Arbitrato e impugnazione per violazione della legge sostanziale: le Sezioni Unite dicono no all'overruling

Mauro Di Marzio
27 Febbraio 2019

Le Sezioni Unite sono state chiamate a rispondere al quesito, se, con riguardo all'evolversi dell'interpretazione dell'art. 829 c.p.c., sia applicabile il principio del prospective overruling; se tale istituto sia estensibile alla legge sostanziale, quale, secondo l'ordinanza di rimessione, sarebbe reputata la regola dell'art. 829, comma 3, c.p.c. sull'impugnazione del lodo e, comunque, se sia applicabile la rimessione in termini per «causa non imputabile» al fine di neutralizzare la decadenza consolidatasi, con riguardo alla nuova interpretazione delle predette disposizioni, resa dal giudice di legittimità, che abbia radicalmente disatteso la precedente interpretazione letterale offerta dalla giurisprudenza di merito cui l'impugnante si era conformato.
Massima

In caso di convenzione di arbitrato stipulata prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e di impugnazione per nullità di lodo arbitrale proposta successivamente a tale data sulla base della deduzione di soli errores in procedendo, l'impugnante non ha diritto ad essere rimesso in termini, ai fini della deduzione anche di errores in iudicando, per effetto dell'affermarsi, dal 2012 in poi, della giurisprudenza di legittimità che, nel caso considerato, ha ritenuto ammissibile l'impugnazione per non avere gli arbitri «osservato le regole di diritto».

Il caso

Per l'intelligenza del fatto occorre tener presente un dato normativo. Il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha novellato la disciplina dell'arbitrato e, per quello che qui rileva, ha modificato l'art. 829 c.p.c., ossia la norma che regola l'impugnazione per nullità del lodo arbitrale: prima della riforma il lodo poteva essere di regola impugnato per nullità, tra l'altro, qualora gli arbitri non avessero «osservato le regole di diritto», e cioè per violazione della legge sostanziale, salvo che il compromesso o la clausola compromissoria non autorizzassero gli arbitri a decidere secondo equità ovvero non dichiarassero il lodo non impugnabile; dopo la riforma l'impugnazione del lodo «per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge». Insomma, l'impugnazione per violazione della legge sostanziale da parte degli arbitri, che prima costituiva la regola, è divenuta l'eccezione.

Ecco allora il fatto. Insorta una controversia tra due società, decisa con lodo arbitrale del 2008, pronunciato in forza di una clausola compromissoria risalente al 2005, cioè antecedente alla riforma, la soccombente propone impugnazione per nullità, denunciando una serie di errores in procedendo e nessun error in iudicando: ciò ritenendo di adeguarsi alla norma transitoria contenuta nel d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, che pareva ad essa soccombente (e per la verità non solo ad essa) comportare l'applicabilità della nuova disciplina anche agli arbitrati svoltisi sulla base di clausole arbitrali precedentemente stipulate. Nel 2014 la società impugnante chiede alla corte d'appello investita dell'impugnazione di essere rimessa in termini ai fini della proposizione di nuovi motivi di nullità concernenti appunto errores in iudicando non dedotti con l'originario atto di citazione per nullità. L'istanza di rimessione in termini viene giustificata sulla base di una sentenza della Suprema Corte, Cass. civ., 19 aprile 2012, n. 6148, secondo cui alle convenzioni arbitrali anteriori alla riforma dell'art. 829 c.p.c. si applica la disciplina previgente, che, come ho premesso, consentiva l'impugnazione del lodo per violazione di norme sostanziali.

La Corte d'appello disattende l'istanza e rigetta l'impugnazione. La soccombente propone ricorso per cassazione dolendosi, tra l'altro, del diniego di rimessione in termini. La sezione «semplice» cui è assegnato il ricorso, chiede ed ottiene l'assegnazione alle Sezioni Unite.

La questione

Le Sezioni Unite sono state chiamate a rispondere al quesito, così formulato nell'ordinanza di rimessione, se, con riguardo all'evolversi dell'interpretazione dell'art. 829 c.p.c., nel testo derivante dalla novella sopra menzionata, e della relativa disposizione transitoria (art. 27 citato), sia applicabile il principio del prospective overruling; se tale istituto sia estensibile alla legge sostanziale, quale, secondo l'ordinanza di rimessione, sarebbe reputata la regola dell'art. 829, comma 3, c.p.c. sull'impugnazione del lodo e, comunque, se sia applicabile la rimessione in termini per «causa non imputabile» al fine di neutralizzare la decadenza consolidatasi, con riguardo alla nuova interpretazione delle predette disposizioni, resa dal giudice di legittimità, che abbia radicalmente disatteso la precedente interpretazione letterale offerta dalla giurisprudenza di merito cui l'impugnante si era conformato.

Le soluzioni giuridiche

Con una apprezzabile decisione le Sezioni Unite rigettano su tutta la linea i suggerimenti provenienti dall'ordinanza di rimessione.

Ed infatti:

i) nel nostro sistema il precedente giurisprudenziale, quand'anche proveniente dal giudice di legittimità, possiede un'efficacia non cogente ma solo persuasiva, sicché il mutamento di un orientamento interpretativo non è assimilabile allo ius superveniens (ed è quindi suscettibile di essere disatteso dal giudice di merito) e non soggiace conseguentemente al principio di irretroattività;

ii) il prospective overruling, nei termini in cui è riconosciuto dalla Corte di cassazione (il riferimento, ovviamente, è anzitutto alla nota Cass. civ., Sez. Un., 11 luglio 2011, n. 15144), è ammesso con esclusivo riguardo alla legge processuale e non a quella sostanziale, e ciò quando il mutamento della propria precedente interpretazione di una norma processuale da parte del giudice della nomofilachia (cd. overruling) porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, sempre che l'overruling si connoti per il carattere dell'imprevedibilità;

iii) il mezzo per ovviare all'errore oggettivamente scusabile della parte che si sia conformata alla consolidata interpretazione delle norme regolatrici del processo, travolta dal successivo revirement giurisprudenziale dello stesso giudice di legittimità, è la rimessione in termini;

iv) in effetti, l'art. 829 c.p.c., laddove disciplina l'ammissibilità dell'impugnazione per errores in iudicando, è norma sia sostanziale che processuale e, dunque, in via meramente astratta, il prospective overruling potrebbe trovare applicazione;

v) detta applicazione è però da escludersi giacché, nel caso considerato, la lettura del citato art. 27 data dalla Suprema Corte (Cass. civ., 19 aprile 2012, n. 6148, e poi Cass. civ., Sez. Un., 9 maggio 2016, n. 9284, che ha in buona sostanza riconosciuto che, in caso di convenzione di arbitrato anteriore alla riforma del 2006, l'impugnazione per nullità può essere proposta anche per violazione della sostanziale, quantunque la domanda di arbitrato sia successiva alla riforma medesima) non ha portato a riconoscere una decadenza o preclusione prima esclusa (così da determinare una lesione del legittimo affidamento della parte rimasta in tal modo pregiudicata), ma ha invece fornito un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, che ha ampliato, e non ristretto, la facoltà di impugnare per violazione della legge sostanziale;

vi) neppure la rimessione in termini poteva nel caso di specie trovare applicazione, in ossequio alla regola generale stabilita dall'art. 153 c.p.c., per avere la società interessata fatto incolpevolmente affidamento sull'interpretazione restrittiva, alla quale essa aveva dato credito, del citato art. 27, e ciò perché l'adesione a detta interpretazione si risolveva in un errore di diritto, errore che, almeno di regola, non può giustificare la rimessione in termini e che — si legge in filigrana nella sentenza — l'interessata bene avrebbe potuto evitare agendo con maggior diligenza e prudenza, come aveva del resto fatto la parte nel giudizio conclusosi con Cass. civ., 19 aprile 2012, n. 6148, che aveva appunto recepito l'interpretazione ampia patrocinata dal difensore di essa;

vii) la giurisprudenza di merito non costituisce «diritto vivente».

Osservazioni

Mi riesce difficile comprendere cosa passasse per la mente al collegio delle sezioni semplici che ha suggerito alle Sezioni Unite di affermare che il prospective overruling (o meglio, quello che da noi viene impropriamente chiamato prospective overruling) debba applicarsi anche alla legge sostanziale, e che il diritto vivente (anzi, direi polemicamente, il cd. «diritto vivente») possa essere rappresentato anche da qualche sentenza di merito e possa infine giustificare inopinate e randomizzate rimessioni in termini, tali da beffare non tanto l'astratto principio dell'improrogabilità dei termini perentori, ma sopratutto il poveraccio che, virtualmente vinta la causa, si trovi esposto ad un incomprensibile capovolgimento del verdetto.

Cominciamo dal prospective overruling. Tutti sappiamo che nei sistemi di common law il precedente su un determinato caso è obbligatorio per tutte le successive decisioni giudiziarie riguardanti lo stesso caso. In ciò c'è molto di buono, giacché l'obbligatorietà del precedente significa osservanza del principio di uguaglianza e stabilità del principio di volta in volta affermato e, quindi, certezza (per quel poco che ciò è possibile) del diritto; ma c'è anche molto di cattivo, perché la stabilità può trasformarsi in ottusa cristallizzazione e, dunque, in incapacità della giurisprudenza di rispondere a nuove esigenze che si manifestino nel mondo del diritto. Tale aspetto negativo è contrastato (tra l'altro) dal prospective overruling, con cui il giudice di common law, in parole povere, dice: fino ad oggi abbiamo fatto così, da domani faremo in un altro modo. Il caso emblematico è quello della responsabilità da prodotto su cui ebbe a pronunciarsi Benjamin Cardozo in un celeberrimo caso del secolo scorso in cui una donna, se non vado errato, aveva trovato una lumachina in una bottiglia di bibita gassata: fin qui — disse in buona sostanza il giudice — abbiamo stabilito che il produttore non risponde nei confronti del consumatore; da domani il produttore risponderà. Di qui — è bene sottolineare — la donna perse la causa: ed è per questo che si discorre di futuro (prospective) overruling. I contendenti devono sapere a che cosa andranno incontro, e quindi la nuova regola opera solo per il futuro e non per il passato.

Da noi è tutta un'altra storia. Il nostro è un sistema in cui il precedente non è obbligatorio, giacché il giudice è soggetto per Costituzione solo alla legge, e non al precedente. Un'applicazione piena del prospective overruling per iniziativa giurisprudenziale, se posso esprimermi in un modo rudimentale, sarebbe poco meno che un colpo di stato. Ed in effetti il nostro non è prospective overruling, ma, se mi si passa l'espressione, retrospective overruling. Ad esempio (mi riferisco alla recente Cass. civ., Sez. Un., 8 novembre 2018, n. 28575) la Suprema Corte dice per un certo periodo che l'impugnazione in appello in materia di protezione internazionale si fa con citazione, anche se la norma di riferimento usa l'espressione «ricorso». Gli avvocati attenti ai responsi della giurisprudenza, quelli che più curano il proprio aggiornamento, si comportano di conseguenza, e cioè propongono l'appello con citazione. Ma arriva improvvisamente il contrordine della Cassazione: no, nella norma c'è scritto ricorso e vuol dire ricorso. Il tutto con le disastrose conseguenze che sappiamo, e cioè che l'appello proposto con citazione, che, secondo il nuovo indirizzo, avrebbe dovuto essere proposto invece con ricorso e depositato entro una determinata data, finisce per essere tardivo. La conseguenza (paradossale) è che gli avvocati, diciamo così, meno attenti, che hanno impiegato il ricorso in luogo della citazione, ignorando la giurisprudenza di legittimità del tempo, si trovano ad aver impugnato tempestivamente; gli avvocati più attenti che si sono attenuti alla precedente giurisprudenza della Suprema Corte, si trovano ad aver proposto un appello tardivo. E allora, l'overruling salva non in una prospettiva futura, ma al passato, quelli che hanno usato la citazione in luogo del ricorso perché si sono fidati della Corte di cassazione.

Così stando le cose, il fermo rigetto dell'invito ad estendere il prospective overuling alla legge sostanziale non può che essere visto con favore.

Poche parole sulla complicatissima questione del diritto vivente, poiché lo spazio destinato alla nota va esaurendosi. Intendiamo ad un dipresso per diritto vivente la communis opinio maturata nella giurisprudenza e nella dottrina in ordine al significato da attribuire ad una determinata disposizione. Dicono in particolare le Sezioni Unite, nella sentenza in commento, che «“la norma” non è il presupposto o l'oggetto ma il risultato dell'interpretazione». L'affermazione condensa un indirizzo sul quale molto vi sarebbe da dire: vien fatto qui di ricordare Emilio Betti, che invitava a non arrendersi «al senso originario della norma», giacché «occorre fare un passo avanti, perché la norma lungi dall'esaurirsi nella sua primitiva formulazione, ha vigore attuale ed è destinata a passare e a trasfondersi nella vita sociale a cui deve servire» (Betti, L'interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, 17 e 34). Il giudice, lungi dall'operare come «bocca della legge», crea egli stesso, utilizzando l'arma dell'interpretazione, il diritto. È così, piaccia o non piaccia, c'è poco da fare: ma, almeno, che il rilievo di diritto vivente venga riconosciuto alle sole decisioni della suprema corte di cassazione, non anche, con tutto il rispetto, a quelle del pretore di Vattelapesca.

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