Agenzia e lavoro subordinato: elementi distintivi e gravità dell'inadempimento in caso di riqualificazione
25 Febbraio 2019
Massime
L'elemento distintivo tra il rapporto di agenzia e il lavoro subordinato va individuato nella circostanza che il primo ha per oggetto lo svolgimento a favore del preponente di un'attività economica esercitata in forma imprenditoriale, con organizzazione di mezzi e assunzione del rischio da parte dell'agente che si manifesta nell'autonomia nella scelta dei tempi e modi della stessa, nel rispetto delle istruzioni del preponente, mentre oggetto del secondo è la prestazione, in regime di subordinazione, di energie lavorative, il cui risultato rientra esclusivamente nella sfera dell'imprenditore, che sopporta il rischio dell'attività svolta.
Il licenziamento per cosiddetto scarso rendimento costituisce un'ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che si pone come specie della risoluzione per inadempimento ex artt. 1453 ss., c.c.
In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso è rimesso al giudice di merito e si sostanzia nella valutazione di gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto; l'inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all'art. 1455, c.c., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria de rapporto.
L' “insussistenza del fatto contestato”, di cui all'art. 18, comma 4, st. lav., come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), l. n. 92 del 2012, fattispecie cui si applica la tutela reintegratoria c.d. attenuata, comprende l'ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente e quella in cui il fatto, pur esistente, non presenti profili di illiceità, mentre si applica il comma 5 nelle “altre ipotesi” in cui si accerti che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro.
Il caso
La sentenza della Cassazione in commento trae origine dalla cessazione di un rapporto di agenzia a seguito di esercizio del recesso con effetto immediato da parte del preponente, anche in applicazione di una clausola risolutiva espressa, a fronte del mancato raggiungimento degli obbiettivi assegnati per una annualità.
La Corte d'appello di Milano, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che il rapporto intercorso tra le parti andasse riqualificato in termini di lavoro subordinato, prescindendo dal nomen iuris utilizzato dalle parti e valorizzando per contro le concrete modalità di svolgimento del rapporto, ritenute tali da giustificare il predetto inquadramento.
Il recesso del preponente per non aver raggiunto gli obbiettivi assegnati, anche per l'operatività di una clausola risolutiva espressa, è stato dunque riqualificato in termini di licenziamento e la condotta così come accertata, con il mancato raggiungimento degli obbiettivi assegnati per una annualità, pur essendo stata qualificata come comportamento negligente da parte del prestatore, ciò nonostante non è stata ritenuta talmente grave da integrare gli estremi del notevole inadempimento.
Il licenziamento, così come riqualificato, è stato dunque ritenuto illegittimo con la conseguente applicazione della tutela prevista dall'art. 18, comma 5, l. 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), l. 28 giugno 2012, n. 92.
Avverso la pronuncia della Corte d'appello ha presentato ricorso la preponente con 10 motivi ed ha resistito con controricorso l'agente. La Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi riuniti con compensazione delle spese e condanna di entrambe le parti al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato. Le questioni
Il primo tema esaminato dalla pronuncia in oggetto attiene ai criteri di differenziazione esistenti tra rapporto di agenzia e di lavoro subordinato, da valutarsi prescindendo dal nomen iuris utilizzato dalle parti e valorizzando per contro le concrete modalità di svolgimento del rapporto.
Come è noto infatti l'utilizzo di una determinata tipologia contrattuale, nella specie un contratto di agenzia, così come le espressioni usate e le clausole pattuite nell'atto negoziale non sono determinanti ai fini della qualificazione del contratto, dovendosi avere riguardo al reale contenuto del rapporto ed al suo effettivo svolgimento in fatto (Cass., sez. lav., ord. 11 luglio 2018, n. 18262), anche se il riferimento a specifiche norme di legge costituisce comunque un elemento utile di indagine. Modalità di svolgimento del rapporto che sono state esaminate in dettaglio dalla pronuncia della Corte di appello oggetto di impugnazione e che il Supremo Collegio ha ripercorso criticamente, giungendo tuttavia a confermare la presa di posizione così come effettuata dal Giudice di secondo grado.
La seconda tematica affrontata, intimamente collegata alla riqualificazione del rapporto, attiene all'importanza dell'inadempimento così come accertato ed alla irrilevanza della clausola risolutiva espressa azionata a fronte della necessaria disamina delle caratteristiche dell'inadempimento alla luce della valutazione del licenziamento per scarso rendimento.
La valutazione di gravità dell'inadempimento contestato avrebbe dovuto comunque essere effettuata con particolare attenzione anche laddove la qualificazione del rapporto non fosse stata posta in discussione, posto che l'operatività della clausola risolutiva espressa è stata di fatto ridimensionata anche nell'ambito del contratto di agenzia a seguito di un'interpretazione evolutiva, ancorché opinabile, della Corte di cassazione, che ha nella sostanza imposto il necessario riscontro degli estremi della giusta causa per consentire di ritenere legittima l'interruzione del rapporto ex art. 1456, c.c., così di fatto snaturando l'operatività stessa della clausola. Ritorneremo sul punto in prosieguo nell'ambito delle osservazioni finali.
Da ultimo, nella reiezione del secondo motivo di appello di parte resistente la Corte si è soffermata sulla graduazione delle tutele introdotte dalla l. n. 92 del 2012, precisando la duplice valutazione richiesta al giudice al fine di stabilire l'applicazione alternativa del quarto o quinto comma dell'art. 18, st. lav. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione, confermando sul punto la valutazione effettuata dalla Corte di appello, ha risolto il primo tema di indagine riportandosi alla propria consolidata giurisprudenza ed evidenziando i caratteri distintivi tra agenzia e lavoro subordinato.
In particolare la Corte ha individuato i seguenti elementi fondamentali di differenziazione tra le due figure:
La Corte di appello aveva infatti positivamente accertato:
È stata dunque correttamente esclusa la qualificazione del rapporto in termini di agenzia e il contratto è stato riqualificato come di lavoro subordinato.
La riqualificazione ha poi imposto di rivalutare le modalità di cessazione del rapporto così come poste in essere dal preponente /datore di lavoro, sotto il differente angolo visuale della legittimità del licenziamento in applicazione delle tutele di cui all'art. 18, l. 20 maggio 1970, n. 300.
Il preponente aveva infatti interrotto la collaborazione attraverso un recesso con effetto immediato, anche in applicazione delle previsioni di una clausola risolutiva espressa contrattualmente prevista.
Il giudice di appello, prescindendo dalla clausola risolutiva espressa azionata, ha per contro accertato l'insussistenza di una giusta causa di licenziamento, valutando in concreto l'importanza dell'inadempimento accertato e la sua idoneità a giustificare il recesso così come posto in essere dal datore di lavoro.
In particolare il giudice di secondo grado, nel valutare la gravità dell'inadempimento ascritto e positivamente accertato, ha valorizzato la circostanza che il mancato raggiungimento degli obbiettivi fosse limitato ad una sola annualità, mentre negli anni precedenti gli obbiettivi erano sempre stati positivamente raggiunti, unito al fatto che anche altri promotori non avevano raggiunto gli obiettivi annuali senza che fosse stato loro contestato alcun inadempimento.
La Corte, respingendo un ulteriore motivo di ricorso, ha poi escluso che la valutazione del giudice di Appello fosse contestabile in relazione all'asserita esistenza di una giusta causa, avendo omesso di valutare la condotta dell'agente /lavoratore in termini di “scarso rendimento”.
È stato infatti ribadito che la Corte di merito ha correttamente valutato l'attività complessivamente resa dal lavoratore escludendo che sussistesse una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli obbiettivi fissati dai programmi di produzione e quanto realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media di attività tra i vari dipendenti.
Da ultimo, nel respingere i motivi di ricorso di parte resistente, la Corte ha puntualizzato alcuni principi consolidati alla luce dei quali in tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso è rimesso al giudice di merito sostanziandosi nella valutazione di gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al caso concreto: l'inadempimento va quindi valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale di cui all'art. 1455, c.c., cosicché la sanzione del licenziamento risulterà giustificata solo in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto.
Infine, è stata confermata la bontà della decisione del giudice di appello che, nonostante il positivo accertamento di un fatto giuridicamente rilevante sotto il profilo disciplinare, ha ritenuto applicabile la tutela indennitaria di cui all'art. 18, comma 5, l. n. 300 del 1970, e non la tutela reintegratoria cosiddetta attenuta di cui all'art. 18, comma 4, st. lav., richiesta da parte resistente.
La Corte ha infatti precisato in proposito che il concetto di “insussistenza del fatto contestato” di cui all'art. 18, comma 4, st. lav., comprende sia l'ipotesi di un fatto materiale che risulti insussistente, sia quella in cui il fatto, pur accertato, non presenti profili di illiceità.
Pertanto il giudice, nella determinazione della tutela gradata da applicare ai sensi della l.n. 92 del 2012, deve effettuare una duplice valutazione.
Anzitutto dovrà verificare l'esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo di licenziamento e, una volta esclusa la loro sussistenza, dovrà verificare se il fatto contestato ed accertato sia apprezzabile sotto il profilo disciplinare. Laddove il fatto risulti insussistente, come sopra precisato, risulterà applicabile l'art. 18, comma 4, st. lav., e la tutela reale attenuata ivi prevista (reintegra e indennità risarcitoria non superiore a 12 mensilità) mentre laddove risulti un rilievo disciplinare non sufficiente a irrogare la sanzione del licenziamento, troverà applicazione la tutela indennitaria forte di cui all'art. 18 comma 5, st. lav., rientrando la fattispecie tra le “altre ipotesi” ivi previste. Anche sotto questo profilo è stata quindi confermata la pronuncia della Corte di appello oggetto di impugnazione. Osservazioni
La Corte di cassazione, valutando correttamente le risultanze dell'istruttoria svolta e le modalità di svolgimento del rapporto ha confermato la riqualificazione del contratto oggetto di causa in termini di lavoro subordinato, riportandosi alla propria giurisprudenza consolidata e valorizzando la sussistenza o meno dell'elemento rischio, così come la sostanziale identità di compiti e mansioni rispetto ad altri collaboratori della società regolarmente inquadrati come lavoratori subordinati.
È stata poi valutata la motivazione sottesa alla interruzione della collaborazione, sotto il differente angolo visuale del lavoro subordinato, giungendo ad escludere la legittimità dell'interruzione della collaborazione, pur nella sussistenza di un fatto giuridicamente rilevante sotto il profilo disciplinare, ma non di gravità tale da legittimare l'irrogazione della sanzione del licenziamento.
È interessante sottolineare in proposito, come già accennato, che anche prescindendo dalla riqualificazione del rapporto così come effettuata in termini di lavoro subordinato, anche laddove il contratto fosse stato confermato in termini di agenzia, sarebbe stato comunque necessario effettuare una valutazione di gravità dell'inadempimento contestato, che avrebbe probabilmente condotto a conclusioni non dissimili da quelle raggiunte.
Anche nel contratto di agenzia infatti, a seguito dell'evoluzione intervenuta nella giurisprudenza del Supremo Collegio, per la valida operatività del meccanismo risolutorio contenuto in una clausola risolutiva espressa, come quella azionata nel caso de quo, non è sufficiente dimostrare l'esistenza dell'inadempimento e la sua imputabilità alla parte inadempiente (che peraltro si presume sino a prova contraria e il cui onere grava sulla parte inadempiente), ma è necessario dimostrare la sussistenza degli estremi della giusta causa di recesso, così di fatto snaturando la caratteristica stessa della clausola risolutiva, che per definizione dovrebbe prescindere da una valutazione di gravità dell'inadempimento. Effettuando tale valutazione, difficilmente si sarebbe accertata l'esistenza di una giusta causa in base all'inadempimento contestato, consistente nel mancato raggiungimento degli obbiettivi per una sola annualità, quando in precedenza gli stessi erano stati sistematicamente raggiunti. Anche la mancata contestazione dei medesimi fatti ad altri promotori avrebbe con buona probabilità escluso la possibilità di ritenere sussistenti gli estremi della giusta causa.
Non si sarebbe tuttavia posta la possibilità di richiedere la tutela reale attenuata di cui all'art. 18, comma 4, st. lav., residuando al più il diritto dell'agente all'indennità di mancato preavviso e, sussistendone i presupposti, all'indennità di fine rapporto ex art. 1751, c.c. (o in subordine ex aec, laddove applicabili). |