Il concordato con continuità si configura anche quando l’affitto di azienda è anteriore al deposito della domanda

Chiara Ravina
04 Marzo 2019

Sin dalla sua introduzione nel nostro ordinamento, il concordato con continuità ha dato luogo ad un intenso dibattito tra gli interpreti su vari profili applicativi: tra questi, quello relativo alla compatibilità di tale figura con l'ipotesi di affitto di azienda, anteriore e/o posteriore al deposito della domanda, è in assoluto uno di quelli di maggiore rilievo.
Premessa

Sin dalla sua introduzione nel nostro ordinamento, il concordato con continuità ha dato luogo ad un intenso dibattito tra gli interpreti su vari profili applicativi: tra questi, quello relativo alla compatibilità di tale figura con l'ipotesi di affitto di azienda, anteriore e/o posteriore al deposito della domanda, è in assoluto uno di quelli di maggiore rilievo.

La giurisprudenza più recente ha, in più occasioni, utilizzato i principi dalla Legge delega n. 155/2017 come dati positivi per l'interpretazione del diritto vigente.

Di recente la Cassazione, con la sentenza n. 29742/2018, ha affermato la compatibilità tra l'affitto di azienda e il concordato con continuità aziendale di cui all'art. 186-bis l. fall., con particolare riguardo all'ipotesi in cui l'affitto sia stipulato anteriormente alla presentazione della domanda di concordato.

Quanto alla giurisprudenza di merito, un recente arresto del Tribunale di Ravenna (15 gennaio 2018) ha ritenuto applicabile la disciplina del concordato con continuità prevista dall'art. 186-bis l.fall. ad una fattispecie che prevedeva la continuità indiretta tramite affitto dell'azienda ai terzi e la cessione di una parte dei beni aziendali ritenuti non strategici.

Il quadro normativo

È importante evidenziare come il legislatore sia interno che comunitario si stia orientando verso una nozione di continuità aziendale di carattere sempre più “oggettivo”, in cui la continuità è la continuità dell'impresa, come going concern e non del singolo imprenditore.

Il legislatore pare quindi orientato ad optare per un modello legislativo di concordato in continuità che dà rilievo al business in sé e per sé considerato, a prescindere dal fatto che esso rimanga in capo al medesimo imprenditore ovvero venga trasferito a terzi.

Inoltre viene avvalorata l'idea per cui il concordato con continuità sia compatibile con l'affitto di azienda, anche se stipulato anteriormente al deposito del ricorso di concordato e con la liquidazione di assets non strategici (quest'ultima fattispecie - denominata concordato c.d. “misto” dalla giurisprudenza – è peraltro espressamente contemplata nel dettato normativo dell'art. 186-bis l.fall. vigente: “[...] Il piano puo' prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa”.

In prospettiva, dovrebbero quindi essere superate numerose questioni interpretative che hanno animato il dibattito giurisprudenziale e dottrinale dall'introduzione dell'art. 186 bis LF fino ad oggi.

Si richiamano al riguardo:

- la Legge 19 ottobre 2017, n. 155, recante "Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza", quale dispone:

  • nell'ambito dei princìpi generali (e precisamente all'art. 2, comma 1, lett. g), la necessità di “dare priorità di trattazione, fatti salvi i casi di abuso, alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche tramite un diverso imprenditore (…)
  • in materia di concordato preventivo (e precisamente all'art. 6) che il futuro legislatore delegato riformi la vigente disciplina in materia di concordato con continuità “prevedendo: 1) che il piano possa contenere, salvo che sia programmata la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussista la causa di prelazione, una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca per un periodo di tempo anche superiore ad un anno, riconoscendo in tal caso ai predetti creditori il diritto di voto; 2) che tale disciplina si applichi anche alla proposta di concordato che preveda la continuita' aziendale e nel contempo la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa, a condizione che possa ritenersi, a seguito di una valutazione in concreto del piano, che i creditori vengano soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuita' aziendale; 3) che tale disciplina si applichi anche nei casi in cui l'azienda sia oggetto di contratto di affitto, anche se stipulato anteriormente alla domanda di concordato” (enfasi aggiunta)

- la proposta di Direttiva Europea in materia di ristrutturazione preventiva che verrà adottata nel 2019 (COM(2016)/723).

Nel testo in discussione – come commentato da parte di un gruppo di esperti appartenenti, tra l'altro, al Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università di Firenze e alla Banca d'Italia – viene data una definizione di “ristrutturazione” come modifica della composizione, condizione o struttura del patrimonio del debitore, o una combinazione di questi, inclusa la vendita di alcuni beni dell'impresa, ovvero del business, in tutto o in parte, con l'obiettivo di consentire la continuità di tale business, vuoi con il precedente proprietario, vuoi con un titolare differente (cfr. art. 1 (2) proposta Direttiva, come emendato e commentato: “For the purpose of this Directive the following definitions shall apply […] (2) restructuring means changing the composition, conditions or structure of a debtor's asset and liabilities or any other part of the debtor capital structure, including share capital or a combination of those elements, including sales of assets or a business in whole or in part, with the objective of enabling it to continue as a going concern either with the same or with different owners or parts of the business with the objective of enabling the enterprise to continue in whole or in part”.

L'affitto di azienda come forma di attuazione della continuità aziendale: questioni controverse e recenti approdi della giurisprudenza e della dottrina

La giurisprudenza più recente – anche nel vigore della normativa attuale – ha mostrato di aderire alle posizioni del futuro legislatore.

Oltre al recente arresto della Corte di Cassazione – la prima pronuncia di legittimità ad aver preso posizione sul tema, molto discusso, del rapporto concordato con continuità – affitto azienda che tratteremo nel successivo paragrafo - citiamo, quanto alla giurisprudenza di merito, l'arresto del Tribunale di Ravenna, 15 gennaio 2018 relativa ad una fattispecie di concordato c.d. misto, in cui era inoltre prevista la continuità c.d. indiretta, tramite affitto di azienda.

I giudici di merito hanno affermato la riconducibilità di tale fattispecie al concordato con continuità sulla base, tra l'altro, delle disposizioni del DDL Rordorf, che costituiscono comunque già ora dati positivi per l'interpretazione delle disposizioni vigenti (“Pur non essendo ancora stati emanati i rispettivi decreti delegati attuativi, tali principi già costituiscono legge dello Stato e ben possono essere richiamati quale dato positivo nella indagine ermeneutica delle disposizioni attualmente vigenti”). Su tali basi, il Tribunale di Ravenna ha affermato:

quanto al concordato c.d. misto:

In ossequio al criterio della prevalenza, il concordato va qualificato in continuità aziendale ex art. 186 bis l.fall. ogniqualvolta, alla stregua di una comparazione quantitativa fra le fonti del soddisfacimento destinato ai creditori concordatari, detto soddisfacimento deriva in massima parte dai flussi finanziari prodotti dalla continuità aziendale, piuttosto che dalle più limitate risorse ottenute attraverso la cessione di cespiti non strategici

quanto all'affitto di azienda:

In tema di continuità aziendale e affitto d'azienda, va altresì affermato l'esplicito accoglimento della tesi della continuità oggettiva o indiretta stante l'esplicita valutazione positiva della compatibilità fra disciplina della continuità ed affitto d'azienda sancita dal legislatore all'art. 6 lett. i) n. 3) della L. 19 ottobre 2017, n. 155, recante delega al governo per la riforma della disciplina della crisi di impresa e dell'insolvenza”.

Un altro recente arresto della giurisprudenza di merito, che ha adottato una nozione oggettiva di continuità in aderenza alla futura riforma, è il Tribunale Rimini, 9 novembre 2017, in ilcaso.it: “Elemento qualificante del concordato in continuità - con conseguente applicazione, oltre che della disciplina generale di cui agli artt. 160 ss. L. Fall., dello statuto tipico di cui agli art. 186 bis ss. e' -secondo l'orientamento condiviso dal Collegio che appare peraltro in linea con i principi fissati nella legge 19 ottobre 2017 n. 155, di “Delega al Governo per la riforma delle discipline dalla crisi di impresa e dell'insolvenza -”, l'elemento ‘oggettivo' della previsione, nella proposta concordataria, della prosecuzione dell'attività di impresa, vuoi direttamente da parte del debitore, vuoi attraverso il meccanismo dell'affitto di azienda, finalizzato alla successiva cessione all'affittuaria o anche alla retrocessione al debitore dell'impresa risanata, o ancora, come pure testualmente previsto “attraverso il conferimento dell'azienda in una o più società anche di nuova costituzione” (in tal senso Tribunale di Rimini 1° dicembre 2016, su www.ilcaso.it; Tribunale di Como 9 febbraio 2017, in www.ilfallimentarista.it.

Come detto, sussiste un intenso dibattito giurisprudenziale e dottrinale sul tema della riconducibilità o meno al concordato in continuità della fattispecie di affitto di azienda, sia nell'ipotesi in cui il contratto di affitto venga stipulato dopo la presentazione del ricorso di concordato (previa autorizzazione del Tribunale o del giudice delegato, laddove già nominato); sia nell'ipotesi in cui il contratto sia anteriore alla domanda.

Le pronunce di merito su questa tematica, pur nella loro notevole variabilità, sono sostanzialmente riconducibili a due indirizzi: secondo un primo indirizzo – maggiormente restrittivo – la continuità postulerebbe la prosecuzione diretta, con esclusione, quindi, dell'affitto dell'azienda, in relazione al quale l'imprenditore si limiterebbe a percepire il canone di locazione e ad utilizzarlo, tra l'altro, per il soddisfacimento dei creditori concordatari, così che il rischio di impresa verrebbe trasferito interamente sull'affittuario e i creditori dell'imprenditore in crisi non parteciperebbero di fatto allo stesso. Inoltre, in siffatto contesto, risulterebbero del tutto superflue l'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività di impresa, delle risorse necessarie e delle relative modalità di copertura, nonché l'attestazione che la prosecuzione dell'attività di impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. Infine, tale fattispecie non sarebbe compatibile con il dettato normativo dell'art. 186 bis LF, che fa riferimento, tra le modalità del concordato in continuità, alla cessione dell'azienda “in esercizio”, da intendersi come esercizio dell'originario debitore (cfr. ex multis App. Firenze, 5 aprile 2017, n. 760, sent.; Tribunale Busto Arsizio, 1 ottobre 2014; Tribunale Ravenna 22 ottobre 2014; Tribunale Terni 2 aprile 2013; Tribunale Terni 12 febbraio 2013).

Secondo un altro indirizzo, invece, va data una lettura oggettiva della continuità, con la conseguenza che sono riconducibili alla fattispecie di concordato con continuità aziendale, quelle ipotesi che prevedono l'affitto dell'azienda in esercizio ad un soggetto terzo (cfr. ex multis, Tribunale Cuneo 29 ottobre 2013 in ilcaso.it: “Nel concordato preventivo la previsione dell'affitto come elemento del piano concordatario, purché finalizzato al trasferimento dell'azienda e non destinato alla mera conservazione del valore dei beni aziendali al fine di una loro più fruttuosa liquidazione, deve ritenersi riconducibile all'ambito disciplinato dall'art. 186-bis l.fall “.

Nell'ambito di questo indirizzo, sono poi individuabili diverse posizioni.

In particolare, secondo alcune pronunce di merito, la proposta concordataria ed il relativo piano possono dirsi in continuità quando la proponente preveda esplicitamente l'obbligo di acquisto dell'azienda in capo all'affittante (cfr. ex multis Tribunale Monza, 11 giugno 2013, decr.; Tribunale Avezzano, 22 ottobre 2014).

Altri ancora hanno sostenuto che la gestione dell'azienda in esercizio mediante affitto di azienda può essere espressione di continuità aziendale, solo laddove il canone non sia fisso, ma parametrato all'andamento dell'impresa (Tribunale Ravenna, 29 ottobre 2013).

Altri ancora hanno sostenuto la continuità sia quando il canone sia previsto in misura, sia quando sia previsto in misura variabile, sia ancora quando esso, pur previsto in misura fissa, non sia garantito, così che la fattibilità del piano in continuità e la sua funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori richiedono anche una valutazione prospettica sull'andamento della gestione dell'affittuario (cfr. ex multis Tribunale Firenze, 19 marzo 2013; Tribunale Bolzano, 27 febbraio 2013; Tribunale Bolzano 8 febbraio 2013; Tribunale Cuneo 29 ottobre 2013).

Si è altresì sostenuto che laddove la struttura del canone venga elaborata in misura “variabile” e, dunque, legata all'andamento dell'attività condotta dall'affittuario e al flusso economico da essa proveniente, si possano ritenere ammissibili concordati proposti ai sensi dell'art. 186 bis LF.

In tal caso, infatti, il collegamento “quantitativo” del canone alla “produttività aziendale” - riconducibile all'attività condotta dal terzo/affittuario – consentirebbe più agevolmente di ravvisare una permanenza, sia pur indiretta, delle condizioni di rischio di impresa in capo all'imprenditore proponente, senza alcuna sostanziale soluzione di continuità (cfr. Tribunale Terni, 28 gennaio 2013, che ha escluso la compatibilità del contratto di affitto di azienda con il concordato con continuità ex art. 186 bis LF in caso di canone pattuito in misura fissa, sul presupposto che, in tal caso, le condizioni di rischio di impresa sussistono esclusivamente in capo all'affittuario e non anche alla generalità dei creditori; in senso analogo, Tribunale Avezzano, 22 ottobre 2014, cit.).

Quanto alla corrente che ha riconosciuto la compatibilità ex art. 186-bis l.fall. dello strumento dell'affitto anche a fronte di un canone pattuito in misura fissa, del tutto svincolato dai risultati reddituali attesi, ricavabili dalla gestione posta in essere dall'affittuario (cfr. Tribunale Bolzano, 10 marzo 2015 che ha mostrato di privilegiare una nozione oggettiva di continuità ritenendo la “assoluta indifferenza della gestione diretta o indiretta” ai fini della qualificazione del concordato in continuità, a prescindere dalla struttura (variabile o fissa) del canone pattuito; nello stesso senso, Tribunale Bolzano, 27 febbraio 2013) si tratta di una corrente minoritaria, basata su un approccio interpretativo rigorosamente oggettivo del concetto di continuità aziendale, che tiene conto delle prospettive di permanenza in vita del complesso aziendale, quale organismo produttivo di valore (indipendentemente dal soggetto che vi provveda) e basata sul presupposto che i flussi economici previsti dalla gestione del terzo affittuario vengano a tradursi in “ricavi” da destinare all'esecuzione del concordato. Secondo questa opinione, la pattuizione di un canone fisso, formalmente “svincolato” dall'andamento dell'attività dell'affittuario, non cagionerebbe pertanto alcun scollegamento sostanziale fra la gestione indiretta dell'impresa e l'adempimento degli obblighi concordatari assunti dall'imprenditore proponente, specie nei casi in cui la predetta determinazione (in misura fissa) abbia tenuto conto (ex art. 186-bis, comma 2) della prevedibile dinamica economica del contratto di affitto, generatrice dei flussi destinati ai creditori e, dunque, delle concrete prospettive di adempimento degli obblighi assunti dall'affittuario, anche per mezzo dell'intervento di terzi assuntori.

Sempre in tema di interpretazione oggettiva del concetto di continuità aziendale, si menzionano, Tribunale fallimentare di Roma, Linee guida in ordine a talune questioni controverse della procedura di concordato preventivo, in ilfallimentarista.it, 6 maggio 2016, pp. 3-4: “dal momento che l'affitto costituisce null'altro che lo strumento per mantenere l'azienda in vita, la continuità sussiste anche nel caso in cui la proposta di concordato provenga da una società che abbia concesso in affitto a terzi la propria azienda, ravvisandosi in entrambi i casi l'elemento qualificante della presenza di un'azienda in esercizio”; Linee guida interpretative su alcuni profili della L. 132/2015, ivi, 17 maggio 2016, pp. 3-4. Tribunale Rimini, 9 novembre 2017, in ilcaso.it: “Elemento qualificante del concordato in continuità - con conseguente applicazione, oltre che della disciplina generale di cui agli artt. 160 ss. L. Fall., dello statuto tipico di cui agli art. 186 bis ss. e' -secondo l'orientamento condiviso dal Collegio che appare peraltro in linea con i principi fissati n ella legge 19 ottobre 2017 n. 155, di “Delega al Governo per la riforma delle discipline dalla crisi di impresa e dell'insolvenza -”, l'elemento ‘oggettivo' della previsione, nella proposta concordataria, della prosecuzione dell'attività di impresa, vuoi direttamente da parte del debitore, vuoi attraverso il meccanismo dell'affitto di azienda, finalizzato alla successiva cessione all'affittuaria o anche alla retrocessione al debitore dell'impresa risanata, o ancora, come pure testualmente previsto “attraverso il conferimento dell'azienda in una o più società anche di nuova costituzione” (in tal senso Tribunale di Rimini 1° dicembre 2016, su www.ilcaso.it; Tribunale di Como 9 febbraio 2017, in www.ilfallimentarista.it.

Con particolare riguardo all'ipotesi di affitto di azienda anteriore alla domanda di concordato, ovverosia del concordato preventivo proposto dopo che i rami di azienda sono stati affittati a terzi, l'opinione di giurisprudenza e dottrina sulla riconducibilità di questa fattispecie al concordato con continuità è divisa tra chi si orienta positivamente, sul presupposto che l'attività di impresa non cessa ma prosegue secondo modalità molto simili a quelle che si realizzerebbero in caso di cessione di azienda a terzi ovvero di conferimento (cfr. Tribunale Cuneo, 29 ottobre 2013; Tribunale Mantova, 19 settembre 2013).

Secondo altri, tale fattispecie rientrerebbe tra le ipotesi di concordato con continuità, qualora l'affitto sia propedeutico alla successiva cessione dell'azienda in esercizio a terzi, prevista come obbligatoria nella proposta di concordato (così Tribunale Patti, 12 novembre 2013, che ha escluso la continuità in caso di contratto di affitto anteriore alla domanda di concordato “fine a se stesso”, contratto di affitto tout court, non finalizzato alla cessione; Tribunale Bolzano, 10 marzo 2015).

Secondo un altro diverso orientamento invece, in presenza di un affitto di azienda anteriore alla domanda, sarebbe da escludere la continuità, pur essendo richiesto che il piano indichi se l'andamento dell'impresa affittata incida sulla soddisfazione dei creditori concorsuali e l'attestatore includa tale valutazione nella propria relazione ex art. 161 co. 3 LF (L. STANGHELLINI, Il concordato con continuità aziendale, in Fallimento n. 10/2013).

Affitto di azienda e concordato con continuità: orientamenti a confronto

Compatibilità tra affitto e continuità

Compatibilità a certe condizioni

Incompatibilità assoluta

Tribunale fallimentare di Roma, Linee guida in ordine a talune questioni controverse della procedura di concordato preventivo

Tribunale Milano, 28 dicembre 2017

Tribunale Rimini, 9 novembre 2017

Tribunale Roma, 24 Marzo 2015

Tribunale Monza, 11 giugno 2013 (successiva cessione affittante)

App. Firenze, 5 aprile 2017, n. 760

Tribunale Firenze, 19 marzo 2013

Tribunale Avezzano, 22 ottobre 2014 (successiva cessione affittante)

Tribunale Busto Arsizio, 1 ottobre 2014

Tribunale Bolzano, 27 febbraio 2013

Tribunale Ravenna, 29 ottobre 2013 (canone variabile)

Tribunale Ravenna 22 ottobre 2014

Tribunale Bolzano 8 febbraio 2013

Tribunale Terni, 28 gennaio 2013 (canone variabile)

Tribunale Terni 2 aprile 2013

Tribunale Cuneo 31 ottobre 2013

Tribunale Terni 12 febbraio 2013

Tribunale Bolzano, 10 marzo 2015

Tribunale Bolzano, 27 febbraio 2013

Con riguardo alla dottrina, la riconducibilità sia dell'affitto di azienda “ponte” (cioè finalizzato alla successiva cessione), sia di quello c.d. “puro” (cioè non prodromico alla cessione) all'ambito applicativo del concordato con continuità ex art. 186 bis LF è stata propugnata da alcuni Autori (M. Arato, Questioni controverse nel concordato preventivo con continuità aziendale: il conferimento e l'affitto d'azienda, il pagamento ultrannuale dei creditori privilegiati, l'uscita dalla procedura, in ilcaso.it., 9 agosto 2016, 10-11; S. PATTI, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, in Fallimento, 2013, 1101; Ambrosini, Appunti in tema di concordato con continuità aziendale, in ilcaso.it, 4 agosto 2013, 9). In senso contrario, seppur con posizioni diverse tra loro, si sono espressi F. LAMANNA, La legge fallimentare dopo il decreto sviluppo, Milano, 2012, 58; F. DI MARZIO, Affitto d'azienda e concordato in continuità, in ilfallimentarista.it, 2013, 4, secondo il quale “continuità aziendale e affitto d'azienda si pongono in un rapporto di reciproca esclusione: dove vi è continuità non può esservi affitto d'azienda; dove vi è affitto d'azienda non vi è continuità”; D. GALLETTI, La strana vicenda del concordato in continuità e dell'affitto d'azienda, ivi, 2012, 3; VITIELLO, Brevi e scettiche considerazioni sul concordato preventivo con continuità aziendale, ivi, 2013, 2; L. STANGHELLINI, Il concordato con continuità aziendale, in Fallimento n. 10/2013, 1222 et seq.; M. Fabiani, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca al codice civile, Bologna, 2014, 194, secondo il quale “il debitore, pur se non perde la qualifica di imprenditore si trasforma in «imprenditore quiescente» perché solo al momento della cessazione del contratto di affitto riprenderà, a pieno, il suo ruolo”).

La sentenza della Cassazione n. 29742/2018

Come detto, un cenno a parte merita il recente arresto della Cassazione in punto di rapporto tra il concordato con continuità e l'affitto d'azienda. Si tratta del primo arresto di legittimità sul punto, che sostiene la riconducibilità dell'affitto di azienda - sia esso “puro” ovvero “ponte”, sia esso anteriore o posteriore all'accesso alla procedura e/o alla presentazione della relativa domanda – al concordato in continuità.

La Cassazione mostra di aderire alla tesi della continuità aziendale in senso oggettivo, seguita dalla più recente giurisprudenza e dal legislatore della riforma fallimentare.

In particolare il principio di diritto sancito dalla Corte stabilisce “Il concordato con continuità aziendale disciplinato dall'art. 186-bis I.fall. è configurabile anche quando l'azienda sia già stata affittata o sia destinata ad esserlo, rivelandosi affatto indifferente la circostanza che, al momento dell'ammissione alla suddetta procedura concorsuale o del deposito della relativa domanda, l'azienda sia esercitata dal debitore o, come nell'ipotesi dell'affitto della stessa, da un terzo, in quanto il contratto d'affitto - recante, o meno, l'obbligo dell'affittuario di procedere, poi, all'acquisto dell'azienda (rispettivamente, affitto cd. ponte oppure cd. puro) - può costituire uno strumento per giungere alla cessione o al conferimento dell'azienda senza il rischio della perdita dei suoi valori intrinseci, primo tra tutti l'avviamento, che un suo arresto, anche momentaneo, rischierebbe di produrre in modo irreversibile” (sottolineato aggiunto).

La sentenza contiene un lungo excursus preliminare sui diversi orientamenti di dottrina e giurisprudenza in tema di concordato con continuità e in particolare di “compatibilità” tra affitto di azienda e art. 186-bis l.fall., che si sono avvicendati dall'entrata in vigore della Legge n. 134/2012 ad oggi.

E' proprio dall'interpretazione della ratio di tale legge – che ha introdotto l'art. 186-bis l.fall. nel nostro ordinamento – che il Collegio prende le mosse per sostenere che il legislatore del 2012 avrebbe “inteso favorire la prosecuzione dell'attività d'impresa in senso tanto soggettivo quanto oggettivo (basti soltanto pensare alla compiuta disciplina sui contratti in corso di esecuzione o alla puntuale regolamentazione dei finanziamenti)”.

La pronuncia ha il pregio di affrontare e risolvere, nel senso di adesione alla nozione oggettiva di continuità, le questioni controverse sui cui si è incentrato il dibattito circa la riconducibilità o meno dell'affitto d'azienda alla fattispecie di concordato con continuità.

In primo luogo, la questione circa il momento di stipulazione del contratto d'affitto, se cioè configuri un'ipotesi di concordato con continuità quella in cui l'affitto sia perfezionato ante deposito della domanda e/o ammissione alla procedura.

La risposta dei giudici di legittimità è nel senso della piena compatibilità, con l'istituto in questione, della fattispecie di affitto anteriore alla domanda. Ciò in quanto l'elemento essenziale della continuità nell'ottica del legislatore è che l'azienda sia “in esercizio”, risultando quindi indifferente se essa sia condotta dal debitore ovvero da soggetti diversi.

In secondo luogo, si affronta il tema della persistenza della qualità di imprenditore in capo al soggetto che, prima di presentare la domanda di concordato, abbia concesso in affitto l'azienda. Sul punto, il Collegio statuisce che “l'imprenditore che affitta la sua azienda conserva ancora una serie di obblighi giuridici, come il divieto di concorrenza ex art. 2557 cod. civ. e la tutela dei segni distintivi, i quali non fanno venire meno la sua natura di imprenditore commerciale a prescindere dal venir meno del suo rapporto materiale con l'azienda”.

Ciò che rileva, ai fini della configurazione della fattispecie di concordato con continuità in caso di affitto di azienda, è che “la prosecuzione dell'attività di impresa da parte dell'affittuario (a prescindere dal momento della stipulazione del contratto di affitto) sia rilevante ai fini del piano, e cioè influenzi la soddisfazione dei creditori concorsuali”.

In terzo luogo, viene presa in considerazione l'ipotesi di affitto c.d. “puro”, ovverosia non prodromico ad una successiva cessione dell'azienda e/o del ramo di azienda a terzi.

Sul punto, i giudici di legittimità affermano: “Discorso analogo vale, mutatis mutandis, per il cd. affitto puro, quello, cioè, che non risulti prodromico alla cessione dell'azienda, ma alla sua semplice dislocazione in capo all'affittuario, con successiva retrocessione, durante la fase esecutiva del piano o al termine di essa, al debitore. Non ha infatti senso annettere natura liquidatoria a tale fattispecie, nella quale il piano consente il ritorno in bonis dell'imprenditore addossando temporaneamente a terzi gli oneri ed i rischi connessi alla conduzione dell'attività, senza che vi sia, tendenzialmente, alcuna dismissione di cespiti aziendali (salva l'ipotesi di alienazione di beni non funzionali alla “riperimetrata” continuità, espressamente contemplata dall'art. 186-bis l. fall.)”.

In conclusione

I recenti arresti di merito e di legittimità anticipano in sostanza la nozione di concordato in continuità voluta dal legislatore dell'ultima riforma della legge fallimentare, ovverosia una “continuità” che pone al centro dell'attenzione il patrimonio aziendale in senso dinamico e la sua conservazione nell'ottica di massimizzare il soddisfacimento dei creditori.

La nozione “oggettiva” di continuità aziendale comporta, quindi, un'espansione dell'applicazione dell'istituto del concordato in continuità ed un corrispondente “restringimento” del concordato liquidatorio, destinato a scomparire nell'applicazione pratica e, di fatto, nel diritto fallimentare riformato.

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