Interdizione (procedimento di)

Gabriele Porchia
27 Febbraio 2019

La disciplina del processo di interdizione evidenzia un certo scostamento rispetto al processo ordinario di cognizione e a questo proposito è sorta un'annosa questione sulla natura del processo stesso: se esso appartenga dunque alla giurisdizione volontaria oppure a quella contenziosa.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE 

La disciplina del processo di interdizione evidenzia un certo scostamento rispetto al processo ordinario di cognizione e a questo proposito è sorta un'annosa questione sulla natura del processo stesso: se esso appartenga dunque alla giurisdizione volontaria oppure a quella contenziosa.

Dopo alcuni pareri discordanti (ad esempio, Cass. civ., 16 dicembre 1971, n. 3664 e Trib. Napoli, 16 marzo 1959), la giurisprudenza sembra essere concorde sulla definizione del processo d'interdizione come procedimento contenzioso speciale. Scrive infatti la Cassazione che «il processo di interdizione o inabilitazione ha per oggetto un accertamento della capacità di agire che incide sullo status della persona e si conclude con una pronuncia qualificata espressamente come sentenza, suscettibile di giudicato».

Competenza

Dispone l'art. 712, comma 1, c.p.c. che «la domanda per interdizione o inabilitazione si propone con ricorso diretto al tribunale del luogo dove la persona nei confronti della quale è proposta ha residenza o domicilio».

La competenza per materia è poi attribuita al tribunale (art. 9, comma 2, c.p.c.), che giudica in composizione collegiale, con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero (art. 50-bis, n.1, c.p.c.).

Qualora invece si sia in presenza di un minore emancipato o un minore nell'ultimo anno della minore età, è competente il tribunale per i minorenni (art. 40 att. c.c.).

Legittimazione ad agire

Sempre seguendo alla lettera il codice, l'art. 417 c.c. afferma che «l'interdizione e la inabilitazione possono essere promosse dalle persone indicate negli articoli 414 e 415, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore ovvero dal pubblico ministero».

L'elencazione di questi soggetti è assolutamente tassativa e non meramente esemplificativa, per cui nessun soggetto estraneo alla lista può promuovere l'azione. Inoltre l'ordine di elencazione non fornisce alcun tipo di precedenza.

Infine, non rileva il motivo per cui l'azione viene intrapresa, per cui non è configurabile un interesse ad agire come condizione specifica dell'azione (Cass. civ., 10 aprile 1953, n. 939).

Fase preliminare

Il processo di interdizione comincia con ricorso avanzato da uno dei soggetti aventi legittimazione ad agire.

Una volta proposta l'istanza di interdizione (art. 712, comma 2, c.p.c.), si aprono due scenari possibili: l'immediato rigetto presidenziale oppure la nomina del giudice istruttore, per la prosecuzione del giudizio.

Il codice prevedeva che il ricorso potesse essere rigettato anche inaudita altera parte, a fronte di richiesta avanzata dal p.m., ma la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale questa previsione normativa laddove non permettesse il contraddittorio con la parte istante (Corte cost., 5 luglio 1968, n.87), per cui oggi, prima di decidere sulla richiesta di rigetto del p.m., il presidente fissa un'udienza per ascoltare le ragione della parte istante e instaurare così il contraddittorio.

In caso di rigetto dell'istanza appare discussa la reclamabilità, anche se essa è ammessa dalla scarsa giurisprudenza presente. La legittimazione al reclamo compete esclusivamente al ricorrente.

Fase istruttoria

Nel caso in cui non ci sia il rigetto del ricorso, il presidente provvede con decreto alla nomina del giudice istruttore e alla fissazione dell'udienza di comparizione. Sul ricorrente incombe l'onere della notifica del decreto all'interdicendo così come ai suoi parenti ed affini. In questo caso il termine assegnato viene ritenuto non perentorio.

Inizia poi la fase istruttoria del processo, che l'art. 714 c.p.c. indica comporsi innanzitutto dell'esame dell'infermo di mente e dei suoi parenti e affini con il fine di acquisire pareri ed informazioni.

Chiaramente l'atto più importante che deve essere svolto è l'esame dell'interdicendo tanto che l'art. 419, comma 1, c.p.c. dispone espressamente che «non si può pronunziare l'interdizione o l'inabilitazione senza che si sia proceduto all'esame dell'interdicendo o dell'inabilitando».

Il codice non prescrive un contenuto tipico dell'esame per cui le domande restano soggette alla discrezione del giudice istruttore che le adeguerà al caso concreto. Tuttavia, la prassi ha sviluppato una serie di domande tipo che possano far valutare la capacità del soggetto.

L'art. 714 c.p.c. prevede che nell'udienza in cui viene effettuato l'esame ci sia l'intervento del p.m., ma la giurisprudenza maggioritaria ritiene che sia sufficiente che gli siano comunicati ricorso e decreto, senza che sia necessaria la sua presenza fisica all'udienza.

Problematico è il caso in cui la persona soggetta all'esame non si presenti a causa di un suo rifiuto o di una sua irreperibilità. Fermo restando la possibilità di un esame domiciliare da parte del giudice in caso di legittimo impedimento, il codice non disciplina i casi di rifiuto e irreperibilità.

L'opinione maggioritaria di dottrina e giurisprudenza ritiene possibile prescindere dall'esame in caso di reiterato rifiuto, potendo la pronuncia fondarsi su elementi diversi.

Per quel che riguarda la delegabilità della prova nel caso in cui l'interdicendo dimori in un altra circoscrizione di tribunale, la questione trova positivo accoglimento da parte dei giudici di merito, mentre il parere della dottrina è parzialmente negativo.

Passando ad esaminare gli altri mezzi probatori, in primo luogo viene l'audizione dei parenti. Non si tratta né di interrogatorio formale né di prova testimoniale, infatti la dottrina ha da tempo argomentato che questa audizione è una fonte di informazione utile per ricercare la verità.

Altro elemento integrante l'insieme dei mezzi probatori è la consulenza tecnica d'ufficio, mezzo di prova che assume certamente un'importanza preminente.

Restano chiaramente fuori da questo tipo di processo quei mezzi di prova che sono utilizzabili qualora il diritto conteso sia disponibile, ossia il giuramento e l'interrogatorio formale.

La dottrina è concorde nel permettere l'intervento volontario da parte dei soggetti legittimati all'azione, mentre vengono escluse altre tipologie di interventi di terzi.

Infine, vi è la possibilità per il giudice istruttore di nominare un tutore o un curatore provvisorio, dopo aver effettuato l'esame della persona, qualora sia ritenuto opportuno (art. 419, comma 3, c.c. e 717 c.p.c.). Lo stesso giudice ha la facoltà di revocare la nomina provvisoria, che in quanto provvedimento interinale di carattere provvisorio, non può essere impugnato (Cass. civ., 26 maggio 1955, n. 1596 e Cass. civ., 12 marzo 1992, n.3025).

Il tutore o curatore provvisorio assume gli stessi poteri che sono riconosciuti al tutore o curatore definitivo, con l'unica differenza che risiede nell'elemento temporale.

Fase decisoria

Per quanto le fasi precedenti siano ampiamente disciplinate dal codice, lo stesso non si può dire per la fase decisoria, il cui unico dato normativo certo è la conclusione con sentenza (artt. 717, comma 2, 718 e 719 c.p.c.).

La competenza è del collegio del tribunale ordinario, ad eccezione dell'ipotesi del minore nell'ultimo anno della minore età per cui è invece competente il tribunale per i minorenni.

Discussa è in dottrina la necessità di un'udienza di precisazione delle conclusioni: da una parte c'è chi argomenta la sua inutilità sulla base della considerazione che la decisione finale non sia collegata a istanze o deduzioni conclusive, dall'altra chi comunque segue le forme e i modi che sono previste per il processo ordinario. Quest'ultima sembra essere la tesi prevalente.

Un'ampia libertà viene lasciata al giudice nella fase decisoria, infatti è possibile che venga pronunciata la più lieve misura dell'inabilitazione a fronte della richiesta d'interdizione, mentre non vale l'opposto.

Discorso più ampio riguarda invece il rapporto di queste due misure con l'amministrazione di sostegno, introdotta dalla legge n. 6/2004 e di competenza del giudice tutelare.

Qualora il giudice ritenga più opportuna questa misura, provvederà, anche d'ufficio, a trasmettere gli atti al giudice tutelare. Questa scelta può essere effettuata in ogni stato e grado del giudizio e si ritiene che debba essere tendenzialmente favorita.

Nelle more del giudizio, il legislatore ha previsto che nel caso in cui vi sia un pericolo nel lasciare senza alcuna tutela la persona soggetta a giudizio,il tribunale possa nominare un amministratore di sostegno provvisorio, così come previsto dall'art. 405 c.c..

L'interdizione e l'inabilitazione producono i propri effetti dal momento della pubblicazione della sentenza e non dal passaggio in giudicato ed esplicano i propri effetti erga omnes.

Le sentenze che modificano lo status personale devono essere annotate nel registro delle tutele (art. 48 att. c.c.) e delle curatele (art. 49 att. c.c.) e inoltre il cancellerie dell'ufficio deve trasmetterle all'ufficiale dello stato civile per le annotazioni a margine dell'atto di nascita della persona, nonché al giudice tutelare o alla sua cancelleria per la nomina del tutore o del curatore definitivo.

Impugnazioni

L'art. 718 c.p.c. prevede che «la sentenza che provvede sulla domanda d'interdizione o d'inabilitazione può essere impugnata da tutti coloro che avrebbero avuto diritto di proporre la domanda, anche se non parteciparono al giudizio, e dal tutore o curatore nominato con la stessa sentenza».

Per quanto riguarda quindi la legittimazione attiva, il testo della norma è chiaro nell'indicare innanzitutto le parti del processo, ma anche, con un'evidente deroga rispetto ai principi in tema di legittimazione ad impugnare, chi del processo non fu parte ma sarebbe potuto esserlo, data la legittimazione alla presentazione del ricorso.

L'art. 716 c.p.c. concede la possibilità di impugnare anche al soggetto passivo del procedimento e cioè l'interdicendo. In dottrina c'è chi afferma a proposito che questa legittimazione sia limitata alle sole sentenze limitative o esclusive della capacità di agire e al solo scopo di rimuovere la limitazione o l'esclusione.

Chiariti i soggetti legittimati all'impugnazione, rimane il dubbio su quali mezzi siano esperibili.

Nessun problema pare porsi riguardi all'appello così come il ricorso per cassazione, al contrario si tende ad escludere l'esperibilità dell'opposizione di terzo, sia ordinaria che revocatoria, mentre si ammette la revocazione.

I termini per procedere ad impugnazione sono quelli ordinari, sia in presenza che in assenza di notificazione della sentenza. Notificazione che va effettuata unicamente a chi partecipò al giudizio e non a tutti i legittimati.

L'impugnazione genera una causa inscindibile e sorge quindi la necessità di integrare il contraddittorio tramite notificazione dell'impugnazione nel termine stabilito dal giudice, a chi partecipò al giudizio di primo grado.

Revoca

Successivamente al passaggio in giudicato della sentenza che sancisce l'interdizione, è possibile proporre istanza di revoca. Revoca che si giustifica processualmente richiamando la clausola rebus sic stantibus dei provvedimenti passati in giudicato: si può proporre infatti qualora i presupposti siano venuti meno e quindi in particolare sia avvenuta la guarigione dell'infermo.

Anche la stessa locuzione di "revoca" non è particolarmente corretta in quanto non opera ex tunc ma ex nunc, infatti gli atti compiuti prima della revoca restano annullabili, se compiuti senza assistenza.

La causa petendi del giudizio di revoca è ravvisabile nel fatto nuovo della totale o parziale guarigione dell'infermo, che sia avvenuta dopo il passaggio in giudicato della sentenza (Cass. civ., 23 luglio 1962, n. 2048).

Legittimati a proporre istanza di revoca sono il coniuge, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo grado, il pubblico ministero e infine il tutore o il curatore. Legittimato è anche l'interdetto, in quanto, come sostiene autorevole dottrina, «l'incapacità dell'interdetto non tocca il suo diritto personalissimo di affermare giudizialmente la propria capacità».

Vi è poi un potere generale riconosciuto in capo al giudice tutelare riguardo alla vigilanza su tutele e curatele, in particolare a fronte dell'inazione dei soggetti legittimati, il giudice tutelare, secondo l'art. 429, comma 2, c.c., qualora ritenga che sia venuta meno la causa dell'interdizione, ha l'obbligo di informare il pubblico ministero, che proporrà a sua volte il giudizio di revoca.

Vi è l'obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti di coloro che furono parti del giudizio precedente e che avevano interesse ad opporsi alla riforma del capo di sentenza di interdizione. L'eventuale mancanza conduce alla nullità del procedimento, rilevabile anche d'ufficio (Cass. civ., 18 giugno 1943, n. 1533). Allo stesso modo, conduce alla nullità la mancata notifica di ricorso e decreto all'interdetto in persona del tutore (App. Trieste, 13 gennaio 1962).

L'esito del giudizio è deciso dal tribunale in composizione collegiale, con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, a cui il ricorso va comunicato, a norma dell'art. 50-bisc.p.c..

Varie sono le possibilità di decisione per il tribunale.

In primo luogo, è possibile la pronunzia di rigetto della richiesta qualora mancassero i presupposti della revoca.

È possibile al contrario, l'accoglimento della revoca se il giudice ritenesse cessata la causa dell'interdizione, in questo caso gli effetti si producono dal momento del passaggio in giudicato.

Infine, l'ultima possibilità è quella di una sostituzione dell'interdizione con la misura più blanda dell'inabilitazione, in caso di guarigione parziale dell'infermo, oppure tenuto conto della ormai residualità di queste misure di fronte all'introduzione dell'amministrazione di sostegno, di un passaggio a quest'ultima misura protettiva.

In questo caso il tribunale disporrà la revoca dell'interdizione e contestualmente trasmetterà gli atti al giudice tutelare affinché valuti se procedere o meno all'apertura dell'amministrazione di sostegno. Il tribunale può inoltre nominare un amministratore provvisorio.

La pronunzia che decide sulla revoca può essere impugnata con i normali mezzi di impugnazione, da parte di coloro che avevano il diritto di promuovere inizialmente l'azione, anche se non parteciparono al giudizio.

Guida all'approfondimento
  • Giunta, Incapacità di agire, Milano, 1965;
  • Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, 6°ed., Milano, 1990;
  • Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, 23°ed., Torino, 2014, III;
  • Masoni, Correlazioni processuali tra giudizio di interdizione ed inabilitazione e procedimento istitutivo dell'amministrazione di sostegno, di cui alla legge 9 gennaio 2004, n.6: primi contrasti interpretativi, in Giur. it., 2005, 2136 e segg., nota a Trib. Cagliari, 19 gennaio 2005 e Trib. Bologna, 8 marzo 2005;
  • Napoli, L'infermità di mente l'interdizione l'inabilitazione, in Il codice civile commentario diretto da Schelsinger, 2°ed., Milano, 1995;
  • Pescara, I provvedimenti di interdizione e di inabilitazione e le tecniche protettive dei maggiorenni incapaci, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, Torino, 1982, IV;
  • Poggeschi, Il processo di interdizione e d'inabilitazione, Milano, 1958;
  • Redenti, Diritto processuale civile, 2°ed., Milano, 1957, III;
  • Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1968, IV;
  • Scardulla, Interdizione (dir. civ.), in Enc. dir., Milano, 1971, XXI;
  • Schizzerotto, Interdizione e inabilitazione nella giurisprudenza, Padova, 1972;
  • Stella Richiter, Sgroi, Delle persone e della famiglia, in Commentario del codice civile, 2°ed., Torino, 1967;
  • Tommaseo, in Bonilini, Tommaseo, Dell'amministrazione di sostegno, in Il codice civile commentario, a cura di Busnelli, Milano, 2008;
  • Vellani M., Interdizione e inabilitazione (procedimento), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, XVII.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario