Amministrazione di sostegno: i limiti all'impugnazione dei provvedimenti pronunziati dal giudice tutelare
06 Marzo 2019
Massima
In tema di regolamento di competenza d'ufficio, deve prescindersi dalla verifica dell'impugnabilità, o no, dell'atto che ha dato luogo al conflitto negativo, essendo ammissibile il regolamento qualora, pur non trattandosi di impugnazione in senso stretto, riguardi un atto teso a sollecitare la Corte regolatrice alla determinazione del giudice naturale. Il caso
I prossimi congiunti di una beneficiaria di amministrazione di sostegno reclamano al tribunale il decreto di apertura con individuazione dell'amministratore di sostegno nominato, essendo questo il precipuo oggetto del reclamo proposto. Il tribunale declina di decidere in merito e si dichiara incompetente, opinando la competenza della Corte d'appello. La questione
La Corte d'appello, ritenendosi incompetente per materia, solleva d'ufficio il regolamento negativo di competenza, investendo della questione la Corte di cassazione. Le soluzioni giuridiche
Preliminarmente, la nomofilachia ritiene ammissibile il regolamento officioso avanzato ex art. 45 c.p.c. a prescindere dalla natura del provvedimento impugnato, nella specie «meramente attuativo ed ordinatorio rispetto alla pronunzia di apertura dell'amministrazione di sostegno». Alla conclusione la Corte perviene in applicazione di un principio ormai consolidato e che la Corte ribadisce ancora una volta; secondo cui, agli effetti dell'ammissibilità del regolamento di competenza, non rileva tanto la verifica sull'impugnabilità dell'atto, dato che lo strumento in oggetto, non essendo qualificabile alla stregua di un'impugnazione stricto sensu, è, piuttosto, teso «a sollecitare la corte regolatrice alla determinazione del giudice naturale» (Cass. civ., 11 aprile 2013, n. 8875). Superato il preliminare profilo processuale, la Corte ribadisce, ancora una volta, un principio di diritto divenuto effettivo in materia di impugnazione dei decreti relativi all'amministrazione di sostegno e, in particolare, fondato sulla nota bipartizione di competenza in materia. Solo i provvedimenti di apertura o di chiusura della procedura, assimilabili alle sentenze di interdizione, sono idonei al giudicato, sia pure rebus sic stantibus, con susseguente reclamabilità alla corte d'appello e poi ricorribili per cassazione. Viceversa, gli altri decreti, aventi mero carattere amministrativo e gestorio della misura, quali ad es., quelli in materia di sostituzione, revoca o individuazione della figura dell'amministratore di sostegno, sono reclamabili al tribunale ai sensi dell'art. 739 c.p.c., in quanto non incidenti sullo status o su diritti fondamentali del beneficiario. Conclude la Suprema Corte affermando che il reclamo, in concreto proposto, avente ad oggetto la mera individuazione della figura dell'amministratore di sostegno, era stato correttamente indirizzato al tribunale cosicchè tale organo viene individuato come giudice competente a provvedere.
Osservazioni
Per la chiarezza delle idee, conviene rammentare gli orientamenti espressi al riguardo dagli interpreti, alla stregua della summa divisio fissata pretoriamente tra decreti del giudice tutelare, a seconda della tipologia del loro contenuto. Dispone l'art. 720-bis c.p.c.: «ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c.. Contro il decreto del giudice tutelare è ammesso reclamo alla corte d'appello a norma dell'articolo 739. Contro il decreto della corte d'appello pronunciato ai sensi del secondo comma può essere proposto ricorso per cassazione». La disposizione normativa (introdotta dalla l. n. 6/2004) non ha chiarito quale tipologia di decreto sia reclamabile al tribunale o alla corte d'appello; se quello conclusivo della procedura, ovvero, anche quelli di tenore interlocutorio, amministrativo e gestorio. L'individuazione del provvedimento reclamabile, ed il giudice del reclamo – stato oggetto di ampio e variegato dibattito scientifico – risulta chiarito, in più di un'occasione, dalla nomofilachia. In concreto, si è affermato il seguente principio: «è ammissibile la proposizione del ricorso per cassazione unicamente avverso decreti che dispongono l'apertura o la chiusura dell'amministrazione di sostegno, ovvero, di contenuto corrispondente alla sentenza pronunziata in materia di interdizione o inabilitazione, a norma degli artt. 712 e ss. c.p.c.» (Cass. civ., 10 maggio 2011, n. 10187). Viceversa, non sono suscettibili di gravame alla corte d'appello (ma al tribunale) i provvedimenti aventi carattere meramente interlocutorio, quali, ad es., quelli di scelta, sostituzione, esonero o revoca dell'amministratore di sostegno. In modo particolare: «è inammissibile il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di designazione o nomina di un amministratore di sostegno, trattandosi di un provvedimenti distinti, logicamente e tecnicamente, da quelli che dispongono l'amministrazione e che vengono emanati in applicazione dell'art. 384 c.c. (richiamato dal successivo art. 411, comma 1, c.c.), dovendo invero limitarsi la facoltà di ricorso, concessa dall'art. 720-bis, ultimo comma, c.p.c., ai decreti di carattere decisorio, quali quelli che dispongono l'apertura o la chiusura dell'amministrazione, assimilabili, per loro natura, alle sentenze emesse in materia di interdizione ed inabilitazione, mentre tale facoltà non si estende ai provvedimenti a carattere gestorio» (Cass. civ., 16 febbraio 2016, n. 2985; Cass. civ., 28 settembre 2017, n. 22693; Cass. civ., 13 febbraio 2018, n. 3493). Da quanto precede, discende che gli ulteriori decreti pronunziati dal giudice tutelare nel corso della procedura di amministrazione, quali, ad es., quelli di revoca, sostituzione, sospensione dall'incarico, approvazione del rendiconto, ovvero, in materia di liquidazione dell'equa indennità di cui all'art. 379 c.c., soggiaciono alla regola generale dettata in materia di procedimenti camerali, regola non derogata in materia, ed affidata all'art. 739, comma 1, c.p.c. Quest'ultima disposizione prevede la reclamabilità di questi decreti avanti al tribunale in composizione collegiale (Cass. civ., 13 gennaio 2017, n. 784; Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9839), come ha avuto cura di ribadire la pronunzia in epigrafe in sede di regolamento di competenza. L'ambito oggettivo di estensione del gravame avverso i decreti pronunziati dal giudice tutelare in materia di a.d.s. è stato poi ampliato da una pronunzia nomofilattica, che ha enunziato il seguente principio di diritto nell'interesse della legge (art. 363, comma 3, c.p.c.): «nei procedimenti in materia di amministrazione di sostegno è ammesso il reclamo alla Corte d'appello, ai sensi dell'art. 720-bis, comma 2 c.p.c. avverso il provvedimento con cui il giudice tutelare si sia pronunciato sulla domanda di autorizzazione – proposta dall'amministratore di sostegno in sede di apertura della procedura o in un momento successivo – ad esprimere, in nome e per conto dell'amministrato, il consenso o il rifiuto alla sottoposizione a terapie mediche, avendo il provvedimento medesimo natura decisoria in quanto incidente su diritti soggettivi personalissimi» (Cass. civ., 7 giugno 2017, n. 14158). Le decisioni assunte dal g.t. in materia sanitaria e di cure mediche incidendo su diritti personalissimi della persona, sono «espressione di un diritto personalissimo fondamentale potenzialmente suscettibile di essere compresso dal provvedimento del giudice». Le stesse sono, quindi, qualificate pronunzie decisorie, suscettive di gravame, conformemente all'orientamento consolidato. Nonostante il consolidarsi della summa divisio, autorevole dottrina (Tommaseo) ritiene che il criterio nomofilattico, ribadito anche dalla pronunzia in epigrafe, fondato sul contenuto del provvedimento assunto dal g.t., decisorio o gestorio, rappresenti un «criterio che non dà sicuro affidamento».
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