Mediazione obbligatoria: un istituto in continua evoluzione

Barbara Tabasco
26 Febbraio 2019

Evoluzione dell'istituto della mediazione obbligatoria, introdotto dal decreto legislativo n. 28/2010, e suo coordinamento con le successive disposizioni normative.
Il quadro normativo

La mediazione, consistente nell'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione della controversia, è stata introdotta dal d.lgs. n. 28/2010, emanato in base alla delega contenuta nell'art. 60 l. n. 69/2009.

Essa si distingue in: facoltativa o volontaria; obbligatoria; delegata o demandata; concordata o consensuale.

In particolare, se, in generale, chiunque sia parte in una controversia civile (vertente su diritti disponibili) può liberamente provare a risolvere la lite tramite tale strumento, per alcune specifiche controversie (originariamente elencate nell'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010 ed oggi, in seguito al d.l. n. 69/2013 conv. con modif. nella l. n. 98/2013, elencate nel comma 1-bis del medesimo articolo), l'utilizzo della mediazione viene imposto dalla legge, costituendo, quest'ultima, condizione di procedibilità della successiva (ed eventuale) domanda giudiziale.

Tuttavia, l'introduzione nel nostro ordinamento della mediazione obbligatoria non è stata accolta con favore, stante il fatto, fin da subito osservato dalla dottrina, che l'art. 60 della legge delega non precisava se, ed in quali limiti, il legislatore delegato fosse legittimato a prevedere ipotesi di obbligatorietà della mediazione (Galletto T., 42; Bove M., 343; Luiso F.P.,1257 ss.). Inoltre, la legge delega sembrava indirizzare il legislatore delegato a modellare il proprio intervento sullo schema di quanto, in precedenza, era avvenuto con la conciliazione societaria, incentrato sulla volontarietà del ricorso alla procedura conciliativa, estendendolo, però, a tutte le controversie civili e commerciali. Pertanto, fin dalla sua emanazione, si era ritenuto che il d.lgs. n. 28/2010 potesse essere viziato da eccesso di delega, con conseguente sua incostituzionalità in parte qua.

Ed infatti, alcuni articoli del d.lgs. n. 28/2010 (specificamente l'art. 5, comma 1, relativo, appunto, alle ipotesi di obbligatorietà della mediazione, e l'art. 16, comma 1, relativo ai requisiti degli organismi deputati a gestire i procedimenti di mediazione), a seguito di varie ordinanze di rimessione, sono stati sottoposti al vaglio della Consulta, che, con la sentenza n. 272/2012, ha dichiarato l'illegittimità costituzionaledell'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, per eccesso di delega e, dunque, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., con la conseguenza che la relativa disciplina è stata espunta dal d.lgs. n. 28/2010.

In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto che l'obbligatorietà della mediazione (o meglio, la sanzione dell'improcedibilità della domanda giudiziale connessa al mancato previo esperimento del procedimento di mediazione) non poteva essere prevista con lo strumento del decreto legislativo (nella specie il d.lgs. n. 28/2010), in mancanza di esplicita indicazione in tal senso nella relativa legge delega (nella specie la l. n. 69/2009).

Tuttavia, alla luce della richiamata pronuncia della Consulta, l'obbligatorietà della mediazione è stata reintrodotta, con alcune modifiche rispetto all'originaria disciplina, ad opera del c.d. Decreto del fare (d.l. 21 giugno 2013, n. 69), recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia”, conv. con modif. nella legge 9 agosto 2013, n. 98.

Il Capo VIII del nuovo intervento normativo, rubricato “Misure in materia di mediazione civile e commerciale”, reca, infatti, all'art. 84 e 84-bis rilevanti modifiche al d.lgs. n. 28/2010, il quale, così come riformato (salvo una modifica all'art. 12 in tema di esecutività dell'accordo conciliativo introdotta dal d.l. n. 132/2014, conv. con modif. in l. n. 162/2014), detta la vigente disciplina della mediazione civile.

Tuttavia, il nuovo art. 5, comma 1-bis,d.lgs. n. 28/2010, prevedeva che l'obbligatorietà della mediazione avesse natura transitoria e sperimentale: essa, difatti, doveva avere efficacia per i quattro anni successivi alla data dell'entrata in vigore della riforma del 2013 (dal 21 settembre 2013 al 20 settembre 2017) e il Ministero della giustizia, al termine dei due anni dall'entrata in vigore del cd. decreto del fare, avrebbe dovuto attivare il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione.

Il d.l. 24 aprile 2017 n. 50, così come convertito nella legge 21 giugno 2017, n. 96, recante “Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo” ha, invece, espunto queste ultime disposizioni dal citato art. 5, comma 1-bis, con la conseguenza che la disciplina della mediazione obbligatoria ritorna ad avere carattere strutturale, come prevedeva originariamente il d.lgs. n. 28/2010, e non più temporaneo.

Corretto avveramento della condizione di procedibilità

L'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010, nel disporre che, in alcune controversie civili e commerciali, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilitàdella domanda giudiziale, introduce un'ipotesi di giurisdizione condizionata.

Tale condizione di procedibilità si considera avverata laddove:

  • ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010 la parte che intenda esercitare in giudizio un'azione relativa ad una delle controversie indicate nel medesimo articolo, è tenuta ad esperire, preliminarmente, il procedimento di mediazione, con l'assistenza di un avvocato.
  • Sul punto, infatti, la giurisprudenza di merito ha confermato che non può considerarsi validamente esperito il procedimento di mediazione obbligatoria senza l'assistenza di un avvocato (Trib. Torino, 30 marzo 2016);
  • la domanda di mediazione, ai sensi dell'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, così come modificato dal d.l. n. 69/2013, vada presentata mediante deposito di un'istanza presso un «organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia». Tuttavia, è ben possibile che se le parti sono tutte d'accordo, possano rivolgersi, con domanda congiunta, ad un altro organismo scelto di comune accordo. Nel caso, invece, in cui tale accordo non vi sia stato e la domanda di mediazione sia stata presentata unilateralmente dinanzi ad un organismo che non aveva competenza territoriale, la domanda deve essere dichiarata improcedibile (Trib. Napoli Nord, 14 marzo 2016).
  • l'istanza di mediazione indichi l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa.

Pertanto, qualora l'istanza di mediazione sia totalmente vaga e non corrisponda alle richieste indicate nell'atto di citazione, limitandosi la parte ad enunciare vagamente il proprio diritto, senza precisare il petitum e non qualificando alcuna somma, la domanda non sia procedibile (Giudice di Pace, Torre Annunziata, 28 settembre 2016, n. 582); e nell'ipotesi in cui la parte, nell'istanza di mediazione, abbia indicato solo alcune delle domande sollevate in giudizio, dovrà essere dichiarata l'improcedibilità delle altre domande (Trib. Verona, 7 luglio 2016).

Presenza delle parti al primo incontro di mediazione e suo eventuale svolgimento

Di recente, sia con riferimento alle materie per le quali il procedimento di mediazione è obbligatorio (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010), sia con riguardo alle ipotesi di mediazione delegata dal giudice (art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010), si sta affermando una certa giurisprudenza che tende ad imporre la mediazione mediante un'eccessiva formalizzazione della procedura che condiziona la volontà delle parti e determina una palese lesione del diritto di difesa.

In pratica, una parte della giurisprudenza, partendo dal presupposto che l'art.8, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, prevede che «al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato», ritiene necessario, ai fini della procedibilità della successiva domanda giudiziale, non solo che il procedimento venga avviato, ma addirittura che le parti compaiano personalmente sin dal primo incontroe che, infine, iltentativo di mediazione venga “effettivamente” svolto. Con la conseguenza che, imponendo queste ulteriori condizioni di procedibilità (non previste dalla legge), obbliga le parti ad entrare nella successiva fase della mediazione e a sostenere ulteriori esborsi di denaro.

In particolare, una parte della giurisprudenza di merito (Trib. Bergamo, ord., 19 gennaio 2018; Trib. di Palermo, ord., 23 dicembre 2016; Trib. Modena, 2 maggio 2016; Trib. Pavia, 18 maggio 2015; Trib. Vasto, 9 marzo 2015; Trib. Pistoia, 25 febbraio 2015, in www.mondoadr.it.giurisprudenza; Trib. Firenze, ord., 26 novembre 2014, in www.adrintesa.it) ritiene che, affinché sia soddisfatta la condizione di procedibilità, sia obbligatoria la presenza personale delle parti nel procedimento di mediazione (a nulla valendo quella degli avvocati, benché muniti di procura speciale, atteso che l'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 fa riferimento solo alla funzione di assistenza del difensore e non anche a quella di rappresentanza della parte) e che la mediazione sia effettivamente avviata.

Altra parte della giurisprudenza (Trib. Roma, ord., 5 ottobre 2017; App. Milano, sent., 10 maggio 2017; Trib. Reggio Emilia, ord., 26 aprile 2017, in www.concilialex.it; Trib. Firenze, sent., 15 ottobre 2015; Trib. Rimini, ord., 16 luglio 2014; Trib. Roma, ord., 30 giugno 2014, in www.101mediatori.it; Trib. Bologna, ord., 5 giugno 2014; Trib. Firenze, ord., 17 marzo 2014) ha, perfino, introdotto il principio della cd. “effettività” del primo incontro di mediazione, imponendo alle parti di non limitarsi a quest'ultimo.

In pratica, poiché, ai sensi dell'art. 8, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, «durante il primo incontro, il mediatore deve chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, nonché invitare queste ultime e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procedere con lo svolgimento», ciò dovrebbe comportare che il mediatore, nel primo incontro, dovrebbe chiedere alle parti di esprimersi sulla eventuale sussistenza di impedimenti all'effettivo esperimento della mediazione e non sulla volontà delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe di mediazione non obbligatoria bensì facoltativa (Trib. Siracusa, 30 marzo 2016; Trib. Firenze, 16 febbraio 2016).

Pertanto, non può dirsi ritualmente svolto il tentativo di mediazione qualora le parti, presenti al primo incontro davanti al mediatore, si limitino a manifestare la loro intenzione di non dare seguito alla procedura obbligatoria, senza fornire ulteriore e più specifica indicazione degli impedimenti all'effettivo svolgersi del procedimento (Trib. Firenze, 15 ottobre 2015).

Tuttavia, quest'interpretazione diretta a sottrarre alla volontà delle parti la decisione di proseguire o meno il procedimento e ad imporla sul presupposto di un principio di effettività, che non emerge dalla norma, appare lesiva dei principi costituzionali (artt.24 e 25 Cost.) e contraria allo stesso dettato normativo.

Infatti, se solo ci si attiene alla lettera della legge, risulta evidente che le argomentazioni svolte dai giudici nei procedimenti innanzi richiamati sono forzature dirette a supportare l'orientamento deflattivo cui è ispirato il legislatore.

Appare, dunque, un'esagerazione subordinare l'esito di un intero giudizio, non solo all'espletamento dell'onere di mediazione obbligatoria, ma addirittura all'assolvimento di modalità non indicate dalla norma e prevedendo una “sanzione” che va oltre quella legislativamente prevista.

In primo luogo, seppur l'art. 8, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, prevede che «le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato», ciò non impedisce affatto, né vieta che l'avvocato possa munirsi di procura speciale a transigere da parte del proprio assistito, superando, così, la differenza tra assistenza e rappresentanza posta a fondamento da alcuni giudici per imporre la presenza personale della parte.

Perfino, la Suprema Corte (Cass. civ., 26 luglio 2017, n. 18394), ha stabilito che la procura alle liti conferita all'avvocato è qualificabile come mandato con rappresentanza processuale e il rapporto interno, disciplinato dalle norme di diritto sostanziale, non è dissociabile quanto al contenuto della rappresentanza in giudizio.

Inoltre, la legge non prevede che la mancata comparizione personale delle parti dinanzi al mediatore comporti la improcedibilità della domanda dinanzi all'autorità giudiziaria, ma si limita a prevedere che «dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c.», nonché, proseguendo, dispone che «il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio» (art.8, comma 4-bis,d.lgs.n.28/2010).

Infine, la norma non parla di “effettività” del primo incontro, ma, come si è già detto, si limita a richiedere che le parti e i loro avvocati si esprimano sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione, la quale, peraltro, ai sensi dell'art. 5, il comma 2-bis «quando costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo».

Da ultimo, si segnala un ulteriore orientamento (Trib. Verona, ord., 24 marzo 2016; Trib. Taranto, ord., 16 aprile 2015; Trib. Reggio Calabria, ord., 22 aprile 2014) che, discostandosi dai filoni innanzi esaminati e in linea con il testo normativo, ha ritenuto che il primo incontro tra le parti e il mediatore abbia la funzione di verificare la volontà e la disponibilità delle parti, informate sulla natura e funzione della mediazione, ad autorizzare l'avvio della procedura, con la conseguenza che la condizione di procedibilità si considera avverata se il primo incontro innanzi al mediatore si conclude senza l'accordo.

Secondo tale orientamento, la condizione di procedibilità dovrebbe considerarsi realizzata nel momento in cui si consente alle parti di poter prendere parte al procedimento di mediazione, senza, invece, “forzarla” al punto da ritenerla non assolta quando la parte, all'esito del primo incontro con il mediatore, rifiuti di proseguire, manifestando la volontà che la controversia sia conosciuta dall'autorità giudiziaria. Il che, peraltro, consentirebbe di contenere anche i costi della procedura che sarebbero, in questo modo, limitati alle sole spese di avvio della procedura e non anche all'indennità di mediazione.

Domande riconvenzionali e nei confronti dei terzi

Ulteriore questione che si pone nella materia in esame è quella relativa alla domanda riconvenzionale: in particolare, si discute se anche la procedibilità della domanda riconvenzionale sia subordinata al tentativo di mediazione nelle materie in cui il suo preventivo esperimento sia obbligatorio.

A tal riguardo, secondo un primo orientamento, partendo dal presupposto che l'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28.2010, dispone che «chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia vertente nelle materie elencate nello stesso art. 5, comma 1-bis, è tenuto a esperire il procedimento di mediazione», la mediazione obbligatoria non si estenderebbe alle domande riconvenzionali sollevate dal convenuto o da terzi, con la conseguenza che l'obbligo di esperire il procedimento di mediazione nelle materie elencate dal suddetto articolo, graverebbe solo sull'attore (F.P. Luiso, in Diritto Processuale Civile, Volume V, La Risoluzione non Giurisdizionale delle Controversie, 79 ss.; Scarselli G., 3; Dalfino D., 9-10; Proto Pisani A., 145; Balena G., 341; Besso C., 230; Fabiani E. e Leo M.; Reali G., 755; Nela P.L., 231 ss.).

Dunque, secondo questa tesi, suffragata anche da parte della giurisprudenza di merito, la locuzione «chi intende esercitare in giudizio un'azione» sarebbe da intendersi come «chi intende instaurare un giudizio», poiché, in caso contrario, si avrebbe un allungamento dei tempi del processo in contrasto con l'art. 111 Cost. e con la ratio stessa dell'istituto (Trib. Roma, 18 gennaio 2017, n. 828; Trib. Mantova, 14 luglio 2016; Trib. Palermo, 27 febbraio 2016; Trib. Reggio Calabria, 22 aprile 2014, in Osservatorio Mediazione Civile, n. 42/2014; Trib. Palermo, 11 luglio 2011).

Al contrario, secondo altra tesi, l'obbligo di esperire la mediazione (sempre nell'ambito delle controversie aventi ad oggetto le materie elencate del comma 1-bis della norma in commento) si estenderebbe ad ogni domanda proposta in giudizio (Trib. Verona, ord., 21 febbraio 2017, in www.101mediatori.it; Trib. Verona, 18 dicembre 2015, in www.eclegal.it; Trib. Bari, ord., 28 novembre 2016; Trib. Verona, 12 maggio 2016; Trib. Roma, 11 novembre 2014; Trib. Roma, 15 febbraio 2012; Trib. Firenze, 14 febbraio 2012, in www.mondoadr.it; Trib. Como - Cantù, 2 febbraio 2012; Trib. Firenze, 14 febbraio 2012. In dottrina, Santangeli F.), in quanto l'onere del preventivo tentativo di mediazione è stato previsto dal legislatore con riguardo ad ogni singola domanda da far valere in giudizio, senza effettuare alcuna distinzione tra domande principali e domande proposte successivamente e l'esclusione di queste ultime provocherebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra le parti processuali.

Con riguardo, invece, alla questione relativa ai terzi chiamati in causa si segnala, una recente pronuncia (Trib. Palermo, ord., 27 febbraio 2016), ove si afferma, richiamando in parte le argomentazioni sopra riportate, che la mediazione obbligatoria non si estende alle domande nei riguardi di terzi chiamati in causa, essendo preferibile intendere l'espressione «chi intende esercitare in giudizio un'azione» di cui all'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010 come «chi intende instaurare un giudizio».

Mediazione e negoziazione assistita

Nel 2014, il legislatore, con il d.l. n. 132/2014, convertito dalla legge n. 162/2014, ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto della negoziazione assistita (artt. 211).

Si tratta di un nuovo ed ulteriore strumento per la risoluzione dei conflitti e delle controversie in via stragiudiziale, il cui obiettivo, come per la mediazione, è quello di definire parte delle controversie fuori dalle aule giudiziarie.

Tuttavia, mentre la mediazione consiste nell'attività svolta da un terzo imparziale, finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa, la negoziazione assistita è un procedimento attraverso il quale le parti, con la sola assistenza dei rispettivi avvocati si impegnano a cooperare in buona fede e con lealtà al fine dirisolvere in via amichevole una lite che è tra di loro insorta.

Essa è obbligatoria, ovvero costituisce condizione di procedibilità della successiva domanda giudiziale nell'ipotesi in cui:

1) si voglia esercitare in giudizio un'azione in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti (non più rientrante tra i casi di mediazione obbligatoria dopo la riforma operata dal d.l. n. 69/2013, convertito in l. n. 98/2013);

2) si voglia proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 euro, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria, nonché quelle concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori (art. 3, comma1, d.l. n. 132/14), e i casi in cui la parte può stare in giudizio personalmente (art. 3, comma 7, d.l. n. 132/2014).

Tuttavia, l'introduzione di tale istituto ha generato alcuni problemi di coordinamento con altre procedure stragiudiziali preesistenti, quali la mediazione obbligatoria, nonché la procedura stragiudiziale obbligatoria prevista dall'art. 145, d.lgs. n. 209/2005 (Codice delle assicurazioni private), e quella prevista, nel settore delle telecomunicazioni, ex art. 1, comma 11, l.n. 249/1997.

In particolare ci si è chiesto se sia ragionevole che le parti, prima di poter proporre la domanda giudiziale, siano obbligate, dal legislatore, all'esperimento di ben due procedimenti finalizzati alla risoluzione stragiudiziale della controversie.

Al tal riguardo, la giurisprudenza di merito ha osservato che l'art. 3, comma 5, del d.l. n. 132/2014, nel disporre che «restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione comunque denominati», sembra ammettere che le due condizioni di procedibilità possano cumularsi e, dunque, che una controversia di valore non eccedente l'importo di € 50.000,00, che insista su una delle materie per cui la mediazione (o altra parentesi conciliativa) sia obbligatoria, debba essere preceduta da entrambi i procedimenti di alternative dispute resolution (Trib. Verona, ord., 12 maggio 2016).

E la Corte costituzionale, con la sentenza del 7 luglio 2016 n. 162, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità sollevata in merito all'art. 3, comma 1, d.l. n. 132/2014, ritenendo che la negoziazione assistita non sia un “inutile doppione” rispetto alla cd. “messa in mora” prevista dagli artt. 145 e ss. del Codice delle assicurazioni private, in quanto i due istituti assolvono a funzioni diverse: la ratio della “messa in mora”, è quella di rafforzare le possibilità di difesa offerte al danneggiato, attraverso il raccordo dell'onere di diligenza a suo carico, con l'obbligo di cooperazione imposto all'assicuratore, il quale, proprio in ragione della prescritta specificità di contenuto della istanza risarcitoria, non potrà agevolmente o pretestuosamente disattenderla, essendo tenuto alla formulazione di una proposta adeguata nel quantum; la ratio della negoziazione assistita, invece, è quella di precedere ed eventualmente evitare il processo, attraverso «un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati».

Pertanto, secondo la Consulta, la tutela garantita dall'art. 24 Cost. non sarebbe compromessa dal meccanismo della negoziazione assistita, attesa la sua complementarità rispetto al previo procedimento di messa in mora dell'assicuratore, poiché il meccanismo della negoziazione assistita riflette un ragionevole bilanciamento tra l'esigenza di tutela del danneggiato e quella (di interesse generale) di contenimento del contenzioso (Corte cost., sent., 7 luglio 2016, n. 162).

Tuttavia, la pronuncia della Corte costituzionale non ha considerato la circostanza che tali strumenti di risoluzione stragiudiziale della controversia conducono ad un esito positivo solo se ed in quanto gli interessi sottostanti delle parti siano fra di loro compatibili (F.P. Luiso, in Diritto Processuale Civile, Volume V, La Risoluzione non Giurisdizionale delle Controversie, 20) e si presentino in concreto come componibili.

Al contrario, l'imposizione dell'esperimento di due procedimenti di risoluzione stragiudiziale, determina una irragionevole compressione del diritto di azione (Vaccari M., 9; Martini F., 39, 102 e ss.), laddove vi sia una situazione di alta improbabilità di un risultato conciliativo dopo il fallimento del primo tentativo.

Infine, in merito al rapporto tra negoziazione assistita obbligatoria e mediazione obbligatoria, si segnala un orientamento dottrinale, secondo il quale, in caso di cumulo di domande astrattamente soggette l'una a mediazione, l'altra a negoziazione, partendo dal presupposto che tra i due istituti c'è un rapporto di sussidiarietà e dall'assunto secondo il quale la mediazione possiede un quid pluris rispetto alla negoziazione assistita, dato dalla presenza del terzo-mediatore, sarebbe opportuno esperire la mediazione su entrambe le domande, ritenendo che la mediazione tentata su entrambe le domande può superare la necessità della negoziazione assistita (Valerini F.).

In conclusione

L'introduzione di una legge organica in materia di risoluzione alternativa delle controversie civili e commerciali, avvenuta ad opera del d.lgs. n. 28/2010, ha rappresentato senza dubbio il tentativo più incisivo nel nostro Paese diretto a diffondere la cultura dei meccanismi di ADR, al quale ha fatto seguito il d.l. n. 132/14 con l'introduzione della negoziazione assistita e la successiva legge 8 marzo 2017, n. 24 in tema di responsabilità medica e sanitaria.

Come è noto, l'utilizzazione di tali strumenti, incoraggiati negli ultimi anni dai legislatori di altri ordinamenti e, soprattutto, da quello europeo, è finalizzata alla deflazione del contenzioso, ma anche alla creazione di uno strumento di controllo sociale nell'ambito dei rapporti privati caratterizzati da un forte squilibrio a danno della parte economicamente più debole, spesso svantaggiata nelle effettive possibilità di ottenere adeguata tutela dei propri diritti attraverso l'accesso alla giustizia ordinaria.

Tuttavia, nel nostro Paese, c'è una scarsa diffusione di una cultura della risoluzione alternativa delle controversie, confermata dal pressoché totale fallimento di tutti i meccanismi di ADR introdotti negli anni precedenti in specifici settori (ultimo dei quali quello della cd. conciliazione societaria, disciplinato negli artt. 38-40 del d.lgs. n. 5/2003), in quanto tendenzialmente basati sulla volontarietà del ricorso alla procedura.

Ragione per la quale il legislatore si è reso conto che, solo la obbligatorietà, unita ad un meccanismo di incentivi e sanzioni per la mancata partecipazione senza giustificato motivo, può condurre a risultati apprezzabili, almeno sino a che questi strumenti alternativi non si diffonderanno e non verranno apprezzati da parte degli operatori del diritto.

Riferimenti
  • Balena G., Mediazione obbligatoria e processo, in Giusto proc. civ., 2011, 341;
  • Besso C., Mediazione obbligatoria: lo stato delle cose, in Giur. it., 2012, 230;
  • Bove M., La riforma in materia di conciliazione tra delega e decreto legislativo, in Riv. dir. proc. civ., 2010, 343;
  • Dalfino D., Dalla conciliazione societaria alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, in www.judicium.it;
  • Fabiani E. e Leo M., Prime riflessioni sulla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civile e commerciali, in www.judicium.it;
  • Galletto T., Il modello italiano di conciliazione stragiudiziale in materia civile, Milano, 2010, 42;
  • Luiso F.P.,La delega in materia di mediazione e conciliazione, in Riv. dir. proc. civ., 2009, 1257 ss.;
  • Luiso F.P., in Diritto Processuale Civile, Volume V, La Risoluzione non Giurisdizionale delle Controversie, 79 ss.;
  • Martini F., Rc auto, il rischio è un appesantimento procedurale, in Guida al Diritto, 2014, 39, 102 ss.;
  • Nela P.L., Spunti sulla pluralità di domande e di parti nel procedimento di mediazione, in Giur. it., 2012;
  • Proto Pisani A., Appunti su mediazione e conciliazione, in Foro it., 2010, V, 145;
  • Reali G., La mediazione obbligatoria riformata, in Giusto proc. civ., 2014, 755;
  • Santangeli F., La mediazione obbligatoria nel corso del giudizio di primo grado, in www.judicium.it;
  • Scarselli G., La nuova mediazione e conciliazione: le cose che non vanno, in www.judicium.it;
  • Vaccari M., Profili di incostituzionalità della negoziazione obbligatoria, in www.judicium.it;
  • Valerini F., Il cumulo di domande determina il cumulo tra mediazione e negoziazione assistita?, in Diritto e Giustizia, 6 giugno 2016.

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