Condotta colposa del lavoratore e responsabilità del datore di lavoro

Angelo Giuliani
05 Marzo 2019

Rassegna ragionata su quando la condotta colposa del lavoratore assume rilievo in giudizio per la responsabilità del datore di lavoro e sui requisiti della delega di funzioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro. L'autore analizza le principali sentenze della Corte della Cassazione emanate dal 6 novembre al 18 dicembre 2018.
Rapporto tra la condotta del lavoratore e la responsabilità gravante sul datore di lavoro

Di seguito le principali sentenze della Corte di Cassazione sugli obblighi in capo al datore di lavoro e la condotta del lavoratore:

Cassazione, III sez. penale, 6 novembre 2018, n. 50000.

Ai sensi dell'art. 2087 c.c. il datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia e, pertanto, ha l'obbligo, non solo di disporre le misure antinfortunistiche ritenute idonee e necessarie a prevenire i rischi per la salute psicofisica dei lavoratori, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, perché garante dell'incolumità di questi ultimi; obbligo che non viene meno neppure con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che ha una funzione diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro.

Cassazione, IV sez. penale, 5 dicembre 2018, n. 58272.

La condotta abnorme del lavoratore può essere considerata interruttiva del nesso di condizionamento non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell'area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute ed, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro; cionondimeno, quest'ultimo, dal canto suo, deve aver previsto il rischio ed adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro.

Cassazione, IV sez. penale, 18 dicembre 2018, n. 56950.

Affinché la condotta del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia. Il c.d. governo del rischio del datore di lavoro non si estende alla condotta esorbitante quella affidata con le direttive organizzative e quindi non può coprire anche i comportamenti espressamente interdetti al lavoratore. Il che significa che se il lavoratore sceglie deliberatamente di contravvenire alle istruzioni ricevute e svolgere un lavoro che gli è stato vietato di svolgere, il datore di lavoro non può essere ritenuto responsabile del mancato governo del rischio di un'operazione che aveva proibito di svolgere, dovendo ritenersi 'abnorme' la condotta del lavoratore che pone in essere l'attività vietata.

Le sentenze sopra menzionate enunciano taluni principi di rilievo circa la portata dell'art. 2087 c.c. che attribuisce al datore di lavoro una posizione di garanzia in merito alla tutela della salute psico-fisica del lavoratore:

  • principio 1, l'art. 2087, norma di chiusura del sistema antinfortunistico (Cass., 21 aprile 2017, n. 10145), stabilisce che il datore di lavoro, in quanto garante ultimo della incolumità psico-fisica dei lavoratori, non deve limitarsi a predisporre le misure di sicurezza ritenute necessarie, né limitarsi ad informare i lavoratori sulle stesse, ma deve attivarsi e controllarne con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza (Cass., 21 maggio 2013, n. 12413 e Cass., 13 aprile 2015, n. 7405, secondo cui “gli obblighi che l'art. 2087 c.c. impone all'imprenditore in tema di tutela delle condizioni di lavoro non si riferiscono soltanto alle attrezzature, ai macchinari e ai servizi che il datore di lavoro fornisce o deve fornire, ma si estendono, nella fase dinamica dell'espletamento del lavoro, anche all'ambiente di lavoro, in relazione al quale le misure e le cautele da adottarsi dall'imprenditore devono prevenire sia i rischi insiti in quell'ambiente, sia i rischi derivanti dall'azione di fattori ad esso esterno e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova”);
  • principio 2, la tutela della salute psico-fisica del lavoratore assume una portata ampia e penetrante, al punto che gli obblighi di prevenzione e di tutela previsti dall'art. 2087 c.c., arrivano a coprire anche gli incidenti/infortuni che siano ascrivibili a disattenzione, ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso lavoratore; con la conseguenza che, pur non integrando la richiamata norma codicistica una ipotesi di responsabilità oggettiva (Cass., 13 gennaio 2015, n. 340), il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore;
  • principio 3, la responsabilità dell'imprenditore viene esclusa solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento. Secondo la Cassazione la condotta del lavoratore può essere ritenuta abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto se ritenuta imprevedibile, quanto, piuttosto, se sia stata tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio “governata” dal soggetto titolare della posizione di garanzia" garanzia. In una occasione la Cassazione ha chiarito la distinzione tra comportamento «esorbitante» ecomportamento «abnorme» del lavoratore: il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall'ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro. Il secondo, in linea con i principi delineati dalla giurisprudenza, si riferisce a quelle condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal lavoratore al di fuori del contesto lavorativo nel senso che nulla hanno a che vedere con l'attività svolta (Cass. pen., sez. IV, 26 maggio 2015, n. 22038). Sulla definizione della sfera di “governo del rischio” riferibile al datore di lavoro, da specificare in relazione alle mansioni affidate al lavoratore ed al rischio prevedibilmente connesso con quelle, la Cassazione ritiene che lo stesso non si estenda alla condotta esorbitante quella affidata con le direttive organizzative e quindi non possa 'coprire' anche i comportamenti espressamente interdetti al lavoratore. Il che significa che se il lavoratore sceglie deliberatamente di contravvenire alle istruzioni ricevute e svolgere un lavoro che gli è stato vietato di svolgere, il datore di lavoro non può essere ritenuto responsabile del mancato governo del rischio di un'operazione che aveva proibito di svolgere, dovendo ritenersi 'abnorme' la condotta del lavoratore che pone in essere l'attività vietata;
  • principio 4, nel concetto di esorbitanza può essere inclusa anche l'inosservanza di precise norme infortunistiche, ovvero la condotta del lavoratore contraria a precise direttive organizzative ricevute, ma soprattutto che l'effetto scriminante ed esonerativo a favore del datore di lavoro ricorre in quanto questi abbia adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alla particolarità del lavoro. In altri termini, la circostanza che il fatto possa essere ascritto esclusivamente al comportamento esorbitante, eccezionale, abnorme, non toglie che il datore sia tenuto al rispetto comunque delle norme antinfortunistiche esigibilli (Cass. pen., sez. IV, 26 maggio 2015, n. 22038);
  • principio 5, la designazione/nomina del RSPP, obbligo gravante in via esclusiva ed indelegabile sul datore di lavoro, ai sensi dell'art. 17, D. Lgs. n. 81/2008, non esonera quest'ultimo dalle responsabilità che su di lui incombono in materia ed in particolare dagli obblighi previsti dal 2087 c.c. La Cassazione ha altresì precisato che detta designazione nulla ha a che vedere con l'istituto della delega di funzioni (art. 16) e non può quindi assumere la stessa rilevanza ai fini dell'esonero della responsabilità del datore (Cass. pen., sez. IV, 17 dicembre 2012, n. 49031; Cass. pen., sez. IV, 24 maggio 2011, n. 20576; Cass. pen., sez. IV, 12 novembre 2018, n. 51321).

Requisiti della delega di funzioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro

In materia di salute e sicurezza sul lavoro, la Corte di Cassazione, V sezione penale, con la sentenza n. 55793, prevede che la delega di funzioni disciplinata dall'art. 16, D. Lgs. n. 81 del 2008, che richiede il ricorrere di specifici requisiti di forma e di sostanza, non può essere confusa con altre forme di delega concernenti poteri di altra natura (nella specie l'atto di delega concerneva le sole movimentazioni bancarie necessarie all'acquisto di determinati prodotti).

Gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti ad altri soggetti a condizione che il relativo atto di delega, ex art. 16 D.lgs n. 81/2008, riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed che investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa, fermo restando comunque, l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (Cass. pen., sez. III, 28 marzo 2018, n. 14352).

La Cassazione più volte ha osservato che, in forza della previsione di cui all'art. 16, l'atto di delega può riguardare un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, deve essere espresso ed effettivo, non equivoco e deve investire un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza, dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa, fermo restando, comunque, l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (Cass., 9 maggio 2017, n. 22606; Cass. pen., Sez. Un., 24 aprile 2014, n. 38343). La norma, è utile ricordare, richiede ora anche l'accettazione per iscritto da parte del delegato.

In coerenza con l'orientamento appena richiamato i giudici di legittimità hanno altresì stabilito che non può ammettersi una delega implicitamente presunta dalla ripartizione interna all'azienda dei compiti assegnati ai dipendenti o dalle dimensioni dell'azienda (Cass. pen., sez. IV, 25 febbraio 2010, n. 7691; Cass. pen., sez. IV, 11 marzo 2013, n. 11442).

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