Autodeterminazione delle parti e assistenza legale in mediazione
05 Marzo 2019
Il quadro normativo
In molti ordinamenti occidentali è in atto un processo di cd. “privatizzazione” della giustizia civile, attuato attraverso il ricorso a strumenti di ADR (acronimo per “Alternative Dispute Resolution”, cioè “risoluzione alternativa delle controversie”), principalmente l'arbitrato e la mediazione. La riforma operata in Italia con il d.lgs. n. 28/2010, che ha previsto l'obbligatorietà della mediazione in alcune materie, ha come suo principale scopo quello della deflazione del contenzioso civile pendente (cd. funzione deflattiva). La legge n. 162/2014 ha poi introdotto diverse norme volte alla “degiurisdizionalizzazione” del contenzioso, in particolare con l'intento di incrementare il ricorso all'arbitrato e di istituzionalizzare la “negoziazione assistita” con il coinvolgimento degli avvocati. Tuttavia, la mediazione non dovrebbe essere considerata solo uno strumento di “ripiego” di fronte alla drammatica inefficienza del sistema di giustizia statale (anche per il frequente abuso, in Italia, del processo), bensì dovrebbe costituire, specie nella prospettiva normativa europea, uno strumento ADR adatto per attuare i diritti in modo più sostanziale (cd. funzione di attuazione dei diritti), da raggiungere attraverso il confronto collaborativo e la conciliazione degli interessi delle parti, valorizzando il loro potere di autodeterminarsi circa l'esito della controversia e riducendo al contempo costi e tempi di attuazione dei diritti stessi. Nell'ordinamento italiano, infatti, la mediazione ed il processo, insieme, dovrebbero poter rendere più efficiente il sistema di tutela dei diritti. Tradizionalmente, almeno fin dal secolo scorso, nel nostro ordinamento le controversie sono state per lo più gestite con sistemi basati su modelli di cd. “ordine imposto” (ovvero la decisione di un giudice). Perché la mediazione si possa affermare, anche culturalmente, è necessario che essa possa offrire un “prodotto” diverso, cioè l'accordo, una decisione autonoma e condivisa dalle parti (“ordine negoziato”), frutto della negoziazione tra le stesse assistite da un terzo senza potere decisionale (il mediatore), basata sulla conciliazione dei loro interessi. Il tutto in una cornice in cui il diritto è più flessibile, adattandosi di volta in volta alla situazione concreta. La fase di transizione ed il cambiamento in corso presuppongono quindi un cambiamento culturale anche in relazione al tipo di assistenza fornita dall'avvocato al cliente in mediazione.
Riferimenti normativi e giurisprudenza
L'art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010, come modificato dalla legge n. 98/2013 (di conversione del d.l. n. 69/2013), che ha introdotto il primo incontro di mediazione dopo la sentenza n. 272/2012 della Corte costituzionale, prevede espressamente che «al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato». Il tenore letterale della norma è chiaro e di conseguenza deve ritenersi che la partecipazione all'incontro di mediazione debba essere personale della parte (o, al più, del suo procuratore speciale che sia a conoscenza dei fatti e munito del potere di conciliare) ed anche del legale che la assiste. In questi anni la giurisprudenza ha più volte ripetutamente precisato che il tentativo di mediazione non può considerarsi assolto mediante la partecipazione dei soli avvocati al primo incontro (e ai successivi), in quanto in mediazione gli avvocati svolgono una funzione di assistenza alla parte comparsa e non di rappresentanza della parte assente (va qui solo richiamato il prevalente orientamento della giurisprudenza sulla necessità della “partecipazione effettiva” alla mediazione, a partire da Tribunale di Firenze 19 marzo 2014). Solo pochissimi provvedimenti, tra cui quelli recenti di Tribunale di Vasto 9 aprile 2018 e Corte d'appello di Napoli 23 maggio 2018, hanno però evidenziato come l'obbligo per la parte di partecipare personalmente agli incontri di mediazione con l'assistenza di un legale comporta anche un mutamento delle modalità con le quali l'avvocato ha finora approcciato la professione: oggi al legale viene richiesto un ventaglio di competenze “aggiuntive” quali la capacità di ascoltare attivamente e di comprendere le parti al di là delle pretese giuridiche (in generale di comunicare efficacemente), competenze che valorizzano ancor più il ruolo dell'avvocato in mediazione, il cui compito è quello di svolgere una funzione protettiva degli interessi del cliente, facendolo partecipare attivamente per essere il vero protagonista del conflitto, abbandonando cioè in questa sede la tradizionale “logica avversariale”. Quando ricorrere alla mediazione: analisi e preparazione del caso
Va da sé che la mediazione dovrà essere esperita in tutti i casi in cui è prevista obbligatoriamente dalla legge come condizione di procedibilità, quando è ordinata dal giudice ai sensi dell'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010, e quando in uno statuto societario o in un contratto c'è una clausola di risoluzione delle liti che preveda il ricorso alla mediazione prima di avviare un giudizio o un arbitrato. Grazie alla professionalità degli avvocati che apprezzano il valore aggiunto di un risultato raggiunto in sede negoziale, la mediazione potrebbe però essere scelta volontariamente come strumento di gestione delle controversie in molti altri casi. Ciò ben oltre l'obbligo del legale di informare il cliente della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione prima di agire in giudizio, pena l'annullabilità del mandato (art. 4, comma 3, d.lgs. n. 28/2010), anche nei casi in cui non si tratta di materia obbligatoria. In detti casi sarebbe ancor più centrale il ruolo dell'autodeterminazione delle parti. L'avvocato chiamato a fornire consulenza dovrebbe assistere il cliente anche nella scelta del metodo di risoluzione della controversia più appropriato al caso concreto dopo aver svolto una approfondita analisi del caso, confrontando costi e benefici delle diverse procedure esperibili in base a criteri quali, per esempio, la natura della controversia, le persone coinvolte, la soddisfazione delle parti in relazione ai possibili risultati, gli effetti della soluzione sul rapporto interpersonale, la disponibilità dei diritti, i costi dell'accordo e della causa, le alternative possibili ed i rischi di ciascuna alternativa. Il legale si concentrerà anche sulla strategia e sulle modalità con cui condurre una eventuale trattativa negoziale prima che la controversia si “blocchi” su posizioni rigide e le parti investano troppo in essa, sia da un punto di vista economico che emotivo. Certamente la mediazione è il metodo più adatto di risoluzione delle controversie nelle ipotesi in cui è importante mantenere una buona relazione tra le parti, anche se solo di tipo commerciale, o per “mantenere” un cliente, nell'ambito di una “cultura” del cd. customer care. Tuttavia, anche le esigenze della rapidità e della riservatezza delle informazioni inerenti la controversia sono interessi da tenere spesso in considerazione, come la volontà di mantenere il controllo delle parti sulla soluzione finale e di contenere i costi. Ragioni a sfavore dell'utilizzo della mediazione sono invece principalmente i casi in cui vi è la necessità di procedere all'accertamento di un diritto o di creare un “precedente” e tutti i casi in cui una o entrambe le parti non negoziano in buona fede. Nell'effettuare detta analisi costi/benefici andrebbe poi verificata caso per caso la possibilità di usufruire delle agevolazioni fiscali previste dagli artt. 17 e 20 del d.lgs. n. 28/2010. Qualora non sia già stato individuato in una clausola, occorrerà poi saper valutare attentamente la scelta dell'organismo di mediazione più “adatto” a gestire la controversia, nei limiti della competenza territoriale, stante la possibilità degli organismi di predeterminare settori/materie di operatività, nonché altri fattori che potrebbero incidere sulla qualità ed efficacia della gestione della procedura. Detta attività di analisi della controversia e di preparazione della strategia negoziale, da concordare con il cliente in base alla preventiva individuazione di interessi, priorità, ostacoli e definizione di alternative a monte del deposito di una istanza di mediazione, rappresenta l'aspetto forse più impegnativo di tutta l'assistenza da fornire alla parte per gestire al meglio e con un più alto grado di soddisfazione la controversia, attività che fa della “fase di preparazione” uno dei momenti più delicati, da seguire dunque con estrema cura da parte del professionista. Come esposto, la presenza della parte in mediazione, a differenza delle procedure contenziose, valorizza la mediazione nel necessario approfondimento degli interessi di ciascuna parte, che variano da persona a persona. Normalmente la parte tenderà però a delegare “tutto” al legale, ma ciò potrebbe essere un errore strategico. Prima del primo incontro è perciò opportuno concordare il ruolo con il cliente, potendo dare strategicamente maggiore o minore rilevanza all'uno o all'altro. Dopo la fase informativa del primo incontro ad opera del mediatore, le parti e gli avvocati dovranno decidere e dichiarare se procedere o meno allo svolgimento della mediazione. Non esiste un unico modello di procedura, dipendendo la gestione degli incontri anche dallo stile e dalla decisione del singolo mediatore, oltre che dal regolamento dell'organismo. Sarà perciò opportuno che l'avvocato chiarisca con il mediatore questi aspetti. Di regola la parte parlerà dei fatti e degli interessi, mentre il legale aggiungerà gli aspetti tecnico-giuridici, commentando l'eventuale documentazione, per facilitare la comprensione del caso al mediatore e all'altra parte. É importante che il cliente sia preparato a reagire costruttivamente e positivamente alle domande che il mediatore gli porrà direttamente, specie nel corso delle sessioni riservate: in tal senso è fondamentale definire a monte con il cliente le informazioni da indicare come riservate e chiarire i suoi principali interessi, priorità e alternative. Quanto allo stile negoziale da tenere è opportuno che questo sia per lo più di tipo cooperativo (anche se attento alla tutela dei propri interessi) e non aggressivo/competitivo. La decisione sull'avanzare eventuali proposte di accordo si presenta delicata, sia quanto ai contenuti sia quanto ai tempi: spesso è preferibile presentare proposte nelle sessioni riservate al solo mediatore (e ciò per non rischiare di “bruciare” la proposta), magari però dichiarando nelle sessioni congiunte una generica disponibilità a negoziare un accordo, specie nel corso del primo incontro. Sia con riferimento agli aspetti relativi alla comunicazione ed allo scambio di informazioni tra le parti, che agli aspetti relativi alla possibilità di migliorare la propria posizione negoziale, la presenza del mediatore apporta sempre considerevole valore aggiunto in termini di superamento degli ostacoli negoziali che portano spesso ad uno stallo delle trattative o a fare/ricevere proposte considerate non ottimali. Per questo è importante che il legale sappia “valorizzare” il mediatore nel suo ruolo di facilitatore della negoziazione, nonché che cooperi, anche “influenzando” la procedura (per es. chiedendo una pausa, incontri separati ecc.). In particolare, il legale potrà valutare al meglio la possibilità di chiedere al mediatore di formulare una proposta ai sensi dell'art. 11 d.lgs. n. 28/2010 (o se aderire a tale richiesta se proveniente dall'altra parte), senza che ciò possa di fatto pregiudicare la posizione negoziale e processuale del proprio cliente. Verso la fine della procedura di mediazione, sarà poi il momento di tirare le somme del lavoro svolto e di esaminare le opzioni negoziali sul tavolo per prendere una decisione: pertanto il cliente dovrà essere efficacemente supportato dal legale in termini di scelta di soluzioni che soddisfino i propri interessi meglio delle alternative – spesso processuali – esterne al tavolo negoziale (cd. migliore alternativa all'accordo negoziato o Maan). Una volta che le parti si saranno autodeterminate rispetto all'esito della mediazione, assumendo cioè una decisione condivisa in favore dell'opzione/i di accordo, i legali procederanno alla stesura e formalizzazione dell'accordo, valutando quindi anche l'utilità di inserire nel testo specifiche clausole. In particolare, ci si riferisce a clausole sugli effetti novativi dell'accordo, su ipotesi di risoluzione espressa, su eventuali garanzie, sulla riservatezza. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico (art. 12 d.lgs.n. 28/2010) e l'accordo sottoscritto dalle parti, e dagli stessi avvocati, costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Nel caso di mancato accordo verrà invece redatto soltanto un verbale negativo nel quale si darà dato atto che le parti non hanno raggiunto un accordo, senza altre verbalizzazioni, stante la riservatezza che copre la procedura. L'assistenza del legale al cliente nel corso della mediazione può presentare difficoltà riconducibili ad alcune ipotesi ricorrenti: eccessiva emotività della parte che può essere di ostacolo in trattative difficili e va dunque gestita con l'aiuto del professionista; difficoltà della parte ad individuare i propri interessi perché eccessivamente coinvolta in dinamiche di attribuzione di torti/ragioni, interessi che il legale può aiutare a inquadrare più correttamente; aspettative irragionevoli, che il legale dovrà contribuire a ridimensionare con un approccio realistico; tendenza ad assumere un cd. approccio a somma zero, che andrebbe riequilibrato grazie ad un'assistenza che metta in luce anche le possibilità di vantaggi reciproci e di maggiore soddisfazione in termini di interessi. In generale, quindi, sarà opportuno che il legale che assiste una parte nella procedura di mediazione sviluppi capacità di analisi delle implicazioni emotive, delle aspettative e delle delusioni della parte, capacità di diagnosi, individuando gli interessi del cliente compatibili e/o confluenti con quelli dell'altra parte nel caso concreto, nonché capacità di “prognosi”, supportando con professionalità il cliente nell'identificazione di soluzioni alternative rispetto a quelle emerse da un primo e più superficiale esame del caso. Queste competenze, da affiancare in ogni caso a competenze “più tradizionali”, sono di indubbio supporto nell'attività di assistenza ai fini del raggiungimento di una soluzione negoziale che, in quanto spesso soddisfacente gli interessi del cliente, può in molti casi valorizzare la funzione del legale ed aumentare il ricorso alla mediazione come metodo di risoluzione delle controversie. La mediazione volontaria svolta innanzi a mediatori professionisti si è infatti sempre dimostrata, soprattutto all'estero (ove è però meno regolamentata che in Italia), uno strumento molto efficace per la soddisfazione degli interessi delle parti coinvolte, se esse negoziano in buona fede. In conclusione
Tra l'assenza di una controversia, la sua nascita, il suo sviluppo ed una decisione giudiziale o arbitrale di un terzo che decida su di essa c'è un ampio spazio in cui esiste la possibilità che possano venire consapevolmente ed efficacemente applicati i metodi negoziali di risoluzione delle controversie, strumenti che mirano a consentire alle parti di autodeterminarsi al meglio per la soddisfazione dei propri interessi circa le “regole” da darsi in un singolo caso. La mediazione non è consigliabile a priori in tutti i casi, essendo i suoi vantaggi legati alle caratteristiche della controversia, da analizzare dunque alla luce del caso concreto. In questa direzione può perciò essere valorizzato un nuovo ruolo dell'avvocato, in aggiunta al suo tradizionale ruolo di esperto in tecniche processuali che rappresenta il cliente in giudizio. Un nuovo ruolo, oggi, che lo vuole anche esperto in tecniche negoziali per assistere la parte in mediazione.
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