Regime transitorio e non vincolatività dei parametri forensi: un nuovo intervento della Suprema Corte

04 Marzo 2019

La decisione in commento torna su due questioni che sono tuttora alquanto controverse, quella del regime transitorio dei parametri forensi e quella della loro vincolatività ai fini della liquidazione delle spese giudiziali.
Massima

In caso di riforma della sentenza di primo grado il giudice dell'impugnazione, investito ai sensi dell'art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento in cui provvede alla liquidazione ovvero al momento della sentenza d'appello, con la conseguenza che, nella successione tra il dm. n. 140/2012, vigente al momento della pronuncia della sentenza di primo grado, e il d.m. n. 55/2014, vigente al momento della pronuncia della sentenza di appello, trova applicazione quest'ultimo.

Il caso

Tizio propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto la sua domanda ma aveva liquidato in suo favore le spese del primo grado in euro 2.000,00 e aveva compensato le spese del giudizio di appello.

Il ricorrente deduce, tre vizi di legittimità della sentenza impugnata, tra i quali, per quel che qui rileva, la violazione e falsa applicazione del d.m. n. 140/2012 che avrebbe dovuto essere applicato, in quanto la fase di appello si era svolta in epoca precedente all'entrata in vigore del d.m. n. 55/2014.

La suprema Corte, pur ritenendo errata la premessa giuridica del motivo, in quanto, a suo avviso, nel caso di specie doveva essere applicato, ratione temporis, il d.m. n. 55/2014, lo accoglie, cassando con rinvio la decisione impugnata, poiché il giudice di appello aveva comunque violato i parametri minimi previsti dal d.m. n. 55/2014 senza motivare in nessun modo sul punto.

La questione

La decisione in commento torna su due questioni che sono tuttora alquanto controverse, quella del regime transitorio dei parametri forensi e quella della loro vincolatività ai fini della liquidazione delle spese giudiziali.

Le soluzioni giuridiche

Al momento dell'entrata in vigore del primo regolamento sui parametri forensi (si tratta del d.m.20 luglio 2012, n. 140, entrato in vigore il 23 agosto 2012)erano sorti dei dubbi sul suo ambito di efficacia, dal momento che non era stata ritenuta esaustiva la disciplina transitoria contenuta nel suo articolo 41.

In particolare nella giurisprudenza di legittimità si erano delineati tre orientamenti.

Il primo, che ha trovato espressione in Cass. civ., 24 ottobre 2012 n. 18207, aveva affermato che la liquidazione doveva avvenire in base ai nuovi criteri, anche per le prestazioni che si fossero concluse nella vigenza del sistema tariffario.

Secondo un secondo orientamento (Cass. civ., Sez. Un., 12 ottobre 2012, nn. 17405 e 17406, Cass. civ., 20 gennaio 2015, n. 790), ferma restando l'applicabilità delle tariffe alle prestazioni esauritesi anteriormente alla riforma, per quelle che erano proseguite dopo tale momento la liquidazione doveva avvenire in base ai parametri, senza possibilità di «segmentare le… prestazioni nei singoli atti compiuti in causa dal difensore, oppure di distinguere tra loro le diverse fasi di tali prestazioni, per applicare in modo frazionato in parte la precedente e in parte la nuova regolazione».

Secondo un terzo orientamento, che ha trovato espressione, per la prima volta in Cass. civ., 5 novembre 2012, n. 18920 (nei medesimi termini anche Cass. civ., 30 luglio 2015, n. 16180 e Cass. civ., 11 febbraio 2016, n. 2748). Occorreva sì far riferimento al «sistema in vigore al momento dell'esaurimento della prestazione professionale ovvero della cessazione dell'incarico», ma ciò secondo una unitarietà da rapportarsi ai singoli gradi in cui si era svolto il giudizio, e dunque all'epoca della pronuncia che li definisce, non potendosi applicare il sistema nuovo successivamente intervenuto a prestazioni già rese nei suddetti momenti.

La giurisprudenza di merito, a sua volta, aveva espresso tre posizioni:

  • quella corrispondente alla posizione intermedia della Cassazione, secondo la quale, a parte le prestazioni esaurite ante riforma, erano applicabili i nuovi parametri, senza prendere in considerazione la possibilità di una distinzione per gradi di giudizio (Trib. Bologna, 2 ottobre 2012; Trib. Termini Imerese, 17 settembre 2012 e Trib. Siena, 27 agosto 2012);
  • quella, totalmente agli antipodi, secondo la quale determinante sarebbe non già l'esaurimento della prestazione professionale, bensì il suo inizio, ragion per cui i nuovi parametri sarebbero applicabili solo ai giudizi e ai gradi di processo instaurati a far data dal 23 agosto 2012, data di entrata in vigore del d.m. n. 140/12 (Trib. Verona, 27 settembre 2012);
  • quella secondo la quale l'abrogazione retroattiva delle tariffe, sarebbe incostituzionale per contrasto con gli artt. 3, 24 e 117 Cost. (Trib. Cremona, 13 settembre 2012 che ha, in proposito, sollevato una questione di costituzionalità, dichiarata inammissibile con ordinanza della Corte cost., 7 novembre 2013, n. 261).

É evidente che gli stessi orientamenti valgono rispetto alla analoga problematica della successione del d.m. n. 55/2014 al d.m. n. 140/2012.

Con riguardo alla seconda questione esaminata dalla pronuncia in esame essa aderisce all'orientamento, sicuramente maggioritario, secondo il quale: «i parametri «costituiscono solo criteri di orientamento della liquidazione del compenso, individuando, al contempo, la misura economica standard (quella media) del valore della prestazione professionale». Ne consegue che «solo in caso di scostamento apprezzabile dai valori medi della tabella allegata al d.m. n. 55/2014 il giudice è tenuto ad indicare i parametri che hanno guidato la liquidazione del compenso; scostamento che può anche superare i valori massimi o minimi determina in forza delle percentuali di aumento o diminuzione, ma in quest'ultimo caso fermo restando il limite di cui all'art. 2233, comma 2, c.c., che preclude di liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione» (cfr. ex plurimis Cass. civ., 16 settembre 2015, n.18167; Cass. civ., 31 gennaio 2017, n. 2386; Cass. civ., 31 luglio 2018, n.20183).

Di segno opposto è invece un altro indirizzo (Cass. civ.,17 gennaio 2018, n.1018; Cass. civ., 5 novembre 2018, n. 28267) che peraltro non spiega come siano superabili i dati normativi che ostano ad una simile conclusione e di cui si dirà nel prossimo paragrafo.

Osservazioni

La decisione in commento si inserisce nel secondo dei filoni di legittimità menzionati nel precedente paragrafo, quanto alla riaffermazione del principio secondo il quale la liquidazione giudiziale deve avvenire sulla base dei parametri vigenti al momento in cui viene effettuata, ogni qualvolta si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale.

Al tempo stesso se ne discosta poiché limita l'applicazione di quel criterio all'ipotesi della riforma della sentenza di primo grado, ritenendo che, solo a fronte di essa, “la prestazione professionale deve ritenersi completata soltanto con la pronuncia della sentenza d'appello” (nei medesimi termini anche Cass. civ., 19 dicembre 2017, n. 30529, rispetto al giudizio di rinvio nel quale venga riformata la sentenza di primo grado, con conseguente necessità di provvedere sulle spese dell'intero giudizio, sulla base di un apprezzamento necessariamente unitario).

Tale precisazione non si rinviene invece in altre decisioni che appartengono al medesimo indirizzo (si veda ad esempio Cass. civ., 28 agosto 2017, n. 20481, relativa ad una ipotesi in cui la sentenza di appello aveva confermato quella di primo grado).

Il fondamento normativo di tale ricostruzione è stato individuato (cfr. Cass. civ., n. 30529/2017) nel disposto dell'art. 2957, comma 2, c.c. che menziona, quale dies a quo del termine prescrizionale triennale per le competenze dovute agli avvocati, il momento della "decisione della lite" o comunque quello dell'esaurimento dell'affare per il cui svolgimento fu conferito l'incarico dal cliente, evenienza che, nel caso di prestazioni rese in due gradi di giudizio, coincide con la pubblicazione della sentenza di appello (Cass. civ., 30 giugno 2015, n. 13401).

Orbene, quest'ultima opinione non considera che l'art. 2957 c.c. si riferisce propriamente ad una presunzione e non ai presupposti dell'estinzione per prescrizione del diritto al compenso del professionista, che sono invece stabiliti dall'art. 2935 c.c..

Ed allora il dies a quo del termine di prescrizione del diritto al compenso del difensore va individuato nel «momento in cui siano esauriti tutti gli incombenti propri della fase o del grado del processo e, quindi, nel caso di sentenza, non nella data della lettura del solo dispositivo in udienza, ma in quella in cui, effettuato il deposito della stessa sentenza, completa di motivazione, in cancelleria, sia notificato al difensore il relativo avviso» (così Cass. pen., 2 luglio 2008, n. 37539, con riguardo al diritto al compenso del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato).

Conseguentemente quello dovrebbe essere anche il momento al quale aver riguardo per stabilire la disciplina in tema di parametri da applicare, ai fini della liquidazione del compenso del professionista, se si ritiene di attribuire rilevanza sul punto alle norme in tema di prescrizione.

Nemmeno la soluzione appena esposta però convince appieno poiché fa dipendere l'applicazione dell'uno o dell'altro regime da una serie di evenienze che non dipendono dal professionista e sono incerte nel quando (deposito della decisione del giudice e adempimenti di cancelleria conseguenti).

Evita invece simili incertezze l'opzione interpretativa secondo la quale i d.m. in tema di parametri sono applicabili ai giudizi e ai gradi di processo instaurati dopo le date delle loro entrata in vigore, in conformità al principio tempus regit processumche è applicabile anche in tale ipotesi riguardando criteri di liquidazione giudiziale(vedasi giurisprudenza di merito citata nel precedente paragrafo).

Per quanto attiene all'altra questione sulla quale è intervenuta la Suprema Corte è opportuno rammentare che l'art. 1, comma 7, d.m. n. 140/2012 prevede che: «In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa».

Nella parte generale del d.m. 55/2014, ed in particolare nell'art. 4 comma 1, sono fissate le forbici percentuali di aumento e diminuzione massimi che il giudice può apportare, in linea generale, ai valori medi sulla base dell'applicazione di uno o più dei parametri generali.

L'utilizzo dell'inciso “di regola” per indicare l'entità dell'aumento o della diminuzione lascia poi chiaramente intendere che tali indicazioni non sono vincolanti per il giudice che può quindi anche discostarsi da esse nella misura che ritenga adeguata al caso specifico, purchè dia conto della sua scelta nella motivazione.

La relazione illustrativa al d.m. n. 55/2014 chiarisce tale aspetto laddove, nella parte dedicata ad illustrare la proposta del CNF, (par. b), afferma che il predetto inciso, così come l'avverbio “orientativamente”, sono stati introdotti al fine di sottolineare la non vincolatività dei parametri.

É stato quindi qui ribadito quanto era stato espresso, ancora più chiaramente nel d.m. n. 140/2012.

Deve peraltro evidenziarsi che la discrezionalità del giudice nell'applicazione dei parametri è però venuta meno a seguito dell'entrata in vigore del d.m. 8 marzo 2018, n. 37, entrato in vigore il 27 aprile 2018, che ha modificato solo alcune delle previsioni del d.m. n. 55/2014.

Esso infatti ha integrato anche i parametri generali per la determinazione dei compensi, sia per l'attività giudiziale che per quella stragiudiziale, (si tratta rispettivamente degli artt. 4 e 19), precisando che la riduzione, rispetto al valore medio di liquidazione, non può essere superiore alla misura del 50% (per la sola fase istruttoria fino al 70%) mentre l'aumento può essere anche superiore alla percentuale fissata di regola nell'80%.

É evidente come in tale modo siano stati reintrodotti i parametri minimi, non modificabili dal giudice.

La previsione di parametri minimi inderogabili (anche dalle parti) risulta però irragionevole rispetto alla determinazione giudiziale del compenso per attività, giudiziali o stragiudiziali, che richiedono un minimo impegno (si pensi ad esempio, rispetto alle prime alla redazione di un ricorso per una controversia estremamente semplice o, rispetto alle seconde, alla redazione di una istanza di mediazione obbligatoria o di un invito alla negoziazione assistita obbligatoria) perché non consente di modulare la sua entità.

Rimane ferma in ogni caso la possibilità per il giudice di non riconoscere nessun compenso per gli atti giudiziali superflui, come, ad esempio, per le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c. impropriamente utilizzate, ai sensi dell'art. 92, comma 1, c.p.c. che è norma sovraordinata a quella regolamentare.

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