Le misure protettive e cautelari nel Codice della crisi

Fernando Platania
26 Febbraio 2019

Vengono affrontati le principali questioni che emergono dall'applicazione delle nuove norme del codice sull'emissione di misure cautelari e protettive nell'ambito dei procedimenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza.
Premessa

Vengono affrontati le principali questioni che emergono dall'applicazione delle nuove norme del codice sull'emissione di misure cautelari e protettive nell'ambito dei procedimenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza. In particolaresono oggetto di specifica attenzione, innanzitutto, le misure che possono essere chieste, ex art. 20 cod. crisi, all'autorità giudiziaria anche nella fase della soluzione concordata della crisi, che costituisce una delle principali novità del codice e che si svolge di fronte agli organismi di composizione della crisi; sono esaminate le tipologie e la disciplina delle misure concretamente adottabili, in questa fase, su istanza di parte, sia nel caso che esse siano state tipizzate dal legislatore sia nel caso in cui esse non abbiano un contenuto predefinito; sono anche valutati gli strumenti attraverso i quali possono essere conciliate le esigenze di riservatezza e confidenzialità del debitore che si avvale della composizione concordata della crisi, con quelle di necessaria informazione dei terzi nel caso in cui le misure coinvolgono, direttamente od indirettamente, loro interessi. Si esprime l'opinione che nell'emanazione dei provvedimenti, l'autorità giudiziaria non sia strettamente vincolata alle richieste della parte che ha solo l'onere di indicare compiutamente le finalità che intende perseguire con la richiesta cautelare.

Sono, poi, trattate analiticamente le misure previste dall'art. 54 cod. crisi, destinate ad essere assunte durante la procedura di apertura della liquidazione giudiziale, del concordato preventivo e della ristrutturazione dei debiti. Sono affrontati i temi concernenti i poteri del Tribunale ed i rapporti con i terzi controinteressati. Vengono, infine, sottoposte ad esame le disposizioni processuali applicabili, con richiamo anche alle norme tratte dalle regole del processo cautelare uniforme dettate dal codice di rito.

La tutela cautelare nelle procedure concorsuali

Anche nel sistema delineato dalla legge fallimentare ancora in vigore, sono attribuiti al Tribunale, peraltro in modo non compiutamente organico, poteri piuttosto vasti di natura cautelare, tipicamente diretti a garantire che, nel tempo occorrente per l'emanazione dei provvedimenti richiesti dalle parti, non vi siano modificazioni nella situazione di fatto o di diritto che possano rendere vano il buon esito delle procedure ed anche, per taluni aspetti, ad anticipare taluni effetti dei provvedimenti stessi; tali misure si affiancano poi a quelle aventi effetti, lato sensu, protettivi, previste direttamente dalla stessa legge in taluni casi.

La possibilità di ottenere tutela cautelare rappresenta un'ineludibile conseguenza del potere di agire a difesa dei diritti, come più volte riconosciuto dalla Corte Costituzionale che, ha in diverse occasioni, censurato quelle disposizioni di legge che, a vario modo, limitavano od escludevano il diritto delle parti ad ottenere l'emanazione di provvedimenti che anticipassero gli effetti della decisione finale (Corte Cost., 23 luglio 2010 n. 281, in tema di sospensione degli effetti delle cartelle per il recupero delle quote latte; sulla stessa linea Corte Cost., 17 giugno 2010 n. 217 relativamente alla possibilità di sospensione degli effetti della sentenza della Commissione tributaria regionale in caso di pericolo di danno ed irreparabile conseguente all'esecuzione della sentenza oggetto di impugnazione in cassazione). Anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ha, in varie occasioni, indicato la necessità che il tempo occorrente per la definizione del giudizio non finisca per rendere nei fatti vana la tutela giurisdizionale pure accordata dall'ordinamento (Corte Europea causa c/99 dell'11 gennaio 2001 Kofisa/Italia).

Con riferimento specifico alla materia della regolamentazione della crisi, la previsione di misure cautelari e protettive di natura temporanea, strettamente funzionali all'effettivo perseguimento della soluzione concordata, è contenuta nella Raccomandazione 2014/135/Ue nonché nella Proposta di Direttiva del novembre 2016 entrambe espressamente richiamate nella relazione di accompagnamento del codice.

E' anche tradizionale nel nostro ordinamento affiancare a provvedimenti tipizzati quali i sequestri, provvedimenti che abbiano un contenuto atipico e non predeterminato; infatti, specialmente quando le esigenze di tutela del diritto fatto valere hanno un aspetto dinamico, la mera cristallizzazione della situazione che consegue al sequestro (conservativo, giudiziario od anche probatorio che sia) rischierebbe di risultare insufficiente.

Appare pertanto assai opportuno che la tipologia dei provvedimenti cautelari ( anticipatori degli effetti del provvedimento definivo o semplicemente protettivi, affinchè nel tempo occorrente per assumere le iniziative giudiziarie la situazione non assuma i caratteri della irreversibilità secondo quanto indicato dal legislatore nelle definizioni contenute nell'art. 2 lett. p e q) non siano del tutto predeterminati e lasciati, invece, alla prudente valutazione dell'autorità giudiziaria su indicazione della parte interessata ( anche se sulla specifica questione della necessaria rispondenza dei provvedimenti emessi dal Tribunale alle specifiche richieste della parte occorrerà soffermarsi più ampliamente).

Il sistema introdotto dalla riforma riprende, ampliandole, le previsioni della legge fallimentare, adattandole ai nuovi istituti introdotti, e provvede anche a dare una regolamentazione processuale, per quanto possibile unitaria, delle varie misure contemplate. Così sono state previste misure cautelari e protettive anche nella fase (di nuova disciplina) della soluzione concordata della crisi, oltrecchè nella fase di apertura della liquidazione giudiziale, già oggi previste; sono state poi ampliate le misure protettive già previste nella fase di concordato preventivo e di omologazione degli accordi di ristrutturazione, sempre al fine di rendere concretamente realizzabile il piano di risanamento.

Le misure protettive nella soluzione concordata della crisi. Misure tipiche

A seguito di sua iniziativa, ovvero della audizione su segnalazione degli organi di controllo o dei creditori pubblici qualificati, individuati dall'art. 15, cod. crisi, nella Agenzia delle Entrate, nell'Inps e nella Agenzia della Riscossione, l'imprenditore in crisi può proporre istanza per la soluzione concordata della crisi.

La legge non ipotizza un contenuto predeterminato della composizione; la soluzione concordata della crisi può passare, infatti, attraverso un accordo di contenuto libero, negoziato e poi raggiunto con tutti o con solo alcuni dei creditori dell'imprenditore.

Come appare evidente, le misure cautelari che possono essere chieste all'autorità giudiziaria secondo le modalità procedurali che verranno in seguito esposte ( e non quindi all'organismo di composizione della crisi di impresa che non ha, ovviamente, compiti giurisdizionali) sono strettamente dipendenti dalle specifiche finalità perseguite dall'imprenditore con l'istanza, e vanno conformate sulla sua struttura giuridica o aziendale ed anche, sull'andamento e sviluppo delle trattative promosse a seguito della istanza. Il codice provvede anche a dare una definizione delle misure adottabili; in particolare costituiscono, ai sensi dell'art. 2 lettera p, cod. crisi, misure protettive quelle temporaneamente disposte dal giudice competente per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell'insolvenza.

Lo stesso art. 20, cod. crisi, prevede, espressamente, una misura protettiva tipica: il differimento degli obblighi previsti dagli artt. 2446, comma secondo e terzo, 2447, 2482-bis comma, quarto quinto, sesto e 2482-ter cc nonché della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita di capitale di cui agli artt. 2484, comma primo n. 4) e 2545-duodecies cc.

La disposizione rappresenta misura analoga a quella che si produce di diritto con la presentazione della domanda di omologazione del concordato preventivo: ai sensi dell'art.89, cod. crisi, la presentazione della domanda produce, infatti, ipso jure, la sospensione dell'applicazione di quelle norme del codice civile che impongono all'assemblea dei soci di procedere, in sede di approvazione del bilancio, alla riduzione del capitale sociale in conseguenza di perdite che abbiano ecceduto il terzo del capitale stesso se, nell'esercizio successivo a quello in cui si sono verificate, non vi sia stata la riduzione indicata nella norma; la sospensione dell'efficacia anche dell'art. 2447 c.c. che prevede l'operazione di abbattimento e di ricostruzione del capitale quando le perdite abbiano determinato la riduzione del capitale al di sotto del minimo di legge. Non trovano applicazione neppure le disposizioni del codice civile che disciplinano le analoghe vicende per le società a responsabilità limitata e le disposizioni che attribuiscono alla perdita del capitale in misura eccedente il minimo di legge, l'idoneità di costituire causa di scioglimento della società.

La finalità protettiva dell'art. 89 cod. crisi, appare chiara; sebbene non sia un effetto sempre necessario, risulta normalmente assai probabile che le perdite accumulate dall'imprenditore a seguito della crisi riducano il capitale in misura, non solo, necessaria ad assumere i provvedimenti di cui all'art. 2446 c.c. ma anche a portare la società allo scioglimento per la riduzione del capitale al di sotto del minimo di legge; una siffatta conseguenza avrebbe ripercussioni gravi sul funzionamento della società sia perché la sussistenza di una causa di scioglimento renderebbe non agevole il perseguimento della continuità aziendale, presupposto economico per il buon successo del concordato in continuità aziendale, sia perché nel tempo occorrente per l'omologazione della proposta, gli amministratori sarebbero esposti alla responsabilità per i danni che la continuazione dell'attività sociale, in presenza di una causa di scioglimento, potrebbe determinare nei confronti dei creditori sociali.

In altre parole, la disposizione dell'art. 89, tende ad evitare la paralisi della società nel tempo occorrente per l'omologa, con pregiudizio della stessa sopravvivenza dell'azienda nel momento in cui si apre una prospettiva per effetto della quale, alla fine del procedimento di omologazione del concordato preventivo, se concluso favorevolmente, la società, per mezzo della falcidia concordataria, potrebbe ritrovare il suo equilibrio patrimoniale.

Però, la stessa disposizione dell'art. 89 non esclude l'applicazione del primo comma dell'art. 2446 c.c. che, invece, impone agli amministratori di convocare senza indugio l'assemblea per sottoporre al suo esame un'aggiornata situazione patrimoniale ed illustrare le ragioni della perdita.

Ciò premesso, la prima delle questioni che deve essere esaminata con riferimento alla misure protettive disciplinate dall'art. 20, riguarda la possibilità di applicare, su richiesta del debitore istante solo e soltanto l'integrale apparato cautelare ipotizzato dal comma quarto dell'indicato articolo, ovvero se il Tribunale possa modulare l'esenzione sia in termini più restrittivi sia i termini più ampi di quelli previsti dall'art. 89.

Appare coerente con l'ampia previsione normativa, ritenere che l'Autorità giudiziaria non sia affatto limitata, nell'adozione dei provvedimenti cautelari previsti dal primo comma, dal contenuto del quarto comma dell'art. 20 che dà indicazioni non vincolanti e che non impedisce l'adozione di altre misure se più opportune e calibrate sulle specifiche esigenze dell'imprenditore e sulla soluzione intrapresa.

Occorre, dunque, valutare in concreto quale debba essere nello specifico la finalità di volta in volta perseguita dall'imprenditore e la sussistenza di effettive esigenze. Nulla, infatti, può escludere che possa risultare funzionale al buon esito della trattativa da instaurare con taluni creditori, la sospensione dell'applicazione dell'obbligo di immediata convocazione dell'assemblea per l'adozione delle più opportune misure, soprattutto nelle società a ristretta base sociale, onde non allarmare oltre misura i creditori non coinvolti nella trattativa che, non avendo informazioni dirette ( svolgendosi la fase della soluzione concordata della crisi il modo riservato e confidenziale e soprattutto non necessariamente coinvolgente tutti i creditori), potrebbero essere indotti ad assumere, appresa in qualunque modo la notizia della convocazione della assemblea, iniziative recuperatorie dei loro crediti idonee a determinare gravissimi ostacoli al raggiungimento della soluzione concordata della crisi, anche quando sia possibile ipotizzare che il divisato accordo con i creditori ( o con taluni di essi) possa ricostruire completamente l'equilibrio patrimoniale della società.

La disposizione del dell'art. 20 quarto comma, dell'art. 54 quarto comma e l'analogo art. 89 cod. crisi, non prevedono tuttavia direttamente quali siano gli obblighi di informazione dei terzi che gli amministratori siano tenuti, comunque, a soddisfare.

La sospensione, eventualmente disposta dal Tribunale, dell'efficacia della causa di scioglimento comporta, infatti, che venga meno anche l'obbligo di depositare presso il Registro delle Imprese la dichiarazione di accertamento della causa di scioglimento prevista dall'art. 2484 terzo comma cc. Ma sospendere l'informazione sul verificarsi della liquidazione durante la fase di soluzione concordata della crisi può portare a delle conseguenze assai pregiudizievoli per i terzi che, non a conoscenza della crisi ( per effetto della sospensione dell'obbligo di deposito della delibera di accertamento e della prevista natura confidenziale e riservata dalla soluzione concordata della crisi), potrebbero essere indotti a considerare completamente affidabile la società, senza neppure potere fare conto sulla responsabilità degli amministratori esonerati dalla sospensione prevista dall'art. 20.

Il sistema delineato dall'omologo art. 89 solo apparentemente è, infatti, simile; se dispone, invero, pur sempre la sospensione della causa di scioglimento ( che nel frattempo si fosse già verificata per effetto delle perdite già accertate) in conseguenza della sola presentazione della domanda di omologazione di concordato preventivo, esso prevede, non solo, che gli amministratori rimangano sempre responsabili, secondo l'ordinario regime dell'art. 2486 c.c., per i danni subiti dai terzi per effetto della violazione dell'obbligo di gestire l'azienda ai soli fini della conservazione del patrimonio sociale in epoca precedente alla presentazione della domanda, ma anche, che i terzi siano sempre edotti della sospensione di operatività delle cause di scioglimento in ragione della necessaria pubblicazione della domanda di omologazione del concordato preventivo nel registro delle imprese; in altre parole, i creditori sono pur sempre tutelati dall'art. 2486 c.c., per il periodo precedente al deposito della domanda di omologazione del concordato, e per il periodo successivo, sono a conoscenza della sopraggiunta irresponsabilità degli amministratori per l'eventuale prosecuzione dell'attività aziendale.

Nel sistema, invece, ipotizzato dall'art. 20 e dall'art. 54, quarto comma, cod. crisi, la pubblicazione della domanda per la concessione delle misure protettive e del provvedimento di sospensione dell'efficacia delle norme relative alla operatività della causa di scioglimento nel registro delle imprese è solo eventuale perché può essere disposta esclusivamente su iniziativa del debitore (in omaggio alla natura volutamente confidenziale dell'intera fase), che tuttavia non avrà, normalmente, alcun interesse a chiedere la pubblicazione né della domanda né del provvedimento; inoltre, non è neppure specificato se gli amministratori siano comunque responsabili per il periodo precedente all'emanazione del provvedimento per i danni subiti per effetto della prosecuzione dell'attività sociale in epoca successiva al verificarsi di una causa di scioglimento.

Orbene, malgrado il silenzio normativo, non vi possono essere dubbi che, anche nell'ipotesi prevista dall'art. 20, gli amministratori siano comunque responsabili per i danni che ai terzi, prima dell'emanazione del provvedimento di sospensione, fossero stati provocati dalla prosecuzione dell'attività sociale in violazione delle disposizioni sull'obbligo della conservazione del patrimonio. La sospensione, infatti, non può che operare per il futuro, e non vi sono altre esenzioni; l'art. 89, cod. crisi, più che disciplinare, quindi, in modo originale la fattispecie, si limita pertanto a ribadire le ordinarie regole che trovano applicazione anche nella parzialmente diversa fattispecie dell'art. 20, cod. crisi.

E', però, importante sottolineare che l'eventuale ricostruzione del capitale per effetto del buon esito degli accordi avrebbe comunque effetti retroattivi e, quindi, determinerebbe, in ogni caso, il venire meno della responsabilità degli amministratori per i danni provocati in epoca precedente all'emanazione dei provvedimenti cautelari. In tal senso, infatti, Cass. 22 aprile 2009 n. 9619 per la quale ( sia pure in relazione a fattispecie riferibile a vicenda precedente alla riforma societaria ma con principio applicabile anche a seguito dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni) “lo scioglimento della società si produce automaticamente ed immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o dalla trasformazione della società ai sensi dell'art. 2447 c.c., in quanto, con il verificarsi dell'anzidetta condizione risolutiva, viene meno "ex tunc" lo scioglimento della società”.

Proprio il deficit informativo che il sistema delineato dall'art. 20 e dall'art. 54 quarto comma, cod. crisi, intrinsecamente determina a danno dei terzi che hanno contatto con la società, deve indurre a ritenere che il Tribunale possa modulare il provvedimento richiesto disponendo che la sospensione degli obblighi previsti dall'art. 2446 e 2447 c.c. ed in particolare della non operatività della causa di scioglimento sia sottoposto alla condizione della ( ed a partire dalla) pubblicazione del provvedimento nel Registro delle Imprese per evitare che i terzi, altrimenti ignari della crisi, siano esposti al rischio di non potere contare sul patrimonio personale degli amministratori per le operazioni eseguite dopo il verificarsi della causa di scioglimento non essendo neppure edotti della verificazione della causa di scioglimento. La natura confidenziale e riservata della fase di soluzione concordata della crisi, soprattutto quando abbia perso rilevanza, dovendo necessariamente coinvolgere tutti o parte dei creditori, non può, infatti, compromettere le ragioni dei terzi ignari, con la conseguenza che la facoltà di deposito del provvedimento debba essere interpretata come attribuzione al debitore della scelta di avvalersi o meno della sospensione, senza, però, precludere al Tribunale la possibilità di far decorrere dalla pubblicazione del provvedimento gli effetti sospensivi per il necessario contemperamento che vi deve essere tra le ragioni del debitore e quelle dei creditori.

Ovviamente tornerebbe ad essere pienamente operante la disciplina della responsabilità degli amministratori qualora all'esito della procedura di soluzione concordata della crisi non si sia, invece, giunti alla ricostruzione del capitale e comunque alla cessazione, per qualunque motivo ( anche per il mero trascorrere del tempo) delle misure protettive senza che la società abbia ritrovato integralmente il suo equilibrio patrimoniale.

Le misure protettive nella soluzione concordata della crisi. Le altre misure tipiche

Tra le misure protettive, di carattere sostanzialmente automatico, in quanto dipendenti dalla semplice richiesta del debitore, salvo conferma degli effetti da parte del giudice, l'art. 54 cod. crisi, annovera il divieto, per i creditori per titolo o causa anteriore, sotto pena di nullità, di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore. Dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

Ai sensi dell'art. 54 quarto comma, cod. crisi, tale misura può essere chiesta dal debitore anche nella sua domanda di composizione concordata della crisi e, su iniziativa del creditore, la domanda contenente la richiesta di applicazione di divieto di inizio o di prosecuzione delle azioni esecutive può essere pubblicata nel Registro delle Imprese e naturalmente ha effetto, in base al comma secondo, sempre dalla pubblicazione.

Tale misura, però, ha effetti meramente interinali poiché è compito del giudice provvedere entro brevi termini dalla pubblicazione nel Registro delle Imprese, alla conferma o revoca dell'effetto sospensivo e comunque a stabilirne la durata; il decreto emanato dal giudice va necessariamente pubblicato nel Registro delle Imprese ( a conferma che le misure protettive, se coinvolgono gli interessi di terzi, debbano essere sottoposte ad adeguate forme di pubblicità).

Nel concordato preventivo, però, vige il generale divieto di procedere al pagamento di tutti i crediti sorti anteriormente alla presentazione della domanda salvo che il tribunale, su istanza del debitore, autorizzi singoli pagamenti, verificate le condizioni previste dall'art. 100.

Il sistema, però, non sembra pienamente applicabile nella fase di soluzione concordata della crisi nella quale l'esercizio della impresa non è soggetta ad alcuna limitazione; nè può dirsi necessariamente funzionale alla soluzione della crisi, subordinare il pagamento dei fornitori a specifiche autorizzazioni del Tribunale. Ciò apre la strada alla possibilità, per il debitore, di chiedere che il divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive sia limitato a categorie di crediti ( anche se non a singoli creditori) sebbene ciò possa determinare il rischio che i pagamenti fatti soli a taluni creditori siano valutati quali fattispecie integranti il reato di bancarotta preferenziale, nel caso in cui la crisi si concludesse con la liquidazione giudiziale.

Potrebbe, poi, risultare possibile per il debitore richiedere di modulare il divieto di inizio o prosecuzione di azioni esecutive nel senso di essere autorizzato ad effettuare pagamenti parziali per tutti i creditori, indipendentemente dalla sussistenza o meno di privilegi, considerato che la fase della soluzione concordata della crisi non costituisce procedura concorsuale.

Le misure atipiche

Come già accennato però, il giudice può emettere anche provvedimenti del tutto atipici non direttamente previsti dalla legge; si tratta, quindi, di definire i limiti del potere di intervento del giudice.

In primo luogo va individuata l'estensione; in altre parole, i provvedimenti cautelari e protettivi devono solo tutelare diritti già presenti nel patrimonio del debitore, oppure rappresentano strumenti di tutela del diritto del debitore di ricercare la soluzione meno traumatica possibile con i suoi creditori? Connesso al medesimo tema è la questione se i provvedimenti del tribunale, emessi ai sensi dell'art. 20, possano incidere sulla sfera giuridica di altri soggetti.

Orbene, iniziando da quest'ultimo aspetto, sembra connaturale al sistema che i provvedimenti protettivi emanabili dal tribunale, anche ai sensi dell'art. 20, possano incidere su diritti di terzi, come dimostrato dalle misure tipiche previste dallo stesso legislatore.

Ciò posto, ed in ordine alla questione dell'estensione dei poteri del tribunale, se si ritenesse che i provvedimenti dovessero essere sempre funzionali al solo riconoscimento di un diritto soggettivo attribuito in base a norme diverse da quelli concorsuali (come talvolta affermato dalla giurisprudenza, Trib. Vicenza, 15 Gennaio 2018, Il caso, 19075 del 20 febbraio 2018), si finirebbe per attribuire alle disposizioni degli articoli 54 e 55 una valenza solo processuale perché si affermerebbe il principio per cui il debitore, nella fase di svolgimento della fase della soluzione concordata della crisi, potrebbe esercitare solo i diritti che trovano fondamento nella disciplina ordinaria attraverso domande da proporre innanzi ad una autorità giudiziaria diversa da quella ordinariamente competente.

Si tratterebbe all'evidenza di una soluzione del tutto insoddisfacente.

Molto più ragionevole è, quindi, affermare che le misure protettive possano essere estrinsecazione non già di diritti soggettivi già appartenenti al patrimonio del debitore, ma che siano emanabili, anche senza che il debitore abbia in concreto diritto ad ottenerli in base alle regole ordinarie, sol perché funzionali al perseguimento dell'obiettivo della soluzione concordata della crisi. In altre parole, per la concessione delle misure protettive descritte dall'art. 20, cod. crisi, il tradizionale accertamento del fumus bonis juris va eseguito con riferimento alla probabile utilità che la misura favorisca l'esito favorevole dell'iniziativa rimuovendo impedimenti che di fatto l'ostacolino. Il solo limite è quello della natura temporanea degli effetti dei provvedimenti emessi che, pertanto, non devono pregiudicare in modo definitivo la posizione dei terzi.

Ciò posto, tra i provvedimenti che possono essere adottati dal tribunale, idonei ad incidere sulla sfera giuridica di terzi e non costituenti esercizio di diritti già facenti parte del patrimonio del debitore, va annoverato in primo luogo quello che dispone, già nella fase di soluzione concordata della crisi, la sospensione dei contratti pendenti.

Se infatti, si deve escludere dal novero dei provvedimenti emanabili, nella fase della soluzione concordata della crisi, quelli che dispongono lo scioglimento dei contratti pendenti come definiti dall'art. 97, cod. crisi, perché non possono trovare diretta soddisfazione le previsioni della indicata norma in ordine al necessario collegamento che deve esistere tra domanda di concordato e scioglimento dei contratti, pur sempre compatibile con la soluzione concordata della crisi, appare, invece, la mera sospensione dei contratti in corso, esattamente come, solo la sospensione, può risultare compatibile con la fase che precede il deposito del piano ai sensi dell'art. 44.

Ovviamente, anche la mera sospensione dei contratti pendenti fa sorgere il diritto dell'altro contraente ad ottenere il risarcimento dei danni, ma la sua concreta determinazione ben può essere rimessa al momento successivo in cui il debitore deve concordare con il creditore la sorte definitiva del contratto in corso e la complessiva sua posizione debitoria.

Non si può escludere che vi possano essere casi in cui la sospensione risulti effettivamente funzionale al raggiungimento della definizione amichevole della crisi, liberando il debitore dell'onere di procedere, momentaneamente, all'esecuzione di un contratto che non risulti più vantaggioso o eseguibile proficuamente.

In termini negativi va vista, invece, la possibilità che il provvedimento del Tribunale possa spingersi al punto di ordinare ai terzi il compimento di attività positive (concedere linee di credito o mantenere inalterate quelle esistenti, eseguire forniture, concedere dilazioni di pagamenti). Ciò si deve escludere perché tali provvedimenti non avrebbero effetti temporanei ma necessariamente definitivi, in aperta violazione della finalità della soluzione concordata che tende, esclusivamente, a favorire gli accordi volontari tra debitore e creditori. Come già anticipato, costituisce, infatti, intrinseco limite all'adozione di misure protettive di cui all'art. 20, cod. crisi, l'irreversibilità dei loro effetti; i provvedimenti aventi un'efficacia definitiva non possono ritenersi tra quelli contemplati dall'art. 20, cod. crisi, tanto più che il sacrificio del terzo non potrebbe essere neppure compensato con la concessione della prededuzione, attesa la natura non concorsuale della procedura in questione. Va poi osservato che neppure nel concordato possono esser imposti a terzi comportamenti positivi del tipo di quelli indicati.

Proprio per la medesima ragione, nemmeno risulta possibile l'attribuzione, anche soltanto provvisoria, dell'effetto previsto dall'art. 46, 5 comma, dell'inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso alle procedure di concordato preventivo o al giudizio per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione. La disposizione trova fondamento nell'esigenza, certamente non rinvenibile nella soluzione concordata della crisi, di anticipare l'applicazione delle regole del concorso a tutela della posizione complessiva di tutti gli altri creditori, eliminando la posizione di privilegio di chi, in stretta prossimità con l'apertura della procedura, abbia iscritto ipoteca giudiziale nell'evidente consapevolezza di agire nei confronti di un soggetto in stato di crisi.

Tra i provvedimenti aventi carattere protettivo che il Tribunale può emanare ai sensi dell'art. 20, cod. crisi, vanno fatti rientrare anche gli ordini di sospensione di segnalazione di mancati pagamenti in talune banche dati pubbliche e private tra cui anche la Centrale dei Rischi. E' noto che la segnalazione di mancati pagamenti possa determinare gravi pregiudizi al debitore, rendendo, nella normalità dei casi, definitivamente vana la richiesta di ulteriori finanziamenti. Nel tempo in cui viene disposta la temporanea posticipazione degli obblighi di comunicazione, il debitore può, infatti, trovare una soluzione con i creditori e rendere poi definitivamente superflua la segnalazione per effetto della cessata inadempienza.

E' da escludere, invece, che possa essere disposta, con finalità protettiva dell'imprenditore che ha presentato istanza per la soluzione della crisi, la sospensione della levata del protesto essendo questa diretta a finalità di carattere pubblico ed a tutela anche degli obbligati di regresso.

La soluzione concordata della crisi ed il fisco e gli enti di previdenza

Fermo che il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive, contemplato dall'art. 54 cod.crisi, si deve ritenere operante anche nei confronti del fisco e degli enti di previdenza ( se disposta dal Tribunale per tutti i crediti o, se si accede alla tesi della modulabilità della misura, per i crediti INPS e fiscali), va valutato se come misura protettiva, ai sensi dell'art. 20, possa essere impartito l'ordine agli enti previdenziali di emettere certificato di regolarità contributiva.

Il tema si riallaccia a quello analogo affrontato dalla giurisprudenza nell'ambito dei concordati preventivi; anche recentemente il Tribunale Livorno, 16 Ottobre 2018 (il caso.it 20694 – 30 ottobre 2018) ha, con provvedimento di urgenza, ritenuto possibile ordinare agli enti previdenziali INPS ed INAIL il rilascio di attestazione Documento di Regolarità Contributiva-DURC con la dicitura «regolare», assumendo che l'apertura del concordato preventivo, anche di quello “in bianco” rappresenti ipotesi legale di sospensione dei pagamenti in forza di disposizioni legislative, come desumibile dal divieto previsto nel concordato preventivo di iniziare o proseguire azioni esecutive e dal fatto che solo su autorizzazione del Tribunale il debitore possa pagare creditori anteriori, esclusivamente se si tratti di prestazioni di beni o servizi essenziali per la prosecuzione della attività di impresa (analoga posizione è stata assunta da Trib. Cosenza 1 luglio 2015 in Caso.it, 14149 - 10/07/2015, Tribunale di Bergamo 23 aprile 2015 ll Caso.it, 13097 -22/07/2015, Trib, Pavia 29 dicembre 2014 11957 – il Caso.it 26/01/2015- Tribunale di Milano - Sez. II - 11 marzo 2016, decr. Il Fallimentarista, 16 Marzo 2016

Poiché anche nella fase di composizione concordata della crisi può essere disposto il divieto di inizio o di prosecuzione delle azioni esecutive, da cui la giurisprudenza prima citata fa derivare l'obbligo per gli Enti previdenziali di rilasciare il certificato di regolare adempimento degli obblighi di regolarità contributiva, non vi sono ostacoli a ritenere che il Tribunale provveda ad emanare a carico degli Enti previdenziali la misura protettiva di rilascio del certificato, qualora ciò possa consentire all'impresa di proseguire l'attività economica che costituisce il presupposto per l'esito positivo delle trattative. La misura protettiva può anche indicare una durata ridotta della validità del certificato (che per il DM 24 ottobre 2007, art. 7 ha validità mensile o trimestrale).

Le procedure di emissione delle misure protettive previste dall'art. 20

L'art. 20, cod. crisi, richiama espressamente le procedure previste dall'art. 54 e 55, cod. crisi, in quanto compatibili.

Lasciando l'esame compiuto delle procedure al relativo commento, vanno esaminate le specifiche peculiarità del procedimento per l'emanazione delle misure protettive indicate dall'art. 20 cod. crisi.

In primo luogo le misure protettive possono essere richieste esclusivamente dall'imprenditore e non da altri soggetti, in quanto nessun altro riveste, nella soluzione concordata della crisi, il ruolo di parte. E' necessaria, comunque, l'assistenza legale, trattandosi di domanda da proporre al Tribunale competente ai sensi dell'art. 9 comma secondo.

Occorre domandarsi se il procedimento di emissione delle misure protettive sia disciplinato in modo rigoroso dal principio della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. In tal senso si esprime la relazione di accompagnamento del codice nella quale si precisa, infatti, che “il contenuto delle misure richieste deve essere individuato dal ricorrente, nel rispetto del principio della domanda, e il giudice pronuncerà nel rispetto di quel principio e di quello di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (con esclusione, perciò, di un potere generale di cautela indeterminata da parte del tribunale)”.

Tale conclusione sia pure espressamente indicata nella relazione, non sembra conforme alle finalità ed al testo della norma.

Se, infatti, le misure protettive non possono essere emesse di ufficio, ma occorre pur sempre un'apposita domanda, non appare necessario che il debitore specifichi nel dettaglio quale misura protettiva intenda ottenere, apparendo, invece, indispensabile che indichi la finalità che persegue con la divisata misura protettiva; il Tribunale, nei limiti delle finalità perseguita e dichiarata, potrà adottare quella misura che consideri nella specie più utile, anche concedendone una diversa da quella richiesta ovvero anche modulando sul caso concreto l'efficacia di quella richiesta. Tale conclusione discende dal fatto che le misure protettive non hanno un contenuto prefissato e non corrispondono neppure ad un provvedimento specifico; sarebbe, quindi, incongruo subordinare la loro emissione ad una domanda analitica e vincolante del debitore tanto più che il contenuto del provvedimento potrebbe dipendere dalle indicazioni dell'Ocri ( o dell'Organismo di composizione della crisi nel caso di imprenditore non fallibile) che collabora con l'imprenditore nella ricerca della soluzione più opportuna.

Nella fase di soluzione concordata della crisi non vi è neppure un provvedimento su cui conformare il provvedimento richiesto, essendo possibili solo indicazioni in ordine alla specifica finalità cui la misura è diretta, contrariamente a quanto accade nel procedimento ex art. 700 cpc nel quale è necessario indicare l'azione di merito che si intende promuovere. Naturalmente la parte potrà indicare anche nel dettaglio la misura richiesta ma il Tribunale non può ritenersi vincolato se non nel senso che la misura concretamente emessa debba essere diretta a perseguire proprio la finalità enunciate.

V'è poi da osservare che il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato rileva nei procedimenti con parti contrapposte nei quali l'individuazione del provvedimento richiesto delimita anche l'area dell'azione proposta; ma nella fase della soluzione concordata della crisi, non è neppure ipotizzabile, se non in taluni casi, l'esistenza di un controinteressato le cui ragioni di difesa possano trovare tutela nella precisa identificazione dei provvedimenti richiesti.

Quindi, malgrado la diversa opinione espressa nella relazione, si deve escludere che nella procedura delineata dall'art. 20, il debitore debba indicare in modo esatto la misura protettiva richiesta potendosi limitare ad indicare, invece, le sole finalità perseguite con la domanda.

La competenza ad emettere le misure protettive nella soluzione concordata della crisi spetta sempre alla sezione specializzata in materia di impresa e, quindi, ad un tribunale che può essere diverso da quello competente a conoscere i procedimenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza del medesimo imprenditore.

L'emanazione delle misure protettive è affidata ad una procedura semplificata che non contempla, come già anticipato, necessariamente l'audizione di controinteressati.

In particolare non è prevedibile l'audizione di terzi nel caso di richiesta di differimento degli obblighi previsti dall'art. 2446 e 2447 cc e degli altri adempimenti connessi con il verificarsi della causa di scioglimento; può, però, essere disposta ogni attività istruttoria funzionale a valutare l'opportunità dell'adozione di siffatta misura tra cui l'audizione del rappresentante dell'Ocri ed anche dei soggetti che hanno proceduto alla segnalazione.

Non è espressamente prevista l'audizione di nessun creditore neppure nel caso in cui sia stata richiesta la misura del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive apparendo tale previsione diretta a semplificare e velocizzare la procedura, affidando al successivo ed eventuale reclamo del creditore interessato, l'integrale dispiegarsi del contraddittorio. Non può, però, escludersi che il giudice ritenga necessaria l'audizione di quei creditori (ad esempio Inps o banche) che possano essere più significativamente coinvolti nella particolare misura protettiva.

Tutte le misure protettive possono essere temporaneamente e provvisoriamente emesse con decreto dal giudice incaricato del procedimento, con riserva di conferma o revoca all'udienza fissata. La durata iniziale delle misure protettive non può essere superiore a tre mesi e può essere prorogata anche più volte, su istanza del debitore, fino al termine massimo complessivo di sei mesi (art. 19, comma primo, cod. crisi) a condizione che siano stati compiuti progressi significativi nelle trattative tali da rendere probabile il raggiungimento dell'accordo, e su conforme attestazione resa dall'Ocri.

Esse possono essere revocate in ogni momento, anche d'ufficio (ma sempre previa convocazione dell'imprenditore), se risultano essere stati commessi atti di frode dal debitore nei confronti dei creditori oppure quando l'Ocri segnali l'impossibilità di raggiungere un accordo ovvero quando la trattativa si trovi in fase di stallo.

E' espressamente previsto che soltanto i provvedimenti relativi al divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive siano impugnabili innanzi al Tribunale collegiale da ogni eventuale controinteressato ( ma anche, ancorchè non sia stato specificato, dall'imprenditore); il termine per l'impugnazione è di dieci giorni dall'eventuale pubblicazione del provvedimento nel registro delle imprese; negli altri casi, si deve ritenere che il termine di dieci giorni decorra dalla sua effettiva conoscenza, non potendo trovare applicazione le altre previsioni dell'art. 124 richiamato dall'art. 55.

Non è, dunque, prevista espressamente alcuna impugnazione per gli altri provvedimenti; anzi, la relazione accompagnatoria ne esclude la necessità, essendo misure intrinsecamente provvisorie. Tuttavia deve ritenersi possano trovare applicazione, in ogni caso, le regole fissate dagli artt. 669-bis669-quaterdecies del c.p.c., espressamente applicabili a tutte le misure cautelari da qualunque legge contemplate. Quindi, sembra difficile escludere la reclamabilità dei provvedimenti almeno da parte del debitore istante secondo le forme previste dall'art. 124, cod. crisi sia nel caso in cui il Tribunale non abbia concesso la misura, sia nel caso in cui essa è difforme rispetto a quella domandata.

La possibilità di chiedere al Tribunale delle Imprese provvedimenti protettivi nel corso della procedura di soluzione concordata della crisi, non esclude, infine, che l'imprenditore possa richiedere al tribunale, ordinariamente competente, provvedimenti di sequestro conservativo e giudiziario ed anche atipici, ai sensi dell'art. 700 cpc. Infatti, mentre le misure protettive hanno una valenza esclusivamente limitata alla fase della soluzione concordata della crisi e sono soggette alla relativa disciplina prima illustrata, anche in termini di durata, la richiesta dei provvedimenti cautelari e d'urgenza è soggetta alle ben diverse regole del processo ordinario e la loro emissione è subordinata all'accertamento dei requisiti del fumus bonis juris del diritto fatto valere e del periculum in mora. Il loro regime giuridico è, poi, quello proprio dei provvedimenti cautelari e non dei provvedimenti emessi ai sensi degli artt. 20, 54 e 55 cod. crisi.

Le misure cautelari e protettive disciplinate dagli artt. 54 e 55

Gli artt. 54 e 55 cod. crisi, disciplinano in modo unitario le misure che possono essere emesse nel corso dei procedimenti volti all'apertura della fase di liquidazione giudiziale o della procedura di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione, ma, com'è evidente, la loro tipologia risulta diversa a seconda delle finalità perseguite dalle procedure nel corso delle quali vengono richiesti e degli interessi che debbono trovare di volta in volta protezione. Ciò suggerisce di trattare delle singole misure distinguendo almeno quelle destinate ad essere emesse nella procedura di liquidazione giudiziale dalle altre che possono essere emesse nelle procedure di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione. Le stesse misure possono essere emesse anche nella procedura di omologazione del concordato minore dell'imprenditore non fallibile, ai sensi dell'art. 65 secondo comma.

Tutte devono avere una funzione sostanzialmente anticipatoria, come reso palese dall'espressa previsione legislativa secondo cui esse “devono assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza che dichiara l'apertura della liquidazione giudiziale o che omologa il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti” che ricalca la definizione contenuta nell'art. 2 lett.q. Possono essere distinte in tipiche od atipiche e possono essere richieste non soltanto dal debitore ma anche da tutti i soggetti che nelle indicate procedure assumono il ruolo di parte.

Le misure cautelari nella procedura di apertura di liquidazione giudiziale

Tendenzialmente le misure cautelari che possono essere emesse nella fase processuale che precede la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale tutelano i creditori sociali dalle azioni dispersive, di alterazione della par condicio od altamente rischiose che il debitore possa essere indotto a realizzare nei momenti che precedono la dichiarazione di insolvenza.

Proprio a tal fine, tra le misure tipiche, perché già ipotizzate dal legislatore, si annovera la nomina di un custode dell'azienda o del patrimonio del debitore (da nominarsi tra chi abbia gli stessi requisiti occorrenti per la nomina a curatore o commissario), diretta a sottrarre immediatamente all'imprenditore la gestione dell'azienda e di tutti i suoi beni.

Le misure possono essere chieste sia dal creditore istante (già nella stessa domanda introduttiva) od dal pubblico ministero che agisca, ai sensi dell'art. 38, per l'apertura della procedura di liquidazione; analoga legittimazione hanno anche gli organi di controllo del debitore e le autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull'impresa e che hanno, anch'essi, poteri di iniziativa e che possono intervenire nel procedimento ai sensi dell'art. 41, 5 co, così estendendo la legittimazione ad ogni soggetto che potrebbe attivare la procedura o esprimere un interesse alla sua prosecuzione o conclusione. Possono anche essere chieste dall'amministratore delle procedure di insolvenza nominato in altro Stato quando è aperta in Italia una procedura di regolamentazione della crisi o dell'insolvenza ovvero, anche quando non sia ancora aperta alcuna procedura se ciò sia funzionale all'esigenze della rapida e non discriminatoria soddisfazione di tutti i creditori (anche se ciò apre problemi di individuazione del giudice competente come verrà esaminato nel paragrafo destinato alla illustrazione delle disposizioni processuali). Non può neppure escludersi, in linea di principio, che a chiedere tali misure sia lo stesso imprenditore.

Come ritenuto dalla giurisprudenza in relazione alla sostanzialmente analoga disposizione dell'art. 15 dell'attuale legge fallimentare, la concessione delle misure è subordinata al tradizionale riconoscimento del fumus bonis juris, da intendersi come probabile sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi necessari per la apertura della liquidazione giudiziale e del periculum in mora, ovvero l'accertamento della sussistenza del rischio che nelle more della procedura possa verificarsi la dispersione del valore dell'azienda, la riduzione o perdita della capacità produttiva ovvero il compimento di atti di distrazione dell'attivo o di incremento del passivo (Tribunale Napoli, 30 Marzo 2012. Il caso it., 8173 – 3 dicembre 2012). La relazione di accompagnamento precisa che le misure non determinano in via anticipata l'apertura della procedura non avendo carattere totalmente anticipatorio.

Nel vigore della precedente normativa sono state riconosciute ammissibili anche misure che imponessero la stessa prosecuzione dell'attività economica, con anticipazione dell'esercizio provvisorio, al fine di garantire la conservazione dei valori economici dell'impresa (Tribunale Vicenza, 15 Gennaio 2018 in Il caso.it 19070 - pubb. 20 febbraio 2018).

Nella sostanza tutte le indicate finalità, possono essere raggiunte mediante l'attribuzione integrale dei poteri gestori ad un soggetto nominato dal Tribunale che possa sostituire in tutto l'imprenditore ovvero gli organi amministrativi della società.

Se non escluso dal provvedimento di nomina, il custode ha sostanzialmente gli stessi poteri dell'amministratore giudiziario nominato ai sensi dell'art. 2409 c.c. ancorchè non abbia la rappresentanza legale della società che rimane in capo agli organi originari che restano, quindi, gli unici ad interloquire con il Tribunale nel procedimento di apertura della liquidazione giudiziale. Tuttavia, qualora al custode siano affidati effettivi poteri gestori, si deve ritenere che egli abbia la piena ed unica rappresentanza esterna ed ogni potere per vincolare la società. Ciò evidentemente comporta che il provvedimento debba essere immediatamente iscritto nel Registro delle Imprese per essere reso pubblico.

Piuttosto delicato è valutare se i provvedimenti possono coinvolgere la posizione di terzi; in particolare se possono essere emessi provvedimenti cautelari che anticipino taluni effetti della apertura della liquidazione giudiziale quale, ad esempio, la sospensione dei contratti pendenti ai sensi dell'art. 172; la soluzione positiva sembra preferibile perché la sospensione ha la funzione di proteggere l'impresa dall'esecuzione di contratti che potrebbero essere assai pregiudizievoli per l'impresa.

Non dovrebbero, invece, rientrare tra le misure che possono essere emesse dal Tribunale, i sequestri conservativi in danno degli organi della società quale strumento anticipatorio della eventuale azione di responsabilità; tuttavia la nomina di un amministratore dell'azienda attribuisce al medesimo ( se non espressamente escluso dal provvedimento di nomina ed ancor di più se espressamente siano attribuiti all'amministratore i poteri dell'assemblea, come accade per l'amministratore giudiziario nominato ai sensi dell'art. 2409 c.c.) il potere di richiedere secondo le forme ordinarie provvedimenti di sequestro conservativo anche inaudita altera parte e perfino prima ancora della fissazione dell'udienza di convalida del provvedimento, in caso di eccezionale urgenza.

Tra le misure cautelari può rientrare il sequestro della contabilità in caso di rischio di dispersione.

Possono anche essere disposti divieti di pagamenti di taluni creditori per non alterare la par condicio ed anche la sospensione delle vendite esecutive che nel frattempo fossero disposte in attesa della apertura della procedura; in genere, dunque, può essere emesso ogni provvedimento che determini la cristallizzazione del patrimonio del debitore. Possono essere paralizzate anche le azioni recuperatorie dei beni che, seppure di proprietà di terzi, sono stati destinati all'esercizio dell'impresa.

Va ricordato che taluni effetti della apertura della procedura di liquidazione giudiziale (quali quelli disciplinati dall'art. 166, cod. crisi ) retroagiscono alla data di presentazione della domanda di apertura della fase di liquidazione per cui risulta inutile ogni forma di anticipazione.

Le misure cautelari nelle procedure di concordato preventivo e di omologazione degli accordi di ristrutturazione. Disciplina generale

Tali misure possono essere richieste dal debitore, ma non solo, come si avrà modo di vedere.

La principale è rappresentata dalla possibilità di chiedere, già nella domanda di omologazione di concordato preventivo o di omologazione dell'accordo di ristrutturazione, il divieto di proseguire o iniziare azioni esecutive e cautelari; come già illustrato in occasione dell'esame delle misure previste dall'art. 20 cod. crisi, la pubblicazione nel Registro delle Imprese della domanda è condizione essenziale affinchè tale misura possa essere operativa già immediatamente dopo il deposito della domanda.

La stessa misura può essere richiesta anche prima della presentazione della domanda di omologazione dell'accordo di ristrutturazione, alla condizione che si presenti una domanda in tal senso, corredata dalla documentazione prevista dall'art. 39, cod. crisi, dalla proposta di accordo e soprattutto dall'attestazione di un professionista indipendente che dia conto della pendenza di trattative con creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti qualora la proposta sia in grado di assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei all'accordo o che abbiano rifiutato di aderire.

La disposizione prevede altresì che la richiesta di divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive possa essere avanzata anche nel caso che siano in corso soltanto trattative per il raggiungimento di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, che sono quegli accordi in forza del quale, ferme le altre condizioni previste dall'art. 61, l'efficacia obbligatoria è attribuita anche nei confronti dei creditori non aderenti, ma appartenenti a categoria nell'ambito della quale gli altri creditori abbiano aderito nelle misura del 75%.

Com'è evidente il problema è determinato dall'individuazione dei requisiti che deve avere l'attestazione; considerati i diversi limiti quantitativi e le particolari condizioni cui è sottoposta l'efficacia di tale tipo di accordo, il professionista dare conto della sussistenza dei requisiti previsti dall'art.61 ed anche che sono in corso trattative con debitori che complessivamente rappresentino il 60% del totale, tenuto conto però delle adesioni forzate di creditori appartenenti a categorie per le quali vi fosse adesione, in misura superiore al 75%, di creditori appartenenti alla stessa categoria, oltrecchè l'integrale pagamento dei creditori estranei o che abbiano rifiutato la disponibilità a trattare.

Non sono previste misure cautelari o protettivi in conseguenza od in vista delle convenzioni di moratoria disciplinate dall'art. 62.

Le misure eventualmente concesse conservano efficacia anche se il debitore, prima della scadenza fissata dal giudice per il deposito degli accordi di ristrutturazione, deposita domanda di apertura del concordato preventivo ( e semprecchè siano state emesse o confermate dal giudice).

Le misure cautelari nel concordato preventivo

Come in parte già accennato, ed in via di eccezione rispetto alla regola per cui le misure protettive devono essere concesse dal giudice, talune misure cautelari e protettive trovano applicazione per il solo effetto della presentazione della domanda. In particolare la sospensione dell'applicazione delle disposizioni del codice in tema di ricapitalizzazione e dell'operatività della causa di scioglimento rappresentata dalla riduzione del capitale al sotto del minimo di legge nonché il divieto di inizio e prosecuzione delle procedure esecutive.

La procedura di concordato preventivo attribuisce, inoltre, ampi poteri per finalità protettive al giudice delegato ed al tribunale da esercitarsi non secondo le forme previste dall'art. 55 ma secondo le specifiche disposizioni applicabili per ciascuna procedura autorizzativa.

Ciò accade per l'autorizzazione a compiere atti straordinari, per la sospensione lo scioglimento dei contratti pendenti, per lo scioglimento dei contratti di locazione finanziaria, per il pagamenti dei crediti pregressi e per l'autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili.

Come è evidente, si tratta di misure che possono essere richiesta soltanto dal debitore. Ma tra i soggetti che possono essere legittimati a richiedere misure cautelari e protettive vi sono, però, anche i creditori che abbiano presentato proposte concorrenti ai sensi dell'art. 90 cod.crisi.

Lo stesso art. 118, cod. crisi, dopo aver imposto al debitore di compiere ogni atto necessario per dare esecuzione alla proposta concordataria proposta da terzi ed approvata, prevede che su segnalazione del commissario o del creditore proponente, il tribunale possa attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere, in luogo del debitore, al compimento degli atti a questo richiesti, ovvero revocare l'organo amministrativo, se si tratta di società, nominando un amministratore giudiziario.

Dopo l'omologa il tribunale provvede secondo le procedure previste dallo stesso art. 118.

Ma l'esigenza di evitare che eventuali comportamenti ostili da parte del debitore nei confronti della loro domanda ( evidentemente alternativa a quella del debitore) o perfino boicottaggi possano arrecare danno al buon esito della proposta alternativa, legittima i creditori proponenti, che a seguito della presentazione di proposta alternativa assumono il ruolo di parte del procedimento, a chiedere al Tribunale, secondo le forme procedurali dell'art. 55, la nomina di un amministratore che gestisca l'azienda in modo corretto e proficuo al fine di salvaguardare le ragioni dei creditori proponenti ovvero altri provvedimenti che possano garantire il buon esito della proposta alternativa.

L'esigenza di procedere alla nomina di un amministratore esterno non coinvolto con la gestione del debitore può risultare strategico anche nella ipotesi di proposta concorrente di tipo parassitario ( Antonio Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo (prime riflessioni) Il Caso.it 23/11/15, Articolo 462) che preveda, come unica modifica rispetto a quella del debitore, l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti degli organi della società debitrice.

La nuova disciplina, art. 115, cod. crisi, affrontando e risolvendo un annoso problema, ha affidato al liquidatore giudiziario il compito di esercitare oppure, se pendente, di proseguire l'azione sociale di responsabilità prevedendo anche la nullità di ogni patto contrario o di ogni diversa previsione contenuti nella proposta o nel piano. Però, l'azione di responsabilità può essere proposta direttamente dal commissario, in ogni caso, solo nel concordato liquidatorio e non in quello in continuità aziendale.

Nulla, però, può escludere che la proposta concorrente nell'ambito di un concordato in continuità aziendale possa prevedere l'esercizio dell'azione di responsabilità in danno degli amministratori che hanno proposto la domanda di concordato e presentato il relativo piano ma che ovviamente non hanno nessun interesse a che essa sia positivamente accolta dagli altri creditori. Ciò può rendere opportuna l'adozione di misure cautelari per evitare che, al fine di rendere, comunque, vana l'iniziativa, gli amministratori e gli altri organi sociali provvedano a disperdere il loro patrimonio personale.

Orbene, l'esigenza di agire tempestivamente a tutela della conservazione dell'efficacia della ipotizzata azione di responsabilità può emergere anche prima dell'omologazione della proposta e, quindi, della concreta possibilità di attivare i meccanismi di tutela previsti dall'art. 118 prima illustrato.

Soccorre la disciplina dell'art. 54, cod. crisi, che nell'ambito della procedura di concordato fa salva la possibilità di richiedere tutti provvedimenti utili per salvaguardare provvisoriamente gli effetti della omologazione del concordato.

Sebbene il giudice indicato dall'art. 55 cod. crisi, non possa certamente procedere all'emissione di un sequestro conservativo nei confronti degli organi sociali, perché si tratterebbe di un provvedimento che esulerebbe dalla competenza del giudice del procedimento concorsuale e che, invece, è necessario sia affidato, secondo le regole ordinarie, allo stesso giudice incaricato in sede contenziosa di accertare la responsabilità degli organi sociali, l'esigenza cautelare può essere soddisfatta attribuendo l'amministrazione dell'azienda ad un soggetto diverso ed affidare al custode dell'azienda il potere di promuovere ogni azione.

Il procedimento

Contrariamente a quanto accade nei procedimenti ipotizzati dall'art. 20, cod. crisi, per il quale l'emissione è sempre affidata al Tribunale delle Imprese, la competenza ad emettere le misure cautelari o protettive previste dall'art. 54 cod. crisi, è affidata al giudice che, ai sensi dell'art. 27, cod. crisi, conosce della domanda introduttiva del procedimento nell'ambito del quale le misure sono richieste.

Nei casi in cui le misure protettive siano domandate ancor prima che sia aperta una procedura per la composizione della crisi o dell'insolvenza ( come può accadere se l'istanza è presentata dall'amministratore delle procedure di insolvenza disciplinate dal Regolamento 2015/848 prima ancora che sia presentata una domanda di dichiarazione di insolvenza nel territorio dello Stato) la competenza deve, comunque, ritenersi affidata allo stesso giudice che dovrebbe conoscere della domanda di apertura della procedura di insolvenza in applicazione dell'art. 669-ter cpc, non essendovi nel codice della crisi, specifica deroga.

Il giudice (monocratico), cui è affidato il compito, è quello incaricato appositamente dal presidente del Tribunale o della sezione ovvero quello già delegato per l'audizione delle parti nelle procedure già iniziate.

L'art. 54 prevede che il presidente del tribunale o il presidente della sezione cui è assegnata la trattazione delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza, fissino, con decreto, l'udienza entro trenta giorni dal deposito della domanda o entro quarantacinque giorni dal deposito della domanda per motivate ragioni.

Come già accennato, il giudice, in conformità alle regole generali dettate per i provvedimenti cautelari, può emettere con il decreto di convocazione delle parti, ogni provvedimento interinale opportuno, in attesa della convocazione delle parti all'esito della quale provvederà all'eventuale modifica o conferma del provvedimento emesso, senza indugio dopo averle convocate innanzi a sé con decreto da notificarsi entro otto giorni.

Occorre la difesa tecnica ma il procedimento, ancorchè possa essere iniziato solo su istanza di parte, non è retto in modo rigoroso dal principio della corrispondenza del pronunciato rispetto a quanto richiesto, poiché il giudice deve ritenersi libero di emettere provvedimenti anche diversi da quelli espressamente richiesti proprio al fine di modulare sulle concrete esigenze perseguite la misura da adottare. Vanno a questo proposito richiamate le stesse considerazioni prima esposte in tema di provvedimenti da emettere nel corso della soluzione concordata della crisi.

Le procedure sono estremamente semplificate, essendo il giudice libero di procedere come meglio ritenga opportuno con il solo limite di garantire un adeguato contraddittorio.

Piuttosto complessa è, però, proprio l'individuazione dei soggetti cui estendere il contraddittorio. Lo stesso art. 55, cod. crisi, probabilmente per l'impossibilità concreta di dare preventiva comunicazione a tutti, esclude la necessità dell'audizione di controinteressati in relazione alla misura protettiva del divieto di inizio o di prosecuzione delle azioni esecutive prevedendo, solo, l'assunzione di informazioni; è fatta espressamente salva la possibilità, però, per ogni controinteressato, di proporre reclamo ai sensi dell'art. 124, cod. crisi, che decorre dalla pubblicazione del provvedimento nel Registro delle Imprese. Ovviamente non può escludersi che il giudice possa ritenere opportuna la convocazione di taluni creditori, da indicare nel provvedimento di fissazione di udienza, specialmente interessati alla misura, come quelli che già hanno promosso azioni esecutive in danno del debitore se venga richiesto un provvedimento che incida sulla loro posizione.

Per altre misure protettive, tipizzate, sono previste procedure che implicano espressamente l'audizione o il coinvolgimento di controinteressati come per la richiesta di sospensione o scioglimento dei contratti pendenti disciplinata dall'art. 97, cod. crisi; in linea generale, assumono certamente la veste di contraddittori i soggetti, specificamente individuabili, nei cui confronti i provvedimenti cautelari possono dispiegare immediatamente efficacia, quali gli amministratori o gli organi di controllo. Se nel procedimento sono già presenti più parti ( come nel caso della richiesta presentata nell'ambito di un procedimento per la apertura della liquidazione in cui sono presenti più creditori) è necessario che al procedimento partecipino tutti.

I provvedimenti cautelari e protettivi possono essere emessi dalla Corte d'appello quando richiesti nei giudizi di reclamo.

La durata delle misure è evidentemente collegata alla durata dei procedimenti nel corso dei quali sono emesse.

L'applicazione delle regole comuni ai procedimenti cautelari

Ai sensi dell'art. 669-quaterdecies cpc trovano applicazione le disposizioni contenute nel codice di procedura civile in materia di provvedimenti cautelari, in quanto compatibili con le previsioni del codice della crisi.

In particolare sembra innegabile l'applicazione del principio della reclamabilità generale di ogni provvedimento cautelare in conformità all'art. 669-terdecies cpc ancorchè non espressamente previsto dall'art. 55, cod. crisi, ( che lo ipotizza solo per l'emanazione di conferma o modifica della misura della sospensione della possibilità di iniziare o proseguire le azioni esecutive). Il reclamo è retto dalle disposizioni dell'art. 124 cod. crisi.

Devono anche trovare applicazione le disposizioni sulla revoca e modifica, sempre su istanza di parte, nel caso in cui si siano verificati mutamenti nelle circostanze di fatto.

In conformità alla loro natura cautelare ed in applicazione dell'art. 9 cod. crisi, i termini non sono sospesi nel periodo feriale.

Non vi è spazio per la condanna al pagamento delle spese processuali trattandosi di procedure emesse nell'ambito di quelle destinate alla regolamentazione della crisi e/o dell'insolvenza nelle quali non è individuabile una parte soccombente.

In conclusione

La scelta del legislatore di predisporre strumenti generali di tutela anticipatoria o cautelare delle ragioni dei soggetti coinvolti nelle procedure concorsuali appare assolutamente opportuna ed anche correttamente affidata al prudente apprezzamento del magistrato incaricato dell'esame delle domande; più discutibile appare l'evidente sottovalutazione degli interessi dei controinteressati, la cui tutela giuridica risulta largamente e per certi aspetti ingiustificatamente, subordinata agli interessi delle procedure e del debitore ancorchè ciò risulti mitigata dalla temporaneità delle misure.

È facile prevedere che la prassi dei Tribunali assumerà un ruolo decisivo nella soluzione di alcuni degli aspetti più controversi della disciplina quali l'applicazione del principio della corrispondenza del provvedimento alla domanda della parte e delle regole comuni sui procedimenti cautelari ed, infine, l'individuazione degli strumenti di contemperamento delle contrapposte esigenze.

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