltro era stata proposta al solo evidente scopo di conseguire la declaratoria di nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice (essendosi il processo svolto innanzi al tribunale in composizione monocratica, anziché davanti al collegio, come prevede l'art. 14, comma 2, d.lgs. n. 150/2011).

Prosegue l'estensore della decisione che l'aver seguito il rito sommario di cognizione c.d. ordinario di cui agli artt. 702-bis c.p.c. comportava che la relativa decisione dovesse essere impugnata con l'appello (così come statuisce l'art. 702-quaterc.p.c.) e non con il ricorso per cassazione (come invece prevede l'art. 14 d.lgs. cit.); conseguentemente, dichiara inammissibile l'impugnazione proposta, previa sua qualificazione come ricorso per cassazione omisso medio proposto in assenza di un previo accordo con la controparte avverso un provvedimento impugnabile con l'appello.

Osservazioni

La decisione segue di pochi mesi un precedente analogo (Cass. civ., 5 ottobre 2018, n. 24515, C. Maresca, Impugnazione del provvedimento conclusivo dell'opposizione a decreto ingiuntivo riguardante onorari di avvocato, www.ilProcessoCivile.it) ed è destinata, molto probabilmente, ad essere seguita da molte altre per effetto del revirement operato da Cass. civ.,Sez. Un., 23 febbraio 2018, n. 4485.

Fino alla decisione appena segnalata, infatti, gli avvocati potevano avvalersi di vari strumenti per tutelare il proprio diritto al compenso professionale: oltre al rito sommario di cognizione c.d. necessario di cui all'art. 14 d.lgs. 150/2011 e al procedimento monitorio, era possibile, in virtù di un'interpretazione del quadro normativo risultante dalla riforma del 2011 avallata anche in giurisprudenza, utilizzare il rito ordinario, nonché il rito sommario di cognizione c.d. codicistico di cui agli artt. 702-bis e ss. (sul punto, si veda A. Riccio, 2017, fasc. 1).

Con la rivoluzionaria Cass. civ.,Sez. Un., 23 febbraio 2018, n. 4485 si è assistito ad un cambio di rotta, essendo stato affermato dalla Cassazione che tutte le controversie in materia di liquidazione dei compensi (anche laddove riguardino l'an debeatur) vanno trattate nelle forme sì del procedimento sommario di cognizione, ma non di quello cd. “ordinario” previsto dal codice di procedura civile, bensì di quello cd. necessario o “speciale” di cui agli artt. 3, 4 e 14 del d.lgs. n. 150/2011, la cui ordinanza definitiva non è appellabile. Unica alternativa possibile è l'utilizzazione del procedimento monitorio, restando la fase dell'opposizione a decreto ingiuntivo regolata dal rito sommario di cognizione “speciale”, integrato dagli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c., restando pertanto esclusa la percorribilità sia del rito ordinario, sia di quello di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c..

Il revirement pone pertanto il Supremo Collegio di fronte alla questione di quale debba intendersi il mezzo di impugnazione da esperire avverso l'ordinanza del giudice che si sia pronunciato ai sensi del 702-ter c.p.c..

Correttamente, la Corte richiama i principi di ultrattività del rito e di apparenza, entrambi espressione della necessità di evitare che l'errore nella scelta del rito possa pregiudicare l'obiettivo del processo, che è quello di rispondere alla richiesta di tutela avanzata dall'attore.

Poiché costituisce principio pacifico ed incontestato che il rito non è condizione necessaria perché il giudice possa decidere nel merito la causa, è del pari indiscutibile che l'eventuale errore compiuto dalla parte nella risoluzione della questione di rito non è in grado di inficiare la validità degli atti posti in essere secondo le regole del procedimento che si asserisce essere stato impropriamente utilizzato.

Come più volte affermato in dottrina ed in giurisprudenza, il controllo sul rito deve essere effettuato d'ufficio dal giudice in limine litis ed è svincolato dalla volontà di chi agisce in giudizio, essendo il giudice investito del potere-dovere di qualificazione giuridica della res in judicium deducta e dovendo escludersi che l'errore di scelta del rito comporti di per sé solo la nullità degli atti compiuti con tale rito. La adozione di un rito errato, in altre parole, non è in grado di comportare alcuna nullità della pronuncia, né la stessa può essere dedotta quale motivo di impugnazione, con l'unica salvezza rappresentata dall'eventualità che detto errore sia stato causa di un pregiudizio al diritto di difesa della parte che lo invoca. Tale principio, più volte affermato in giurisprudenza (Cass. civ.,24 dicembre 1997, n. 13038; da ultimo, Cass. civ.,sez. II, 17 ottobre 2014, n. 22075; Cass. civ.,sez. III, 5 aprile 2016, n. 6543) viene giustamente ribadito anche dalla decisione in commento.

Condividendo detta premessa, ne discende che la parte che intenda gravare il provvedimento, per correttamente individuare il mezzo di impugnazione esperibile, non possa che tener conto della qualificazione data dal giudice all'azione proposta, indipendentemente dalla sua esattezza, onde garantire il rispetto dei principi della certezza dei rimedi impugnatori e dell'economia dell'attività processuale.

Come più volte affermato, l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base alla qualificazione data dal giudice all'azione proposta, alla controversia e alla sua decisione, prescindendo sia dalla sua esattezza, sia dal tipo di procedimento adottato dalla parte (cfr. Cass. civ.,Sez. Un., 24 febbraio 2005, n. 3816, in Giur. it.,2006, 1674; Cass. civ., Sez. Un., 1° febbraio 2008, n. 2434).

Guida all'approfondimento
  • G. Parisi, in Liquidazione del compenso degli avvocati e procedimento sommario di cognizione, in Giur. it., 2017, 370 ss.;
  • G. Trisorio Liuzzi, Il foro del consumatore e il procedimento per la liquidazione degli onorati di avvocato, in Corr. giur., 2015, 682 ss.;
  • A. Riccio, Estensione del giudizio all'an debeatur nel procedimento di liquidazione degli onorari forensi: quale rito applicabile?, in Foro Nap., 2017, fasc..

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