L'ammissibilità della tutela giurisdizionale dell'investitore nei confronti dell'intermediario finanziario

Claudia Masciopinto
28 Febbraio 2019

Nonostante la contestuale pendenza di un arbitrato ICSID tra l'associazione a difesa degli investitori e lo Stato estero.

Massima

È proponibile l'azione intrapresa dall'investitore italiano contro la banca intermediaria nell'acquisto di bond argentini, fondata sulla validità del contratto di intermediazione finanziaria oppure sulla responsabilità risarcitoria dell'intermediario in conseguenza degli obblighi che ad esso fanno carico, nonostante la pendenza del giudizio arbitrale, precedentemente intrapreso innanzi all'International Centre for the Settlement of Investiment Disputes (ICSID), ai sensi dell'art. 8, comma 4, l. n. 334/1993, di ratifica dell'Accordo di Buenos Aires tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica argentina del 22 maggio 1990, perché le due azioni si differenziano riguardo ai soggetti, al petitum ed alla causa petendi.

Il caso

Gli erediP. agivano nei confronti della Banca P d M. per far dichiarare la nullità, per mancanza di forma scritta, di un contratto quadro relativo alla prestazione di servizi di investimento, nonché dei conseguenti ordini di acquisto di obbligazioni argentine, impartiti dal de cuius.

Il tribunale di Roma accoglieva la domanda e condannava la banca alle restituzioni, in favore degli attori.

La banca impugnava la sentenza, fondando il gravame sull'eccezione di improcedibilità della domanda attorea per la contemporanea pendenza di una procedura arbitrale presso l'ICSID instaurata, nei confronti della Repubblica Argentina, dall'associazione TFA, cui gli attori avevano aderito.

Il gravame veniva accolto dal giudice di secondo grado che, riformando totalmente la decisione del giudice di prime cure, dichiarava «improponibile» la domanda dei P.

Avverso la suddetta decisione hanno proposto ricorso per cassazione gli eredi P., formulando dieci motivi. Ha resistito, depositando memoria, la Banca.

La questione

La questione in esame è la seguente: intrapresa dall'associazione a tutela degli investitori una procedura arbitrale internazionale nei confronti di uno Stato estero per il recupero dei crediti, è ammissibile la successiva domanda di nullità del contratto e di risarcimento del danno proposta in un giudizio nazionale dall'investitore contro l'intermediario finanziario?

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione, nella sentenza in commento, e i giudici di merito, in alcuni precedenti, hanno affermato che l'azione promossa dall'investitore per far valere la nullità del contratto non possa assolutamente prospettarsi come sovrapponibile rispetto all'azione promossa dall'associazione a tutela degli investitori (TFA) verso lo Stato argentino, anche qualora il primo non abbia revocato la propria adesione all'arbitrato (in questo senso App. Brescia, sez. I, 5 dicembre 2016, n. 1188).

Per evitare che sia arbitrariamente compresso il diritto di difesa ex art. 24 Cost. e il conseguente principio di effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza ha ritenuto che non si possa dichiarare improcedibile la controversia intentata davanti al giudice nazionale, in pendenza di un arbitrato internazionale, in ragione della diversità di soggetti e di presupposti giuridici della stessa.

Sul piano soggettivo hanno agito, in sede giudiziale, gli eredi dell'investitore contro l'istituto che ha alienato loro i titoli. In sede arbitrale, invece l'associazione per la tutela degli investitori in titoli argentini, contro la Repubblica Argentina.

Sul piano oggettivo, sono differenti le richieste avanzate dalle parti: nel procedimento nazionale, la domanda verte sulla dichiarazione di invalidità del contratto di investimento intercorso tra l'intermediario e l'investitore, con conseguente ripetizione dell'indebito o risarcimento del danno per culpa in contrahendo del primo; nell'arbitrato internazionale, il petitum è il risarcimento dei danni patiti dagli associati e cagionati dall'emittente dei titoli, commisurati al rimborso dei medesimi. Sempre sullo stesso piano, si mette in luce anche la diversità del fondamento delle due domande: da un lato si fanno valere i vizi genetici del contratto o la responsabilità precontrattuale dell'intermediario per l'asserita violazione degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza; in sede arbitrale la causa petendi si sostanzia nella violazione dell'accordo internazionale da parte della Repubblica argentina. Inoltre, si evidenzia, che i due giudizi non siano sovrapponibili nemmeno dal punto di vista del risultato a cui possono condurre: potrebbe essere accertata la responsabilità precontrattuale o contrattuale dell'intermediario o anche una patologia del contratto, senza che sia accertata l'integrazione di una violazione delle norme convenzionali contenute nell'Accordo; viceversa, potrebbe delinearsi una responsabilità dello Stato emittente senza che, in concreto, l'intermediario sia da considerare inadempiente e senza che il contratto concluso con l'investitore possa ritenersi affetto da alcun vizio.

Per la Cassazione, la tesi dell'ammissibilità del procedimento giurisdizionale, in pendenza dell'arbitrato internazionale, è corroborata da un'interpretazione a contrario di due disposizioni contenute all'interno di due convenzioni internazionali. La lettura combinata dei commi 1 e 4 dell'art. 8 del suddetto Accordo lascia chiaramente desumere la possibilità, per l'investitore danneggiato, di intentare un giudizio nei confronti di soggetto diverso dalla sua controparte nel giudizio arbitrale, essendo l'ambito di applicazione del comma 4 limitato esclusivamente alle controversie relative agli investimenti insorte tra una Parte Contraente ed un investitore appartenente ad altra Parte Contraente. Allo stesso modo, la presunzione di rinuncia ad ogni altra forma di ricorso, contenuta nell'art. 26 della Convenzione di Washington istitutiva dell'ICSID, opera, salvo contraria indicazione, soltanto nei rapporti tra i contendenti in sede arbitrale e con riguardo alle pretese che possono trovare soddisfacimento in tale sede, non potendo certo ritenersi inibitoria dell'azione introdotta dall'investitore nei confronti di un diverso soggetto, personalmente responsabile nei suoi confronti per la sua attività di negoziazione dei titoli.

Nella pronuncia in esame viene precisato che l'unica preclusione all'accoglimento della domanda di risarcimento innanzi al giudice italiano sia costituita dal conseguimento, in sede arbitrale, di un ristoro patrimoniale che, per la sua entità, sia idoneo ad eliminare tutti gli effetti negativi risentiti dall'investitore per effetto dell'operazione finanziaria conclusa con l'intermediario. L'azione giudiziale non può mai comportare un arricchimento ingiustificato dell'investitore, che invece otterrebbe se conseguisse un risarcimento maggiore rispetto al danno effettivamente subito.

Osservazioni

L'ordinamento non può vietare che sussistano contestualmente sia la procedura arbitrale presso l'ICSID nei confronti dello Stato emittente dei titoli sia quella giurisdizionale contro l'intermediario del servizio di investimento.

Ipotizzare che il giudice italiano debba chiudere in rito il giudizio, rilevando la carenza di interesse ad agire, quando verifichi la pendenza di un arbitrato ICSID, pur essendo astrattamente ipotizzabile sulla base di esigenze di economia processuale, sarebbe altrettanto un rimedio eccessivo. Ciò implicherebbe una violazione del diritto di azione, consacrato nell'art. 24 Cost., e del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., per un'ingiustificata discriminazione relativa alle condizioni per agire in giudizio.

Nell'ordinamento italiano non c'è nessuna norma che attribuisca alla pendenza di un procedimento internazionale un effetto diretto, di sospensione o chiusura, del procedimento nazionale. L'inapplicabilità dell'art. 7, comma 1, l. n. 218/1995 all'arbitrato estero (Cass. civ., 25 settembre 2009, n. 20688) e, dunque, l'irrilevanza della litispendenza di un parallelo procedimento arbitrale vertente sul medesimo oggetto e titolo comporta che si deve ritenere a fortiori ammissibile la contemporanea pendenza di due domande che differiscano tra loro per parti, oggetto e titolo.

La bontà della soluzione fornita nella sentenza in commento è confermata dall'analisi della disciplina interna sulla pendenza di un arbitrato vertente sulla stessa causa di un processo giurisdizionale. Si parla di “stessa causa” quando, nella due controversie pendenti, sono identici parti, petitum e causa petendi. L'art. 819-ter, comma 1, c.p.c., nel disciplinare il rapporto tra arbitri e autorità giudiziaria, prevede il sistema cd. delle vie parallele, ossia la possibilità che i due processi aventi ad oggetto la stessa domanda, sussistano in contemporanea, senza prevalenza né dell'una né dell'altra via. Nonostante la norma citata goda di un ambito di applicazione limitato ratione loci, non esiste alcun dato positivo dal quale emerga che, sul piano internazionale, debba operare una disciplina più rigorosa, idonea ad impedire la contemporanea pendenza dei due procedimenti (salvo i limiti, di ordine pubblico, imposti dal divieto di abuso degli strumenti processuali). Inoltre, l'espressa previsione della possibilità di una contemporanea sussistenza dei due procedimenti quando vi sia totale identità delle controversie all'interno dello stesso ordinamento giuridico consente, a maggior ragione, la simultanea pendenza, quando le due controversie, instaurate una all'interno dell'ordinamento nazionale, l'altra in sede internazionale, siano diverse sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo.

Guida all'approfondimento
  • L. Bergamini, Giurisdizione italiana e arbitrato ICSID: il riconoscimento dell'accordo compromissorio e la pendenza del procedimento, ETS, 2012, 161;
  • A. Briguglio, L'arbitrato estero e l'ordinamento processuale italiano, Aracne, 1999, 167.

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